domenica 22 dicembre 2024

Santa Messa in latino della notte di Natale a Pistoia

 



Nella chiesa di San Vitale 
in via della Madonna 
a Pistoia 


Martedì 24 Dicembre 2024

ore 21:00

sarà celebrata la 

SANTA MESSA 
della 
notte di Natale 


***


Mercoledì 25 Dicembre 2024

 ore 18:00

SANTA MESSA 
di NATALE 









Dove Dio non avviene e prende corpo in noi, avanza il Nulla che si prende il nostro corpo, il nostro cuore, la nostra storia.


Maria incontra Elisabetta



Domenica IV Avvento (Anno C) – 23 dicembre 2024

(Mic 5, 1-4°; Eb 10, 5-10; Lc 1, 39-45)



di don Ambrogio Clavadei

“In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta …” (Lc 1, 39).

Uno dei mantra dell’odierno tempo ecclesiale è quello della “Chiesa in uscita”. Sembra questo il problema che deve definire ogni attività della Chiesa. Ma la liturgia di questa quarta e ultima domenica di Avvento ci fa comprendere come questo mantra, così come lo si intende, rischia di falsificare il cammino della nostra fede e della nostra testimonianza. Infatti il vero problema della Chiesa di oggi (e di sempre) non è primariamente quello dell’uscita, ma quello dell’entrata. Cosa è entrato, cosa devo chiedere che continui ad entrare (cioè ad avvenire) nella mia vita, così che io – di conseguenza – possa uscire a visitare il mondo e il suo Bisogno fondamentale (incontrare Cristo)? Senza offrire la risposta a questo Bisogno dei bisogni anche l’affronto delle varie necessità della gente risulta infecondo e non porge aiuto all’uomo che fino all’ultimo giorno deve “partorire” in sé un significato ultimo per il destino della sua vita e in questo deve essere affiancato e confortato come fece Maria con la cugina Elisabetta.

Per questo, nell’imminenza del Natale, la liturgia offre allo sguardo della nostra fede la figura della Vergine Maria, l’immagine cioè di quella donna che è stata “umile ed alta più che creatura … sì che il suo fattore, non disdegnò di farsi tua fattura” (Dante, Paradiso, XXIII). Nessuno infatti come la Madonna ha atteso Qualcosa che entrasse dentro il grembo della sua esistenza per offrirle quella felicità che nessuno se non Dio può dare: “Rallegrati, piena di grazia” (Lc 1, 28). E nessuno come lei, proprio anche nella sua carne, ha visto adempiuta ogni promessa di Dio. Questa promessa lei l’ha toccata con mano sfiorando ogni giorno il suo grembo nel quale la Vita di Dio cresceva per prendere attraverso di lei il suo posto nel mondo.

Per questo la Madonna è la regina di tutti i profeti, perché il vero profeta è colui che indica Dio presente dentro la storia, così che la Vergine Maria ha potuto racchiudere in sé tutta l’attesa dell’Antico Testamento, e tutta la novità del Vangelo. Lei è l’ultimo decisivo e urgente passo del Dio che ha voluto entrare nella nostra carne mortale insterilita dal peccato, per rimettere in movimento la nostra umanità. Per questo lei è anche la perfetta icona dell’Avvento e del suo compimento. Infatti già in lei è accaduto pienamente ciò che san Paolo invocava ardentemente per i suoi Efesini, quando, piegando le sue “ginocchia davanti al Padre” (Ef 3, 14), chiedeva che avvenisse per loro quanto già si era anticipato nella Vergine Maria: “Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Ef 3, 17-19).

Solo in forza di questa strabordante pienezza (“gratia plena”) dalle quadruplici dimensioni divino umane del Mistero onniabbracciante di Dio, entrato nel suo grembo, la Madonna può correre allora come oggi e come sempre per portare questo movimento di Dio in lei, così che diventi movimento per l’uomo e nell’uomo con la stessa esperienza di gioia e di verità che fu per lei: “Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo” (Lc 1, 44).

La Madonna, suprema attesa e suprema accoglienza, è dunque suprema offerta di mobilitazione. La Madonna: un movimento dentro la storia e verso la vastità sconfinata della storia, ma solo perché era ancora più sconfinato ciò che era avvenuto dentro la sua persona: “L’anima mia magnifica il Signore … [perché] grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”. E queste “grandi cose”, questa “ampiezza … lunghezza … altezza e … profondità” del Mistero singolare dell’amore di Dio che tutta mi definisce, io ora le porto e le offro a te.

È lei allora la vera “Chiesa in uscita” perché corre a visitare il bisogno dell’uomo colma di una Presenza che singolarmente la identifica e la circoscrive, e non quella Chiesa che, vuota di sé perché rinunciataria di Ciò che realmente (e non solo intenzionalmente) dovrebbe delineare la sua natura e la sua missione, pretende di farsi “tutto a tutti” (1 Cor 9, 22), finendo invece per adeguarsi alle logiche istintive o snaturate del mondo, riducendo il suo operare a pura sociologia, a compagnia sentimentale, pensando di comunicare la grazia sacramentale di Cristo con liturgie circensi o comunque illanguidite e noiose, e spacciando come attenzione alle fragilità dell’uomo ambigue proposte etiche. Questa Chiesa più è nuda di una Presenza, più si riveste di iridescenti lustrini pseudo ecclesiali che coprano la sua assenza.

Ma se questa è la Madonna, questo siamo anche noi, noi che attendiamo il rinnovarsi di questa visitazione di Dio dentro la nostra carne, perché la nostra carne con tutti i suoi bisogni, con tutti i suoi limiti e dolori umilianti, con tutte le sue attese complesse, con tutti i suoi desideri o le sue inevitabili pretese, è il luogo dove Dio è venuto a nascere, e ad offrirci il quotidiano Natale che rinnova e colma di letizia il nostro vivere.

Ma perché il Natale di Dio possa riaccadere è innanzitutto necessario riaprirci allo stupore di quanto ci accade: “A che debbo che la Madre del mio Signore venga a me?”. (Lc 1, 43). Non è in base ad un nostro sforzo che accade l’Avvenimento del Signore, ma è pura grazia, pura misericordia di Dio: “Non hai voluto né sacrificio né offerta per il peccato, un corpo invece mi hai preparato” (Eb 10, 5). Non viene perché cerchiamo di essere intelligenti e buoni, viene perché gli prepariamo il nostro corpo, cioè gli offriamo tutta la nostra esistenza perché egli possa crescere in essa come un giorno crebbe nel grembo della Vergine.

Uno stupore da cui nasce tutto il movimento della nostra vita. Come accadde a Elisabetta, l’attesa di Dio che ci urge dentro come sua profezia finalmente trova ancora una volta la sua non scontata risposta, una risposta che poi diventa missione verso tutti coloro che, illusi dalle menzognere promesse del mondo, rischiano di partorire vento: “Abbiamo concepito, abbiamo sentito i dolori quasi dovessimo partorire: era solo vento; non abbiamo portato salvezza al paese e non sono nati abitanti nel mondo” (Is 26, 17-18), “Perciò Dio li metterà in potere altrui, fino a quando partorirà colei che deve partorire” (Mic 5, 2). Solo il figlio di Maria ha il Potere di sconfiggere il potere che ci rende schiavi del male e ci distrugge. Infatti dove Dio non avviene e prende corpo in noi, avanza il Nulla che si prende il nostro corpo, il nostro cuore, la nostra storia. Li prende e li divora: “Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare” (1 Pt 5, 8). Allora, più che mai, dobbiamo invocare: “Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi” (ritornello del salmo responsoriale 79 [80]).







sabato 21 dicembre 2024

Lo Stato "impiccione" e la decattolicizzazione




Titolo: Verso il centenario della Quas primas: la Vehementer Nos di san Pio X



Di Silvio Brachetta, 20 Dic 2024

L’11 dicembre del 2025 sarà celebrato il centenario dell’Enciclica Quas Primas[1] di Pio XI, interamente dedicata alla Regalità sociale di Cristo. L’intenzione del pontefice era di porre un argine all’ateismo e allo spirito di secolarizzazione tracimati in Occidente, già a cominciare (almeno) dal secolo XVIII, con la diffusione dell’illuminismo, del naturalismo e del razionalismo.

La Quas Primas, però, è l’ultimo documento di magistero – in ordine temporale – a trattare di questa immensa tematica, legata in modo speciale alla Dottrina sociale della Chiesa: i pontefici Pio IX, Leone XIII, Pio X e Benedetto XV si erano più volte espressi (tra XIX e XX secolo) su questioni legate alla pericolosità delle dottrine filosofiche anticristiane e alla conseguente rottura, teoretica e pratica, tra ordine temporale e ordine sacro, tra Trono e Altare, tra Stato e Chiesa. E, difatti, separare – in senso politico e sociale – lo Stato dalla Chiesa e relegare quest’ultima in posizione subalterna, significa appunto detronizzare Gesù Cristo dalla sua più alta signoria, tanto sulle realtà spirituali che su quelle materiali.

Trionfo dell’ateismo di Stato

Non solo Pio XI sa bene di continuare ad esporre una dottrina sulla quale si era pronunciato il magistero precedente ma, sin dal titolo (Quas Primas[2]) rimanda ad una sua precedente enciclica del 1922 – ovvero il suo primo pronunciamento di rilievo: Ubi Arcano Dei Consilio[3] – in cui esprime la speranza, anche umanissima e semplicissima, che il «Re degli uomini, delle città e dei popoli» – Gesù Cristo – riprenda il suo posto e venga di nuovo «portato in grandioso e veramente regale trionfo di fede, di adorazione e di amore».

Queste, dunque, le considerazioni di un pontefice dopo la fine della Prima Guerra Mondiale (1914-1918). Prima del conflitto, tuttavia, un altro pontefice – san Pio X – interviene nel 1906, con toni quasi definitori, sulla deriva laicista della Francia, con l’enciclica Vehementer Nos.[4] Colpiscono proprio le prime parole del pronunciamento, perché «vehementer nos» significa «siamo assai preoccupati». Ma preoccupazione per cosa?

In piena Belle Époque, dopo un secolo di tentennamenti, rivoluzioni e restaurazioni (dalla Rivoluzione Francese alla Terza Repubblica, cioè per tutto l’Ottocento), la Francia si decide a rompere per sempre ogni rapporto di unione con la Chiesa. Nel 1905 viene emanata la Legge di separazione tra Stato e Chiese[5], nel senso che lo Stato francese prende le distanze da ogni forma di culto, equiparando di fatto la Chiesa cattolica a qualunque altra religione e annullando il precedente Concordato del 1801[6] che, pur nella sua insufficiente stesura, riconosceva comunque alla Chiesa un minimo di centralità spirituale e di autorità civile. Con la Legge di separazione, al contrario, si compie una grande ipocrisia: da una parte si finge di riconoscere il principio della «libera Chiesa in libero Stato»[7], ma dall’altra – di fatto – si pone la Chiesa in totale subordinazione rispetto allo Stato e la si priva di alcune sue libertà proprie e fondamentali.

Clima intimidatorio nei confronti della religione


Mediante la Legge di separazione, la Francia mette in opera alcune scelte unilaterali. Consente la libertà di culto, ma a certe condizioni: che fossero organizzate da associazioni religiose di laici, che queste associazioni disponessero dell’uso degli edifici sacri e che si trovassero in posizione subordinata al Consiglio di Stato francese.

Il corpo gerarchico, che dai parroci giungeva ai vescovi e al papa, viene clamorosamente estromesso da ogni decisione sul culto e l’autorità ecclesiastica è privata di ogni potere. Non solo, ma la Legge dichiara proprietà dello Stato tutti gli edifici di culto messi a disposizione delle associazioni. In realtà – scrive Pio X nell’enciclica – dopo che lo Stato ha proclamato la libertà di culto, «impedisce» di fatto «la predicazione della fede e della morale cattolica» e pone la Chiesa «in una soggezione umiliante, paralizzandone in mille modi l’attività».

Molti immobili (cattedrali, chiese, biblioteche, seminari) vengono sequestrati dallo Stato e mai più restituiti. Come anche i fondi della Chiesa a favore delle scuole cattoliche, della beneficenza e del culto, sono trasferiti d’ufficio ad istituzioni laiche. Cessa anche il dovere dello Stato di provvedere alla spesa del culto: questa spesa non fu richiesta dalla Chiesa in modo arbitrario, per una questione di prestigio o di atto dovuto, ma fu introdotta nel Concordato napoleonico per risarcire la Santa Sede dei beni confiscati (o meglio, derubati) durante la Rivoluzione francese.

San Pio X descrive, nell’enciclica, un pessimo quadro della Chiesa in Francia, anche prima della Legge del 1905: attentato al matrimonio a causa di norme sbagliate (divorzio), laicizzazione forzata delle scuole e degli ospedali, chierici costretti al servizio militare, spogliazione degli istituti religiosi e relativa riduzione in miseria dei monaci e dei frati, scomparsa dei simboli cristiani dai luoghi delle istituzioni (tribunali, scuole, caserme, navi militari). Un quadro di costante e sistematica intimidazione verso il cattolicesimo, in particolare. Le altre confessioni religiose hanno risentito meno della secolarizzazione e del laicismo di Stato, o perché il secolarismo è stato introdotto nella storia con il loro beneplacito (protestantesimo) o perché abituate alla sopraffazione (ebraismo). Non è un caso che, in questa fase storica, nasce in Francia l’antisemitismo virulento (Affare Dreyfus), molto tempo prima del nazismo.

Aridità spirituale e secolarizzazione imposta dalle istituzioni

Se dunque è da ricercarsi un luogo in cui l’Occidente ha cominciato a tramontare e dove la signoria sociale di Cristo e stata estromessa almeno dal XVII secolo, questa è primariamente la Francia, la cattolicissima Francia. Quella di Carlo Magno e del Sacro Romano Impero, di Cluny, delle cattedrali, dei santi fra i più noti della Chiesa.

È proprio la Francia che si sarebbe dovuta approfittare al meglio della Belle Époque, periodo di non belligeranza, tra i più fecondi dal punto di vista della scienza: la natura dischiudeva i suoi segreti e narrava i prodigi delle onde radio, della chimica, delle leggi fisiche, dell’astronomia e della biologia. E, a seguire, la tecnica dava ormai risultati stupefacenti. Le nazioni – a partire dalle cattoliche – avrebbero dovuto prorompere in una lode alla Provvidenza e ammettere la realtà fattuale di un’alleanza tra scienza e fede che, a partire dal Medioevo, ha spalancato le porte al conoscere, in ogni campo dello scibile. Così non è stato e la delusione maggiore è giunta dalla Francia e, a ruota, dall’Italia risorgimentale, che si sono volontariamente opposte a Dio e alla sua Chiesa. Non però dai francesi e dagli italiani, perché la popolazione si è dovuta assoggettare a forza alle decisioni farneticanti della politica e delle ideologie filosofiche.

Ed è proprio questa la preoccupazione dei pontefici tra Ottocento e Novecento: salvaguardare la fede delle nazioni, a prescindere dalla corruzione dei filosofi del tempo e dei governanti atei. Il dato incomprensibile è che alla Belle Époque non sia seguita una resurrezione dello spirito umano, ma un’aridità senza precedenti e una preoccupazione solo per ciò che è materiale. O meglio, lo spirito si è corrotto in sentimentalismi grossolani, che hanno creato solo odio, opposizione tra i popoli e sangue versato: nazionalismo, patriottismo anticristiano, ribellione, irredentismo, scientismo, tecnocratismo. Terreno fertile, questo, per le guerre mondiali, passate e future.

Esordio e gloria futura dello Stato impiccione


San Pio X, nella Vehementer Nos, afferma che la necessità della separazione tra Stato e Chiesa «è una tesi assolutamente falsa e un errore pericolosissimo», perché a Dio «è dovuto non soltanto un culto privato, ma anche un culto sociale e onori pubblici». Nella tesi dello Stato francese, cioè, vi è «un’ovvia negazione dell’ordine soprannaturale». Per cui l’ordine voluto dalla Provvidenza è fondato su due poteri, uniti e non confusi: quello secolare (principe) e quello sacro (papa). Uniti, perché altrimenti si avrebbe il crollo della civiltà – non confusi, perché la Provvidenza non contempla l’assurdità di una teocrazia di tipo orientale o assolutista.

Dio provvede, nella storia, con l’«armoniosa concordia tra le due società» (civile e religiosa), anche perché ci sono «molte cose» che sono «di competenza di tutt’e due». Chi semina discordia, al contrario, nega la Provvidenza e la verità secondo cui «la religione è la regolatrice suprema e sovrana maestra, allorché si tratta dei diritti e dei doveri dell’uomo».

Con la Legge di separazione – continua Pio X – s’impone «l’amarezza di vedere lo Stato invadere delle materie che sono di competenza esclusiva del potere ecclesiastico». È l’esordio nella storia dello Stato impiccione (sull’attuale modello cinese), che presume di potersi sostituire alla società civile e si vuole occupare di tutto: dalla gestione delle istituzioni alla gestione dei sentimenti, dal controllo delle procedure al controllo del pensiero, dalle leggi sul traffico alle leggi sulla vita, dalle norme giuridiche alle norme morali, dal libretto di circolazione al libretto rosso di Mao.

Da quel 1905 non è cambiato più nulla di sostanziale in politica e la società si è fatta disumana, arida, fredda. La Legge di separazione francese è divenuta Legge di separazione mondiale. Tutta la vita umana si riassume oggi nello Stato, nazionale e sovranazionale. I media danno la precedenza ai fatti economici e politici, senza traccia di critica.

Lo scopo di tutto ciò è semplice da capire e lo denuncia lo stesso san Pio X: «decattolicizzare la Francia» (e il mondo) e «sradicare completamente la fede dai cuori». La fede che salva, ma anche la fede «che ha coperto di gloria i padri e che ha fatto grande e prospera la patria» dei francesi e di molti popoli.





(foto: Di Adolfo Müller-Ury – muller-ury.com, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=119238775)

[1] Promulgata l’11 dicembre 1925.

[2] «Quas primas post initum Pontificatum dedimus ad universos sacrorum Antistites Encyclicas Litteras […]». «Nella prima enciclica che, asceso al Pontificato, dirigemmo a tutti i Vescovi dell’Orbe cattolico […]».

[3] Promulgata il 23 dicembre 1922.

[4] Promulgata l’11 febbraio 1906.

[5] Il 9 dicembre di quell’anno, su iniziativa dei deputati Aristide Briand (socialista) ed Émile Combes (radicale).

[6] Accordo tra Napoleone Bonaparte e Pio VII, per risanare i rapporti di conflitto tra Stato di Francia e Santa Sede, a seguito della Rivoluzione francese e del bonapartismo.

[7] «L’Église libre dans l’État libre». Principio calvinista («Ecclesia libera in libera patria») ripreso da Charles de Montalembert e da Camillo Benso di Cavour.






venerdì 20 dicembre 2024

Perché il primo annuncio del Natale fu dato a degli umili pastori?






Per capire perché la Divina Provvidenza abbia voluto che il Mistero della Nascita del Verbo incarnato venisse annunciato dapprima a degli umili pastori, bisogna partire dalla constatazione che tutti possono fare esperienza del Mistero del Natale, perché tutto è chiamato ad inchinarsi dinanzi ad esso e ad adorarlo: il mondo minerale e quello vegetale con l’incenso e la mirra dei Magi; il mondo animale con il bue e l’asinello (che la tradizione vuole vicini al Bambino Gesù per procurargli calore); il mondo dei sapienti e dei potenti ancora con i Magi venuti da lontano. Il racconto evangelico tiene però a sottolineare quanto il mondo dei semplici –quegli umili pastori a guardia delle greggi– sia stato scelto come la prima realtà a cui quel mistero andasse palesato.

Il mistero dell’Incarnazione è il Dio che si fa uomo per rivelarsi all’uomo; per dire all’uomo che Dio è incontrabile fisicamente e che la salvezza è in relazione a questo incontro. Un Dio non solamente da studiare, ma soprattutto da incontrare. O meglio: la salvezza non come esito di uno studio e di una comprensione del mistero, ma come esito di un’apertura del cuore nei confronti di esso: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Matteo 11,25). Da qui il perché degli umili pastori come primi testimoni della venuta nel mondo del Redentore. A loro è data per primi la buona notizia, perché a loro è dato maggiormente capire ciò che non basta solo capire, ma che piuttosto bisogna amare.

Il mistero dell’Incarnazione pone il Cristianesimo in un’originale posizione –unica rispetto alle altre religioni– di valorizzazione dell’umiltà. Precisamente di una duplice umiltà: non solo di quella solita, che tutti possono intendere, ma anche di quell’umiltà di chi si pone dinanzi al reale in maniera non intellettualistica. Insomma, non solo l’umiltà come semplice virtù, ma anche quella di chi si stupisce dinanzi al reale. L’umiltà come semplicità. Ed ecco perché dapprima a dei pastori.




giovedì 19 dicembre 2024

La scuola delle “educazioni” e lo studente frantumato






Di Marco Lepore, 19 Dic 2024

Una, cento, mille educazioni…Dopo quella alla salute, che funse da apripista all’inizio degli anni ’90 con la legge 26/6/1990 n. 162 (che affidava al Ministero della P.I. il compito di promuovere e coordinare specifiche attività nella scuola), la macchina delle educazioni scolastiche non si è più fermata. Educazione sessuale, affettiva, stradale, finanziaria, all’inclusione, alla tolleranza, alla sostenibilità, alle pari opportunità, al rispetto, e chi più ne ha più ne metta. In questi ultimi giorni, con l’obiettivo dichiarato di contrastare l’obesità infantile e le cattive abitudini alimentari, è arrivata la proposta di far diventare materia curricolare nelle scuole di ogni ordine e grado anche l’Educazione Nutrizionale, con un’attenzione particolare alle elementari e alle medie, ritenute le fasce più esposte all’influenza della pubblicità e al consumo di prodotti ultraprocessati. L’Osservatorio Dieta Mediterranea, infatti, che ha già avviato il progetto in numerosi istituti del Sud Italia, “intende sollecitare il Ministero dell’Istruzione e del Merito affinché venga promossa una legge ad hoc per inserire l’Educazione Nutrizionale come disciplina autonoma e non come parte marginale dell’Educazione Civica”. Non sappiamo ancora in che misura la proposta sarà accolta e, pertanto, se sarà aggiunta in pianta stabile alle molteplici “educazioni” già attive nelle scuole italiane, tuttavia il caso si offre come occasione per alcune considerazioni.

Innanzitutto, occorrerebbe fare un serio esame di coscienza (e magari anche un po’ di veri monitoraggi) sulla reale efficacia e utilità di questi progetti “educativi”, innestati nell’orario scolastico curricolare a discapito delle materie tradizionali, già abbondantemente sacrificate sull’altare della burocrazia e snervate dalle innovazioni metodologico-didattiche introdotte ad ogni cambio di ministro… E’ assai improbabile, infatti, che in un ambiente come quello scolastico, caratterizzato da un diffusa disaffezione da parte degli studenti e da un bassa stima nei confronti della classe docente, i ragazzi riescano ad assimilare e tradurre in stile di vita indicazioni, suggerimenti, atteggiamenti, che necessitano di contesti e tempi di frequentazione ben diversi.

Ma se, anche, fosse possibile raggiungere un simile obiettivo, resta comunque aperta la domanda – che è il vero punto centrale- su che tipo di umanità si stia cercando di costruire. L’educazione, di per sé, dovrebbe mirare a far crescere ed emergere la persona in quanto tale, con la sua individualità, i suoi talenti, il suo temperamento (e anche i suoi limiti), capace di scelte responsabili; un unicum originale e irriducibile, dotato di autocoscienza, non un puzzle composto da mille frammenti giustapposti, scelti ad arte da chi ha deciso a tavolino quale fisionomia umana è più funzionale al potere di turno. A fronte di tutte queste “educazioni”, sorge infatti il sospetto che vi sia, a monte, una concezione meccanicistica e deterministica della persona, per la quale il soggetto, in fin dei conti, più che educato deve essere addestrato…E, insieme a questo, la sensazione che sia in atto un tentativo di Stato etico.

La salute, il rispetto, la capacità di accoglienza, la sessualità, l’alimentazione etc… sono certamente questioni importanti, ma non è, né deve essere, compito della scuola spiegare come vanno affrontate. Tantomeno utilizzarle per introdurre concezioni della vita e della persona funzionali a precise ideologie….L’apatia, il disagio, la silenziosa ribellione di tanta parte del mondo giovanile, tra l’altro, confermano che non è questa la strada da percorrere.

Un grande sacerdote ed educatore del secolo scorso, Don Luigi Giussani, diceva che l’educazione è “introduzione alla realtà totale”. Non si tratta, dunque, di offrire risposte preconfezionate su tante questioni, ma di favorire lo sviluppo di quella naturale curiosità (che si esprime in grandi domande su di sé, sulla realtà e sul suo significato unitario) che è propria della persona, affinché diventi capace di ricerca, di conoscenza, di intrapresa e di scelte responsabili. Questo sarebbe il compito della scuola, e gli strumenti per operare in tal senso, offerti dalla bellezza e grandezza del patrimonio culturale che le generazioni che ci hanno preceduto ci hanno tramandato, non mancano.

Diversamente, la frantumazione della persona – e conseguentemente della società di cui le persone fanno parte- proseguirà inesorabilmente.


(Foto: Pixabay)



Cattolica e radicale, le incompatibili identità della Roccella



Il ministro della Famiglia si racconta: dal cattolicesimo al femminismo, passando per l'elogio della legge 194 e delle battaglie radicali degli anni '70. Tante appartenenze che mal si conciliano tra loro.


Una nessuna centomila
Editoriali 



Stefano Fontana, 19-12-2024

Il ministro per le pari opportunità e la famiglia, Eugenia Roccella, ha rilasciato una lunga intervista a La Stampa su tanti argomenti connessi con il suo ruolo nel governo Meloni: donne, famiglie, figli, natalità, rapporti tra maschi e femmine. Il cuore dell’intervista è però lei stessa e la sua identità che così sintetizza: «femminista, cattolica, radicale, di destra». Roccella osserva a questo proposito che «non si capacitano di come io possa essere radicale e cattolica: chissà per quale delle due cose mi odiano di più», per poi precisare meglio: «Il femminismo è la mia vera, profonda appartenenza identitaria». Quindi: radicale, cattolica, di destra … ma prima di tutto femminista. Noi non nutriamo odio verso di lei per queste sue proclamate identità, però ci permettiamo qualche osservazione sulla possibilità di questi accostamenti: radicale, cattolica, femminista.

Più volte Roccella si è detta radicale raccontando la sua storia personale, da ultimo nel romanzo Una famiglia radicale (Rubbettino), libro che doveva presentare a Torino ma è stata censurata da gruppi sociali estremisti. Ma è stata radicale oppure è radicale? L’intervista conferma che lo è stata e ancora lo è. Elogia le battaglie radicali degli anni Settanta quando, a differenza di adesso, a suo dire “il confronto restava aperto e possibile”, rivendica di essere stata allieva di Ida Magli e di aver collaborato con lei per la depenalizzazione dell’aborto, elogia la legge 194 che considera una legge «equilibrata», dice di aver votato a favore della legge 40 sulla fecondazione assistita, difende tuttora quella legge anche dopo le sue trasformazioni giurisprudenziali, considerando che permette un uso della «tecnologia dentro uno schema di generazione naturale» nel senso che «Lo Stato ti aiuta se hai un problema, non consente ciò che in natura non è possibile». Non sempre in questi ragionamenti tutto fila liscio, ma una cosa emerge in modo chiaro: Roccella non solo è stata ma è radicale.

Ora, in cosa consiste il radicalismo? Come dice la parola stessa, esso consiste nel condurre alle estreme conseguenze – alla radice appunto – il concetto assoluto della libertà. Cosa rende assoluta la libertà? La sua separazione dalla verità e da un ordine naturale e finalistico delle cose, attuata nella forma della identificazione tra libertà e volontà. Il radicalismo esprime una volontà priva di ragioni. Considerato in questo modo essenziale, il radicalismo è completamente incompatibile con la fede cattolica. Questa, infatti, esige che la ragione si muova per conoscere questo ordine naturale in quanto frutto della creazione divina e, così facendo, si apra a Dio stesso e alla sua provvidente volontà salvifica. Accettare il divorzio, l’aborto e la fecondazione artificiale, appoggiare un femminismo radicale che investe la donna di una libertà addirittura precedente al suo essere donna, significa negare l’esistenza di un ordine naturale su queste materie così importanti per la vita umana e sociale.

Qualcuno però potrebbe sostenere che di radicali ce ne sono di diverse specie. Infatti, nessun movimento politico è uniforme ed omogeneo ma articolato in diverse correnti più o meno, ci si passi il bisticcio, radicali. L’ideologia iniziale e fondativa, l’archetipo originario – si dice spesso – è una cosa, mentre i movimenti storici che da esso derivano sono un’altra cosa ed è possibile che essi si allontanino dalla matrice o che, addirittura, la rovescino. La storia cambia e l’adattamento alle nuove situazioni può corrompere la rigidità dogmatica delle origini. Questo potrebbe essere il caso anche di Eugenia Roccella. Vediamo alcuni esempi. Nell’intervista di cui ci stiamo occupando, il ministro afferma che «l’aborto esula dal territorio del diritto». Una simile affermazione può essere vista come espressione di un radicalismo moderato o addirittura di nuovo conio, lontano dalle intransigenze ideologiche di Pannella, Bonino, Cappato o Magi. Su questa base si potrebbe fondare la battaglia affinché esso non venga contemplato nella Costituzione e infatti Roccella si dichiara contraria a questa ipotesi. Allora – si può pensare – lei sarà anche radicale, ma una radicale “buona” o almeno moderata e di buon senso. Il suo essere radicale sarebbe sostenibile anche per un cattolico. Un altro esempio è costituito dalla posizione verso la legge 40 già vista sopra: quella legge sarebbe valida perché inserirebbe l’intervento tecnico in laboratorio «dentro uno schema di relazione naturale». Questa espressione può venire intesa come la conferma del riferimento a quell’ordine naturale e finalistico di cui parlavo sopra e collocare in pieno il ministro Roccella dentro la visione del realismo cattolico.

Le stesse cose si possono dire per il suo femminismo, dato che Roccella appartiene a quella corrente del femminismo che combatte la prescrizione della parola “donna” da parte dei gruppi LGBT e denuncia l’attuale “frammentazione della gravidanza” tramite la compartecipazione di più persone al concepimento e, con l’utero in affitto, anche alla gestazione.

Roccella è una radicale “diversa”, però si dice sempre radicale. Il fatto è che non è vero che i movimenti storici allentino sempre l’ideologia originaria o se ne distacchino positivamente, liberandosi dai suoi errori. Molto più spesso i movimenti storici finiscono per realizzare meglio gli obiettivi ideologici proprio perché li separano da inutili zavorre, riuscendo così ad essere più penetranti proprio perché meno avvertiti. Le socialdemocrazie hanno realizzato in modo più radicale gli obiettivi del socialismo, solo hanno chiesto più tempo. Roccella se la prende contro la rarefazione delle famiglie e la solitudine educativa, però rimane convinta della bontà del divorzio e dell’aborto che le ha prodotte. Si dice preoccupata della denatalità ma dice nulla sull’aborto che ne è la causa principale. Dice che l’aborto si colloca al di fuori del diritto ma ammette la 194 che invece lo tira dentro al diritto in modo sbagliato.

Rimane radicale e femminista però sembra esserlo un po’ meno degli altri e, proprio per questo, apre nuove strade al radicalismo, perfino avvalorandolo come cattolico.





Venga il Vostro Regno!



By Francesco Bini - Own work, 




di Plinio Corrêa de Oliveira

Se in tutte le epoche della storia cristiana la data del Natale apre una parentesi gioiosa e tranquilla nel corso normale e laborioso della vita quotidiana, nella nostra epoca - caratterizzata da una crisi religiosa così grave da abbracciare tutta la vita sociale - questa celebrazione acquista un significato speciale.

La commemorazione dell'evento trascendentale accaduto nella grotta di Betlemme - la nascita del Verbo di Dio, il Messia preannunziato dai profeti - equivale ad un universale sursum corda proclamato a una umanità tumultuosa e sofferente, che si va immergendo sempre più nel caos della completa dissoluzione morale e sociale.

Secondo il messaggio dei Profeti, il popolo eletto sperava la salvezza da un Messia che sarebbe nato dalla stirpe di Davide. Tutti gli altri popoli della terra, pur non avendo ricevuto i messaggi divini trasmessi dai Profeti, conservavano una reminiscenza della promessa di un Salvatore fatta da Dio ad Adamo ed Eva al momento della loro cacciata dal Paradiso. Pertanto conservavano anche la tradizionale speranza, più o meno deformata, che un Salvatore avrebbe dovuto rigenerare l'umanità sofferente e peccatrice.

Questa speranza, poi, era giunta all'apice nell'epoca in cui Nostro Signore veniva al mondo. L'Impero romano si estendeva per tutto il mare Mediterraneo ed anche nel continente europeo. Il commercio si era intensificato per mezzo dell'apertura di strade o dell'intensificarsi della navigazione. Gli uomini avevano ottenuto i beni desiderati, ma, una volta faticosamente conquistati questi strumenti di felicità, non sapevano che farsene.

Tutto ciò che avevano desiderato a lungo, per tanto tempo e con tanti sforzi, lasciava nella loro anima un terribile vuoto; anzi, in molti casi li tormentava. Infatti, in mano di chi non sa trarne il debito vantaggio, potere e ricchezza servono soltanto a causare afflizioni e a procurare sofferenze.

Fu in questo scenario, mentre uomini di Stato e moralisti dell'epoca discutevano gravemente su così tanti e tanto insolubili problemi, che in una stalla di Betlemme, durante una notte tranquilla e benedetta, s'irraggiò sul mondo la salvezza.

La società del futuro, prodotta dalla soluzione dei problemi più importanti e vitali dell'epoca, nasceva allora a Betlemme, ed era dalle mani verginali di Nostra Signora che il mondo riceveva il Messia, destinato a redimere il mondo col Suo Sangue e a riorganizzarlo secondo il Suo Vangelo.

Qual’è la lezione principale che dobbiamo trarne?

In primo luogo, come per l'umanità dell'epoca di Augusto la soluzione dei più intricati problemi sociali e politici non fu trovata se non in Nostro Signore Gesù Cristo, così anche nel nostro tempo è soltanto nei suoi insegnamenti che dobbiamo porre le nostre speranze. «Instaurare omnia in Christo», fu il motto del grande Pontefice san Pio X.

Ma c'è anche un'altra riflessione, ancora più opportuna.

I teologi concordano nell'affermare che, se la salvezza si irraggiò pel mondo in quel tempo, lo dobbiamo alle onnipotenti preghiere della Ss.ma Vergine, che ottenne di anticipare il giorno della nascita del Messia. Nessuno può dire per quanti anni, o quanti secoli, la Redenzione avrebbe tardato, senza le preghiere di Maria.

Questa Redenzione avvenne per opera della preghiera umile e fiduciosa della Vergine Maria, interamente ignorata dai suoi contemporanei, dato che ella conduceva una vita contemplativa e solitaria nel piccolo angolo in cui la Provvidenza l'aveva fatta nascere.

Senza voler per questo sminuire, per poco che sia, la vita attiva, bisogna notare che fu per mezzo della preghiera e della contemplazione che il momento della Redenzione fu anticipato, e che quei benefici che il genio di Augusto e la sapienza di tutti i grandi politici, generali e amministratori del suo tempo non avevano potuto dare al mondo, Dio li dispensò per mezzo di Maria.

Inginocchiati davanti al Presepio, rivolgiamo al Divino Infante, per mezzo della Sua Santissima Madre, le nostre più ardenti preghiere: prima di tutto, per ciò che amiamo di più al mondo, ossia la Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Preghiamo per i santi, perché diventino più santi; per i buoni, perché si santifichino; per i tiepidi, perché diventino fervorosi; per i peccatori, perché diventino buoni; per gli empi, perché si convertino. Preghiamo quindi per noi stessi, per diventare più esigenti nell'ortodossia, più severi nella purezza, più fedeli nell'avversità, più pazienti nelle umiliazioni, più energici nella lotta [“militia est vita hominis super terram”, Giob 7), più compassionevoli verso coloro che, vergognandosi dei loro peccati, lodano pubblicamente la virtù e si sforzano seriamente di conquistarla.

Domine, adveniat Regnum tuum. Signore, venga il Vostro Regno: si realizzi esso in noi, per venir poi diffuso intorno a noi.


"Legionario”, 25 dicembre 1938.



mercoledì 18 dicembre 2024

Santa Messa della notte di Natale in V.O. a Pistoia

 



Nella chiesa di San Vitale 
in via della Madonna 
a Pistoia 


Martedì 24 Dicembre 2024

ore 21:00

sarà celebrata la 

SANTA MESSA 
della 
notte di Natale 


***


Mercoledì 25 Dicembre 2024

 ore 18:00

SANTA MESSA 
di NATALE 








martedì 17 dicembre 2024

Lettera del Vescovo J. E. Strickland: dobbiamo difendere la verità a tutti i costi



Nella traduzione a cura di Chiesa e post-concilio da substack la Lettera del Vescovo Strickland per l'Avvento.



Vescovo Joseph E. Strickland

In questo periodo dell'anno, mentre aspettiamo Nostro Signore, vorrei attirare per un momento la nostra attenzione su San Giuseppe, una persona per lo più silenziosa ma molto importante nell'Avvento di Nostro Signore. Conosciamo San Giuseppe come falegname perché San Matteo e San Marco usarono il termine greco tekton per descrivere il suo lavoro, che è un termine comune per un lavoratore del legno, un costruttore, un "falegname" - una persona le cui abilità nella lavorazione del legno includono "unire" pezzi di legno insieme. I padri latini interpretarono questa parola come "falegname".

La parola "falegname" è una parola adatta per San Giuseppe perché in molti modi fu chiamato a essere un costruttore di scale che fornivano gradini affinché il cielo "si unisse" alla terra e la terra "si unisse" al cielo. La Beata Vergine Maria fu chiamata a essere la Madre di Dio e San Giuseppe costruì una scala offrendo il matrimonio e una casa dove il Bambino Gesù potesse vivere sulla terra. Gesù Cristo dimorò nella casa che San Giuseppe fornì e, sebbene una casa e tutti i gradini che San Giuseppe costruì sarebbero stati fatti di materiali terreni, su di essi camminò il cielo: quindi si potrebbe dire che costruì una scala che collegava il cielo alla terra.

Quando pensiamo alle scale e alle cose che "uniscono" cielo e terra, pensiamo naturalmente alla Chiesa di Cristo, perché come cattolici, stiamo su una scala, o un ponte, costruito da Cristo che collega la terra al cielo. I gradini di questa scala sono i sacramenti che colmano l'abisso che separa il Creatore dal creato, e il Deposito della Fede è la struttura. Finché stiamo saldamente su questa scala, allora noi, come Maria che tiene in braccio Cristo bambino, possiamo guardare il volto di Dio. Perché nella Sua Chiesa, Cristo ci incontra veramente sulla terra, come nella Sua Chiesa Egli è veramente presente. I sacramenti sono segni efficaci perché portano veramente sulla terra (e vi inscrivono) ciò che simboleggiano. Affinché ciò accada, come sappiamo, deve essere "simboleggiato" correttamente (la scala deve essere costruita con i materiali giusti) sia nella "forma" che nella "materia". Se una delle due viene cambiata, la forma (le parole pronunciate) o la materia (la parte fisica del Sacramento), allora la validità viene distrutta. Ogni tavola di questa scala è quindi parte integrante dell'insieme.

Questa scala, o ponte, che collega la terra al cielo è sempre rimasta salda, nonostante i continui attacchi dall'esterno nel corso della storia della Chiesa. Tuttavia, ora vediamo attacchi che hanno origine dall'interno della Chiesa stessa, e che provengono da coloro che affermano di avere l'autorità di scatenare questa guerra. Ciò che sta accadendo ora è il culmine di ciò che i decaduti hanno sistematicamente, con intento diabolico, pianificato, e di ciò che è stato profetizzato da molti santi nel corso della storia della Chiesa. Tuttavia, le assi di questa scala sono state date da Cristo stesso, e qualsiasi materiale sostitutivo che venga messo al loro posto non sopporterà il peso di ciò che ci è stato dato. Pertanto, per me, come vescovo, è fonte di grave preoccupazione il fatto che i fedeli non perdano di vista la vera scala e poi si ritrovino in piedi su una scala costruita con materiali sostitutivi, chiedendosi perché la loro Chiesa sembra così vuota. Cristo sarà sempre presente nella Sua Chiesa, in piedi sulla scalinata che ha costruito, ma dobbiamo essere sicuri che anche noi ci troviamo lì e che non siamo stati sorpresi dalla “scimmia della Chiesa”, come l’ha giustamente chiamata l’arcivescovo Fulton Sheen.

Come vescovo, ho promesso, a qualunque costo, di restare saldo sulla vera scala che è stata data da Cristo e poggia su di Lui, e la cui struttura è il Deposito della Fede, e di proteggerla da chiunque tenti di scalzarne le assi. Sono chiamato a ricordare che il prezioso sangue di Cristo segna questa scala, e che è anche irrorata dal sangue dei martiri, e che devo essere disposto anche a versare il mio sangue per proteggerla. Perché Cristo morisse per noi, era necessario che Lui divenisse uomo e si arrendesse all'atrocità della morte mentre deteneva la chiave stessa della vita. Ciò ha richiesto una volontà senza pari, ha richiesto la Volontà di Dio. Ed è lì che Egli chiama ciascuno di noi, a camminare completamente nella Volontà di Dio.

Quando è iniziato il tentativo di distruzione di questa scalinata? Molti indicano come colpevole il Vaticano II. Sono nato nell'ottobre del 1958, lo stesso anno e mese in cui Papa Giovanni XXIII è stato eletto alla Cattedra di San Pietro come Pontifex Maximus (Sommo Pontefice), che significa grande costruttore di ponti. Lo menziono perché molto spesso quest'anno viene evidenziato come l'inizio del tumulto nella Chiesa che attualmente vediamo ribollire in innumerevoli modi. È vero che il suo pontificato e la sua decisione di convocare il Concilio Vaticano II sono stati un momento cruciale nella storia della Chiesa. L'11 ottobre 1962, Papa Giovanni XXIII aprì il Concilio Vaticano II; tuttavia, morì nel giugno del 1963 e prese il suo posto il suo successore, Paolo VI. La quarta e ultima sessione del Concilio si concluse nel dicembre del 1965.

Fu questo l'inizio? Sembra che ci sia stato un tentativo sistematico di demolizione di ciò che era stato considerato "irriformabile" prima del Vaticano II. E tuttavia, come hanno tentato i responsabili di distruggere ciò che è eterno? Lo hanno fatto tentando di limitare ciò che era del cielo a una definizione terrena, e questo è fatto in modo più efficace tentando di sostituire materiali creati dall'uomo a ciò che è stato dato dal cielo. Tuttavia, quando un'estremità poggia sulla terra e un'estremità poggia in cielo, come fa la Chiesa, allora l'uomo non può distruggerla. Ciò che può fare, tuttavia, è oscurare la Verità offrendo la "scimmia della Chiesa" al suo posto.

Non c'è dubbio che molto sia cambiato dopo il Vaticano II. C'è stata una nuova enfasi sulla Chiesa che cammina con il "mondo", e questo ha sicuramente aperto la porta a visioni teologiche che hanno compromesso l'identità unica della Chiesa. Idee come l'ecumenismo hanno colpito la scala, perché Cristo non ha mai detto che la Sua Chiesa dovesse essere una parte del mondo; in effetti, ha detto il contrario.

Con il Vaticano II, un movimento mirato ha iniziato a incoraggiare la Chiesa a impegnarsi nel "dialogo" con altre denominazioni. Eppure devo chiedere: "Di cosa bisognava dialogare?" Cristo ci ha dato la Sua Chiesa. Ora è chiaro che è frutto della progressione logica di ciò che è venuto fuori dal Vaticano II se siamo ora al punto in cui il Santo Padre può fare una dichiarazione come "Tutte le religioni sono percorsi verso Dio", e la maggior parte dei vescovi e cardinali annuisce e basta, senza mai dire una parola.

E tuttavia sanno – non possono fare a meno di sapere – che stanno abbandonando la scala che hanno promesso di proteggere. Ciò che papa Bonifacio VIII nella sua Bolla Unam Sanctam (1302) ha infallibilmente insegnato è su quella scala: “Siamo costretti in virtù della nostra fede a credere e sostenere che c'è una sola Chiesa cattolica, e una sola apostolica. Questo crediamo fermamente e professiamo senza riserve. Fuori da questa Chiesa non c'è salvezza e remissione dei peccati. Così, lo sposo proclama nel Cantico: "Unica è la mia colomba la mia perfetta. È l'unica di sua madre, la preferita di colei che l'ha generata" (Ct 6,8). Ora questa eletta rappresenta l'unico corpo mistico il cui capo è Cristo, e il capo di Cristo è Dio. In lei c'è "un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo" (Ef 4,5). Perché al tempo del diluvio esisteva una sola arca, la figura dell'unica Chiesa".

Ci sono molte parole divinamente ispirate sulla scala che ci porterebbero a concludere senza eccezioni che "No, tutte le religioni NON sono sentieri verso Dio". Perché, come ha affermato Papa Benedetto XV nella sua Enciclica Ad Beatissimi (1914), parole che sono anche su questa scala: "Il cattolicesimo, in ciò che gli è essenziale, non può ammettere né il più né il meno: «Questa è la fede cattolica; chi non la crede fedelmente e fermamente non potrà essere salvo»; o si professa intero, o non si professa assolutamente (Credo di Atanasio qui). Non vi è dunque necessità di aggiungere epiteti alla professione del cattolicesimo; a ciascuno basti dire così: «Cristiano è il mio nome, e cattolico il mio cognome»; soltanto, si studi di essere veramente tale, quale si denomina.

La Chiesa cattolica ha SEMPRE condannato la falsa credenza che tutte le religioni siano buone e vengano "da Dio". Questa è la falsa dottrina dell'indifferentismo religioso, ed è una tavola che non dovrebbe mai essere posta su questa sacra scala. Ci sono state molte, molte altre tavole che gli uomini hanno tentato di posizionare dopo il Vaticano II, fatte di materiali creati dall'uomo. Hanno cercato di sostituire i materiali creati dall'uomo a quelli celesti perché pensavano che i materiali originali fossero "fuori moda". Tuttavia, ciò che il cielo ha costruito non diventa mai fuori moda.

Molto di ciò che è uscito dal Vaticano II ha rappresentato un movimento dalla Chiesa cattolica alla chiesa conciliare. Ciò che è particolarmente tragico, ed è probabile, è il fatto che a questo punto abbiamo perso l'obiettivo di portare il mondo a Cristo.

Tuttavia, nulla è stato così dannoso per la scalinata come i cambiamenti avvenuti nel Santo Sacrificio della Messa. Sembra che ora gran parte della Chiesa si chieda con Santa Maria Maddalena quando incontrò la tomba vuota: "Dove l'hanno deposto?" I cambiamenti a cui la Chiesa ha assistito nel Santo Sacrificio della Messa dal Vaticano II hanno lasciato molti inconsapevoli di dove si trovi e del Suo sacrificio d'amore per tutta l'umanità, poiché la fede nella Presenza Reale è diminuita in maniera sostanziale.

La Messa Antica fu soppressa nel 1970 e molti cattolici abbandonarono la Chiesa, poiché Papa Paolo VI accusò chiunque osservasse la Messa Antica di essere ribelle al Concilio. Mentre rifletto sui cambiamenti che si verificarono nella Messa in seguito al Vaticano II, mi viene in mente l'arcivescovo Marcel Lefebvre. L'arcivescovo Lefebvre, che fondò la Fraternità di San Pio X (la FSSPX), una società sacerdotale tradizionalista, fu etichettato come disobbediente, ribelle e persino scismatico negli anni '70 e '80 per essersi rifiutato di celebrare la Nuova Messa. Tuttavia, Lefebvre sentiva che la Chiesa stava vivendo una profonda "crisi di fede" a causa dell'infiltrazione del modernismo e del liberalismo. Sentiva che c'era un tentativo attivo di staccare le assi della scala e sostituirle con le assi del mondo. Consacrò quattro vescovi "conservatori della tradizione" senza l'approvazione papale (sebbene avesse ripetutamente cercato l'approvazione per anni dopo che gli era stato precedentemente detto che gli sarebbe stata concessa) perché riteneva che senza vescovi che sostenessero gli insegnamenti tradizionali e la messa latina tridentina la continuità della tradizione della Chiesa sarebbe stata a rischio. E, quindi, si assicurò che la scalinata fosse preservata intatta.

Nel 1976, quando Lefebvre stava per ordinare 13 sacerdoti nella Società, l'arcivescovo Giovanni Benelli della Segreteria di Stato vaticana gli scrisse chiedendogli fedeltà alla chiesa conciliare, e l'arcivescovo Lefebvre rispose: "Qual è quella chiesa? Non conosco una chiesa conciliare. Sono cattolico!"

Io stesso, essendo stato in seminario in un'epoca in cui il latino non era più insegnato, e avendo sempre celebrato come sacerdote e vescovo il Novus Ordo (Nuova Messa), ho intrapreso un cammino per comprendere questo problema [vedi]. Vorrei esortare tutti noi a riconoscere, come ho imparato anch'io, che i problemi con la Santa Messa sono iniziati a causa di un tentativo di spostare l'attenzione lontano da Gesù Cristo e dal Suo sacrificio che È la Santa Messa.

Credo che dovremmo tutti sforzarci di essere cristiani del primo secolo nel ventunesimo secolo, e ciò è particolarmente significativo riguardo alla Santa Messa. L'alba della Chiesa includeva la celebrazione della Santa Messa, l'Ultima Cena, rendendo presente il sacrificio di Sé stesso di Cristo una volta per tutte. Racconti come quello di San Giustino Martire ci offrono descrizioni molto antiche di ciò che accadde durante la Santa Messa, e la bellezza di questi resoconti è che sono così vicini nel tempo al sacrificio che la Messa commemora. Dobbiamo mantenere la nostra attenzione su Gesù Cristo come fecero i primi cristiani, in modo che la distanza temporale dal Suo Sacrificio cada nell'insignificanza perché siamo concentrati sullo stesso Signore Crocifisso e Risorto come i primi cristiani.

Non c'è dubbio che con la Nuova Messa ci sia stata una minore attenzione a Gesù Cristo. Questo è stato spesso visto in modi sottili, ma abbiamo anche assistito, dal Vaticano II, a una drastica negligenza della Presenza Reale di Gesù Cristo che raggiunge il livello della bestemmia in molti casi. Quando la liturgia ha spostato la sua attenzione sul popolo e lontano da Gesù Cristo, ha aperto la porta a un'estrema negligenza della Sua Sacra Presenza.

È interessante notare che, sebbene il Novus Ordo sia solitamente celebrato in lingua volgare, la lingua comune del paese in cui viene celebrato, mentre la Messa tradizionale è celebrata in latino, la lingua normativa del Novus Ordo è anch'essa il latino. Sebbene siano state prese disposizioni affinché la Messa fosse celebrata in lingua volgare locale per ragioni pastorali, si è sempre dato per scontato che la Messa avrebbe continuato a essere celebrata in latino, e Papa Benedetto XVI ha sollecitato la reintroduzione del latino nel Novus Ordo. [Ma non è questione del latino, è la struttura, sono le formule che sono cambiate -ndT]

Quando fu introdotto il Novus Ordo, molte balaustre dell'altare furono rimosse. Tuttavia, la balaustra dell'altare ci ha aiutato a mantenere la distinzione tra il santuario (dove si trova l'altare e che rappresenta il cielo, dove conduce la nostra scalinata) e il resto della Chiesa (che rappresenta la terra e dove inizia la nostra scalinata). Nella Messa latina tradizionale, i comunicanti si inginocchiano alla balaustra dell'altare (la porta del cielo) e ricevono l'Eucaristia dal sacerdote sulla lingua.

Sebbene ci siano molte messe sacre e belle del Novus Ordo celebrate in modo coerente, è un dato di fatto che la Nuova Messa ha rappresentato una rottura in secoli di continuità liturgica. E con ciò è arrivato un massiccio declino nella partecipazione alla Messa, nelle vocazioni e nella fede negli insegnamenti cattolici fondamentali. Papa Benedetto XVI ha affrontato queste preoccupazioni con il suo motu proprio Summorum Pontificum del 2007 col quale ha ampliato l'accesso alla Messa latina tradizionale. Tuttavia, nel suo motu proprio Traditionis Custodes del 2021, Papa Francesco ha nuovamente limitato severamente l'accesso alla Messa latina tradizionale. Ma leggiamo queste parole di Papa Pio V nella sua Costituzione apostolica Quo Primum del 1570 riguardo alla Messa latina tradizionale:

“Anzi, in virtú dell'Autorità Apostolica, Noi concediamo, a tutti i sacerdoti, a tenore della presente, l'Indulto perpetuo di poter seguire, in modo generale, in qualunque Chiesa, senza scrupolo veruno di coscienza o pericolo di incorrere in alcuna pena, giudizio o censura, questo stesso Messale, di cui dunque avranno la piena facoltà di servirsi liberamente e lecitamente: così che Prelati, Amministratori, Canonici, Cappellani e tutti gli altri Sacerdoti secolari, qualunque sia il loro grado, o i Regolari, a qualunque Ordine appartengano, non siano tenuti a celebrare la Messa in maniera differente da quella che Noi abbiamo prescritta, né, d'altra parte, possano venir costretti e spinti da alcuno a cambiare questo Messale. Similmente decretiamo e dichiariamo che le presenti Lettere in nessun tempo potranno venir revocate o diminuite, ma sempre stabili e valide dovranno perseverare nel loro vigore. E ciò, non ostanti: precedenti costituzioni e decreti Apostolici; costituzioni e decreti, tanto generali che particolari, pubblicati in Concilii sia Provinciali che Sinodali; qualunque statuto e consuetudine in contrario, nonché l'uso delle predette Chiese, fosse pur sostenuto da prescrizione lunghissima e immemorabile, ma non superiore ai duecento anni. IX...”

Le parole che l'arcivescovo Lefebvre pronunciò in occasione dell'ordinazione di 13 sacerdoti nel 1976 sono parole che dovremmo prendere a cuore. Egli affermò: "Perché se la santissima Chiesa ha voluto custodire nel corso dei secoli questo tesoro prezioso che ci ha donato del rito della Santa Messa che è stato canonizzato da San Pio V, non è stato senza scopo. È perché questa Messa contiene tutta la nostra Fede, tutta la Fede cattolica: Fede nella Santissima Trinità, Fede nella Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo, Fede nella Redenzione di Nostro Signore Gesù Cristo, Fede nel Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo che è sgorgato per la redenzione dei nostri peccati, Fede nella grazia soprannaturale, che ci viene dal Santo Sacrificio della Messa, che ci viene dalla Croce, che ci viene attraverso tutti i Sacramenti. Questo è ciò che crediamo. Questo è ciò che crediamo nel celebrare il Santo Sacrificio della Messa di tutti i tempi. È una lezione di Fede e allo stesso tempo una fonte della nostra Fede, indispensabile per noi in quest'epoca in cui la nostra Fede è attaccata da tutte le parti. Abbiamo bisogno di questa Messa vera, di questa Messa di sempre, di questo Sacrificio di Nostro Signore Gesù Cristo per riempire realmente le nostre anime con lo Spirito Santo e con la forza di Nostro Signore Gesù Cristo."

Papa Benedetto XVI ha detto: "Ciò che le generazioni precedenti consideravano sacro, rimane sacro e grande anche per noi, e non può essere all'improvviso del tutto proibito o addirittura considerato dannoso. È doveroso per tutti noi preservare le ricchezze che si sono sviluppate nella fede e nella preghiera della Chiesa".

Ritengo che sia anche importante affermare qui che la FSSPX non è al di fuori della Chiesa cattolica e che, sebbene sia canonicamente irregolare, non è scismatica. Il vescovo Athanasius Schneider [vedi - qui] ha condotto uno studio approfondito sulla FSSPX e, di conseguenza, ha fornito una difesa chiara e coerente della Società. Ha affermato che i cattolici possono partecipare alle messe della FSSPX e ricevere i sacramenti dal suo clero senza preoccupazioni. Sebbene riconosca la "situazione canonica irregolare" della FSSPX, afferma che ciò non equivale a essere al di fuori della Chiesa e ha elogiato la FSSPX per aver sostenuto la fede e la liturgia cattolica tradizionale. Il vescovo Schneider ha anche chiesto il loro pieno riconoscimento canonico da parte del Vaticano, affermando che la FSSPX aderisce agli insegnamenti e ai sacramenti cattolici tradizionali così come sono stati praticati per secoli prima del Vaticano II.

In conclusione, vorrei citare una famosa dichiarazione fatta dall'arcivescovo Lefebvre nel 1974. È chiaro che egli ha percorso la via dell'apostolo ed è stato portato a stabilire un luogo sicuro, un rifugio, dove si potesse trovare la Messa dei secoli nella sua forma pura, un luogo dove il Deposito della Fede sarebbe stato protetto e la scalinata preservata intatta, anche mentre la scimmia della Chiesa stava staccando le assi e gettando via tutto ciò che è più prezioso. Ecco la dichiarazione dell'arcivescovo Lefebvre:

Ci atteniamo saldamente, con tutto il nostro cuore e con tutta la nostra anima, alla Roma cattolica, custode della fede cattolica e delle tradizioni necessarie a preservare questa fede, alla Roma eterna, maestra di saggezza e di verità.

Noi rifiutiamo, d'altra parte, e ci siamo sempre rifiutati di seguire la Roma di tendenze neo-moderniste e neo-protestanti, che si sono chiaramente evidenziate nel Concilio Vaticano II e, dopo il Concilio, in tutte le riforme che ne sono derivate.

Tutte queste riforme, infatti, hanno contribuito e contribuiscono tuttora alla distruzione della Chiesa, alla rovina del sacerdozio, all'abolizione del Sacrificio della Messa e dei sacramenti, alla scomparsa della vita religiosa, ad un insegnamento naturalista e teilhardiano nelle università, nei seminari e nella catechesi; insegnamento derivato dal liberalismo e dal protestantesimo, più volte condannato dal Magistero solenne della Chiesa.

Nessuna autorità, neppure la più alta nella gerarchia, può costringerci ad abbandonare o sminuire la nostra fede cattolica, così chiaramente espressa e professata dal Magistero della Chiesa per diciannove secoli.

«Ma anche se noi stessi», dice san Paolo, «o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anatema» (Gal 1,8).

Non è forse questo che il Santo Padre ci ripete oggi? E se possiamo discernere una certa contraddizione nelle sue parole e nei suoi atti, come in quelli dei dicasteri, ebbene scegliamo ciò che è sempre stato insegnato e facciamo orecchie da mercante alle novità che distruggono la Chiesa.

È impossibile modificare profondamente la lex orandi senza modificare la lex credendi. Al Novus Ordo Missae corrispondono un nuovo catechismo, un nuovo sacerdozio, nuovi seminari, una Chiesa pentecostale carismatica, tutte cose opposte all'ortodossia e all'insegnamento perenne della Chiesa.

Questa Riforma, nata dal Liberalismo e dal Modernismo, è avvelenata da cima a fondo; deriva dall'eresia e finisce nell'eresia, anche se tutti i suoi atti non sono formalmente eretici. È quindi impossibile per qualsiasi cattolico coscienzioso e fedele sposare questa Riforma o sottomettersi ad essa in qualsiasi modo.

L'unico atteggiamento di fedeltà alla Chiesa e alla dottrina cattolica, in vista della nostra salvezza, è il rifiuto categorico di accettare questa Riforma.

Ecco perché, senza alcuno spirito di ribellione, amarezza o risentimento, proseguiamo la nostra opera di formazione dei sacerdoti, con il Magistero senza tempo come nostra guida. Siamo persuasi che non possiamo rendere un servizio più grande alla Santa Chiesa Cattolica, al Sommo Pontefice e alla posterità.

Ecco perché ci atteniamo saldamente a tutto ciò che è stato creduto e praticato nella fede, nella morale, nella liturgia, nell'insegnamento del catechismo, nella formazione del sacerdote e nell'istituzione della Chiesa, dalla Chiesa di tutti i tempi; a tutte queste cose come codificate in quei libri che videro la luce prima dell'influenza modernista del Concilio. Questo faremo fino a quando la vera luce della Tradizione dissiperà l'oscurità che offusca il cielo della Roma Eterna.

Facendo questo, con la grazia di Dio e l'aiuto della Beata Vergine Maria, insieme a quello di San Giuseppe e San Pio X, siamo certi di rimanere fedeli alla Chiesa cattolica romana e a tutti i successori di Pietro, e di essere i fideles dispensatores mysteriorum Domini Nostri Jesu Christi in Spiritu Sancto. Amen.

L'arcivescovo non ha scritto questo con spirito di ribellione, ma piuttosto come un grido di battaglia per tutti coloro che vogliono combattere per Cristo Re. Offro questa stessa dichiarazione come anche il mio grido di battaglia per combattere per Lui.

Concludo questa lettera, rinnovando la nostra attenzione su Gesù Cristo. La Chiesa è Sua, la Messa è Sua, Egli si è offerto al Padre una volta per tutte per la salvezza delle nostre anime. Resistiamo a qualsiasi ulteriore tentativo di sminuire la nostra attenzione su di Lui e invece attiriamo tutta la Chiesa - ordinata, religiosa e laica - a conoscerLo più profondamente "nello spezzare il pane". E proclamiamo al mondo che Gesù Cristo è Salvatore e Signore di tutti.

E ai miei confratelli vescovi cito le parole di Giovanni Paolo II: “Dobbiamo difendere la verità a tutti i costi, anche se fossimo ridotti di nuovo solo a dodici”.

Che Dio Onnipotente vi benedica e che la nostra Santa e Immacolata Madre vi protegga e vi guidi sempre verso il suo Divin Figlio, Nostro Signore Gesù Cristo.

Vescovo Joseph E. Strickland
Vescovo emerito





lunedì 16 dicembre 2024

Lutero precursore di Amoris Laetitia, parola di Avvenire

 


Il quotidiano dei vescovi esalta gli «incroci sorprendenti» tra il riformatore di Wittenberg e l'esortazione sulla famiglia scritta da Francesco nel 2016. Un elogio che conferma dubbi e dubia sulla mentalità eterodossa alla base di certe "aperture".


Cripto-protestantesimo
Ecclesia 


Stefano Fontana, 16-12-2024

Molti – e tra essi chi scrive – hanno sostenuto che l’esortazione Amoris laetitia, scritta da Francesco nel 2016 a seguito del sinodo biennale sulla famiglia, è un testo – esprimendoci con moderazione – molto aperto alle esigenze del protestantesimo luterano. Ora questa valutazione viene confermata dal quotidiano Avvenire, non però per manifestare una perplessità o farne un problema, come era stato negli altri casi, ma come apprezzamento. Si dice addirittura che Lutero sarebbe stato profetico e avrebbe anticipato quanto la Chiesa ha finalmente scoperto nel 2016.

L’articolo in questione, firmato da Luciano Moia, ricorda che l’anno prossimo verranno celebrati i 500 anni dal matrimonio contratto da Lutero con Katherina Von Bora, la quale, come anche Lutero, aveva lasciato il convento. Da questo avvenimento prende spunto il teologo Francesco Pesce che per la Marcianum Press pubblica il libro Il matrimonio a Wittenberg. Con un’antologia di testi di Martin Lutero, e da questo libro prende spunto a sua volta Moia, citando qualche passo luterano sul matrimonio indirizzato alla “cara Kathe” e traendo alcune conclusioni sugli “incroci sorprendenti” tra Lutero e Amoris laetitia. L’impostazione del nostro autore ha numerosi vizi di forma: adopera una prosa ambigua, se la prende retoricamente con la “vulgata controriformistica” senza specificare di cosa si tratti, punta tutto su alcune affermazioni “sentimentali” più che teologiche dei testi luterani citati, ed è tutto pervaso dal luogo comune di cercare quanto ci unisce piuttosto che quanto ci divide, secondo l'approssimativo linguaggio ecumenicista.

A parte questi aspetti espressivi e di tono, ci sono in questo nuovo tentativo conciliarista alcuni punti inaccettabili. Uno di essi riguarda il tema della “gradualità” del matrimonio, che viene presentato nell’articolo di Moia come un tratto comune sia a Lutero che all’Esortazione. Per gradualità del matrimonio l’articolista e il teologo Pesce che egli commenta intendono i limiti, le imperfezioni e la situazione di peccato in cui comunque l’uomo si trova, ossia il male presente nell’esistenza matrimoniale nel quale Dio però conserva il bene. Più esattamente, però, con gradualità del matrimonio si intende che esso non sia in nessun modo una realtà perfettamente istituita, che non sia stabilita nella sua essenza in via definitiva, che non abbia una sua “natura” che tale rimane nonostante le imperfezioni umane. Il matrimonio non può essere “graduale”, il matrimonio non è un processo, è una realtà, i due sono una carne sola in via definitiva e non dipendente dalla loro evoluzione esistenziale; il matrimonio, una volta rato e consumato, è indisponibile. Moia e Pesce hanno ragione a dire che la gradualità del matrimonio è presente sia in Lutero che in Amoris laetitia, ma questo è un grosso problema dell’Esortazione.

Questo argomento della gradualità era già stato contestato ai tempi del sinodo sulla famiglia (2014-2015) da molti professori dell’Istituto Giovanni Paolo II per gli studi su matrimonio e famiglia. Purtroppo, con scarsi risultati allora e ancora di più oggi, come si vede anche da questo articolo. L’idea comporta di ripensare il matrimonio come un “ideale” e non come un sacramento che conferma e purifica una realtà naturale (torneremo più avanti su questo aspetto del carattere naturale del matrimonio). Se è un ideale da raggiungere e non una realtà che costituisce i coniugi come tali, si può essere più avanti o più indietro rispetto al suo raggiungimento, ma in nessun caso si può essere fuori dallo stesso. Inoltre, il precetto di non commettere adulterio perderebbe la sua perentorietà di un dovere di diritto divino, perché lo si vedrebbe collegato con i limiti esistenziali inevitabili lungo il processo, il quale può avere avanzamenti ma anche arretramenti, senza però che nessuno ne sia escluso. Tutti rimangono “dentro”. Davanti al matrimonio come ideale il peccato cambia di significato e si trasforma in una debolezza vissuta durante il percorso. Siamo in presenza qui di una rivoluzione nel campo della teologia sacramentale e morale, contenuta anche in Amoris laetitia.

Un altro punto dell’articolo deve pure essere censurato per la gravità delle inesattezze in esso contenute. Moia cita Pesce, il quale dice che «è il sacramento che rende indissolubile l’amore umano tra un uomo e una donna», sicché il motivo contro il divorzio sarebbe solo sacramentale, mentre Lutero «affermando che il matrimonio non può essere sciolto pur non essendo un sacramento, conferisce all’amore umano di per sé la qualifica dell’indissolubilità».

Lasciamo stare qui gli aspetti storici di questa dubbia difesa luterana dell’indissolubilità, per soffermarci su quelli teoretici e dottrinali. L’indissolubilità del matrimonio si basa anche sulla natura del matrimonio e poi, certamente, ancora di più sulla sua sacramentalità, ma anche sulla natura. San Tommaso, per esempio, elenca le cinque ragioni naturali per cui il matrimonio è monogamico e le sei ragioni naturali per cui è indissolubile. Quella di Moia/Pesce è una tesi inventata e priva di fondamento, essa elimina dalla questione la dimensione della natura e separa il piano naturale da quello soprannaturale, attribuendola anche ad Amoris laetitia. Un ottimo esempio di protestantesimo luterano.



Fonte


La Chiesa italiana e la Costituzione come Vangelo






Di Stefano Fontana, 16 Dic 2024

La Chiesa italiana ha assunto, specialmente di recente, un atteggiamento ossequioso rispetto alla Costituzione della Repubblica italiana, vista come la ragione prima e ultima dell’impegno sociale e politico dei cattolici. Nel 2022 il cardinale Matteo Zuppi, presidente dei vescovi italiani, aveva addirittura scritto una “Lettera alla Costituzione” che cominciava con queste parole: “Ti voglio chiedere aiuto, perché siamo in un momento difficile e quando l’Italia, la nostra patria, ha problemi, sento che abbiamo bisogno di te per ricordare da dove veniamo e per scegliere da che parte andare”. Nel giugno 2024 Zuppi ha anche affermato: “La visione cristiana ha contribuito, insieme a quella comunista, a quella socialista e a quella liberale, alla straordinaria sintesi della Costituzione” che rappresentava “una alta condivisione di quello che univa”. La Costituzione si può cambiare, aveva accennato, ma solo se “l’inchiostro è uno solo”, ossia tutti insieme nello spirito della Costituzione stessa.

Il cardinale Zuppi e i vescovi italiani sono intervenuti più volte su due temi politici di attualità: la proposta di introdurre il premierato e la legge sulla autonomia differenziata. In ambedue i casi essi si sono pronunciati contro, ispirandosi proprio a questa idea assoluta di Costituzione che bisogna venerare e mai cambiare. Non si è mai notato, in questi interventi sulla Costituzione, una sottolineatura di come la Costituzione sia stata tradita e stravolta non solo nel periodo Covid – quando la Chiesa italiana con spirito “costituzionale” aveva appoggiato la sospensione di alcuni punti forti della Carta – ma anche con l’approvazione di leggi piuttosto devastanti per il bene comune. Di recente, alla Settimana sociale di Trieste del luglio 2024, Zuppi e Mattarella hanno fatto un discorso in fotocopia tutto incentrato sulla democrazia e sulla Costituzione. La Chiesa italiana non dice nulla di più o di diverso di quanto dice il Presidente della Repubblica.

Prima e sopra la Costituzione

Alla visita medica per il reclutamento al servizio militare di leva si veniva definiti di “sana e robusta costituzione fisica”. Questa costituzione fisica era qualcosa di reale che emergeva da una indagine seria e che poi la dichiarazione del medico confermava. La stessa cosa si può dire della costituzione delle nazioni. Ognuna di esse ha una sua propria fisionomia sociale, culturale e religiosa, ha un proprio assetto economico e produttivo, ha una serie di leggi consuetudinarie o espresse da organi competenti a farlo. Se guardiamo ad una qualsiasi delle nazioni europee vediamo che le loro costituzioni reali si sono formate lungo la storia come sedimentazione della religione cristiana, del diritto naturale e della morale naturale. Prima della Rivoluzione, la Francia non era priva di una sua costituzione. Aveva le sue leggi e le sue magistrature, una sua fiorente economia impostata in un certo modo, una società organicamente divisa in ceti, sue tradizioni culturali e religiose, una serie articolata di leggi frutto di consuetudini, usi e costumi locali. La Francia dell’ancien régime non aveva una Carta ma ugualmente aveva una costituzione.

La Dottrina sociale della Chiesa, con il suo realismo di fondo, ha sempre sostenuto questo dato. C’è qualcosa che precede le Costituzioni scritte, che deve essere tenuto da loro in conto e che esse devono rispettare. Si tratta della distinzione tra costituzione reale e costituzione scritta. Non è la Costituzione scritta e approvata da una qualche assemblea che fonda quella reale, ma il contrario. La costituzione reale trovava un consenso, maturato lungo la storia e nella concretezza della vita, ma non assegnava a quel consenso la capacità di fondare la costituzione reale, pensava piuttosto il contrario. Questo spiega perché la Dottrina sociale della Chiesa non può accettare che la Costituzione sia considerata qualcosa di assoluto, un partire da zero, una rivoluzione, i suoi principi non sono ultimamente fondativi della vita sociale e politica, ma hanno bisogno anche essi di fondamento. Questo fondamento è naturale, come abbiamo visto, e poi anche soprannaturale perché la natura non fonda se stessa.

La novità del Costituzionalismo

Le cose erano andate aventi così per lungo tempo. Ad un certo punto però nacque qualcosa di nuovo. La dottrina politica moderna cominciò a negare che l’uomo fosse un “animale sociale” per natura, pensando che nella fase pre-sociale egli vivesse in un totale isolamento. Da questo momento si ritenne che la società nascesse da una scelta convenzionale tra gli individui e che non avesse niente prima e sopra di essa a cui rendere conto. Nasce così il costituzionalismo moderno che è l’ideologia della Costituzione. Fino a che non c’è una Carta non c’è nemmeno la società, la Carta non ha niente che la preceda in natura ma è creatrice della società, essa assume quindi un carattere assoluto perché prima e sopra di essa non c’è né legge né giustizia. La Costituzione, si badi, bene, a questo punto diventa solo l’espressione di un potere. Poiché buono e giusto è solo quanto essa stabilisce che sia, l’atto di porla sarà privo di bontà e giustizia, che nascono solo dopo questo atto, e quindi essa sarà posta senza criteri per farlo, ossia come pura forza. Questo atto di forza potrà essere espresso da una singola persona, da un gruppo di persone (una curia) o dall’intero popolo senza che con ciò cambi qualcosa. Se il popolo elegge un’assemblea costituente che poi approva una Carta intesa nel senso moderno appena visto, quella Carta sarà semplicemente posta dalla forza, in questo caso dalla forza della maggioranza.

Il Costituzionalismo nasce insieme allo Stato moderno: le due cose vanno insieme. Da ora in poi è lo Stato, in base alla Costituzione, a stabilire chi sia cittadino e cosa significhi esserlo. Prima la cittadinanza era un fatto naturale, ora diventa una questione artificiale: è cittadino chi è dichiarato tale dallo Stato in base alla Costituzione.

La Costituzione italiana

Anche la Costituzione italiana risente del costituzionalismo moderno. Il suo primo articolo riconosce al popolo una sovranità, ossia considera il popolo non sottomesso ad altro al disopra di se stesso. La Dottrina sociale della Chiesa non può ammettere il concetto di sovranità, perché significherebbe annullare il diritto naturale e Dio stesso come fonte della vita comunitaria. La Costituzione italiana non dice di fondarsi su Dio e nemmeno sul diritto naturale, ma sul lavoro che non riesce a fondare proprio niente. Ne consegue che la Costituzione italiana professa un indifferentismo etico e religioso. Qui ci si scontra con due punti di notevole interesse. L’articolo 1 dice che lo Stato “riconosce” i diritti del cittadino, sicché – molti sostengono – riconosce il diritto naturale. Questo non è vero perché c’è un elenco piuttosto lungo di sentenze della Corte costituzionale secondo cui alla base della Costituzione italiana c’è l’autodeterminazione del soggetto, il che esclude il diritto naturale. Il verbo “riconosce” non riguarda un presunto piano naturale dei diritti, ma significa semplicemente che lo Stato riconosce quelli che i soggetti pensano di avere. Il secondo punto riguarda la religione cattolica. L’articolo 7 viene spesso inteso come una accettazione in Costituzione della religione cattolica, il che contraddirebbe il carattere dell’indifferentismo religioso richiamato sopra. A ben vedere, però, ad essere costituzionalizzata nell’articolo 7 non è la religione cattolica ma il regime pattizio, tanto è vero che nel 1984 i Patti lateranensi del 1929 sono stati rivisti senza nessuna modifica del testo della costituzione. La Costituzione rimane indifferentemente libera per altri patti con altre religioni, come del resto dimostra l’otto per mille.

La Costituzione italiana è carente anche da altri punti di vista. Non è chiara sulla priorità dei doveri sui diritti, non riconosce in modo adeguato il principio di sussidiarietà e rimane fondamentalmente statalista, non dice che il matrimonio è indissolubile, dà una definizione di famiglia ancora troppo vaga al punto da permettere le sue deformazioni con le varie leggi sulle “unioni civili”. Con ciò voglio dire che non può essere un assoluto né la principale guida per i cattolici in politica.

L’eredità del Dossettismo

Sia il cardinale Zuppi che il presidente Mattarella possono essere definiti dossettiani. Giuseppe Dossetti (1913-1996) leggeva la situazione italiana della Resistenza e della fase costituente come l’occasione di dar vita ad una nuova democrazia. La lotta al fascismo e la resistenza erano stati secondo lui eventi epocali che dovevano produrre frutti continuativi. A questo scopo egli riteneva fondamentale un’apertura politica al Partito comunista italiano che esprimeva, secondo lui, una partecipazione di popolo di cui la nuova democrazia aveva bisogno. In questo quadro si comprende la grande importanza che egli diede, e che sempre darà, alla nuova Costituzione repubblicana, considerandola un testo rivoluzionario, non solo un insieme di norme, ma un progetto di rivoluzione democratica da realizzare. La Costituzione diventava così un assoluto quasi sacrale, al di sopra di tutto e di tutti, intangibile, un’utopia da realizzare. Si comprende anche come egli ponesse al centro di questo rinnovamento lo Stato e la sua attività di intervento nella società, nella cultura, nella scuola, nell’economia. Il suo scopo era costruire per i cattolici un partito post-religioso e post-cristiano, che accettasse la secolarizzazione e fondato appunto unicamente sulla Costituzione.









domenica 15 dicembre 2024

Il card. Cupich impedisce ai suoi fedeli di inginocchiarsi per ricevere la Santa Comunione, ma si arrampica sugli specchi nel dare spiegazioni



Di seguito  l’articolo scritto da Dorothy Commings McLean, pubblicato su Lifesitenews, nella traduzione  curata da Sabino Paciolla, 15 Dicembre 2024.



Dorothy Commings McLean

Il cardinale Blaise Cupich, arcivescovo di Chicago, ha vietato ai cattolici di inginocchiarsi per ricevere il Santissimo Sacramento.

“Nessuno deve compiere un gesto che richiami l’attenzione su di sé o che disturbi il flusso della processione [verso e dalla Santa Comunione]”, ha scritto. Cupich ha espresso questo divieto – e altre sorprendenti dichiarazioni sulle norme e le tradizioni liturgiche della Chiesa cattolica – in un articolo dell’11 dicembre sul Chicago Catholic, il giornale ufficiale della sua attuale arcidiocesi. Nella sua dichiarazione, il cardinale è sembrato affermare che l’appartenenza di un cattolico a una congregazione sostituisce la sua relazione personale con Cristo.

Riferendosi a una piccola sezione di Sacrosanctum Concilium, la sacra costituzione del Concilio Vaticano II del 1963 sulla liturgia cattolica, Cupich ha scritto:

[Il Concilio ha chiesto la partecipazione piena, attiva e consapevole di tutti i battezzati alla celebrazione dell’Eucaristia per riflettere la nostra convinzione che nella sacra liturgia i fedeli diventano il Corpo di Cristo che ricevono.

Il nostro rituale per ricevere la Santa Comunione ha un significato speciale a questo proposito. Ci ricorda che ricevere l’Eucaristia non è un’azione privata, ma piuttosto comunitaria, come implica la parola stessa “comunione”. Per questo motivo, la norma stabilita dalla Santa Sede per la Chiesa universale e approvata dalla Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti è che i fedeli procedano insieme come espressione del loro farsi avanti come Corpo di Cristo e ricevano la Santa Comunione in piedi.

Tuttavia, una dichiarazione della Conferenza episcopale statunitense sull’argomento afferma che la norma per ricevere la Santa Comunione negli Stati Uniti è “in piedi, a meno che un singolo fedele non desideri ricevere la Comunione in ginocchio” e che l’inchino è l’atto di riverenza compiuto da chi riceve.

Invece di offrire argomentazioni riguardo a qualsiasi pratica antica di ricevere la Santa Comunione, il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo, in piedi, il cardinale ha rivendicato l’importanza delle processioni nella storia della liturgia. A suo avviso, le processioni sono così cruciali che nessuno dovrebbe “impedire” o “disturbare” la “potente espressione simbolica” della marcia verso e dalla Santa Comunione:

Non si dovrebbe fare nulla per ostacolare nessuna di queste processioni, in particolare quella che si svolge durante il rituale della sacra Comunione. Disturbare questo momento non fa che diminuire questa potente espressione simbolica, con la quale i fedeli in processione esprimono insieme la loro fede di essere chiamati a diventare il Corpo stesso di Cristo che ricevono. Certamente la riverenza può e deve essere espressa inchinandosi prima di ricevere la Santa Comunione, ma nessuno deve compiere un gesto che richiami l’attenzione su di sé o interrompa il flusso della processione.

Il cardinale Cupich, che prima della sua nomina a sorpresa del 2014 alla sede di Chicago era vescovo di Rapid City, nel Sud Dakota, si è spinto fino a suggerire che inginocchiarsi per ricevere il Santissimo Sacramento “sarebbe contrario alle norme e alla tradizione della Chiesa, che tutti i fedeli sono invitati a rispettare e osservare”.

In realtà, la tradizione della Chiesa cattolica, ininterrotta fino all’epoca della sperimentazione liturgica degli anni ’60 e ’70, prevede che i fedeli laici ricevano il Santissimo Sacramento, amministrato da un sacerdote, le cui mani sono state consacrate per la manipolazione della sacra Eucaristia, sulla lingua mentre sono inginocchiati.

Quando ai cattolici è stato proibito di ricevere la Santa Comunione sulla lingua in ginocchio, come è loro diritto, durante l’“emergenza” COVID, molti hanno abbandonato le loro chiese parrocchiali per sostenere le comunità locali di Messa Latina Tradizionale, comprese le cappelle della Società sacerdotale di San Pio X (SSPX).

Secondo la testimonianza esplosiva dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò, Cupich fu raccomandato a Papa Francesco come un buon candidato ad arcivescovo di Chicago dall’allora cardinale Theodore McCarrick.

Il dottor Joseph Shaw, presidente di Una Voce International, che cerca di preservare e promuovere la Messa latina tradizionale, ha sottolineato a LifeSiteNews una falla nel ragionamento dei cardinali.

“È difficile interpretare le osservazioni del cardinale Cupich, dal momento che l’inchino prima di ricevere la Santa Comunione è così raro che chi lo fa, in conformità con la legge liturgica, attirerà certamente l’attenzione su di sé, ed è difficile capire come sia possibile inchinarsi senza disturbare il flusso della processione”, ha detto Shaw a LifeSite via social media.

“Più facile da realizzare, infatti, è inginocchiarsi per ricevere la Santa Comunione e riceverla sulla lingua”, ha continuato. Non solo questi adempiono all’obbligo di fare un “atto di riverenza”, ma la legge liturgica li permette espressamente (Redemptionis Sacramentum 91)”.

A completamento delle osservazioni di Shaw, il dottor Peter Kwasniewski ha affermato a LifeSiteNews che “a nessuno può essere negata” la ricezione della Santa Comunione in ginocchio, che, “inoltre, non interrompe alcuna ‘processione’”.

Kwasniewski ha osservato che Cupich “non ha nemmeno capito bene il detto latino. Non è ‘lex orandi, lex credenda’, ma ‘lex orandi, lex credendi’” e che il prelato ‘evita malamente di dire che il Vaticano ha ripetutamente affermato il diritto dei laici di ricevere la Comunione in ginocchio se lo desiderano’.

Continuando, lo studioso di liturgia ha affermato che nella sua nota, Cupich “evita le mine della comunione nella mano rispetto a quella sulla lingua. Possiamo essere grati che non abbia cercato di estendere l’idea del pasto a ‘tutti prendono il cibo con le mani durante un pasto’! Ma la sua logica viene meno quando cerca di sostenere che è più comunitario ricevere in piedi che seduti”.

“Innanzitutto, le persone mangiano in piedi? Si gode della comunione in piedi? La maggior parte delle volte ci sediamo per un pasto o una conversazione (come del resto fecero Gesù e gli apostoli nell’Ultima Cena: si sdraiarono a tavola). Più precisamente, è molto più comunitario avere i fedeli inginocchiati di fronte alla balaustra dell’altare, spalla a spalla, mentre il sacerdote passa da uno all’altro. Come può essere più comunitario mettersi in fila, uno alla volta, come se si comprassero i biglietti dell’autobus?”, ha argomentato.

In una nota finale, Kwasniewski ha criticato “l’idea che la Chiesa sia stata così arricchita dal Vaticano II e dalle sue riforme liturgiche” espressa da Cupich. Questa idea, ha detto, “è smentita dal costante declino della frequenza in chiesa dalla metà degli anni Sessanta in poi (cioè dal momento in cui la tinkerite è iniziata seriamente)”.

“La forma più elementare di partecipazione attiva è quella di presentarsi a Messa. Su questo semplice criterio, la riforma è stata un colossale flop”.