Maria incontra Elisabetta
Domenica IV Avvento (Anno C) – 23 dicembre 2024
(Mic 5, 1-4°; Eb 10, 5-10; Lc 1, 39-45)
di don Ambrogio Clavadei
“In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta …” (Lc 1, 39).
Uno dei mantra dell’odierno tempo ecclesiale è quello della “Chiesa in uscita”. Sembra questo il problema che deve definire ogni attività della Chiesa. Ma la liturgia di questa quarta e ultima domenica di Avvento ci fa comprendere come questo mantra, così come lo si intende, rischia di falsificare il cammino della nostra fede e della nostra testimonianza. Infatti il vero problema della Chiesa di oggi (e di sempre) non è primariamente quello dell’uscita, ma quello dell’entrata. Cosa è entrato, cosa devo chiedere che continui ad entrare (cioè ad avvenire) nella mia vita, così che io – di conseguenza – possa uscire a visitare il mondo e il suo Bisogno fondamentale (incontrare Cristo)? Senza offrire la risposta a questo Bisogno dei bisogni anche l’affronto delle varie necessità della gente risulta infecondo e non porge aiuto all’uomo che fino all’ultimo giorno deve “partorire” in sé un significato ultimo per il destino della sua vita e in questo deve essere affiancato e confortato come fece Maria con la cugina Elisabetta.
Per questo, nell’imminenza del Natale, la liturgia offre allo sguardo della nostra fede la figura della Vergine Maria, l’immagine cioè di quella donna che è stata “umile ed alta più che creatura … sì che il suo fattore, non disdegnò di farsi tua fattura” (Dante, Paradiso, XXIII). Nessuno infatti come la Madonna ha atteso Qualcosa che entrasse dentro il grembo della sua esistenza per offrirle quella felicità che nessuno se non Dio può dare: “Rallegrati, piena di grazia” (Lc 1, 28). E nessuno come lei, proprio anche nella sua carne, ha visto adempiuta ogni promessa di Dio. Questa promessa lei l’ha toccata con mano sfiorando ogni giorno il suo grembo nel quale la Vita di Dio cresceva per prendere attraverso di lei il suo posto nel mondo.
Per questo la Madonna è la regina di tutti i profeti, perché il vero profeta è colui che indica Dio presente dentro la storia, così che la Vergine Maria ha potuto racchiudere in sé tutta l’attesa dell’Antico Testamento, e tutta la novità del Vangelo. Lei è l’ultimo decisivo e urgente passo del Dio che ha voluto entrare nella nostra carne mortale insterilita dal peccato, per rimettere in movimento la nostra umanità. Per questo lei è anche la perfetta icona dell’Avvento e del suo compimento. Infatti già in lei è accaduto pienamente ciò che san Paolo invocava ardentemente per i suoi Efesini, quando, piegando le sue “ginocchia davanti al Padre” (Ef 3, 14), chiedeva che avvenisse per loro quanto già si era anticipato nella Vergine Maria: “Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Ef 3, 17-19).
Solo in forza di questa strabordante pienezza (“gratia plena”) dalle quadruplici dimensioni divino umane del Mistero onniabbracciante di Dio, entrato nel suo grembo, la Madonna può correre allora come oggi e come sempre per portare questo movimento di Dio in lei, così che diventi movimento per l’uomo e nell’uomo con la stessa esperienza di gioia e di verità che fu per lei: “Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo” (Lc 1, 44).
La Madonna, suprema attesa e suprema accoglienza, è dunque suprema offerta di mobilitazione. La Madonna: un movimento dentro la storia e verso la vastità sconfinata della storia, ma solo perché era ancora più sconfinato ciò che era avvenuto dentro la sua persona: “L’anima mia magnifica il Signore … [perché] grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”. E queste “grandi cose”, questa “ampiezza … lunghezza … altezza e … profondità” del Mistero singolare dell’amore di Dio che tutta mi definisce, io ora le porto e le offro a te.
È lei allora la vera “Chiesa in uscita” perché corre a visitare il bisogno dell’uomo colma di una Presenza che singolarmente la identifica e la circoscrive, e non quella Chiesa che, vuota di sé perché rinunciataria di Ciò che realmente (e non solo intenzionalmente) dovrebbe delineare la sua natura e la sua missione, pretende di farsi “tutto a tutti” (1 Cor 9, 22), finendo invece per adeguarsi alle logiche istintive o snaturate del mondo, riducendo il suo operare a pura sociologia, a compagnia sentimentale, pensando di comunicare la grazia sacramentale di Cristo con liturgie circensi o comunque illanguidite e noiose, e spacciando come attenzione alle fragilità dell’uomo ambigue proposte etiche. Questa Chiesa più è nuda di una Presenza, più si riveste di iridescenti lustrini pseudo ecclesiali che coprano la sua assenza.
Ma se questa è la Madonna, questo siamo anche noi, noi che attendiamo il rinnovarsi di questa visitazione di Dio dentro la nostra carne, perché la nostra carne con tutti i suoi bisogni, con tutti i suoi limiti e dolori umilianti, con tutte le sue attese complesse, con tutti i suoi desideri o le sue inevitabili pretese, è il luogo dove Dio è venuto a nascere, e ad offrirci il quotidiano Natale che rinnova e colma di letizia il nostro vivere.
Ma perché il Natale di Dio possa riaccadere è innanzitutto necessario riaprirci allo stupore di quanto ci accade: “A che debbo che la Madre del mio Signore venga a me?”. (Lc 1, 43). Non è in base ad un nostro sforzo che accade l’Avvenimento del Signore, ma è pura grazia, pura misericordia di Dio: “Non hai voluto né sacrificio né offerta per il peccato, un corpo invece mi hai preparato” (Eb 10, 5). Non viene perché cerchiamo di essere intelligenti e buoni, viene perché gli prepariamo il nostro corpo, cioè gli offriamo tutta la nostra esistenza perché egli possa crescere in essa come un giorno crebbe nel grembo della Vergine.
Uno stupore da cui nasce tutto il movimento della nostra vita. Come accadde a Elisabetta, l’attesa di Dio che ci urge dentro come sua profezia finalmente trova ancora una volta la sua non scontata risposta, una risposta che poi diventa missione verso tutti coloro che, illusi dalle menzognere promesse del mondo, rischiano di partorire vento: “Abbiamo concepito, abbiamo sentito i dolori quasi dovessimo partorire: era solo vento; non abbiamo portato salvezza al paese e non sono nati abitanti nel mondo” (Is 26, 17-18), “Perciò Dio li metterà in potere altrui, fino a quando partorirà colei che deve partorire” (Mic 5, 2). Solo il figlio di Maria ha il Potere di sconfiggere il potere che ci rende schiavi del male e ci distrugge. Infatti dove Dio non avviene e prende corpo in noi, avanza il Nulla che si prende il nostro corpo, il nostro cuore, la nostra storia. Li prende e li divora: “Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare” (1 Pt 5, 8). Allora, più che mai, dobbiamo invocare: “Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi” (ritornello del salmo responsoriale 79 [80]).
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