Nel paese più felice e altruista l’anno scorso sono nati solo 18 bimbi con la trisomia 21: il 95 per cento delle donne li abortisce. La corsa alla civiltà perfetta e la logica di Sparta
Caterina Giojelli 5 settembre 2020 Società
L’uguaglianza va bene ma solo se vai bene, in caso contrario muori. È letteralmente quello che accade in Danimarca: il nuovo rapporto del Danish Central Cytogenetic Registry (Dccr) attesta che nel 2019 sono nati solo 18 bambini con sindrome di Down. Diciotto, il numero più basso che la storia del paese abbia mai registrato. Ricordate il titolone di Berlingske nel 2012? “Nel 2030 nascerà l’ultimo bambino Down”, annunciava il quotidiano assicurando che entro tale date la Danimarca sarebbe diventato uno stato “Down Syndrome free”. Come se debellare la malattia non significasse eliminare i malati, cioè la base dell’eugenetica.
NEI PAESI PIÙ FELICI AL MONDO NON C’È POSTO PER I DOWN
Stando al super illuministico World Happiness Report 2020 la Danimarca è il secondo paese più “felice” al mondo, secondo solo alla Finlandia: merito della realizzata uguaglianza sociale, il fortissimo spirito di comunità e il senso della responsabilità comune. Uguaglianza è la stella polare di questo come degli altri paesi che da anni dominano incontrastati la classifica (Finlandia, appunto, ma anche Norvegia, Svezia, Islanda), gli anni di vita in salute il dato oggettivo su cui misurare la felicità del popolo. Una stella diventata meteorite: di fatto non c’è posto per chi non è uguale agli altri, eliminare i difettosi e i malati è un diritto riconosciuto fin dal 2004, quando la Danimarca, primo paese al mondo, decise di rendere gratuito il ricorso alla diagnosi prenatale e screening per la trisomia 21 per tutte le donne in gravidanza. In capo a un anno, il numero dei nati con la sindrome di Down si era dimezzato.
Secondo il Danish National Board of Health, il 95 per cento delle danesi incinte a cui viene riscontrata un’anomalia cromosomica sceglie oggi infatti di default di abortire: dati del Dccr, che dal 1970 traccia e registra chiunque si sia sottoposto a test cromosomici prenatali o postnatali, test di genetica molecolare o test biochimici, su 1.000 bambini venuti al mondo l’anno scorso, solo lo 0,29 aveva la sindrome di Down. In Islanda si è già arrivati quasi al 100 per cento di popolazione sana: dato che si spiega con un numero ridotto di abitanti (circa 400 mila) dove il numero di bambini nati con la Trisomia 21 non supera i due all’anno e se ne nascono ancora, spiegava alla Cbs Hulda Hjartardottir, capo dell’unità di diagnosi prenatale dell’ospedale della capitale, è perché, per errore, «non vengono segnalati negli screening». Lo sappiamo, il problema non è nello strumento dei test: grazie alla diagnosi prenatale – spesso sono le stesse associazioni pro life a ricordarlo – è possibile salvare i bambini prematuri, preparare interventi tempestivi post partum in caso di fibrosi cistica o intervenire chirurgicamente in caso di spina bifida. Il problema, è brandire i test come arma eugenetica. Il che dice molto dei presupposti fondanti l’uguaglianza e l’accoglienza alla base della felicità collettiva.
DAL TEST ALL’ABORTO COL PILOTA AUTOMATICO
Come ha denunciato a TV2 News Grete Fält-Hansen, presidente della Landsforeningen Downs Syndrom, la propaganda sul senso della responsabilità comune si è tradotta nell’indisponibilità delle persone ad «andare a fondo» quando viene comunicato loro che aspettano un bambino con la sindrome di Down, un bambino “diverso”: le donne innescano il pilota automatico e non prendono in considerazione nessuna alternativa all’aborto, «il nostro obiettivo è allora qualificare la decisione. Questi dati impongono all’autorità sanitaria di assumersene la responsabilità e fornire informazioni aggiornate e variegate. Non possiamo avere una società che si rivolge automaticamente all’aborto a causa di una diagnosi».
Del paradosso scandinavo, che vede i paesi felici del Nord, le terre dell’indipendenza e delle libertà individuali, dove tutti affermano convintamente di fare quello che fanno per altruismo, dalle fecondazioni assistite a variazioni sul suicidio assistito, annegare poi negli antidepressivi, violenze sessuali, omicidi, suicidi, droghe, divorzi, è stato scritto molto. Dell’incapacità di farsi carico della vita dei fragili, ostacolo a un dispiegarsi della felicità collettiva, troppo poco: eppure la corsa allo Stato “Down Syndrome free” dovrebbe dirci tutto sulla realizzazione della civiltà perfetta, fondata sulla logica di Sparta e lo sterminio di quelli che Jérôme Lejeune, scopritore della sindrome di Down, chiamava i miei – i nostri – piccoli.
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