venerdì 22 novembre 2024

Nel Canada degli orrori. Dove lo Stato, con aborto ed eutanasia, mette a morte i più indifesi




22 Nov 2024



Quando ho letto l’ultimo commento di Alexander Raikin su The Hub, ho avuto una cupa sensazione di déjà vu. «Un quarto di tutti i fornitori di MAID [Medical Assistance in Dying, Assistenza medica al suicidio] dell’Ontario potrebbe aver violato il Codice penale», dice l’articolo. «A qualcuno importa?» si chiede l’autore ponendo una domanda che suona come una supplica. «Ogni professionista del Medical Assistance in Dying è tenuto a seguire il diritto penale. Eppure Dirk Huyer, il medico legale capo dell’Ontario, all’inizio pubblicamente e poi per anni in privato, ha avvertito che esiste un «modello di non conformità» che consente a medici e infermieri di aggirare il diritto penale in materia di assistenza medica al suicidio. Dopo oltre 428 casi segnalati, come ho scritto in un recente rapporto investigativo per The New Atlantis, nessuno ascolta».

Se non avete ancora letto l’intero rapporto di Raikin per The New Atlantis, dovreste farlo. È uno dei migliori pezzi di giornalismo investigativo che siano mai stati pubblicati sul regime di eutanasia canadese, e si aggiunge al già stellare curriculum di Raikin nell’esporre ciò che sta realmente accadendo in questo paese. La sua frustrazione è palpabile e comprensibile: «È difficile capire come tutte le parti responsabili abbiano tenuto nascoste tutte queste accuse di non conformità alla legislazione sul suicidio assistito e per così tanto tempo».

«Nessun rapporto locale, nessuna dichiarazione del medico legale, nemmeno una fuga di notizie da un fornitore o un perito MAID preoccupato. Nel forum tematico dell’Ontario il mio articolo è stato bannato per aver sparso “false informazioni con l’intento di trarre in inganno”. È una risposta valida quanto un’altra. Ci sono problemi di conformità con il Codice penale, ma sembra che a nessuno importi».

È proprio così. In particolare, il governo Trudeau ha costantemente ignorato gli avvertimenti sempre più disperati lanciati da gruppi per i diritti dei disabili, organizzazioni per la prevenzione del suicidio, psichiatri ed esperti di salute mentale. Gli allarmi sul regime di eutanasia del Canada non sono certamente mancati, e molte delle voci che si sono levate non appartengono ai pro-life di matrice religiosa che il governo trova così facile liquidare con disprezzo. Tuttavia, queste storie dell’orrore vengono negate e ignorate. Perché?

Sono sempre più convinto che ciò sia dovuto al fatto che il governo, e la lobby del suicidio, la cosiddetta Dying with Dignity, hanno deciso da tempo che questo è il prezzo per un regime di eutanasia in continua espansione, ed è un prezzo che loro sono disposti a pagare. Sì, alcune persone povere possono richiedere un’iniezione letale perché non sono in grado di ottenere l’assistenza di cui hanno bisogno. Sì, alcuni zelanti fornitori di questi “servizi” possono convalidare automaticamente la morte di cittadini canadesi che in realtà non sono idonei al suicidio. Sì, i fornitori possono impegnarsi a procurare morti “non conformi” a quanto prevede il codice pensale (prima che le iniezioni letali fossero legalizzate, questo era chiamato omicidio). Tutto parte del gioco. Ora i dottori uccidono.

Il motivo per cui dico che questo mi dà un senso di déjà vu è che l’approccio è lo stesso di quello che riguarda l’aborto. Il Canada è l’unica democrazia occidentale che consente l’aborto fino alla nascita. Nel 2012, l’ufficio nazionale di statistica, Stats Canada, ha rivelato che 491 bambini nati vivi sono stati lasciati morire tra il 2000 e il 2009. E nonostante l’ovvia accusa di infanticidio, il primo ministro conservatore Stephen Harper è rimasto indifferente quando è stato interrogato al riguardo in Parlamento: «Tutti i membri di questa Camera, che siano d’accordo o meno, capiscono che l’aborto è legale in Canada».

Quei bambini, una volta nati, avrebbero dovuto essere protetti dalla legge, ma così non è stato. A qualcuno importa? No.

Non c’è stata alcuna risposta a un nuovo straziante studio, condotto dall’ l’Università di Montreal, secondo cui in Quebec un bambino su quattro tra quelli abortiti a 23 settimane di gestazione nasce vivo. Una delle “complicazioni” degli aborti tardivi è nota come “nascita viva” e in Quebec “tassi di natalità” dopo l’aborto sono aumentati in modo più evidente nei casi di aborti eseguiti tra la ventesima e la ventiquattresima settimana.

Lo studio condotto nel Quebec ha scoperto, sulla base di uno studio riguardante 13777 aborti compiuti tra la quindicesima e la ventinovesima settimana, che oltre l’11% dei bambini abortiti nel secondo trimestre tra il 1989 e il 2020 sono nati vivi dopo il tentativo di aborto. La ricerca ha scoperto che il 90% di questi bambini è morto entro tre ore e ha riferito che «solo il 24,5% dei bambini nati vivi è stato ricoverato in terapia intensiva neonatale, e solo il 5,5% ha ricevuto cure palliative». In particolare, il tasso di bambini nati vivi dopo l’aborto è salito di oltre il 20% tra il 2011 e il 2021.

Sappiamo dunque che in Canada bambini nati vivi dopo l’aborto vengono lasciati morire. Eppure non un solo leader di partito ne parla. Quando le principali università pubblicano studi che descrivono in dettaglio queste pratiche infanticide, la risposta è una scrollata di spalle collettiva. Lo vediamo nel caso della brutalità dell’aborto, e ora lo stiamo vedendo anche con l’eutanasia. Il sistema medico canadese uccide i vulnerabili sia all’inizio sia alla fine della vita. E a quanto pare ci sta bene così.

Fonte: lifesitenews





giovedì 21 novembre 2024

Intelligenza artificiale ed eugenica: nuova alleanza a servizio della vita o della morte?





20 Novembre 2024 

di Fabio Fuiano

Negli ultimi tempi si sta assistendo ad una considerevole estensione delle applicazioni in cui ci si avvale dell’Intelligenza Artificiale (IA), non esclusa l’eugenica. Come tutti gli strumenti utilizzati dall’uomo, presa in sé stessa, l’IA è moralmente indifferente ma assume una connotazione morale a seconda delle intenzioni e delle circostanze. Per citare esempi virtuosi, nel settore sanitario, essa può essere impiegata come supporto dei medici all’attività di diagnosi e cura. È notizia del 13 novembre scorso che, in ambito ostetrico, è stato validato un software IA «che potrà essere incorporato a un ecografo e “guidare” il parto, fornendo informazioni precise e in tempo reale sulla posizione della testa del bebè» suggerendo le più appropriate modalità con cui farlo nascere. Non solo, l’IA può trovare un’applicazione nell’analisi di sequenze del DNA con la conseguente predizione precoce ed accurata di malattie genetiche per fini terapeutici.

In quest’ultimo contesto, si può però intravedere il pericolo di un utilizzo per scopi moralmente illeciti. Una tale preoccupazione è confermata da due articoli dell’Ansa dello scorso luglio che hanno entusiasticamente pubblicizzato l’utilizzo di un software IA «due volte più accurato rispetto alla microscopia tradizionale» per la selezione eugenetica degli embrioni più adatti all’impianto nel contesto della fecondazione artificiale. Un ricercatore si è spinto ad affermare che «il test genetico preimpianto è il miglior indicatore di competenza embrionale; non credo sia così prossimo il momento in cui possa essere sostituito da uno strumento di IA».

Tutto ciò potrebbe rievocare gli orrori eugenetici della Germania nazista. Eppure, esiste un modo retto d’intendere l’eugenica (dal greco ευγενειν, generare bene) come «la scienza che cerca di promuovere la generazione di uomini sani e fisicamente perfetti; e ciò come mezzo per migliorare lo stato di salute del popolo. Secondo che i mezzi e le norme mirino immediatamente a causare una buona generazione o ad impedire quella che si prevede sarà cattiva, si parla di eugenetica positiva e negativa» (Dizionario di Teologia Morale Roberti-Palazzini, Edizione EffediEffe, Viterbo, 2019, p. 672).

I cardinali Roberti e Palazzini ricordano come, nel senso succitato, la Chiesa ne sia «fautrice fortissima perché considera la salute naturale come uno dei più preziosi doni del Creatore. L’uomo ha il dovere di usare i mezzi buoni e onesti per curare la salute propria e dei suoi figli. […]». Tuttavia, memori proprio delle storture ideologiche del termine, evidenziavano che «la Chiesa e la morale cattolica non approvano tutti i metodi e tutti i mezzi che nel tempo moderno sono propagati e raccomandati come utili per lo scopo eugenetico. La Chiesa condanna gli eugenisti di vista limitata che esaltano l’eugenica come supremo principio di agire. La sanità corporale è un bene di grande valore, ma non è l’unico e supremo bene dell’uomo. Perciò non basta provare che un mezzo sia utile allo scopo eugenico, per concludere che è buono sotto ogni aspetto e da applicarsi». La teologia morale insegna come mezzi eugenetici conformi alla legge naturale, in vista della sanità oltre che dell’anima, anche del corpo la moralità pubblica, la protezione dei valori contenuti nella vita cristiana, il matrimonio, la famiglia, l’educazione della prole. È poi insegnamento della Chiesa, il cui apogeo si riscontra nelle allocuzioni di papa Pio XII rivolte ai medici, che «combattere e togliere non gli effetti, ma le cause delle malattie ereditarie, è il primo e principale dovere del medico» (Ibid., p. 673).

Il 7 settembre 1953, nel Primo Congresso Internazionale di Genetica medica, papa Pacelli aveva ammonito i partecipanti che, pur essendo gli scopi pratici della genetica nobili e degni d’apprezzamento e incoraggiamento, essa deve «rimanere sempre consapevole della differenza fondamentale che intercorre tra il mondo vegetale e animale da una parte e l’uomo dall’altra. Là, i mezzi per migliorare le specie e le razze sono a sua piena disposizione; qui, invece, nel mondo dell’uomo, essa ha sempre dinanzi a sé degli esseri personali, dai diritti intangibili, degli individui che dal canto loro sono retti da norme morali inflessibili quando esercitano la loro facoltà di suscitare una vita nuova. Così il Creatore stesso ha stabilito nel campo morale limiti che nessun potere umano può togliere». Il 5 settembre 1958, al Congresso della Società Internazionale della Trasfusione del sangue, ritornò sull’argomento, mettendo in guardia dalle derive razziali dell’eugenetica, come i tentativi di genocidio cui la Chiesa si è energicamente opposta e asserendo che «Essa disapprova qualsiasi esperienza di genetica che prenda alla leggera la natura spirituale dell’uomo e lo tratti come un qualsiasi esemplare di una specie animale». Il Papa, pur avendo denunciato a più riprese la pratica della fecondazione artificiale, non poteva immaginare dove saremmo approdati. Tuttavia, i suoi insegnamenti e quelli di grandi genetisti cattolici possono costituire il timone per un retto utilizzo eugenico dell’IA.

Più recentemente, Jérôme Lejeune (1926-1994), commentando il documento Donum Vitae della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1987 aveva precisato come la Chiesa «ci ha ricordato semplicemente cosa è una manipolazione genetica. Se modificate una istruzione genetica per cercare di riparare un gene sfavorevole, e se lo fate nell’interesse del bambino e con prudenza, allora in questo caso fate della buona medicina. Se al contrario usate un bambino, se lo sfruttate per fare un esperimento a detrimento di chi lo subisce, non fate medicina, ma della zoologia sugli uomini e questo non avete moralmente il diritto di farlo» (Il Messaggio della Vita, Edizioni Cantagalli, Siena, 2002, p. 79).

Dal canto suo un altro importante genetista, p. Angelo Serra S.J. (1919-2012), in un convegno del 28 ottobre 2006 sulla legge 40/04, descrisse dettagliatamente le tecniche introdotte per il miglioramento della fecondazione artificiale. Infatti, «nella speranza di ottenere migliori risultati si è introdotta la prassi della Diagnosi Genetica Preimpianto (PGD) che utilizza particolari tecniche, le quali permettono di rilevare anche in una sola cellula alterazioni di cromosomi o geni. Da cinque o più embrioni preparati per una data coppia e hanno raggiunto lo stadio di almeno 8 cellule si prelevano – mediante biopsia – una o due cellule, si esaminano e, se si evidenzia qualche anomalia, gli embrioni da cui sono state prelevate si eliminano o si destinano alla ricerca. L’elevata entità di questa reale selezione eugenica è indicata dai risultati di un numero ormai notevole di ricerche». Riportò anche diversi dati sulle impressionanti quantità di embrioni eliminati e proseguì incalzando chi difende tali pratiche: «chi si difendesse affermando che in quello stadio non c’è un ben determinato soggetto umano, incorrerebbe in un falso scientifico e antropologico. […] Chi si difendesse affermando che ha più valore dell’embrione ciò che si pensa di poter ottenere, mediante il suo uso, per il benessere di altri, si assumerebbe la responsabilità di un grave atto di ingiustizia: la ragione stessa indica che non si può fare ciò che è “male” per raggiungere un “bene” probabile o anche certo. Chi si difendesse sostenendo che, piuttosto di un aborto al quarto o quinto mese psicologicamente troppo pesante, è preferibile la soppressione del soggetto prima dell’impianto, forse meno traumatica, cadrebbe in un errore di valutazione, di stabilire cioè la gravità del delitto secondo il tempo dello sviluppo di un ben determinato soggetto umano, che invece è sempre quello stesso soggetto fin dal momento della fusione dei due gameti. Di fatto, in ogni caso, si uccide sempre un soggetto umano innocente» (Legge 40 sulla fecondazione artificiale: la produzione dell’uomo, Piero Gribaudi Editore, Milano, 2007, pp. 96-98).

Ben venga l’utilizzo di nuove tecnologie a vantaggio dell’uomo e del suo sviluppo. Ma se si agisce fuori dall’alveo di una sana eugenetica, conforme alla natura umana, non v’è sviluppo, bensì retrocessione alla barbarie.





martedì 19 novembre 2024

Gli italiani e la religione. Vanno poco in chiesa ma si sentono ancora cattolici (e credono nel giudizio di Dio)




19 Nov 2024

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by Aldo Maria Valli



Ricerca Censis 

Su sollecitazione della Conferenza episcopale italiana il Censis ha realizzato una ricerca, condotta su un campione di mille adulti nel periodo dal 27 settembre al 1° ottobre 2024, sulla religiosità nel nostro Paese.

Ne è emerso che gli italiani che si definiscono cattolici sono il 71,1% della popolazione. Il 15,3% si dice praticante, il 34,9% dichiara di partecipare solo occasionalmente alle attività della Chiesa e il 20,9% afferma di essere “cattolico non praticante”.

Nella fascia dai 18 ai 34 anni la percentuale di coloro che si dichiarano cattolici scende al 58,3% e i praticanti sono il 10,9%.

Più di metà di coloro che sono distanti dalla pratica regolare (il 56,1%) afferma di vivere la fede “interiormente”.

Quattro italiani su dieci dicono di non riconoscersi nella Chiesa. Perfino tra i praticanti c’è un 15% che afferma dice di non ritrovarsi dentro la Chiesa così com’è oggi: il 45,1% perché è troppo antica, il 27,8% perché non vi vede “una linea chiara”, l’8,9% perché non ci sono donne in posizione di vertice (tra la popolazione femminile la percentuale sale al 12,4%). Il 43,6% (46,5% delle donne) ritiene che la Chiesa cattolica sia un’istituzione maschilista, percentuale che tra i cattolici praticanti scende al 23,9%.

Per il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, la situazione «è il risultato dell’individualismo imperante, ma anche di una Chiesa che fatica ad indicare un “oltre”». La Chiesa, sostiene De Rita, «deve ritrovare questa sua capacità, perché una Chiesa solo orizzontale non intercetta chi è ubriaco di individualismo, perché a costoro non basta sostituire l’Io con un “noi”, hanno bisogno di un oltre, hanno bisogno di andare oltre l’io».

Nonostante la diminuzione dei praticanti, un 13,9% dei cattolici assidui pensa che vada bene così, mentre per il 60,8% la Chiesa dovrebbe adattarsi ai cambiamenti del mondo contemporaneo. Per quasi sette italiani su dieci (sei su dieci tra i praticanti) ciò che allontana dalla Chiesa è soprattutto la questione degli abusi.

L’identità del Paese sembra essere ancora cattolica: il 79,8% dice che le sue radici culturali sono di ispirazione cattolica, mentre solo il 5,4% dichiara di essere stato educato in un ambito “anti-cattolico”. Inoltre, il 61,4% si dice d’accordo con l’affermazione secondo cui il cattolicesimo è parte integrante dell’identità nazionale (e lo pensa anche il 41,4% dei non credenti).

Il 34,5% dice di rispettare il segno della croce, che per il 54,8% fa parte del sentire personale. Il 41% ha una qualche forma di devozione alla Madonna, figura rispettata anche dal 36,7% dei non credenti. Tra i praticanti, il 43,9% rimpiange i “bei riti di un tempo”, percentuale che scende al 27,8% rispetto alla popolazione generale.

Per il 45,5% degli italiani le parole di Gesù restano tra gli insegnamenti spirituali migliori di cui disponiamo e per il 16,3% ispirano la vita. Quattro italiani su dieci pensano che sia una buona cosa farsi consigliare dai preti. In pari numero, quattro su dieci, pensano l’opposto, e due su dieci non si pronunciano.

Solo un italiano su dieci crede che un nuovo partito apertamente cristiano potrebbe avere successo. Il 37,4% pensa che non avrebbe alcun rilievo.

Tra i praticanti il 23,2% appoggia l’idea di un partito ispirato ai valori cristiani, mentre il 19,4% pensa che esso non avrebbe forza.

Il 66% degli italiani dichiara di pregare, ma l’idea di preghiera comprende sia il rivolgersi a Dio sia il mettersi in relazione con un’altra entità superiore. Questo tipo di rapporto è dichiarato dal 65,6% dei non praticanti e dall’11,5% dei non credenti. Il 39,4% degli italiani prega quando vive un’emozione, il 33,5% quando ha paura e vuole chiedere aiuto. Tra i praticanti solo l’8,8% dichiara di pregare all’interno di un rito.

Il 58% degli italiani crede che esista una vita dopo la morte (l’87,7% tra i praticanti) e, tra questi, il 61,7% immagina un giudizio finale, con diversità di trattamento per i “buoni” e i “cattivi”.

Sette italiani su dieci dicono che la vita spirituale è importante, ma la maggioranza, 52,7%, la pensa al di fuori della Chiesa.

Emerge nel complesso una fede fai da te, secondo lo slogan “Dio sì, Chiesa no”, con una forte componente emozionale e individuale.

La Chiesa è accettata quando soddisfa bisogni materiali, ma sul piano interiore è considerata per lo più superflua se non dannosa.

Fa riflettere il fatto che più di un quarto della popolazione pensi che ci sia un giudizio dopo la morte. Dato in controtendenza con l’aria che tira oggi nella Chiesa. Sorprende quel quasi 44% di praticanti che apprezza i “bei riti di un tempo” e ne ha nostalgia. Di certo questa percentuale non è composta da chi desidera la messa vetus ordo, che resta sconosciuta ai più, ma rivela una stanchezza verso le innovazioni e nei confronti di una Chiesa che ha voltato le spalle alla tradizione.






lunedì 18 novembre 2024

Mons Schneider. "La liturgia cattolica senza tempo nutre la Chiesa"



Un ampio intervento del vescovo Athanasius Schneider che mette in luce la bellezza e la verità della Liturgia dei secoli che nutre la fede cattolica. I tempi di persecuzione sono tempi di grazie speciali. 




Di Mons Schneider

'La luce della fede cattolica'

In questi tempi difficili e bui in cui viviamo, vogliamo ricordare la luce soprannaturale e i tesori spirituali che possediamo come dono di Dio. È la luce della fede cattolica, è il tesoro inestimabile e ineffabile della Santa Messa, che può essere visto in modo più espressivo nella sua celebrazione nella forma più antica.
Quando abbiamo la fede, quando abbiamo la Santa Messa, quando abbiamo l'Eucaristia, abbiamo tutto e non ci manca nulla. Tante generazioni di cattolici hanno vissuto una situazione di persecuzione, di emarginazione: come ad esempio durante i primi tre secoli, i cattolici durante il periodo delle leggi penali nel Regno Unito e in Irlanda, i cattolici durante la persecuzione massonica in Francia e in Messico, i gloriosi Confessori e Martiri d'Irlanda, d'Inghilterra, della Vandea in Francia, i Cristeros in Messico, i cattolici durante la persecuzione comunista in Spagna, nell'Unione Sovietica, in Cina e in altri luoghi.

Quei tempi furono anche tempi di grazie speciali. Se la Divina Provvidenza permetterà che anche noi viviamo una simile esperienza nel nostro tempo, ciò porterà senza dubbio frutti spirituali abbondanti: Dio concederà alla Sua Chiesa molti confessori della Fede e martiri, e questo farà sorgere una nuova generazione di santi sacerdoti, vescovi e santi papi.

La Divina Provvidenza ci ha dato per il nostro tempo uno speciale santo di Cristo Re, un martire, e questo era un ragazzo messicano, San José Luíz Sanchez Del Río. Nacque nel 1913, in Messico.

Il governo massonico in Messico intraprese dal 1926 al 1929 una delle più grandi persecuzioni che la Chiesa cattolica abbia sofferto nel XX secolo. Con il pretesto di "liberare la nazione dal fanatismo religioso", il governo diede inizio a un assalto militare contro sacerdoti, religiosi e fedeli laici che mostravano qualsiasi segno di fede cattolica.

Un giorno, José vide i soldati entrare nella sua chiesa a cavallo e impiccare il vecchio prete. All'età di 13 anni, José Sanchez del Río andò ad arruolarsi nell'esercito Cristero, l'esercito che cercò di liberare i cattolici dalla persecuzione del governo. José Sanchez del Río si presentò al generale dell'esercito cristiano e disse: "Sono venuto qui per morire per Cristo Re".

Ciò fu confermato quando, nonostante fosse stato arrestato e torturato, continuò a proclamare: “Viva Cristo Re e la Vergine di Guadalupe!” La sincerità di quelle parole e lo sguardo vivido e impavido di quel nobile ragazzo risuonarono profondamente nel cuore del generale dell’esercito cristero, che autorizzò il suo ingresso nell’esercito.

Nel corso di un anno, José Sanchez del Río combatté in molti feroci scontri contro l'esercito del governo massonico. Poiché era il più piccolo, José andò avanti con uno stendardo con l'immagine della Vergine di Guadalupe. Molti cristiani morirono in combattimento. José scrisse a sua madre: "Non è mai stato così facile conquistare il Paradiso".

In uno di questi combattimenti, il generale dei Cristeros perse il suo cavallo e stava per essere catturato. José gli disse: “Generale mio, ecco il mio cavallo, salvati, anche se mi uccidono! Io non sarò una perdita, ma tu sarai una perdita.” Fu in questo modo coraggioso che José fu catturato dai soldati del governo.

Con l'intenzione di far rinunciare il ragazzo alla Fede, gli sbucciarono le piante dei piedi fino ai nervi e lo legarono a un cavallo, costringendolo a camminare per circa 14 chilometri a piedi e scalzo. Non è necessario menzionare qui il livello di dolore che questo povero bambino ha provato, ma nonostante ciò, nei momenti in cui il dolore era insopportabile, il ragazzo, pieno di Grazia Divina, gridava con voce forte e vigorosa "Viva Cristo Rei y la a Virgin di Guadalupe! Lunga vita a Cristo Re e alla Virgin di Guadalupe!"

Non riuscendo a convincere José Sanchez del Rio ad abiurare la Fede nonostante il dolore più straziante possibile, i soldati cercarono di intimidirlo in un altro modo.

Quando giunsero al villaggio dove era nato, per essere giustiziato il giorno dopo, i soldati fecero scrivere alla madre del ragazzo una lettera chiedendogli di abiurare la fede cattolica, per essere rilasciato. José Sanchez del Río rispose così alla nota della madre:

“Mia cara Madre: oggi sono stato fatto prigioniero in combattimento. Credo che tra poco morirò, ma non importa, niente importa, Madre. Rassegnati alla volontà di Dio; io muoio molto felice perché alla fine di tutto questo, muoio presso Nostro Signore. Non preoccuparti della mia morte, che è ciò che mi mortifica. Piuttosto, di' agli altri miei fratelli di seguire l'esempio dei più piccoli, e farai la volontà del nostro Dio. Abbi coraggio e mandami la tua benedizione insieme a quella di mio Padre. Saluta tutti per l'ultima volta e ricevi, infine, il cuore di tuo figlio che ti desidera tanto e ha desiderato tanto vederti prima di morire.”

Il giorno dopo, il 10 febbraio 1928, il ragazzo che stava per compiere 15 anni, offrì la sua vita terrena per non perdere la vita eterna o la vista di Gesù Cristo, nel quale aveva coraggiosamente e fedelmente riposto la sua fede. Quando Papa Pio XI venne a sapere di José e di ciò che i cristiani stavano soffrendo in Messico, scrisse:

«Cari fratelli, tra quegli adolescenti e quei giovani ce ne sono alcuni – e non posso trattenere le lacrime quando li ricordo – che, prendendo il rosario e acclamando Cristo Re, accettano volontariamente la morte».

Il vescovo Henry Grey Graham, convertitosi dalla Chiesa protestante scozzese alla Santa Chiesa cattolica e morto nel 1959, scrisse nella sua autobiografia quanto segue. Dio "aveva fondato una Chiesa alla quale aveva affidato la Sua verità affinché fosse preservata e perpetuata fino alla fine dei tempi; che questa verità era un corpo di dottrine definito e riconoscibile; e che la Sua Chiesa doveva essere dotata del potere di custodire, insegnare e tramandare questa verità". (From the Kirk to the Catholic Church, Glasgow 1960, p. 38).

“La Chiesa era destinata a perpetuarsi di epoca in epoca, vivendo, crescendo ed estendendosi, ma sempre la stessa; insegnando la stessa verità; mantenendo una continuità e una successione ininterrotte, secondo la promessa del suo Fondatore che le porte dell'inferno non avrebbero prevalso contro di essa. Una Chiesa che è stata costretta a saltare molti secoli e a tornare indietro, sopra le teste dei Santi, dei Dottori e dei Padri, fino agli Atti degli Apostoli, per trovare la sua origine, ripudiando e rifiutando tutto ciò che interveniva, non poteva concepibilmente essere l'istituzione che Nostro Signore intendeva continuare attraverso tutte le epoche, e quindi distinguersi come testimone in ogni secolo per la Sua dottrina rivelata.” (p. 39)

“In ogni caso la Chiesa cattolica era l'unica entità cristiana sulla terra che sosteneva di avere la luce e la verità, e di darla con certezza infallibile. Si potevano dire il giorno, il luogo e le circostanze dell'ascesa di ogni altra chiesa nella storia, e si potevano nominare gli stessi uomini che avevano avuto la parte principale nella sua fondazione.

Ma non si poteva indicare alcuna data o luogo in cui la Chiesa cattolica ebbe origine, eccetto quell'occasione in cui Nostro Signore disse a San Pietro: Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la Mia Chiesa. Ecco una Chiesa che è venuta da me con una genealogia che non poteva essere messa in discussione; che poteva far risalire la sua storia familiare fino a Gesù Cristo stesso; che poteva giustamente vantare una crescita ininterrotta e continua dal seme al grande albero, e dall'infanzia all'età adulta." (pp. 44-45)

“Credevo che Cristo intendesse che ogni cristiano sostenesse esattamente le stesse verità, lo stesso insieme di dottrine; e che queste dovessero essere sempre le stesse, dovessero essere immutabili; e tutto per la semplice ragione che Lui stesso era disceso dal cielo per insegnare un certo insieme di verità; che queste verità erano, ovviamente, divine e non potevano mai essere alterate; e che qualsiasi cosa diversa da queste verità doveva essere falsa. Le verità del cristianesimo non potevano cambiare più delle verità dell'aritmetica; se erano vere ieri, dovevano essere vere oggi e domani e per sempre. Cambiarle significava che dovevano essere suscettibili di cambiamento e di miglioramento; e se così fosse stato, avrebbero potuto non essere mai state vere.” (pp. 48-49)

La Chiesa cattolica “e solo lei, era ovunque oggetto di sdegno, come la compagnia dei cristiani dopo la Pentecoste e durante i primi secoli. Ciò appariva come un segno della sua origine divina. Il fatto che la Chiesa cattolica fosse sopravvissuta, prosperata e progredita nonostante le debolezze e la malvagità dei suoi membri e funzionari dimostrava che aveva un lato divino, come nessun altro corpo” (pp. 52-53)

L'importanza della liturgia cattolica è sottolineata dal vescovo Henry Grey Graham come segue:

“Confesso che il culto della Chiesa romana mi attraeva tanto quanto la sua dottrina. C'era in essa un'influenza santificante, lenitiva, elevante che non si poteva sperimentare da nessun'altra parte. Quanto grandiosa e ispiratrice era la cerimonia della Messa e della Benedizione! Sentivo che c'era una grandiosità e solennità in loro, un'influenza santificante ed edificante, che mancava completamente nelle riunioni austere, poco interessanti e tristi dei presbiteriani. Gli stessi edifici erano sacri ed edificanti, e vere "case di preghiera"; e, dove i cattolici potevano permetterselo, erano ovviamente destinati a essere degni della maestà di Dio quanto i poveri mortali potevano renderli.” (pp. 53-54)

“Ciò che è accaduto a me in questo particolare, è accaduto a molti altri. C'è stato Uno in mezzo a voi che non conoscete, è letteralmente vero per i non cattolici che visitano una chiesa cattolica come lo era per gli ebrei al tempo di Nostro Signore. Solo quando hanno ricevuto il dono della fede si rendono conto di cosa fosse quel Potere silenzioso, forte, irresistibile che li ha attirati all'altare come la calamita attira l'acciaio, e li ha costretti a rimanere lì finché il Dio Incarnato stesso non avesse ferito i loro cuori con i dardi del Suo amore.” (p. 55)

“Dio è compiaciuto delle cose belle, e che il culto dell'Altissimo non è più probabile che sia accettabile per Lui perché è brutto, monotono e meschino. Il culto della Chiesa di Roma deve essere bello e affascinante, perché è il vero culto; tutte le opere di Dio sono perfette. Il culto eretico è orribile, perché è falso. La verità è bella, ma l'errore è brutto. Il rituale della Messa non potrebbe essere altro che sublime e bello, perché è stato plasmato dallo Spirito Santo per essere l'unico vero culto nell'unica vera Chiesa di Dio.” (p. 55)

I servizi liturgici della Chiesa cattolica “consacrano e adornano l’offerta interiore dei fedeli; sono l’ambiente, la cornice, per così dire; che circonda una qualche verità dottrinale, una qualche verità rivelata di Dio; sono la cerimonia e la forma divinamente stabilite per restituire a Dio ciò che Lui stesso ci ha insegnato per primo. Perché è convinzione dei cattolici che Dio Onnipotente ci abbia mostrato non solo la fede giusta, ma anche la giusta forma di adorazione. Ha prescritto un metodo per offrirgli adorazione pubblica. Non ci ha lasciato al caso o al caso. La messa, quindi, è la liturgia che Dio Onnipotente ha voluto come atto principale dell’adorazione cristiana, e non abbiamo il diritto di tentare nessun’altra” (p. 55)

“Riteniamo giusto che tutti i tesori dell'arte, della musica e del cerimoniale siano impressi nel servizio liturgico del nostro Creatore. Dobbiamo essere condannati per sempre a una forma di servizio liturgico che lacera i nostri sentimenti, viola il nostro gusto estetico e musicale e oltraggia ogni principio riconosciuto di bellezza e ordine? Grazie a Dio, molti non cattolici sono stati portati nel Vero Ovile attraverso il sublime e celeste rituale che Roma ha composto secolo dopo secolo, sotto la guida dello Spirito Santo!

Fu il modo stesso di Dio di condurli dentro; poi giunsero a vedere che il culto interiore di Dio, le vere dottrine, la vita di sacrificio nella Chiesa, erano persino più belli del cerimoniale esteriore che li aveva attratti. Non c'è contraddizione tra lo splendore esteriore nel rituale e il culto interiore dell'anima. Se ci fosse, come avrebbero potuto migliaia di persone della massima santità amarlo ed essere unite al loro Signore attraverso di esso? L'obiezione protestante al bello nel culto di Roma scaturiva da falsi principi riguardo alla natura del culto e alla natura dell'uomo” (pp. 57-58)

La liturgia cattolica senza tempo nutre la Chiesa


Molti protestanti e cattolici modernisti sono dell'opinione che non si possa adorare Dio autenticamente con il cuore in mezzo a così tanta splendida cerimonia liturgica. Tuttavia, la verità è esattamente il contrario, vale a dire, "che il culto del cattolico è l'adorazione del cuore, presentata a Dio nel modo più bello e perfetto che si possa immaginare". (Vescovo Henry Grey Graham, " From the Kirk to the Catholic Church ", Glasgow 1960, p. 58)

Il rituale della Chiesa cattolica è fisso: un cattolico non deve preoccuparsene; tutta la sua attenzione è rivolta, libera e indivisa, al culto interiore “in Spirito e Verità”, sia che egli sia sacerdote o laico.

C'è, in effetti, unità di culto; perché è lo stesso Sacrificio divino e la stessa liturgia in tutto il mondo. Ma c'è anche una meravigliosa diversità insieme ad esso; perché ogni anima ha i suoi particolari bisogni, desideri e aspirazioni, e li presenta a Dio con le sue parole; così che l'umile mendicante inginocchiato oscuramente in un angolo della grande cattedrale, che si unisce al nobile e alla grande dama - sì, e al vescovo e al Papa stesso, se sta offrendo il Santo Sacrificio - è tanto un adoratore a parte e separato, e caro al cuore e all'occhio di Dio, come se non ce ne fosse nessun altro nel vasto mondo.

O veramente sublime e meraviglioso culto della Chiesa Romana! Bella esteriormente, bella interiormente, fatta secondo il modello che Dio stesso ha mostrato, non c'è da stupirsi che così tante anime distratte e scosse dalla tempesta ne siano state incantate, affascinate e consolate. Non c'è da stupirsi che abbia soddisfatto il loro cuore e il loro intelletto così come i loro sensi; perché Gesù Cristo, "l'Agnello immolato fin dalla fondazione del mondo", è in essa. Egli è la sua gloria e la sua bellezza, qui come in Paradiso. Egli è il centro del culto della Chiesa Cattolica, perché Egli è il Sacrificio della Chiesa. E così accade che mezz'ora della Messa Romana superi tutto il culto di tutti gli eretici in tutto il mondo". ( Dalla Kirk alla Chiesa Cattolica, pp. 59-60)

“Nessun rito e cerimonia, nessun santo o angelo, nessuna bellezza o fascino esteriore, potrebbero mai da soli soddisfare l'anima di un cattolico. Questi sarebbero di per sé meno di niente e vanità, e tutta la splendida e incantevole attrattiva della Chiesa cattolica sarebbe solo una beffa orrenda e sterile, se non fosse che l'Eterno Dio e Salvatore dimora in mezzo a lei, e dà un significato e una vita a tutti loro. Esistono per amor Suo, e Lo onorano, e riflettono la Sua bellezza; ma è Lui stesso, e niente di meno di Lui, su cui sono fissi l'affetto e la fede dei nostri cuori.” ( What Faith really means. A simple explanation. London 1914, p. 91)

“Così come la gloria e la felicità essenziali del Paradiso sono la Presenza di Dio stesso, e senza di Lui tutto il resto, per quanto bello, ci ammalerebbe e ci illuderebbe, così nel Regno dei Cieli sulla terra che è la Chiesa cattolica è Gesù Cristo Nostro Signore, l'Agnello immolato, che costituisce la nostra gioia e la nostra pace. Egli è sempre con noi, amandoci così tanto che ha scelto di dimorare con noi nel Santissimo Sacramento, notte e giorno, ricevendo l'adorazione amorevole di legioni di angeli e di milioni di anime umane in tutto il mondo.”

"È Lui, e Lui solo, che ha così infiammato i cuori dei santi che hanno dovuto rinfrescare il loro petto a una fontana d'acqua, per timore di essere completamente consumati dal fuoco dell'Amore Divino. È Lui, e Lui solo, che ha trascinato i santi in tali estasi di amore e unione con Lui che, come San Paolo, potevano dire di essere stati "rapiti fino al terzo cielo e di aver udito parole inesprimibili". È Lui, e Lui solo, che è spesso apparso ai santi sacerdoti durante la Messa sotto la dolce figura di un bambino. Se i nostri amici protestanti sapessero quanto amiamo Gesù e quanto Gesù ama noi, e come per tutto il giorno e la notte non c'è mai un'ora, mai un momento, in cui Lui sia lasciato senza adoratori "in spirito e verità", sia in un silenzioso chiostro o in una cappella solitaria o in una magnifica cattedrale, sicuramente griderebbero ad alta voce: "In Giudea Dio è conosciuto". "Come il cervo anela alle fontane delle acque, così l'anima mia anela a Te, o Dio".

Così riecheggia l'anima cattolica, e nella Sua bella dimora sulla terra Lo troviamo in ogni momento e in ogni momento a dare pace nei nostri problemi, gioia nel nostro dolore, consolazione nella nostra angoscia, perfetto riposo di mente, volontà e intelletto, pace che il mondo non può né dare né togliere. Riceviamo Gesù Cristo e siamo soddisfatti; soddisfatti per quanto possiamo esserlo fuori dal Cielo. È il privilegio dei più nobili, dei più potenti, dei più ricchi, ma è anche il privilegio dei poveri e degli umili, degli illetterati e dei disprezzati, che possano non solo avvicinarsi a Nostro Signore e toccare l'orlo della Sua veste, ma riceverLo nel loro stesso petto, e prodigare su di Lui l'affetto del loro cuore, ed essere uniti a Lui e riposare sul Suo petto.

Sì, è così vero che coloro che non hanno letteralmente nulla dei beni di questo mondo, e nessuno che li conforti, e nulla su cui appoggiarsi per il godimento o il piacere, e nemmeno forse le necessità di base della vita, questi, dico, poveri di Dio, trovano tuttavia in Gesù tutto ciò di cui hanno bisogno e con Lui non temono alcun male. e persino nella valle dell'ombra della morte, sono calmi, fiduciosi e felici, perché sanno che un giorno, forse molto presto, vedranno faccia a faccia Colui che hanno amato e ricevuto sotto i veli sacramentali, e dimoreranno con Lui per sempre in quel tempio dove l'Agnello di Dio stesso è intronizzato nella gloria, e dove non ci sarà più morte, né dolore né pianto, né ci sarà più alcun dolore; e Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi." (pp. 92-93)

Che tutti i fedeli crescano nella fermezza della fede cattolica e nell'amore per la bellezza della casa di Dio e per il Suo sacro culto secondo la liturgia cattolica di tutti i tempi. Lasciamoci ispirare e incoraggiare dall'esempio di una fedeltà incrollabile in tempi in cui la venerabile e millenaria liturgia è limitata come nell'attuale crisi all'interno della Chiesa, o quando sacerdoti e fedeli - a causa del loro amore per la sacralità della liturgia della Messa - sono emarginati all'interno della Chiesa e trattati come cattolici di seconda classe.

La seguente testimonianza dell'arcivescovo David Kearney di Cashel in Irlanda, risalente all'inizio del diciassettesimo secolo, dovrebbe toccarci profondamente:

“Quando la persecuzione minaccia e i soldati sono all'inseguimento, voliamo in recessi segreti; quando la persecuzione si allenta, ci avventuriamo di nuovo in pubblico. Poiché non lasciano nulla di intentato per catturarci, siamo sempre all'erta e raramente riescono a ottenere informazioni certe su dove ci troviamo. Non ci fermiamo a lungo in un posto, ma passiamo da una casa all'altra, anche nelle città e nei paesi.

Anche questo viaggio si compie all'alba o di notte... È di notte che compiamo le nostre sacre funzioni, che trasferiamo i paramenti sacri da un luogo all'altro: celebriamo la Messa, diamo esortazioni ai fedeli, consegniamo gli ordini sacri, benediciamo il crisma, amministriamo il sacramento della Confermazione, adempiamo, in una parola, tutti i nostri doveri ecclesiastici.

Gli eretici fanno una diligente ricerca per catturare coloro che assistono alla messa, e inoltre infliggono multe a tutti coloro che si assentano dai templi eretici. Gettano in prigione non solo coloro che favoriscono il sacerdote, ma anche coloro che rifiutano di perseguitare e consegnare i sacerdoti. Interdicono l'uso delle cappelle, impediscono i pii pellegrinaggi e puniscono chi vogliono, e si scagliano arbitrariamente contro di noi.

L'anno scorso, quando la persecuzione si attenuò un po', amministrai il sacramento della Cresima a mezzogiorno nei campi aperti ad almeno diecimila persone; perché i nostri cattolici venerano così tanto questo sacramento che vengono anche dalle parti più lontane del paese quando c'è l'opportunità di riceverlo." (Cardinale Patrick Moran, Storia degli arcivescovi cattolici di Dublino, Dublino, 1884, p. 235)

Nel 1731 in Irlanda c'erano 892 case di messa e 54 cappelle private, oltre agli altari portatili, di cui si calcolava che ce ne fossero più di cento. C'erano 1.445 preti e 254 frati che officiavano presso di loro, in un paese in cui la legge non presupponeva l'esistenza di un solo prete cattolico.

Padre Augustine, OFM Cap., nel suo libro Ireland's Loyalty to the Mass (Londra, 1933) riporta ciò che un segretario capo non cattolico dell'Irlanda all'inizio del ventesimo secolo osservò, dicendo, "che è la Messa che conta. È la Messa che fa la differenza; così difficile da definire, così sottile che è tuttavia così percepibile tra un paese cattolico e uno protestante. Credo che questo sia uno dei campi di battaglia del futuro" (p. 212-213)

Esempi storici molto toccanti e gloriosi della fedeltà dei cattolici alla Messa sono stati riportati a partire dal tempo della persecuzione in Irlanda, a proposito dei cosiddetti "Santi nascosti della Messa", descritti nel libro di Padre Agostino, OFMCap., come segue:

“Dopo un tour in Irlanda, l'illustre conte de Montalembert pubblicò a Parigi, nell'anno 1829, alcune lettere molto interessanti in cui descrive ciò che aveva visto e sentito in questo paese. "Non dimenticherò mai", dice, "la prima messa che ho ascoltato in una cappella di campagna. Cavalcai fino ai piedi di una collina, la cui parte inferiore era ricoperta da una fitta piantagione di querce e abeti, e scesi da cavallo per salirci. Avevo fatto solo pochi passi lungo il cammino quando la mia attenzione fu attratta dall'aspetto di un uomo inginocchiato ai piedi degli abeti. Diversi altri divennero visibili in successione nella stessa posizione; e più salivo più cresceva il numero di questi contadini inginocchiati.

Alla fine, giunto in cima alla collina, vidi un edificio cruciforme mal costruito in pietra, senza cemento e coperto di paglia. Attorno ad esso si inginocchiò una folla di uomini robusti e vigorosi, tutti scoperti, sebbene la pioggia cadesse a torrenti e il fango tremasse sotto di loro. Un profondo silenzio regnava ovunque. Era la cappella cattolica di Blarney (a Waterloo) e il prete stava celebrando la messa. Raggiunsi la porta al momento dell'elevazione, e tutta questa pia assemblea si era prostrata con la faccia a terra. Feci uno sforzo per penetrare sotto il tetto della cappella così traboccante di fedeli.

Non c'erano sedili, né decorazioni, nemmeno un marciapiede; il pavimento era di terra, umido e pietroso, il tetto era fatiscente e sull'altare ardevano candele di sego al posto delle candele. Quando il Santo Sacrificio fu terminato, il sacerdote montò a cavallo e se ne andò. Quindi ogni fedele si alzò dalle ginocchia e andò lentamente verso casa. Molti rimasero per un tempo molto più lungo in preghiera, inginocchiati nel fango in quel recinto silenzioso scelto dai poveri e dai fedeli al tempo delle antiche persecuzioni'.” ( Ireland's loyal to the Mass, op. cit., 194-197).

Quando riconosciamo e crediamo veramente in ciò che è ogni Santa Messa, allora ogni dettaglio del rito della Santa Messa, ogni parola, ogni gesto è importante, profondamente significativo e spirituale. Anche dal momento in cui entriamo in una chiesa per partecipare alla Santa Messa, dobbiamo cercare di elevare la mente e il cuore al Golgota e alla Liturgia Celeste.

San Giovanni Enrico Newman scrisse: “Solo la Chiesa cattolica è bella. Capiresti cosa intendo se entrassi in una cattedrale straniera, o anche in una delle chiese cattoliche nelle nostre grandi città. Il celebrante, il diacono e il suddiacono, gli accoliti con le luci, l'incenso e il canto, tutto si combina per un fine, un atto di adorazione. Senti che è davvero un'adorazione; ogni senso, occhi, orecchie, olfatto, è portato a sapere che l'adorazione è in corso. I laici sul pavimento che recitano il rosario o eseguono i loro atti; il coro che canta il Kyrie ; e il sacerdote e i suoi assistenti che si inchinano profondamente e si dicono il Confiteor l'un l'altro. Questa è adorazione, ed è molto al di sopra della ragione" (parole del signor White nel romanzo " Loss and Gain ", op. cit., p. 44).

La fedeltà alla fede cattolica di solito rimane un fenomeno minoritario, come disse San John Henry Newman: “Ho pensato per tutto quel tempo che un tempo di diffusa infedeltà stava arrivando, e in tutti quegli anni le acque si sono di fatto sollevate come un diluvio. Attendo il tempo, dopo la mia vita, in cui solo le cime delle montagne saranno viste come isole nello spreco delle acque… Grandi azioni e successi devono essere raggiunti dai leader cattolici, grande saggezza e coraggio devono essere dati loro dall'alto, se la Santa Chiesa deve essere tenuta al sicuro da questa terribile calamità, e, sebbene qualsiasi prova che le capitasse sarebbe solo temporanea, potrebbe essere estremamente feroce finché dura.” ( Lettera del 6 gennaio 1877)

“È chiaro che ogni grande cambiamento è operato da pochi, non da molti; dai pochi risoluti, impavidi e zelanti. Senza dubbio, molto può essere disfatto dai molti, ma nulla viene fatto se non da coloro che sono appositamente addestrati all'azione. Nel mezzo della carestia i figli di Giacobbe stavano a guardarsi l'un l'altro, ma non facevano nulla. Uno o due uomini, di piccole pretese esteriori, ma con il cuore nel loro lavoro, questi fanno grandi cose. Questi sono preparati, non da un'improvvisa eccitazione, o da una vaga convinzione generale nella verità della loro causa, ma da un insegnamento profondamente impresso, spesso ripetuto; e poiché è logico che sia più facile insegnare a pochi che a un gran numero, è chiaro che tali uomini saranno sempre pochi.” (Newman, Parochial and plain sermons, I, 22)

Tutti i piccoli della Chiesa dei nostri giorni che – come sacerdoti, religiosi, padri e madri di famiglia, giovani e bambini – sono emarginati e umiliati per il solo motivo della loro incrollabile fedeltà all'integrità della fede cattolica e della liturgia, sono davvero la vera gloria della Chiesa e benedetti dall'ineffabile amore eucaristico di Cristo. 





Il Vaticano approva il rito maya con danze rituali, incensatori femminili e guida laica delle parti della Messa (però frena la messa in latino)



Di seguito l’articolo scritto da Michael Haynes, pubblicato su Lifesitenews, nella traduzione curata da  Sabino Paciolla, 18 Novembre 2024.





Michael Haynes

Il Vaticano ha approvato il rito maya della Messa che prevede danze rituali, donne che sostituiscono il sacerdote nell’incensazione dell’altare e la guida laica di alcune preghiere della liturgia.

L’annuncio è arrivato dal cardinale Felipe Arizmendi Esquivel, vescovo emerito della diocesi di San Cristobal de Las Casas in Messico e uno dei principali promotori di questo nuovo rito.

Scrivendo nella sua rubrica settimanale il 13 novembre, Arizmendi ha rivelato con gioia che il Dicastero vaticano per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti “con l’autorità del Papa, l’8 novembre di quest’anno, ha concesso il tanto atteso riconoscimento di alcuni adattamenti liturgici per la celebrazione della Santa Messa nelle etnie Tseltal, Tsotsil, Ch’ol, Tojolabal e Zoque della diocesi di San Cristóbal de Las Casas”.

Arizmendi ha comunicato in precedenza con la dottoressa Maike Hickson di LifeSite, fornendole dettagli sulla bozza di rito proposta quando era in fase di valutazione da parte del Vaticano. In seguito, ha confermato più volte a questo corrispondente la sua costernazione per il fatto che il Dicastero stesse impiegando così tanto tempo per approvare il rito.

L’approvazione del Vaticano è “il riconoscimento ufficiale della Chiesa con cui questi adattamenti vengono approvati come validi e legittimi”, ha scritto nella sua rubrica.

“Sono la liturgia della Chiesa, e non solo usi e costumi che vengono guardati con sospetto”, ha detto in difesa del nuovo rito della Messa Novus Ordo. {Il testo è stato pubblicato in inglese.}

Arizmendi ha tenuto a sottolineare l’importanza di questo sviluppo, poiché è solo il secondo rito di questo tipo approvato dal Concilio Vaticano II, l’altro è il rito dello Zaire in Africa.

Facendo eco a Papa Francesco, Arizmendi ha affermato che tali riti “sono una forma di incarnazione della fede in espressioni molto specifiche di queste culture. Non li abbiamo inventati noi, ma abbiamo adottato ciò che vivono e che è in accordo con il rito romano”.

“Se ci sono deviazioni in alcune usanze indigene, possiamo aiutarle a raggiungere la loro pienezza in Cristo e nella sua Chiesa”, ha detto.

Cosa c’è di nuovo?

La scorsa estate, Arizmendi ha fornito a LifeSite la bozza che era stata presentata al Vaticano.

Il rito ora approvato dal Vaticano – come descritto da Arizmendi – è descritto di seguito:

Danze rituali: Sono state approvate “danze rituali” all’offertorio, nella preghiera dei fedeli o nel ringraziamento dopo la comunione. Queste, ha detto Arizmendi, sono “semplici movimenti di tutta l’assemblea, monotoni, contemplativi, accompagnati da musica tradizionale, e che esprimono la stessa cosa del rito romano, ma in una forma culturale diversa”.

“Non cambia il contenuto della Messa, ma il modo in cui viene espresso”, ha detto.

Donne che incensano al posto del sacerdote: Le donne svolgeranno il “ministero di portatrici di incenso” nella Messa “al posto del sacerdote”. Dopo che il sacerdote avrà benedetto e imposto l’incenso, le donne incenseranno “l’altare, le immagini, il libro del Vangelo, i ministri e l’assemblea”. A quanto pare, non useranno il turibolo abituale, ma piuttosto “un incensiere proprio della loro cultura”.

Questo, ha detto Arimenzi, nasce dall’usanza indigena di avere solitamente donne che incensano durante la preghiera.

Guida laica delle preghiere della Messa:
È stata approvata la pratica di avere un uomo o una donna laici di “riconosciuta importanza morale”, che sarà il “principale”, per “guidare alcune parti della preghiera comunitaria”. Questi momenti sarebbero: “o all’inizio della Messa, per iniziare la comunità alla celebrazione, nominare le intenzioni e chiedere perdono, o nella preghiera dei fedeli, dopo che il sacerdote fa l’invito iniziale e chiude con la preghiera conclusiva, o dopo la comunione come ringraziamento, che il sacerdote conclude con la preghiera post-comunione”.

Il cardinale ha attestato che la nuova prassi non significa “togliere al sacerdote il suo servizio di presidente dell’assemblea, perché è lui che è a capo della celebrazione, e autorizza questi momenti”.

Il leader laico “promuove e guida la preghiera di tutti”, poiché non prega solo a suo nome. “È un altro modo di far partecipare l’assemblea; non si cambia il contenuto del rito romano, ma la sua espressione culturale”, ha detto Arizmendi.

Teologia pagana alla base del rito

Il Vaticano stava valutando il testo dal luglio 2023, dopo che i vescovi messicani avevano votato 103-2 a favore durante l’assemblea plenaria del rito dell’aprile 2023. I vescovi messicani hanno discusso una prima bozza, che è stata poi leggermente modificata per essere presentata al Vaticano.

Parlando l’anno scorso, Arizmendi ha dichiarato che i vescovi del Paese hanno esteso le proposte a “tutti i popoli nativi del Paese”, piuttosto che solo a quelli della diocesi di San Cristóbal. Tuttavia, l’autorizzazione a livello nazionale non è stata data ufficialmente, anche se in pratica rimane molto improbabile che il rito sia limitato alle aree delineate dal Vaticano.

La dott.ssa Hickson ha precedentemente notato che un rito maya è già stato praticato nella diocesi di San Cristóbal, essendo stato approvato dalla conferenza episcopale messicana. (Si vedano i suoi precedenti articoli QUI e QUI)

Nella bozza del rito del marzo 2023 inviata a LifeSite, il ruolo del “principale” viene considerato fondamentale, in quanto tale figura “diventerebbe ancora più importante durante il periodo di assenza del clero nella nostra diocesi”. Questa frase suggerisce che in futuro le cerimonie guidate da laici saranno la norma, piuttosto che semplicemente alcune parti della Messa.

Dalla descrizione di Arizmendi non è ancora chiaro se il “principale” si impegnerà nella pratica pagana di pregare le quattro direzioni della terra. Nella bozza del marzo 2023 si nota che “in occasioni speciali questa preghiera può essere riallineata invocando Dio dai quattro punti cardinali”. Invocare Dio dai quattro punti cardinali implica nella tradizione politeistica maya: le quattro direzioni della terra – nord, ovest, sud, est – che sono tradizionalmente collegate agli dei. Tuttavia questo aspetto non era presente nella bozza inviata al Vaticano la scorsa estate e visionata da LifeSite all’epoca.

Ma nonostante questo, la teologia pagana di fondo rimane. La “danza rituale” di cui parla Arizmendi era descritta nella bozza del marzo 2023 come segue: “i piedi accarezzano il volto della Madre Terra, facendo movimenti leggeri. Il volto di Dio viene salutato muovendosi verso le quattro direzioni dell’universo”.

Il sottosegretario del Dicastero – il vescovo Aurelio García Macías – è stato largamente coinvolto nella stesura del rito. Nel marzo dello scorso anno ha dichiarato ai media locali che il processo è stato “un arricchimento personale per me, perché credo che l’esperienza locale di San Cristóbal de Las Casas abbia potuto discernere, studiare, riflettere e arricchirsi dell’esperienza universale della Chiesa cattolica”.

Nel frattempo, anche un altro rito di origine pagana è al vaglio del Vaticano. Il rito Amazzonico, o Amazzone, sta per iniziare un periodo di prova di tre anni nel corso di quest’anno. Il rito amazzonico è un prodotto del controverso Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia del 2019.

Tra le numerose proposte sollevate dal Sinodo amazzonico e dal suo documento finale vi sono l’apertura dello stato clericale alle donne e l’ammissione al sacerdozio di uomini sposati, nel tentativo di rendere la Chiesa più attraente per i cattolici della regione.

Questo “rito amazzonico” “esprimerebbe il patrimonio liturgico, teologico, disciplinare e spirituale dell’Amazzonia”, che aiuterebbe “l’opera di evangelizzazione”.

Nel frattempo, il Dicastero per il Culto divino è stato accusato di attuare una “persecuzione” della liturgia tradizionale (la messa tridentina, o in latino, ndr) della Chiesa in tutto il mondo.







Ricerca Censis. Se chi va a messa non crede nell’immortalità dell’anima



18 Nov 2024


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by Aldo Maria Valli



Caro Valli,

nel ringraziarla per il lavoro, sempre prezioso, che svolge con Duc in altum, desidero intervenire sui risultati della ricerca che la Conferenza episcopale italiana ha commissionato al Censis sulla religiosità degli italiani.

Un dato, in particolare, mi ha colpito: a quanto pare, l’87,7% dei cattolici praticanti crede alla vita dopo la morte. Vale a dire che il 12,3% non ci crede, cioè non crede nell’immortalità dell’anima. Lo voglio ripetere perché è una enormità: il 12,3% di coloro che abitualmente vanno a messa la domenica non crede nell’immortalità dell’anima!

Rilevo poi che fra chi crede nella vita dopo la morte il 61,7% ritiene che ci sarà un diverso trattamento per chi si è comportato male e chi invece si è comportato bene durante la vita terrena. Proprio così: il 61,7% dell’87,7%, ossia il 54,41%, crede nell’inferno, ma tutti gli altri no. E stiamo parlando, occorre ribadirlo, di cattolici praticanti. Quest’ultimo dato però colpisce di meno, perché che l’inferno sia vuoto è ormai patrimonio dottrinale fatto proprio dai vertici della gerarchia della Chiesa.

Adelmo Li Cauzi





La sconfitta dell’Occidente è nel tramonto delle élite intrise d’ideologia woke



Di Dalla Rete, 18 Nov 2024


Di Alberto Comuzzi

A confermare il valore del libro “La sconfitta dell’Occidente” (Fazi Editore, pagg. 360, € 20) scritto da Emmanuel Todd, 73 anni, storico, sociologo e antropologo francese di fama internazionale, sono i numerosi giudizi espressi da eminenti studiosi. Ne citiamo tre, tra i tanti. Giorgio Agamben: «Forse per la prima volta con tanta lucidità ed intelligenza uno storico, attraverso l’analisi dettagliata del declino demografico, delle strutture familiari, della scomparsa della religione e del trionfo del nichilismo in ogni aspetto della vita sociale, ci obbliga a fare i conti con lo sfacelo e l’autodistruzione dell’Occidente».

Pino Arlacchi: «La più lucida, spietata e documentata analisi della crisi euroamericana degli ultimi anni. Un obbligo di lettura per tutti».

Franco Cardini: «Questo saggio è qualcosa di più di un evento intellettuale – e morale – di straordinario rilievo. È una denuncia coraggiosa e una folgorante profezia».

Lungi quindi da noi, semplici cronisti, aggiungere ulteriori espressioni d’elogio che correrebbero il rischio d’essere interpretate più come atto di riverenza che di rispetto per il lavoro del professor Todd.



In 11 densi capitoli, l’Autore dà ragione di quanto già il titolo annuncia: la sconfitta dell’Occidente, appunto.

Numerosi sono gli spunti di riflessione che il libro offre ed anche i dati che Todd snocciola sono preziosi elementi per afferrare la profondità del suo ragionamento. Si potrebbe indugiare su tanti argomenti offerti dal testo. Ci soffermiamo su quello che c’è parso più originale e penetrante per la sua acutezza e che è trattato nel paragrafo intitolato “Un villaggio chiamato Washington”.

«Tra il 1945 e il 1965, gli Stati Uniti erano guidati da un’élite omogenea, coerente e rinsaldata da legami personali», si legge a pagina 287. «Essa conservava ciò che il protestantesimo aveva di buono, controllandone gli aspetti peggiori; si sottometteva, come il resto della popolazione, a una morale comune, accettando il servizio militare e, in generale, le tasse; portava avanti una politica estera responsabile incentrata sulla difesa della libertà, eccezion fatta, va ricordato, per l’America Latina, il cortile di casa degli Stati Uniti, dove si poteva dare libero sfogo ai peggiori istinti che l’uomo sempre e inguaribilmente si porta dietro. Oggi, il villaggio di Washington non è altro che un insieme di individui completamente privo di una morale comune». Qualche riga sotto, a rimarcare il concetto, Todd aggiunge: «Gli individui che compongono il gruppo dirigente della più grande potenza mondiale non obbediscono più a un sistema di idee che lo trascende, ma reagiscono a impulsi provenienti dalla rete locale a cui appartengono».

Insomma l’establishment statunitense di questo secolo non s’è mostrato all’altezza dei suoi predecessori, soprattutto perché, questa è la tesi dell’Autore, ha perso – ma forse sarebbe meglio dire: ha cancellato – le proprie origini religiose che affondavano in quel protestantesimo di stampo calvinista che tanta parte ha avuto nello sviluppo dell’Occidente. Todd afferma insistentemente che è il nichilismo ad avere permeato le società occidentali decretandone così la fine. L’ideologia woke, portatrice delle istante del mondo Lgbtq+, è l’essenza di quel viaggio di non ritorno contro l’immortale legge naturale, che ha stabilito come la prosecuzione del genere umano stia nell’incontro tra l’uomo e la donna.

Ad onor del vero già due pontefici, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, avevano avvertito che la deriva a cui andava incontro l’Occidente era stata alimentata da uno strisciante relativismo che avrebbe poi portato al nichilismo.

Insomma i mali di cui soffrono gli occidentali hanno origine nel tradimento e, ancor più, nel rifiuto dei valori della loro religione strettamente connessa al diritto naturale . Chissà se questa verità, affermata da un autorevole antropologo, da un laico cresciuto nel Paese dei lumi, sarà riconosciuta e finalmente divulgata senza reticenze?

“La sconfitta dell’Occidente” è un testo che non dovrebbe mancare tra quelli consigliati agli studenti di Scienze Politiche, Scienze sociali e, ovviamente, di Storia contemporanea.



http://www.vareseinluce.it





domenica 17 novembre 2024

Abbiamo bisogno di sapere dove stiamo andando


Mons. Erik Varden, vescovo di Trondheim, Norvegia.


Di seguito l’intervista concessa da Mons. Erik Varden, vescovo di Trondheim, Norvegia, a Carl E. Olson e pubblicata su What We Need Now. Ecco l’intervista nella traduzione a cura di Sabino Paciolla, 17 Novembre 2024.





Il vescovo Erik Varden è nato in Norvegia nel 1974, da una famiglia luterana non praticante, ed è entrato nella Chiesa cattolica nel giugno 1993. Nel 2002, dopo dieci anni di studi all’Università di Cambridge, è entrato a far parte dell’Abbazia di Monte San Bernardo nella foresta di Charnwood. Nel 2002 è stato ammesso all’Abbazia di Mount Saint Bernard, un monastero trappista nel Leicestershire, in Inghilterra. Ha conseguito la licenza in Sacra Teologia presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma ed è stato ordinato sacerdote nel luglio 2011. Papa Francesco lo ha nominato vescovo di Trondheim nel 2019.

Mons. Varden è autore di numerosi saggi e di diversi libri, tra cui The Shattering of Loneliness: Sulla memoria cristiana e La castità: La riconciliazione dei sensi. Di recente ci ha parlato di conversione, cattolicesimo in Norvegia e negli Stati Uniti, castità, sinodalità e altro ancora.


WWNN: In La frantumazione della solitudine: Sulla memoria cristiana, lei scrive: “Il mistero di Dio mi si è manifestato in modi velati, densamente incarnati. Ho vissuto il mio cammino da uno stadio di consapevolezza all’altro”. Tenendo presente questo, può parlarci un po’ della sua conversione e del suo viaggio verso e nella Chiesa cattolica? Quali sono stati i momenti, le intuizioni e le decisioni essenziali?

Vescovo Varden: Una conversione è necessariamente un lavoro incompiuto. Io sto ancora pregando affinché la mia possa iniziare seriamente.
L’apertura alla fede è avvenuta attraverso un’esperienza di trascendenza mediata dalla musica. Il mio viaggio nella Chiesa cattolica è proseguito gradualmente durante la tarda adolescenza. Alcuni importanti punti di riferimento erano i libri; altri erano credenti credibili.
La scoperta della liturgia della Chiesa è stata essenzialmente importante. Fui colpito dalla pura oggettività del mistero celebrato e fui sollevato nello scoprire che esisteva una pedagogia della preghiera da seguire. A diciotto anni comprai il mio primo breviario. Mi riempì di gioia, come mi riempie tuttora.
La decisione di chiedere di essere accolto nella Chiesa è venuta del tutto naturale. Non mi è mai sembrata una rottura; si trattava di entrare in me stesso, in tutti i sensi di questa frase, mentre ero consapevole, allo stesso tempo, di incontrare un’assoluta alterità che mi chiamava con ospitalità. Guardo a questo processo con gratitudine.


WWNN: In Entering the Twofold Mystery, il suo libro sulla conversione, lei descrive la conversione come un volgersi verso Dio, “per fare la sua volontà e sforzarsi di vivere alla sua presenza”. In quanto tale, è un processo con implicazioni etiche”. Secondo la sua esperienza e le sue riflessioni sul mondo di oggi, quali sono gli ostacoli più significativi alla conversione? E quali sono le implicazioni etiche e morali più difficili da affrontare per i convertiti del XXI secolo in Occidente?

Vescovo Varden: Una conversione è fondamentalmente un “giro di boa”. Inizia con una domanda su se stessi e con l’intima sensazione che da qualche parte, in qualche modo, sono chiamato a fare di più, a vivere in modo diverso.
L’ostacolo principale a tale svolta è l’autoaffermazione che impedisce al mio orecchio interiore di ascoltare qualsiasi voce tranne quelle che mi affermano in ciò che sono. È significativo che il nostro discorso culturale e politico, e in qualche misura anche quello ecclesiastico, diventi facilmente una camera d’eco di tali voci. Pensiamo ai vari modi in cui ci aspettiamo di essere “celebrati”, una parola oggi onnipresente, che non è affatto presente solo in contesti laici. Rimanendo presi da me stessi, isolati dagli altri, coltivando una visione del mondo soggettiva, spengo il ricevitore e trasmetto soltanto, che si tratti di monologhi interiori o di noiosi post sui social media.
I gadget digitali ci hanno attrezzato in modo straordinario per quello che i francesi chiamano “ dialogue de sourds”, un dialogo di persone sorde che si parlano addosso all’infinito. Il risultato? La costruzione di muri divisori e l’incendio di ponti.
Ecco perché mi piace insistere sulla missione pontificia, cioè di costruzione di ponti, dei cattolici. La narrazione biblica, e poi la storia della Chiesa, è il racconto della nascita di un popolo da individui dispersi, orientati dalla coscienza e dalla grazia verso un obiettivo comune, infinitamente attraente. Il perseguimento di questa meta presuppone l’autotrascendenza; allo stesso tempo, consente l’ingresso nella comunione.
Direi che la principale sfida etica e morale per i convertiti, recenti o stagionati, sta qui. Una cosa è riconoscere nozionalmente un alto ideale; un’altra è ordinare le mie relazioni e scelte concrete in modo che corrispondano a quell’ideale e mi aiutino ad avvicinarmi ad esso.


WWNN: Trondheim, in Norvegia, dove lei si trova, è una delle più grandi aree urbane del Paese. Ma la popolazione cattolica è molto piccola, meno del 2%. Come descriverebbe la situazione della Chiesa cattolica lì? E quali sono le sfide, sia generali che quotidiane, per essere un vescovo e un abate cattolico in Norvegia?

Vescovo Varden: Numericamente, come lei dice, la Chiesa è piccola. Tuttavia, è vibrante, giovane e meravigliosamente variegata. Nella prelatura di Trondheim ci sono cattolici provenienti da 130 nazioni. È notevole trovare una tale manifestazione della cattolicità della Chiesa in una diaspora estrema.
Inoltre, la configurazione del cattolicesimo all’interno del panorama ecclesiastico sta cambiando. Per molto tempo, la Chiesa cattolica norvegese è stata un fenomeno marginale. Si intendeva più o meno come un frigorifero progettato per la conservazione di frutta esotica. Oggi non è più così. Con la marginalizzazione della fede nella società e con l’indebolimento di altre comunità di fede, ci siamo risvegliati al nostro compito di essere testimoni cristiani, di diffondere il Vangelo all’estero, di assicurare che Cristo sia presente nella nostra terra.
La secolarizzazione radicale degli ultimi decenni ha causato una diffusa dimenticanza: basta una generazione e mezza perché un residuo di identità religiosa svanisca. Quando sono cresciuto negli anni ’80, la maggior parte delle persone pensava di sapere cosa fosse il cristianesimo. Oggi non è più così e non c’è l’imbarazzo dell’ignoranza.
È una perdita culturale. Allo stesso tempo è un vantaggio per l’evangelizzazione. È possibile, infatti, presentare il Vangelo nella sua novità e farlo percepire come nuovo, fresco. Abbiamo un grande compito tra le mani, un compito impegnativo e gioioso. Ha diversi aspetti che devono essere sviluppati contemporaneamente. Dobbiamo trovare il modo di comunicare l’autentico insegnamento cattolico; dobbiamo insegnare alle persone a pregare, facendo loro scoprire le ricchezze della liturgia; dobbiamo mostrare che i cattolici hanno contributi costruttivi e attraenti da dare in politica e nella cultura; e dobbiamo rendere concreta la nostra fede nel lavoro caritatevole, perché anche se la Norvegia è un Paese ricco, non mancano le persone bisognose.


WWNN: Qui nella Chiesa degli Stati Uniti ci si concentra molto sui disaccordi sulla liturgia, sulle questioni di vita, sull’immigrazione e sull’istruzione, tra le altre cose. Secondo lei, questo è simile o diverso dai Paesi scandinavi e dall’Europa? Cosa vede quando guarda alla Chiesa negli Stati Uniti?


Vescovo Varden: Non conosco la Chiesa negli Stati Uniti abbastanza bene da poterla commentare con un certo grado di autorità. Ciò di cui sono più consapevole, vedendola da lontano, non sono tanto i suoi disaccordi quanto la sua evidente vitalità, persino un senso di rinascita evidenziato da nuove e solide vocazioni, da una vibrante vita intellettuale, da varie forme di impresa apostolica.
Naturalmente, vivere intensamente all’interno della Chiesa significa confrontarsi con una serie di sensibilità e convinzioni. Queste possono essere impegnative e stancanti, ma per lo più possiamo affrontarle finché siamo radicati insieme nell’essenziale. Ecco perché ritengo fondamentale continuare ad affermare questi elementi essenziali. Lo faremo efficacemente seguendo la grande parola d’ordine del Concilio Vaticano II: “Ritornare alle fonti!” – leggendo con perseveranza le Scritture, con comprensione e umiltà; studiando il Catechismo della Chiesa, uno straordinario scrigno di tesori; ascoltando la testimonianza dei santi; e verificando ogni nostra intuizione con l’intenzione dichiarata da Cristo, pronunciata la notte prima di soffrire: “Che tutti siano una cosa sola”.


WWNN: Negli ultimi anni la sinodalità è stata un grande argomento nella Chiesa, con il recente incontro di un mese sul tema a Roma. Qual è la sua comprensione della sinodalità? Cosa ne pensa di questa continua attenzione alla sinodalità e cosa pensa che ne possa derivare?

Vescovo Varden: Oserei dire che forse siamo tutti un po’ stanchi di sentire la parola “sinodalità”. Ogni singolo termine, sbandierato per un periodo di tempo continuativo, rischia di suonare vuoto.
Un synodos è letteralmente “una via perseguita insieme”. Significa comunione nel movimento verso un obiettivo condiviso. Non c’è una particolare virtù nell’essere semplicemente in cammino; deve portare da qualche parte.
Dobbiamo sapere dove stiamo andando. Per noi cristiani la parola umile e quotidiana “Via” ha una ricca risonanza. I primi discepoli di Gesù parlavano della Chiesa semplicemente come “la Via”. Anche gli altri parlavano così di loro. Verso la fine degli Atti, quando San Paolo presenta un curriculum in vaso alla folla riunita a Gerusalemme, confessa che, prima di incontrare Cristo risorto, “perseguitava questa Via fino alla morte, legando uomini e donne e mettendoli in prigione”. I cristiani erano percepiti come un gruppo compatto che seguiva un itinerario diverso da quello della maggior parte delle altre persone. Questo era considerato una pericolosa provocazione.
Ora che il sinodo formale è apparentemente giunto alla conclusione, possiamo guardare indietro ai suoi risultati e chiederci: sono rafforzato nella mia determinazione a seguire la via di Cristo con tutto il cuore? Se sì, la metterò in pratica impegnandomi più a fondo nella mia parrocchia o comunità? La nostra via si distingue in modo riconoscibile da quella del mondo? La seguiamo alle condizioni di Cristo, cioè camminando come lui ha camminato, prendendo la nostra croce?


WWNN: Ho apprezzato tutti i suoi libri, ma credo che il più recente, sulla castità, sia particolarmente perspicace e stimolante. È corretto dire che l’attuale crisi della sessualità è sia antropologica che escatologica? Perché un approccio cristocentrico alla sessualità è così vitale sia a livello personale che sociale e culturale?


Vescovo Varden: Sì, credo che sia corretto. La crisi della sessualità è sintomatica di una crisi più profonda, relativa a ciò che significa essere un essere umano; e questa nasce da una perplessità più fondamentale sulla finalità dell’esistenza umana e della realtà in quanto tale.
Perciò penso che una risposta cattolica all’attuale discorso sulla sessualità debba fare di più che emettere verdetti morali volontari o indulgere nell’indignazione. Avremo una buona parola da dire se sosterremo le nostre argomentazioni sulla base della solidità e della ricchezza della nostra eredità, chiedendo “Chi siamo? Da dove veniamo e dove stiamo andando?”. Per mia esperienza, queste domande risuonano profondamente con il nostro tempo e noi, ponendole, possiamo coinvolgere i nostri contemporanei, siano essi atei, in una conversazione autentica, mostrando l’intelligibilità e l’attrattiva della posizione cristiana.
Un approccio cristocentrico alla sessualità è consapevole di Cristo come Alfa e Omega della condizione umana. Ricorderà che siamo fatti a immagine di Dio per diventare come Dio; che i nostri desideri immediati, incarnati, sensuali e affettivi sono scintille di una fiamma più essenziale che ci attira verso la comunione con la Luce increata, verso “l’ardore della piena Divinità”, come disse Elizabeth Barrett Browning in un’ardente poesia. Nessun’altra categoria è sufficiente a spiegare l’intensità del desiderio che abita gli uomini e le donne che aspirano a essere pienamente vivi.
Il nostro establishment secolare non ha accesso a queste categorie. Perciò noi, come cristiani, abbiamo la responsabilità di rappresentarle responsabilmente e bene.


WWNN: Per concludere, due domande interconnesse. Per coloro che non sono cattolici o cristiani, perché essere cattolici e cristiani? E per coloro che sono cattolici, quali segni di speranza vede nella Chiesa di oggi? Come crescere più profondamente nella fede, nella speranza e nell’amore?


Vescovo Varden: Perché essere cattolici? Perché ciò che la fede insegna è vero, e perché la verità ci rende liberi. Riscoprire il vero senso della libertà è un compito capitale oggi, quando la nozione di “libertà” è spesso strumentalizzata retoricamente, amputata del suo fondamento nella verità.
Per quanto riguarda i segni di speranza nella Chiesa, ne vedo una schiera immensa, viva nella carità e nella bontà. Mi rincuora la sincerità di molti giovani cercatori, spinti dalle evidenti fragilità del nostro mondo a cercare coordinate che durino nel tempo. Si cresce nelle virtù cardinali puntando su di esse la propria esistenza, vivendole non solo in occasionali gesti pubblici, ma nell’umile realtà quotidiana della nostra vita. Riconosciamo, allora, la verità delle grandi parabole del Signore del granello di senape, del lievito nella pasta.


WWNN: Qualche riflessione finale?


Vescovo Varden: Recentemente mi sono occupato molto dell’eredità del beato Jurgis Matulaitis, un grande confessore lituano morto nel 1927. Egli scrisse nel suo diario: “Signore, fa’ che io sia uno straccio nella tua Chiesa, adatto a pulire i pasticci e poi a essere gettato in qualche angolo buio. Voglio essere usato e consumato così, perché la tua casa sia un po’ più pulita e luminosa”.
Al giorno d’oggi, quando una tendenza mondana vorrebbe rifondere trionfalisticamente la vocazione cristiana in termini di guerre culturali, abbiamo bisogno di questa prospettiva. Ci sfida a dedicarci fedelmente alla continua opera salvifica di Cristo, a lasciarci usare dove c’è bisogno, senza preoccuparci di essere visti e lodati, perseguendo il bene perché è buono, amandolo perché è amabile, condividendolo perché vogliamo che gli altri siano veramente felici.
È così che si realizza un vero rinnovamento della Chiesa. È così che, a poco a poco, si rinnova la faccia della terra.







sabato 16 novembre 2024

Cinque aspetti del Sinodo che dovrebbero preoccupare i fedeli



"Se tutti i problemi particolari non saranno risolti nel Sinodo, con che cosa finirà il Sinodo dal 2024? La Chiesa Sinodale! Una comunità democratica di battezzati che camminano insieme". Il cardinal Zen esprime la sua preoccupazione per il Sinodo.


RIFLESSIONE DEL CARDINAL ZEN

Editoriali 


Cardinal Joseph Zen, 16-11-2024

Ripubblichiamo, di seguito, il commento del cardinal Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, sul Sinodo dei Vescovi, pubblicato originariamente sul suo blog, con il titolo "Il Sinodo si è concluso bene?". Qui la versione originale in italiano e in inglese: https://oldyosef.hkcatholic.com/?p=2070



Il giorno 27 ottobre “la Sedicesima Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi” è stata dichiarata conclusa. Il Documento conclusivo è stato subito ratificato da Papa Francesco, il quale dice, perciò, che non scriverà una Esortazione Apostolica post-sinodale. Tutti hanno notato questa grande “novità”, ma non mi risultava che questa sia stata trovata “problematica”, come a me è apparsa tale. Temendo che il mio giudizio fosse erroneo a causa del mio “pregiudizio" pessimistico, non ho osato manifestarlo.

Tre articoli apparsi in seguito, che ho potuto leggere, mi incoraggiano a condividere le mie preoccupazioni con chi visita il mio blog:

Il primo è stato quello di Jules Gomes (il 1 Nov.) “The Church of Permanent Revolution”. Il secondo di Sandro Magister (4 Nov.) “Tutto, tranne che sinodale. La strana Chiesa voluta da papa Francesco”. Il terzo di S.E. Mons. Robert Barron (5 Nov.) “Some Thoughts Upon Returning from the Second Session of the Synod”.

Ecco le considerazioni che desidero condividere con i lettori:

(1) Il Sinodo ora concluso non può essere chiamato “Sinodo dei Vescovi”.

È stato inaugurato come “La Sedicesima Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi”, cioè la Sedicesima Assemblea Ordinaria di quel Sinodo dei Vescovi, istituito da Papa Paolo VI, nel 1965, verso la fine del Concilio Vaticano II, con il documento Apostolica Sollicitudo, con lo scopo precipuo di dare al Papa una occasione periodica, di avere consigli dai suoi “fratelli Vescovi” su problemi particolari. Il Sinodo è dunque uno strumento per i Vescovi, successori degli Apostoli, di esercitare collegialmente il loro ufficio di pastori della Chiesa universale.

Papa Francesco, cinque anni dopo la sua elezione, fece alcuni cambiamenti al Regolamento del Sinodo con il documento Episcopalis communio. Ma per questo recente Sinodo fece, di sua iniziativa, una cosa oltre le nuove regole da lui stabilite, invitando 96 non-Vescovi ad essere membri del Sinodo con diritto di voto.

Il Papa ha ovviamente autorità di convocare qualunque specie di riunioni consultive, ma non può dire di aver migliorato la costituzione del Sinodo data da Papa Paolo VI. Con il nome del Sinodo dei Vescovi Papa Francesco ha istituito un nuovo raduno ibrido al suo posto.

(2) Quali devono essere gli scopi di un Sinodo?

Nei Sinodi celebrati sotto Papa Francesco vediamo che si mira sovente a cambiare qualche punto di dottrina o di disciplina della Chiesa invece di preservare la tradizione.

Nel Sinodo sulla Famiglia del 2014-2015 si è cercato di ammettere i divorziati risposati al sacramento della comunione. Nel Sinodo di Amazzonia si è cercato di amettere i “viri probati” al sacerdozio. Questa volta, dai documenti emanati dalla Segreteria del Sinodo si constata che c’è un’agenda molto più vasta: cambiare la struttura gerarchica della Chiesa in una democrazia dei battezzati, istituire il diaconato per le donne (il che porterà anche al sacerdozio femminile?); abolire l’obbligo del celibato dei preti di rito latino; modificare la tradizionale morale sessuale (cominciando con la benedizione delle coppie omosessuali).

Per raggiungere tali scopi si impone una procedura: molto sharing e poca discussione; i Vescovi e non vescovi attorno ad un tavolo, guidati come bambini dai “facilitatori”; severo obbligo di segreto su quel che capita nel sinodo, cosicchè il popolo cristiano non ha nessun modo legittimo di seguire un Sinodo “sinodale”, che insiste su ascolto e partecipazione?

(3) Le macchinazioni sembrano fallite

Nonostante la riduzione delle discussioni, le proposte degli organizzatori del sinodo hanno incontrato forte resistenza. Il Papa, fuori del Sinodo, ha perfino detto chiaro e tondo che non ci sarà il diaconato femminile. L’argomento dell’abolizione del celibato clericale, (che, tra l’altro, è comparso già molte volte nella Chiesa in diverse occasioni) non sembra abbia avuto molta menzione. La sessione che si concluse nell’ottobre 2023 non ha registrato alcuna deliberazione, ma ha presentato solo un Sommario degli argomenti trattati. L’acronimo LGBTQ che avera fatto ingresso solenne nei documenti sinodali, non comparve più nel Sommario. Tutti pensano che le discussioni e deliberazioni si sarebbero fatte nella sessione del 2024.

Di sorpresa, poco dopo la fine della sessione del 2023, il Dicastero della Dottrina ha emanato una Dichiarazione, Fiducia Supplicans, dove afferma che in certe circostanze gli ecclesiastici possono benedire le coppie omosessuali. La Dichiarazione ha causato una spaccatura raramente verificata nella Chiesa (con i Vescovi africani in prima linea di contestazione) e grande confusione nel popolo cattolico. I responsabili, sembra, abbiano dovuto “sospendere” la decisione.

Sorpresa di nuovo. Il papa fa sapere che egli ha assegnato tutti i problemi particolari, venuti alla luce nella sessione del 2023, a dei “gruppi di studio” i quali consegneranno a lui i risultati di studio a metà del 2025. I “riformisti” si sentono delusi, i “tradizionalisti” rimangono preoccupati. Nel frattempo gli organizzatori del Sinodo hanno voluto fare un sondaggio (su X e Facebook) con una sola domanda “Pensi che il sinodo sia riuscito a promuovere lo spirito di partecipazione e comunione in vista della missione della Chiesa?" Qualcuno ha fotografato le risposte che cominciavano ad arrivare, il risultato è stato costante, sempre solo poco più di 10% di “si”, e più di 80% di “no”. Il sondaggio doveva durare 24 ore, ma prima che finisse, l’hanno tolto dalla rete. Davanti a tale disfatta, si ritireranno in buona pace?

(4) Ultimo tentativo – Ultimo pericolo

Se tutti i problemi particolari sono tolti della discussione e non saranno risolti nel Sinodo, con che cosa finirà il Sinodo dal 2024? La vittoria della Sinodalità! La Chiesa Sinodale! Una Chiesa incondizionatamente inclusiva! Cioè una comunità democratica di battezzati che camminano insieme …

Ma quel documento del 2018, della Congregazione per la Dottrina, pure approvato da Papa Francesco, dice che la sinodalità nella Chiesa Cattolica è il principio che la gerarchia, attraverso i Sinodi dei Vescovi (Concilio Ecumenico ed altri legittimi Sinodi a diversi livelli) guida il popolo di Dio.

Queste due Ecclesiologie non sono compatibili, questa è fedele all’insegnamento del Vaticano II (Lumen Gentium), l’altra è la via seguita dalla Chiesa di Olanda subito dopo il Vaticano II (con il loro “nuovo catechismo", per cui quella Chiesa è ora quasi moribonda), è la via iniziata nella Chiesa in Germania (chiamata “la via Sinodale”, prima che la Chiesa Universale iniziasse il Sinodo sulla Sinodalità. Nel 2022 quella Chiesa ha perso mezzo millione di fedeli), è la via seguita dalla Chiesa Anglicana di Londra (ha conferito l’episcopato a donne e riconosciuto matrimonio di coppie omosessuali. Recentemente la Global Anglican Future Conference, che rappresenta più dell'80% della comunità mondiale degli anglicani, ha scritto all’arcivescovo di Canterbury minacciandolo di non più essere riconosciuto come primus inter pares).

L’Instrumentum Laboris della sessione sinodale del 2024 contiene la proposta di codificare l'autonomia delle Conferenze episcopali nazionali in materia di dottrina.(!)

Non diventeremo come la Chiesa Anglicana? Non saremo più la Chiesa “una, cattolica ed apostolica”! Non più la Chiesa “santa”, perchè senza affidabili principi morali per discernere tra santità e peccato. Se questa autonomia fosse stata approvata, serebbe crollata la nostra Chiesa. Il Signore non lo ha permesso. Molti fedeli, avvisati del pericolo, hanno pregato. E sono stati esauditi. Deo gratias.

Però, quella sezione non breve della Parte IV del Documento finale, dove parla dei Legami per l’unità: Conferenze episcopali e Assemble ecclesiali (paragrafi 124-129) fà alcune buone precisazioni, ma lascia molti punti da precisare a future riflessioni “sinodali”. Il futuro rimane ancor molto fluido.

(5) Come si è concluso il Sinodo?

Altra novità! Come già detto sopra, alla chiusura del Sinodo il Papa ha dichiarato che riconosce in blocco il Documento conclusivo del Sinodo e non scriverà una Esortazione post-sinodale.

Suppongo che molti hanno ammirato in ciò l’umiltà del Santo Padre e la fiducia che pone nei membri sinodali. Ma io ho le mie riserve: se il Papa ha veramente “accettato” il risultato del lavoro dei sinodali, mi sembra non prudente da parte sua. Le conclusioni di un Sinodo hanno solo un valore consultivo (specialmente di questo che non è neanche un vero Sinodo), accettandole in blocco il Papa dà ad esse il valore di un magistero autentico.

I sinodi precedenti, quasi tutti, hanno concluso con alcune concise deliberazioni, ben discusse e votate; queste non vengono pubblicate, ma consegnate al Santo Padre, il quale liberamente fa uso di quelle “deliberazioni”, e di sua responsabilità scrive una Esortazione, e tutto questo prende tempo. Adesso invece, mi domando, come ha potuto il Papa capire tutto il contenuto di un lungo documento e assumersi la responsabilità di ogni suo contenuto?

E poi, tornando su questo documento vengono tanti interrogativi. Chi ha scritto la bozza di questo documento? Una commissione veramente rappresentativa, eletta dai Sinodali? Quanto tempo hanno avuto, i sinodali, per capire il documento presentato e prepararsi alla sua discussione? Preparare richieste di emendamenti? Chi è incaricato di smistare i, suppongo, numerosi emendamenti e prensentarli per la discussione e votazione? Votare gli emendamenti può essere un'operazione molto delicata. Infine abbiamo impressione che tutto questo si sia dovuto fare con molta fretta. Come fa il Santo Padre a prendersi la responsabilità di tale prodotto?

A meno che, supponiamo, che sia stato il Santo Padre stesso a indicare la direzione di questo documento finale. È questa supposizione “una teoria del complotto”? No. Il Santo Padre crede nel “processo” (il tempo è più importante dello spazio). Iniziare un processo più che ottenere subito certi risultati.

Il Sinodo è concluso, ma il processo è iniziato! Con questo documento conclusivo incomincia la Chiesa Sinodale; in essa dovremo vivere!

Preghiamo lo Spirito Santo e affidiamoci a alla Madonna.

Auxilium Christianorum, Mater Ecclesiae, Ora pro nobis.






venerdì 15 novembre 2024

Novembre 1974. Cinquant’anni fa la Dichiarazione di monsignor Lefebvre contro la Roma modernista. Più attuale che mai




15 Nov  2024

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by Aldo Maria Valli



di Robert Morrison

Sono passati cinquant’anni da quando l’arcivescovo Marcel Lefebvre scrisse la sua famosa Dichiarazione del 1974, una breve difesa dell’immutabile fede cattolica così potente che i liberali, a Roma, capirono che dovevano immediatamente attaccare l’arcivescovo.

Nella sua Apologia pro Marcel Lefebvre, Michael Davies descrive la differenza tra il modo in cui i cattolici ortodossi e gli anti-cattolici di Roma vedevano la Dichiarazione del 1974: “È difficile vedere come un qualsiasi cattolico ortodosso possa non essere d’accordo con monsignor Lefebvre. È ancora più significativo, quindi, che la Commissione dei cardinali abbia successivamente affermato che la Dichiarazione sembrava loro inaccettabile su tutti i punti”.

Queste due prospettive rimangono inalterate cinquant’anni dopo: come vedremo più avanti, agli occhi dei cattolici ortodossi tutto ciò che è contenuto nella Dichiarazione del 1974 ha ancora più senso oggi; e i nemici liberali della Chiesa sono più contrari a queste idee che mai. Sfortunatamente, nell’ultimo mezzo secolo la crisi nella Chiesa è persistita e persino peggiorata, in gran parte perché i nemici della Chiesa sono riusciti a convincere alcuni fedeli cattolici che, in nome dell’obbedienza, non si può accettare la difesa intransigente della Fede da parte dell’arcivescovo Lefebvre. Se più vescovi si fossero schierati con l’arcivescovo Lefebvre nel 1974, potremmo non aver mai sentito parlare di Francesco o del suo Sinodo sulla sinodalità.

Prima di considerare come la Dichiarazione del 1974 sia diventata ancora più vitale negli ultimi cinquant’anni, vale la pena ricordare brevemente la storia del motivo per cui l’arcivescovo Lefebvre la scrisse.

Nella sua biografia dell’arcivescovo Lefebvre il defunto vescovo Bernard Tissier de Mallerais narra come si arrivò alla Dichiarazione del 1974: «La tempesta scoppiò all’improvviso l’11 novembre 1974: dopo la colazione, l’arcivescovo radunò la comunità di Ecône per annunciare che quel giorno stesso avrebbero ricevuto due visitatori apostolici che, seguendo gli ordini dello stesso Paolo VI, venivano a condurre un’inchiesta per conto di tre Congregazioni romane. Nel corridoio del chiostro, in attesa dei visitatori, monsignor Lefebvre confidò a padre Aulagnier: “Sospettavo che il nostro rifiuto di accettare la nuova messa sarebbe stato prima o poi uno scoglio, ma avrei preferito morire piuttosto che dover affrontare Roma e il Papa!”» (p. 478).

Allora come oggi, nelle autorità romane poche cose sollevano il sospetto più dell’adesione alla messa latina tradizionale. Il vescovo Tissier continua così la sua descrizione di quella visita apostolica: «Monsignor Albert Descamps, segretario della Commissione biblica, e monsignor Guillaume Onclin, sottosegretario della Commissione per la revisione del Codice di diritto canonico, arrivarono alle nove del mattino. Per tre giorni i due belgi interrogarono i sacerdoti e i seminaristi e fecero loro osservazioni teologicamente discutibili. Pensavano che l’ordinazione di uomini sposati fosse normale e inevitabile, non ammettevano che la verità fosse immutabile ed esprimevano dubbi sulla realtà fisica della Risurrezione di Cristo» (pp. 478-479).

Oggi, nel 2024, forse non ci sorprende più sentire dichiarazioni eretiche da parte di prelati romani, ma nel 1974 lo scandalo fu sufficiente a spingere l’arcivescovo Lefebvre a scrivere la sua famosa dichiarazione, datata 21 novembre 1974.

Come racconta David Allen White nel suo The Horn of the Unicorn: A Mosaic of the Life of Archbishop Marcel Lefebvre, il testo fu scritto a beneficio dei seminaristi: «La Dichiarazione fu scritta per placare le apprensioni dei seminaristi e per rassicurarli sulla direzione che il seminario intendeva prendere. Non voleva essere un attacco a Roma, né fu intesa come una dichiarazione pubblica. La Dichiarazione fu fatta trapelare al pubblico senza che l’arcivescovo Lefebvre ne fosse a conoscenza o avesse dato il permesso, e immediatamente frasi e frammenti ne furono staccati per colpire la Fraternità e il suo fondatore. Dopo aver appreso che la Dichiarazione era diventata pubblica, e sapendo a quali scopi sarebbe stata destinata, monsignor Lefebvre decise di pubblicarla lui stesso in forma completa» (p. 182).

Sebbene l’arcivescovo Lefebvre non volesse che la dichiarazione fosse un attacco a Roma, i seminaristi capirono subito che si trattava certamente di un attacco agli errori che minacciavano la fede: «Monsignor Lefebvre – ricorda Tissier – non aveva ancora finito di leggere la sua dichiarazione quando i seminaristi, consapevoli dell’importanza del momento, cominciarono ad applaudire. Sprezzando ogni prudenza umana e attingendo a una visione di fede, l’arcivescovo aveva dichiarato apertamente guerra a tutte le riforme postconciliari» (p. 480).

La presa di posizione di monsignor Lefebvre del 1974 è in effetti una dichiarazione di guerra contro le riforme post-conciliari, e oggi assume un significato ancora più pregnante. Dopo cinquant’anni di frutti della rivoluzione del Vaticano II, le sue parole suonano più vere che mai. Eccole qui di seguito.

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Adesione alla Chiesa cattolica

Noi ci atteniamo fermamente con tutto il nostro cuore e con tutta la nostra mente alla Roma cattolica, custode della fede cattolica e delle tradizioni necessarie al mantenimento di questa fede, alla Roma eterna, maestra di saggezza e verità.

Rifiuto di tutto ciò che si oppone alla Chiesa cattolica


Noi rifiutiamo d’altra parte, e abbiamo sempre rifiutato, di seguire la Roma di tendenze neo-moderniste e neo-protestanti, che divennero chiaramente manifeste durante il Concilio Vaticano II e dopo il Concilio, in tutte le riforme che ne derivarono.

Frutti malvagi della rivoluzione del Vaticano II


In effetti, tutte queste riforme hanno contribuito e continuano a contribuire alla distruzione della Chiesa, alla rovina del sacerdozio, all’abolizione del Sacrificio della Messa e dei Sacramenti, alla scomparsa della vita religiosa, e a un’educazione naturalistica e teilhardiana nelle università, nei seminari, nella catechesi: un’educazione, derivante dal liberalismo e dal protestantesimo, che era stata più volte condannata dal solenne Magistero della Chiesa.

Regola per conservare la fede

Nessuna autorità, neppure la più alta nella gerarchia, può costringerci ad abbandonare o a diminuire la nostra fede cattolica, così chiaramente espressa e professata dal Magistero della Chiesa per diciannove secoli.

«Amici – disse san Paolo – se fossimo noi stessi o un angelo dal cielo a predicarvi un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anatema!» (Gal 1,8).

Non è forse questo che il Santo Padre ci ripete oggi? E se c’è una certa contraddizione manifesta nelle sue parole e nei suoi atti, come anche negli atti dei dicasteri, allora noi ci atteniamo a ciò che è sempre stato insegnato e facciamo orecchie da mercante alle novità che distruggono la Chiesa.

Motivo per cui la rivoluzione è male

È impossibile modificare profondamente la lex orandi senza modificare la lex credendi. Alla nuova Messa corrispondono il nuovo catechismo, il nuovo sacerdozio, i nuovi seminari, le nuove università, la Chiesa “carismatica”, il pentecostalismo: tutti opposti all’ortodossia e al Magistero immutabile. Questa riforma, derivando dal liberalismo e dal modernismo, è interamente corrotta; deriva dall’eresia e sfocia nell’eresia, anche se tutti i suoi atti non sono formalmente eretici.

Dovere dei cattolici di rifiutare la rivoluzione

È quindi impossibile per qualsiasi cattolico coscienzioso e fedele sposare questa riforma e sottomettersi ad essa in qualsiasi modo. L’unico atteggiamento di fedeltà alla Chiesa e alla dottrina cattolica appropriato per la nostra salvezza è un rifiuto categorico di questa riforma.

Determinazione a continuare a combattere

Ecco perché, senza alcuna ribellione, amarezza o risentimento, continuiamo il nostro lavoro di formazione sacerdotale sotto la guida del Magistero immutabile, convinti come siamo che non possiamo rendere un servizio più grande alla santa Chiesa cattolica, al Sommo Pontefice e alla posterità. Ecco perché ci atteniamo fermamente a tutto ciò che è stato costantemente insegnato e praticato dalla Chiesa (e codificato nei libri pubblicati prima dell’influenza modernista del Concilio) riguardo alla fede, alla morale, al culto divino, alla catechesi, alla formazione sacerdotale e all’istituzione della Chiesa, finché la vera luce della tradizione non dissiperà l’oscurità che oscura il cielo della Roma eterna.

Il cammino della fedeltà


Facendo questo, con la grazia di Dio e l’aiuto della Vergine Maria, di san Giuseppe e di san Pio X, siamo certi di essere fedeli alla Chiesa cattolica e romana, così come a tutti i successori di Pietro e di essere i Fideles Dispensatores Mysteriorum Domini Nostri Jesu Christi In Spiritu Sancto.
*

Come ha scritto Michael Davies, «è difficile vedere come un qualsiasi cattolico ortodosso possa non essere d’accordo con monsignor Lefebvre». Anche coloro che possono avere qualcosa da obiettare circa la decisione dell’arcivescovo Lefebvre di consacrare vescovi senza l’approvazione di Roma nel 1988 non dovrebbero avere motivi per non essere d’accordo con le idee della Dichiarazione del 1974.

La Chiesa si trova oggi in una situazione molto diversa da quella del 1974, ma la causa della crisi e la natura dell’azione correttiva rimangono le stesse. L’arcivescovo Lefebvre ci direbbe che dobbiamo combattere la battaglia spirituale come santi. Non abbiamo bisogno di cercare altre risposte a Francesco, alla sua Chiesa sinodale o a qualsiasi scandalo e a mossa tirannica che Roma farà: il più grande servizio che possiamo rendere alla Chiesa è rimanere fedeli a «tutto ciò che è stato costantemente insegnato e praticato dalla Chiesa (e codificato in libri pubblicati prima dell’influenza modernista del Concilio) riguardo alla fede, alla morale, al culto divino, alla catechesi, alla formazione sacerdotale e all’istituzione della Chiesa».

Oggi possiamo vedere che la determinazione a restare fedeli a tutto ciò che la Chiesa ha insegnato e praticato prima del Concilio dovrebbe essere meno controversa ora che nel 1974. Per quanto confusa fosse la situazione nel 1974, molti fedeli cattolici erano ancora convinti che Paolo VI e la gerarchia non stessero attivamente cercando di distruggere la Chiesa. Oggi, dopo le iniziative più eclatanti di Francesco, non possiamo avere simili illusioni: Fiducia supplicans, il culto della pachamama, Amoris laetitia, Traditionis custodes, la Chiesa sinodale, la sua partnership con i globalisti anti-cattolici…

Nel 1974 i segnali della rivoluzione del Vaticano II potevano essere relativamente nascosti, ma oggi sono così evidenti che chiunque abbia occhi per vedere non può non notarli.

Dio ci ha dato l’esempio dell’arcivescovo Lefebvre non solo per il tempo in cui visse, ma anche perché potessimo imparare a combattere i mali che affliggono la Chiesa oggi. Tutti noi, sacerdoti o laici, amici della Fraternità San Pio X o meno, coloro che pensano che Francesco sia papa o antipapa, siamo chiamati a combattere contro i nemici che cercano di distruggere la Chiesa dall’interno. Sappiamo che non ci riusciranno mai e che Dio alla fine vince, ma dovrebbe anche essere chiaro che Dio ci chiama tutti a combattere. La Dichiarazione del 1974 dell’arcivescovo Lefebvre è il piano di battaglia, la chiamata alle armi di cui abbiamo bisogno.

Cuore Immacolato di Maria, prega per noi!

Fonte: remnantnewspaper