giovedì 28 febbraio 2019

I misteri del Papa emerito





Il 28 febbraio di sei anni fa Benedetto XVI lasciava definitivamente il Palazzo apostolico e proseguiva il suo ministero in una vita di preghiera. Ma il significato di quella rinuncia è sempre rimasto incompreso, lui stesso ha avallato l'idea di una riforma del papato ma senza spiegarne i dettagli. È un tema di cui poco si parla, eppure avrà grandi conseguenze per la Chiesa.




di Riccardo Cascioli, 28-02-2019 

Molti avranno ancora impresse negli occhi le immagini di quel 28 febbraio di sei anni fa
quando papa Benedetto XVI in elicottero lasciò definitivamente il Palazzo apostolico in Vaticano per spostarsi temporaneamente a Castelgandolfo, per iniziare «da pellegrino l’ultimo tratto della sua vita». Il precedente 11 febbraio, festività della Madonna di Lourdes, aveva annunciato la sua rinuncia al Papato.


Per molto tempo si è discusso, e tuttora si discute, sulle reali ragioni di quella rinuncia
, spesso fantasticando, malgrado Benedetto abbia sempre affermato che si trattasse di una decisione «in piena libertà». Molto meno si è invece riflettuto sul “dopo rinuncia”, che a ben vedere è il fatto maggiormente gravido di conseguenze per la Chiesa. Perché se la rinuncia al Papato è già avvenuta nel passato ed è anche prevista dal Codice di Diritto canonico, mai è stato pensato e, men che meno teorizzato, il papato “emerito”.


Per capire quanto la cosa abbia colto di sorpresa basti citare l’articolo della Civiltà Cattolica
(che esce dopo il visto della Segreteria di Stato) pubblicato subito dopo l’11 febbraio a firma del canonista padre Gianfranco Ghirlanda: «È evidente che il Papa che si è dimesso non è più Papa, quindi non ha più alcuna potestà nella Chiesa e non può intromettersi in alcun affare di governo. Ci si può chiedere che titolo conserverà Benedetto XVI. Pensiamo che gli dovrebbe essere attribuito il titolo di vescovo emerito di Roma, come ogni altro vescovo diocesano che cessa».


Invece Benedetto XVI aveva in mente altro e volle essere “papa emerito”
, conservando il titolo di “Sua santità” e vestendo la talare bianca semplice. Un inedito, il cui significato e le cui conseguenze per la Chiesa sono ancora tutte da esplorare. Di sicuro, in qualche modo si è verificato un cambiamento del papato. Seppure sia improprio parlare di “due Papi”, di certo Benedetto XVI non ha inteso rinunciare in toto al suo ministero. Lo disse chiaramente nell’ultima udienza del 27 febbraio: «Il “sempre” è anche un “per sempre” - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro».


Come spiegherà monsignor Georg Gänswein
, segretario personale di Benedetto XVI e prefetto della Casa Pontificia, in uno storico discorso il 21 maggio 2016, seppure non vi siano «due papi», tuttavia si può parlare «de facto di un ministero allargato, con un membro attivo e un membro contemplativo». E poco prima aveva detto che «dall’11 febbraio 2013 il ministero papale non è più quello di prima. È e rimane il fondamento della Chiesa cattolica; e tuttavia è un fondamento che Benedetto XVI ha profondamente e durevolmente trasformato nel suo pontificato d’eccezione».


Si tratta di affermazioni di una portata enorme
, eppure sono cadute nel dimenticatoio. Papa Francesco non ha mai assecondato questa visione, cercando di relegare Benedetto XVI al semplice ruolo di «nonno saggio in casa» e valorizzando soltanto l’istituto delle dimissioni del Papa. Anche qui, di fronte a due modi così diversi di comprendere il passaggio storico, ci si aspetterebbe un dibattito all’altezza della novità. Invece niente.


Si può continuare a fare finta di nulla, ma il fatto storico
, la «riforma del Papato» resta e produrrà comunque delle conseguenze. Meritoriamente, nel suo ultimo libro (Il segreto di Benedetto XVI, Rizzoli) Antonio Socci ripercorre tutti i passaggi fondamentali di questa vicenda, esaminando gli interventi di Benedetto XVI e di monsignor Gänswein, che hanno aggiunto via via dettagli e criteri per comprendere almeno in parte il senso della decisione del papa emerito. La parte centrale del libro, con tanto di commenti di diversi canonisti, diventa dunque una sintesi imperdibile per comprendere la posta in gioco.


Si può o meno concordare sulle premesse alla rinuncia di Benedetto XVI
e sulle conclusioni che Socci trae, ma resta il fatto che oggi, a distanza di sei anni, non è meno importante di allora comprendere come sia cambiato il papato. Anzi, visti gli sviluppi recenti, si direbbe che sia ancora più urgente.







martedì 26 febbraio 2019

Non è clericalismo, è lussuria




di Aldo Maria Valli, 25-02-2019

Provate a immaginare un summit di agronomi. Convocati dal capo degli agronomi, arrivano da tutto il mondo e dicono di essere assai preoccupati. Alcune piante molto preziose, indispensabili per la vita sulla terra, si ammalano gravemente e in alcuni caso muoiono. La questione è dunque come curare le piante e soprattutto come mettersi al riparo dal pericolo, perché le piante non siano più colpite. Che si fa? Per prima cosa si cercano le cause, ma proprio qui nasce un problema. Gli agronomi sanno che almeno nell’ottanta per cento dei casi la colpa dell’attacco alle piante è di un certo agente patogeno (lo sanno perché lo dicono le indagini condotte in varie coltivazioni, ma anche in base alla loro esperienza diretta), eppure, per un tacito accordo, evitano accuratamente non solo di occuparsi di quell’agente patogeno, ma perfino di nominarlo. Gli agronomi sostengono di avere a cuore la sorte delle piante, e probabilmente è vero. Prova ne sia che nel corso del summit hanno parole di grande tenerezza, partecipazione e condivisione per le sofferenze patite dalle povere piante. Inoltre, durante la loro assise mondiale, gli agronomi ripetono spesso che quanto è accaduto è di una gravità inaudita e non dovrà succedere mai più. Ecco perché, spiegano, ci saranno controlli sempre più severi. Tuttavia, in base a quel tacito accordo, il nome dell’agente patogeno non viene mai fatto.

Orbene, come pensate che si possa concludere un tale summit? Si concluderà con espressioni molto accorate e con tanti buoni propositi, ma, purtroppo, nel segno di una sostanziale inefficacia. Perché se il principale responsabile della malattia non può essere neppure nominato, è chiaro che qualunque proposito di contrasto del contagio è destinato a rivelarsi inconcludente.

Ecco, il summit mondiale sugli abusi che si è tenuto in Vaticano assomiglia sotto molti aspetti al nostro immaginario incontro di agronomi. Al summit infatti sono state spese parole forti a condanna degli abusi, in difesa delle vittime e per una prevenzione più efficace. Eppure quella che, secondo gli studi e l’esperienza diretta, appare come una delle componenti decisive all’origine degli abusi stessi (o forse addirittura la componente decisiva) non è stata mai nemmeno nominata. O, se è stata nominata, ciò è avvenuto solo per dire che quella componente in realtà non c’entra per nulla.

La parola che non è stata mai nominata, l’avete capito, è omosessualità. E questa omissione inficia alla radice tutto ciò che è stato detto durante l’incontro mondiale.

Le ricerche condotte sul campo, le notizie di cronaca e le rivelazioni che, di tanto in tanto, sia pure a fatica, rompono il muro dell’omertà dicono che nell’ottanta per cento dei casi gli abusi commessi da chierici hanno natura omosessuale e non sono casi di pedofilia (interesse sessuale di un adulto per soggetti prepuberi), ma di efebofilia (interesse sessuale di un adulto nei confronti della medio-tarda adolescenza, in una fascia d’età compresa tra i quattordici e i diciannove anni). Nella stragrande maggioranza dei casi siamo quindi di fronte a maschi che abusano di maschi adolescenti. Ma nel corso del summit vaticano questa realtà è stata ignorata. Anzi, fin dal titolo (La protezione dei minori nella Chiesa) la si è voluta distorcere.

Sul banco degli imputati è stata messa una realtà inafferrabile e imprecisata: il clericalismo. Sarebbe questo il colpevole degli abusi, come ha confermato Francesco nell’intervento di chiusura. Ma che cos’è precisamente il clericalismo?

Nell’accezione comune, il clericalismo è un tipo di ideologia che rivendica la possibilità di intervento da parte della Chiesa nella politica e negli affari di uno Stato. Bergoglio invece usa la parola in un senso diverso: fa coincidere il clericalismo con l’abuso di potere e sostiene che tale abuso sorge quando il prete per qualche ragione si sente superiore agli altri ed è distante dal popolo.

Ora, ammesso e non concesso che la parola sia utilizzabile nell’accezione divenuta comune negli interventi di Bergoglio, non è difficile accorgersi che attribuire l’origine degli abusi al clericalismo sposta tutto il discorso sul piano dell’indeterminatezza e dell’ambiguità. Un po’ come succede quando si dice che se il mondo va male è colpa della società, sostenere che se nella Chiesa ci sono gli abusi è colpa del clericalismo in realtà non spiega molto. Anzi, non spiega niente.

L’abuso di potere, che a giudizio del papa è l’elemento più importante per comprendere il fenomeno degli abusi sessuali, può essere senz’altro una concausa, come succede ogni volta che un superiore approfitta della sua posizione per sfruttare, manipolare e oltraggiare l’inferiore, ma di per sé non basta. Per andare più in profondità occorre entrare nella sfera sessuale. E se si fa questo ci si imbatte inevitabilmente nella questione dell’omosessualità.

Non ci si venga ora a dire che ragionare così è sintomo di omofobia, perché qui nessuno sta sostenendo che c’è una relazione di causa-effetto tra omosessualità e abuso. Si sta dicendo che, per quanto concerne gli abusi da parte di esponenti della Chiesa, non è possibile ignorare la questione dei chierici omosessuali.

In generale tutto il summit ha sofferto a causa di questo spostamento del focus verso una direzione poco chiara.

Sentite che cosa mi scrive un prete, molto deluso dall’esito dell’incontro: “Questo meeting degli episcopati ha partorito solo vaghe indicazioni di tipo procedurale su trasparenza, denunce e processi, ma nulla sulle cause del fenomeno, in primis l’omosessualità e i costumi non casti dei consacrati, sia etero sia omosessuali. Ma solo partendo da queste cause è possibile affrontare il problema radicalmente e fare vera prevenzione. Il livello dell’analisi, così come la proposta dei rimedi, è rimasta nell’ambito giuridico, canonico e amministrativo, senza toccare la sfera morale. Come se il sesto comandamento in tutta la faccenda non c’entrasse per nulla! Ma questo è un modo pagano di affrontare la questione, non cristiano, né tanto meno cattolico”.

Sono pienamente d’accordo. Aggiungerei che è un modo sociologico, e infatti durante i lavori (e anche leggendo l’intervento finale del papa) è sembrata emergere più la dimensione sociologica dell’analisi che quella teologica e spirituale.

Resta una domanda: perché le cose sono andate così? Chi ha operato per estromettere la parola omosessualità dal confronto? Chi ha voluto che dal titolo del summit sparisse il riferimento agli adulti vulnerabili e restasse solo la tutela dei minori? Chi ha fatto in modo che certe realtà restassero avvolte nella nebbia?

Rileggere la vicenda McCarrick (per limitarci alla più celebre) può aiutare a trovare la risposta. Nella Chiesa cattolica c’è una classe omosessualista in grado di condizionare, deviare, coprire. Questa è la rete nella quale occorre con coraggio mettere le mani. Questo è il bubbone che occorre far esplodere.

Il vero clericalismo, se proprio vogliamo usare questo termine, è quello di chi non vuole fare chiarezza e chiamare le cose con il loro nome. Il dramma degli abusi nasce dal vizio e dal peccato della lussuria. Ed è sulla mancanza di fede che la Chiesa deve interrogarsi.

Che cosa produce invece l’approccio sociologico, che tanto piace al mondo? Solo operazioni mediatiche. Che si traducono in generiche condanne e in una commiserazione sterile. Oltre che in un sostanziale insabbiamento.

Aldo Maria Valli















domenica 24 febbraio 2019

Pellegrinaggio 2019 a Lourdes con l'ICRSS







Pellegrinaggio a Lourdes dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote. Quattro partenze dall'Italia: Roma, Firenze, Livorno, Bergamo. Sabato 27 aprile – giovedì 2 maggio; Lunedì 29 aprile – venerdì 3 maggio.





Come di tradizione, l’Istituto di Cristo Re organizza anche quest’anno un pellegrinaggio internazionale al Lourdes in Francia. Il Cardinale Raymond L. Burke presiederà il pellegrinaggio, e molti seminaristi di Gricigliano ci accompagneranno ai piedi della Madonna. A Lourdes, la nostra Madre celeste si lascia toccare il Cuore dalle preghiere dei suoi figli!

Programma:

Sabato 27 aprile Sera: Partenza dei pullman dei pellegrini provenienti dalla Toscana.

Domenica 28 aprile
Mattina: Arrivo dei pullman dei pellegrini provenienti dalla Toscana e arrivo del volo proveniente da Roma. A Lourdes, sistemazione in albergo. Visita e preghiera alla Grotta. Pranzo in albergo.
Pomeriggio: Piscine, Rosario alla Grotta, devozioni personali. Santa Messa di apertura del pellegrinaggio. Confessioni. Cena in albergo.

Lunedì 29 aprile
Mattina: Via Crucis per i gruppi di Roma e della Toscana. Santa Messa. Confessioni. Pranzo in albergo.
Pomeriggio: Visita dei luoghi dell’infanzia di Santa Bernadette. Rosario alla Grotta (indulg. plenaria).
Sera: arrivo del volo proveniente da Bergamo. Cena in albergo.

Martedì 30 aprile
Mattina: Santa Messa solenne nella Basilica dell’Immacolata Concezione. Pomeriggio: Piscine. Conferenza del Cardinal Burke. Vespri. Cena in albergo. Sera: Processione mariale aux flambeaux.

Mercoledì 1° maggio
Mattina: Santa Messa Pontificale celebrata dal Cardinal Burke nella Basilica dell’Immacolata Concezione. Pranzo in albergo. Partenza dei pullman diretti alla Toscana. Pomeriggio: Conferenza di Mons. Wach, Priore generale dell’Istituto di Cristo Re. Benedizione del Santissimo Sacramento. Cena in albergo.

Giovedì 2 maggio Mattina: Santa Messa. Via Crucis per il gruppo arrivato da Bergamo. Pranzo in albergo. Pomeriggio: partenza del volo diretto a Roma. Visita dei luoghi dell’infanzia di Sta Bernadette per il gruppo arrivato da Bergamo. Cena in albergo.

Venerdì 3 maggio Mattina: Santa Messa. Rosario alla Grotta (indulg. plenaria). Pranzo in albergo. Pomeriggio: partenza del volo diretto a Bergamo.







Il programma prevede diverse partenze dall'Italia (in aereo da Roma Ciampino e da Bergamo; in pullman dalla Toscana).







Per partecipare:


SCARICARE il MODULO di ISCRIZIONE nel sito dell'ICRSS e mandarlo compilato all’indirizzo mail: pellegrinaggi@icrsp.org


















mercoledì 20 febbraio 2019

Appello ai vescovi da parte dei cardinali Burke e Brandmuller: "Vi incoraggiamo ad alzare la voce per salvaguardare e proclamare l’integrità della dottrina della Chiesa"





I cardinali superstiti dei Dubia scendono di nuovo in campo con una lettera aperta ai presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo, che da giovedì 21 febbraio si riuniscono in Vaticano per discutere sul tema degli abusi sessuali del clero. Il problema non è il clericalismo, dicono, ma «nell'essersi allontanati dalla verità del Vangelo». «La negazione (...) della legge divina e naturale - dicono -, sta alla radice del male che corrompe certi ambienti della Chiesa».
19-02-2019



Lettera Aperta ai Presidenti delle Conferenze Episcopali

Cari Confratelli, Presidenti delle Conferenze Episcopali,


Ci rivolgiamo a Voi con profonda afflizione!

Il mondo cattolico è disorientato e si pone una domanda angosciante: dove sta andando la Chiesa?


Di fronte alla deriva in atto, sembra che il problema si riduca a quello degli abusi dei minori, un orribile crimine, specialmente quando perpetrato da un sacerdote, che però è solo parte di una crisi ben più vasta. La piaga dell’agenda omosessuale è diffusa all’interno della Chiesa, promossa da reti organizzate e protetta da un clima di complicità e omertà. Le radici di questo fenomeno evidentemente stanno in quell’atmosfera di materialismo, di relativismo e di edonismo, in cui l’esistenza di una legge morale assoluta, cioè senza eccezioni, è messa apertamente in discussione.


Si accusa il clericalismo per gli abusi sessuali, ma la prima e principale responsabilità del clero non sta nell’abuso di potere, ma nell’essersi allontanato dalla verità del Vangelo. La negazione, anche pubblica, nelle parole e nei fatti, della legge divina e naturale, sta alla radice del male che corrompe certi ambienti della Chiesa.


Di fronte a questa situazione, cardinali e vescovi tacciono. Tacerete anche Voi in occasione della riunione convocata in Vaticano il prossimo 21 febbraio?


Siamo tra coloro che nel 2016 interpellarono il Santo Padre sui dubia che dividevano la Chiesa dopo le conclusioni del Sinodo sulla famiglia. Oggi quei dubia non solo non hanno avuto risposta, ma sono parte di una più generale crisi della fede. Perciò, Vi incoraggiamo ad alzare la voce per salvaguardare e proclamare l’integrità della dottrina della Chiesa.


Preghiamo lo Spirito Santo perché assista la Chiesa e illumini i pastori che la guidano. Un atto risolutore ora è urgente e necessario. Confidiamo nel Signore che ha promesso: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).


Walter Card. Brandmüller


Raymond Leo Card. Burke

















lunedì 18 febbraio 2019

Davvero tutte le religioni sono volute da Dio?



Il Documento sulla fratellanza universale firmato da papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar fa ancora — giustamente — discutere. Don Alfredo Maria Morselli, parroco, teologo e curatore del sito DogmaTV, lo esamina e spiega perché non è possibile che l’unico vero Dio possa ingannare gli uomini o lasciarli nell’ignoranza.

17/02/2019

Il pluralismo e la diversità di religione sono voluti da Dio nella sua sapienza?

 di don Alfredo Morselli
Il recente Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato ad Abu Dhabi[1] da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahmed al-Tayybha suscitato non poche reazioni e contestazioni.
La frase che ha destato maggiori perplessità è la seguente: “il pluralismo e la diversità di religione… sono una sapiente volontà divina” (ingl.: “are willed by God in His wisdom”, ar.: حِكمةٌ لمَشِيئةٍ إلهيَّةٍ، = hikmt lmashiyt ‘ilhyatin = “saggezza della volontà divina”).
Ma vediamo la frase incriminata nel suo contesto prossimo:
“- La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano”.
Dobbiamo dire che le reazioni a queste affermazioni sono tutt’altro che ingiustificate: ciò che scandalizza è l’aver posto sullo stesso piano valori certamente positivi (diversità… di colore, di sesso, di razza e di lingua) con un qualche cosa che in sé non è positivo, ovvero la “diversità di religione”: questa diversità implica necessariamente che alcuni fratelli credano cose false. Quel Dio che “vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità”[2], si troverebbe ora “sapientemente” a volere che gli uomini possano credere cose diverse dalla verità stessa.
Il problema è dunque questo: è possibile che Dio voglia le false religioni?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo vedere la relazione delle varie sostanze create con la volontà divina. E si tratta di una relazione analogica.
Prendiamo due casi limite: il demonio e Maria Immacolata: se il demonio esiste, è perché Dio vuole che esso esista; infatti ogni creatura è sostenuta in essere continuamente da Dio, e se Dio non ne volesse l’esistenza, essa non esisterebbe. Anche l’Immacolata è voluta da Dio; però non si può certo dire che l’Immacolata e il demonio sono voluti da Dio allo stesso modo.
Analogamente, sono volute da Dio in qualche modo anche “il pluralismo e la diversità di religione”, ma la vera religione, la nostra santa religione Cattolica, è voluta da Dio in modo ben diverso rispetto alle false religioni.
In questo studio vorrei evidenziare la differenza sostanziale con cui la vera religione da un lato, e le false dall’atro, sono oggetto della volontà divina.
  1. Dio vuole che tutti gli uomini siano religiosi
Innanzi tutto è vero che Dio vuole che tutti gli uomini siano religiosi. Ricordiamo che la religione è una virtù naturale, annessa alla virtù della giustizia, quasi una pars potestativa di essa[3].
Siccome l’uomo, con la sola ragione, può conoscere l’esistenza di un Dio Creatore e Provvidente, di conseguenza l’uomo stesso è tenuto a esprimere, mediante vari atti di culto, la sua totale dipendenza rispetto al medesimo Dio. E tutto questo a prescindere dalla Rivelazione soprannaturale[4]. In questo senso vanno comprese altre parole dello stesso Documento:
“Il primo e più importante obiettivo delle religioni è quello di credere in Dio, di onorarLo e di chiamare tutti gli uomini a credere che questo universo dipende da un Dio che lo governa, è il Creatore che ci ha plasmati con la Sua Sapienza divina e ci ha concesso il dono della vita per custodirlo. Un dono che nessuno ha il diritto di togliere, minacciare o manipolare a suo piacimento, anzi, tutti devono preservare tale dono della vita dal suo inizio fino alla sua morte naturale. Perciò condanniamo tutte le pratiche che minacciano la vita come i genocidi, gli atti terroristici, gli spostamenti forzati, il traffico di organi umani, l’aborto e l’eutanasia e le politiche che sostengono tutto questo”.
Possiamo anche dire che l’essere religiosi non è solo “un dono che nessuno ha il diritto di togliere”, ma è anche un dovere da cui nessuno ha diritto di esimersi.
Detto questo, come si deve comportare un uomo a cui non è ancora stata annunziata la vera religione, e che si trova senza sua colpa nell’errore?
  1. Dio vuole che tutti gli uomini facciano, con l’aiuto della grazia, tutto quello che possono.
Senza fede è impossibile piacere a Dio[5] scrive San Paolo, e fuori dalla Chiesa non vi è salvezza[6]. Dobbiamo anche dire che mai la Chiesa ha creduto che, in caso di ignoranza invincibile, per salvarsi fosse necessario professare integralmente la religione Cattolica. Da questi due principi nasce la bella sintesi del Catechismo maggiore di San Pio X, tuttora valida, chiarissima nella sua essenzialità:
“171 D. Ma chi si trovasse, senza sua colpa, fuori della Chiesa, potrebbe salvarsi?
  1. Chi, trovandosi senza sua colpa, ossia in buona fede, fuori della Chiesa, avesse ricevuto il Battesimo, o ne avesse il desiderio almeno implicito; cercasse inoltre sinceramente la verità e compisse la volontà di Dio come meglio può; benché separato dal corpo della Chiesa, sarebbe unito all’anima di lei e quindi in via di salute”.
Esemplare è il caso del centurione Cornelio, le cui preghiere – pur non essendo egli ancora cristiano – erano gradite a Dio[7]: San Tommaso dice che erano gradite perché aveva la fede implicita, a tal punto che non si può dire che fosse infedele:
“Quanto al centurione Cornelio si deve notare che egli non era infedele: altrimenti il suo operare non sarebbe stato accetto a Dio, al quale nessuno può essere gradito senza la fede. Però egli aveva una fede implicita, non ancora rischiarata dalla verità evangelica. Ecco perché gli fu inviato S. Pietro, per istruirlo pienamente nella fede”[8].
In che cosa consiste questa fede implicita? San Tommaso non ha prescritto un minimo materiale, ovvero non ha definito una sorta di insieme ridotto di verità necessarie per salvarsi, ma rifacendosi all’assioma facienti quod in se est Deus non denegat gratiam[9]ha insegnato che a un pur minimum materiale (quanto una persona di fatto è in grado di conoscere degli articoli di fede) deve corrispondere un maximum formale (tutto quanto è nella possibilità di una persona)[10].
La fede implicita – nel caso di un infedele senza colpa – è quella fede erronea o incompleta nei suoi contenuti per accidens, propria di chiunque ha l’intenzione della fede, ovvero vuole raggiungere il fine ultimo, ma non può eleggere (mediante l’assenso) tutti i mezzi (gli articoli di fede) per conseguire detto fine, perché incolpevolmente non li conosce.
È vera fede implicita, e non incredulità, solo quando un infedele (mosso dalla grazia attuale) fa tutto quello che può per arrivare alla fede vera.
Quanto l’Aquinate sostiene su questo punto, collima anche con la spiegazione che egli stesso dà della definizione di fede, ripresa da Eb 11,1: “la fede è sostanza di cose sperate”:
“Ecco perché il rapporto dell’atto di fede col fine, che è oggetto della volontà, viene espresso con quelle parole: “Fede è sustanza di cose sperate”. Infatti si suole chiamare sostanza il primo elemento di qualsiasi cosa, specialmente quando tutto lo sviluppo successivo è contenuto virtualmente in quel primo principio: potremmo dire, p. es., che i primi principi indimostrabili sono la sostanza della scienza, perché in noi il primo elemento della scienza sono codesti principi, e in essi tutta la scienza è virtualmente racchiusa. In codesto senso si dice che la fede è sostanza di cose sperate; poiché il primo inizio in noi delle cose sperate viene dall’assenso della fede, la quale contiene virtualmente tutte le cose sperate. Infatti noi speriamo di conseguire la beatitudine con l’aperta visione della verità cui abbiamo aderito con la fede, come si disse nel trattato sulla beatitudine.
Come tutte le conclusioni di una certa scienza sono virtualmente comprese nei suoi principi, così tutte le “cose sperate” sono virtualmente comprese nelle fede in quanto sostanza; naturalmente purché una persona faccia quanto è in suo potere per eleggere i mezzi (facientibus quod in se est), che, nel caso della fede, sono il corpus completo degli articoli.
Notiamo che la fede implicita non è una fede formale in senso kantiano, o una sorta di cristianesimo anonimo di chi assume un assoluto qualsiasi: la fede implicita ha un preciso contenuto, talvolta non individuabile dall’esterno, ma indipendente dal soggetto credente: è sempre una conoscenza oggettiva, intenzionale, seppur limitata; si tratta di una verità che non è prodotta dal soggetto, ma da egli conosciuta.
Inoltre ciò che ripugna od è contrario alla verità rivelata, e che un infedele senza colpa ritiene vero, non fa parte dell’oggetto della fede implicita, il quale è sempre e solo la Verità, seppure non esplicitamente conosciuta.
  1. Dio non può volere gli errori
Ci avviciniamo alla domanda cruciale per il nostro studio: se Dio vuole che tutti gli uomini siano religiosi, come può volere che lo siano senza volere la falsa religione di tanti che senza colpa non conoscono Gesù Cristo?
Troviamo la risposta nei testi di San Tommaso. Esamineremo parti di due articoli della Summa Theologiae (Iª-IIae q. 79 a. 1 e 2) che trattano il nesso causale tra Dio e il peccato, e ne applicheremo analogicamente i principi al caso delle false religioni. Cominciamo da Iª-IIae q. 79 a. 1 co. (Se Dio possa essere causa del peccato):
“Ora, Dio non può essere direttamente causa del peccato né proprio, né altrui. Poiché ogni peccato avviene per un abbandono dell’ordine che tende a Dio come al proprio fine. Dio invece, come afferma Dionigi, inclina e volge tutte le cose verso se stesso come ad ultimo fine. Perciò è impossibile che egli causi in sé, o in altri, l’abbandono dell’ordine che tende verso di lui”[11]
L’ordine che tende a Dio come al proprio fine è quello che è riconosciuto formalmente dalla virtù di religione, che obbliga l’uomo a rapportarsi giustamente verso detto fine. Quindi Dio che “inclina e volge tutte le cose verso se stesso come ad ultimo fine” non può inclinare come ultimo fine verso altro da sé, o indicare altra via che non sia Colui che è via verità e vita.
Ma se Dio inclina ad essere religiosi, condizione necessaria perché realmente inclini e volga tutte le cose verso se stesso come ad ultimo fine, come possiamo distinguere realmente l’essere religioso voluto da Dio e la falsa religione da Lui non voluta? Per avere la risposta, continuiamo la lettura dell’articolo:
“Gli effetti della causa seconda vanno attribuiti anche alla causa prima, quando derivano da essa conforme alla sua subordinazione alla causa prima. Ma quando derivano dalla causa seconda in quanto questa si allontana dall’ordine della causa prima, non si possono attribuire a codesta causa. Se un servo, p. es., agisse contro gli ordini del padrone, il suo operato non si potrebbe attribuire al padrone. Così non si può far risalire alla causalità di Dio quello che il libero arbitrio commette contro il comando di Dio”[12].
La falsa religione non deriva dall’inclinazione, causata da Dio, ad essere religiosi: l’inclinazione da parte di Dio giunge fino al comando di fare quanto è nelle possibilità del soggetto. La falsa religione deriva dal soggetto che, nell’abbracciare un culto falso, agisce non subordinato alla causa prima. Egli può non esserne consapevole e quindi può essere non colpevole, ma ciò non toglie che la scelta della falsa religione non è causata da Dio.
Don Alfredo Morselli
Ma ora vediamo il diverso modo con cui vera e falsa religione sono causati da Dio. Ci serviamo ora di Summa Theologiae Iª-IIae q. 79 a. 2 (Se l’atto del peccato derivi da Dio), applicandone i principi esposti al caso della scelta di una falsa religione.
“L’atto del peccato è un ente, ed è un atto; e sotto questi due aspetti deve a Dio la sua esistenza. Infatti ogni ente, comunque esista, deve derivare dal primo ente; come è dimostrato da Dionigi nel De Divinis Nominibus. Parimente ogni azione è causata da una realtà esistente in atto, poiché agisce solo ciò che è in atto; e d’altra parte ogni essere in atto fa risalire la sua causalità al primo atto, cioè a Dio, che è atto in forza della propria essenza. Perciò è chiaro che Dio deve essere la causa di tutte le azioni in quanto tali”[13].
Il peccato, e analogicamente, una falsa religione, in quanto enti, non possono che ultimamente derivare da Dio, causa di tutti i moti e di tutti gli atti. E qui sembra che si annullino tutte le distinzioni, e che l’espressione del Documento sia ineccepibile. Ma invece S. Tommaso smonta da par suo questa possibile obiezione:
“Ora, il peccato sta a indicare un ente e un’azione con annesso un difetto. E codesto difetto dipende da una causa creata, cioè dal libero arbitrio, in quanto decade dall’ordine del primo agente, cioè di Dio. Perciò codesto difetto non risale causalmente a Dio, ma al libero arbitrio: come il difetto dello zoppicare risale alla gamba storpiata, e non alla facoltà di locomozione, dalla quale tuttavia viene causato quanto c’è di mozione nello zoppicare. E sotto questo aspetto Dio è causa dell’atto del peccato, ma non del peccato: poiché non è causa del fatto che codesta azione sia accompagnata da un difetto”[14]
Applicando i suddetti principi alla scelta di una falsa religione, possiamo dire che Dio non può non sostenere in essere l’azione libera di chi abbraccia l’errore, ma non ne sostiene il difetto, cioè la scelta sbagliata: essa sta all’intelligenza e alla volontà come il zoppicare alla capacità di camminare propria della natura umana. Dio causa l’essere e le libere azioni umane, ma non i difetti dell’essere e delle azioni stesse.
Ad abundantiam, riportiamo un altro brano dello stesso articolo:
“Alla causalità dell’uomo non si riporta soltanto l’atto, ma anche il difetto di esso: poiché egli non sta sottomesso a chi di dovere, sebbene non sia questo il suo intento principale. Perciò l’uomo è causa del peccato. Invece Dio è causa dell’atto, senza esserlo affatto dei difetti che lo accompagnano. Egli quindi non è causa del peccato”[15].
L’uomo (assieme a Dio) è causa dell’atto e, da solo, del difetto: l’uomo solo è causa del difetto e in un’azione difettosa, Dio è solo causa dell’atto e non del difetto.
In base a quanto detto non si può dire che il pluralismo religioso è voluto da Dio. Da Dio è voluta e causata la religiosità umana, ma non i difetti di essa. I difetti delle azioni umane non sono quindi frutto della sapiente volontà di Dio.
  1. Conclusione
In base a quanto detto, possiamo dire che il documento è acqua fresca offerta ad un assetato in un bicchiere sporco; cerco ora di spiegare questa mia affermazione.
Ci troviamo in una fase della storia del mondo dove – per quanto riguarda la religiosità dell’uomo, siamo precipitati in un baratro profondissimo, e – per certi aspetti -, mai visto prima d’ora.
L’antropologo P. W. Schmidt S.D.V. (1868–1954) ha potuto scientificamente provare che nel mondo non esiste un popolo primitivo naturalmente a-religioso e che non abbia un qualche riferimento ad un unico Dio supremo – quindi che non sia in qualche modo implicitamente monoteista.
Anche S. Paolo all’areopago poté lodare gli Ateniesi per la loro religiosità: “Ateniesi, vedo che, in tutto, siete molto religiosi” (At 17,22).
Agli Apostoli bastava annunciare ai pagani quale fosse il Dio vero tra tanti falsi, e spiegare agli Ebrei che il Dio vero è anche Trino, e che Cristo è Dio.
Ma, nel secolo scorso, sulla scena di questo mondo, dopo lunga gestazione, si è levato il grido empio: Dio è morto[16]. E questo grido ha infettato milioni di persone, che vivono non solo nell’ateismo pratico, ma arrivano a condannare ogni fenomeno religioso.
Un importate indicatore di questa patologia sociale è stata la pubblicità pro ateismo sugli autobus di Londra, nell’ottobre 2008. Cartelloni disposti sulle fiancate dei mezzi contenevano la scritta “There’s probably no God. Now stop worrying and enjoy your life” (Probabilmente Dio non c’è. Ora smetti di preoccuparti e goditi la tua vita)[17].
Oggi è messo in discussione il valore di ogni religione, è contestato il fatto religioso: si tocca con mano quanto siano state profetiche alcune considerazioni sull’anticristo fatte da San Tommaso, secondo  il quale, negli ultimi tempi, l’anticristo sarà avversario di ogni uomo religioso, pur seguace di false religioni: “L’anticristo si prepone a tutte… le modalità di intendere Dio”, anche nel caso Dio “si dica secondo [una qualsiasi] opinione [come nel caso dei falsi dei pagani, delle cui divinità sta scritto] tutti gli dei delle nazioni sono demoni”[18].
Un documento che cerca di ricostruire l’unità del genere umano ripartendo dal dovere di essere religiosi è oggi quanto mai profetico e provvidenziale: e in questo senso l’ho paragonato a un bicchiere di acqua fresca offerto alla sete del mondo.
La Chiesa – mi si perdoni un esempio – sta mettendo i sassolini perché Pollicino possa percorrere a ritroso la via della morte percorsa fino ad oggi. E la prima indicazione della Chiesa, nel confronto col mondo, è, oggi, giustamente: bisogna essere religiosi.
Tuttavia lo sporco che insudicia il bicchiere in cui è offerta l’acqua all’umanità assetata è l’espressione infelice da molti contestata, cioè che “il pluralismo e la diversità di religione… sono una sapiente volontà divina”.
Il Cardinale Müller ha dichiarato che il Papa “sfortunatamente, è circondato da persone che hanno poca conoscenza della teologia e dell’insegnamento sociale della Chiesa, ma che non desiderano abbandonare la mentalità di cortigiani di cent’anni fa”[19]. Preghiamo perché ciò che lo Spirito Santo suggerisce al Santo Padre non sia rovinato dall’inner circle, e che il Signore non tradat eum in anima inimicorum eius, (senza per questo voler dire che il Papa è ingenuo e non ha parte con la stesura materiale dei documenti). A Dio il giudizio e la misericordia per questa Chiesa, a noi la preghiera e la penitenza perché questa notte nella vita della Chiesa finisca prima, perché trionfi presto il Cuore Immacolato di Maria, e perché questi tempi anticristici e di confusione dottrinale siano abbreviati grazie agli eletti: “E se quei giorni non fossero abbreviati, nessuno si salverebbe; ma, grazie agli eletti, quei giorni saranno abbreviati” (Mt 24,22).
NOTE
[1] Abu Dhabi, 4 febbraio 2019.
[2] 1 Tm 2,4.
[3] Secondo S. Tommaso, la religione è quasi una pars potestativa della giustizia, perché l’uomo non può rendere a Dio ciò che Gli deve di stretta giustizia, data la distanza che esiste tra l’infinità divina e la finitezza creaturale: “Et primo quidem, quidquid ab homine Deo redditur, debitum est, non tamen potest esse aequale, ut scilicet tantum ei homo reddat quantum debet; secundum illud Psalm., quid retribuam domino pro omnibus quae retribuit mihi? (IIª-IIae q. 80 co.). La virtù di religione,  in quanto virtù annessa a un’altra virtù principale di cui è parte, se ne deve discostare per non essere la medesima virtù (“in virtutibus quae adiunguntur alicui principali virtuti duo sunt consideranda, primo quidem, quod virtutes illae in aliquo cum principali virtute conveniant; secundo, quod in aliquo deficiant a perfecta ratione ipsius” Ibidem); nel nostro caso la religione si discosta dalla giustizia perché non può avere come oggetto il giusto esattamente dovuto a Dio (ciò che invece è proprio della giustizia); quindi, non avendo in questo modo tutta l’essenza della giustizia sensu strictu, diciamo quasi potestativa piuttosto che potestativa (cf. J-J. Berthier,  Tabulae Systematicae et Synopticae Totius Summae Theologicae, Paris 1931, tab. XV).
[4] Scrive M. T. Cicerone: “Naturae ius est, quod non opinio genuit, sed quaedam in natura vis insevit, ut religionem, pietatem, gratiam, vindicationem, observantiam, veritatem. Religio est, quae superioris cuiusdam naturae, quam divinam vocant, curam caerimoniamque affert…” (De inventione, II, 161).
[5] Cf. Eb 11,6.
[6] “171. Che cosa significa l’affermazione: «Fuori della Chiesa non c’è salvezza»? Essa significa che ogni salvezza viene da Cristo-Capo per mezzo della Chiesa, che è il suo Corpo. Pertanto non possono essere salvati quanti, conoscendo la Chiesa come fondata da Cristo e necessaria alla salvezza, non vi entrassero e non vi perseverassero. Nello stesso tempo, grazie a Cristo e alla sua Chiesa, possono conseguire la salvezza eterna quanti, senza loro colpa, ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, ma cercano sinceramente Dio e, sotto l’influsso della grazia, si sforzano di compiere la sua volontà conosciuta attraverso il dettame della coscienza” Catechismo della Chiesa Cattolica, Compendio, §171.
[7] At 10, 31-32: “Cornelio allora rispose: “Quattro giorni or sono, verso quest’ora, stavo facendo la preghiera delle tre del pomeriggio nella mia casa, quando mi si presentò un uomo in splendida veste e mi disse: “Cornelio, la tua preghiera è stata esaudita e Dio si è ricordato delle tue elemosine”.
[8] “De Cornelio tamen sciendum est quod infidelis non erat, alioquin eius operatio accepta non fuisset deo, cui sine fide nullus potest placere. Habebat autem fidem implicitam, nondum manifestata evangelii veritate. Unde ut eum in fide plene instrueret, mittitur ad eum Petrus”; S Th. II II q. 10 a. 4 ad 3.
[9] Per la storia dell’assioma, vedi J. Rivière, «Quelques antécédents patristiques de la formule ‘Facienti quod in se est’» Revue des Sciences Religieuses, 1927 (7,1) pp. 93-97; H. Hurter S.J., Theologiae Dogmaticae Compendium, III, Oeniponte (Innsbruck) 1891/8, p. 75, p. 55, nota 2. Per i diversi modi di intendere e di proporre l’assioma, per la questione se S. Tommaso abbia mutato opinione o meno circa se il facienti quod in se est si deve intendere con le forze naturali oppure con la grazia attuale, per la discussione teologica complessiva dell’assioma, vedi. J. M. Ramirez O.P. De gratia Dei. In I-II Summae Theologiae Divi Thomae Expositio, Salamanca: S. Esteban, 1992, t. *, pp. 317-385, e t. **, pp. 815-835.
[10] “Qualcuno può anche prepararsi a conseguire la fede con ciò che è in potere della ragione naturale. Si dice, quindi, che se qualcuno, che è nato tra i popoli barbari, fa quello che dipende da lui, Dio gli rivelerà ciò che è necessario per la salvezza, sia ispirandolo sia mandandogli un maestro” (“ad fidem habendam aliquis se praeparare potest per id quod in naturali ratione est; unde dicitur, quod si aliquis in barbaris natus nationibus, quod in se est faciat, deus sibi revelabit illud quod est necessarium ad salutem, vel inspirando, vel doctorem mittendo”; In II Sent.,  d. 28 q. 1, a. 4 ad 4. Analogamente, sempre secondo San Tommaso, ogni uomo appena raggiunge l’uso di ragione deve rapportarsi correttamente al fine ultimo, pena grave peccato di omissione. E anche nel rapportarsi al fine ultimo, che abbia ricevuto l’annuncio del Vangelo o meno, deve fare tutto quello che può: “… quando uno comincia ad essere adulto, se fa ciò che dipende da lui, gli è data la grazia, per mezzo della quale sarà esente dal peccato originale; e se non facesse ciò, sarà colpevole di peccato di omissione. Infatti, dato che chiunque è tenuto ad evitare il peccato e dato che ciò non può avvenire se uno non ha prima determinato per sé il fine dovuto, chiunque, non appena diventa cosciente di sé, è tenuto a convertirsi a Dio e a stabilire in lui il proprio fine; ed è in questo modo che si dispone alla grazia” (“Cum enim adultus esse incipit, si quod in se est, faciat, gratia ei dabitur, per quam a peccato originali erit immunis; quod si non faciat, reus erit peccato omissionis. Cum enim quilibet teneatur peccatum vitare, et hoc fieri non possit nisi praestituto sibi debito fine; tenetur quilibet, cum primo suae mentis est compos, ad Deum se convertere, et in eo finem constituere; et per hoc ad gratiam disponitur”). De veritate, q. 28 a. 3 ad 4.
[11] “Deus autem non potest esse directe causa peccati vel sui vel alterius. Quia omne peccatum est per recessum ab ordine qui est in ipsum sicut in finem. Deus autem omnia inclinat et convertit in seipsum sicut in ultimum finem, sicut Dionysius dicit, I cap. de Div. Nom. Unde impossibile est quod sit sibi vel aliis causa discedendi ab ordine qui est in ipsum”; Summa Theologiae, Iª-IIae q. 79 a. 1 co.
[12] “Ad tertium dicendum quod effectus causae mediae procedens ab ea secundum quod subditur ordini causae primae, reducitur etiam in causam primam. Sed si procedat a causa media secundum quod exit ordinem causae primae, non reducitur in causam primam, sicut si minister faciat aliquid contra mandatum domini, hoc non reducitur in dominum sicut in causam. Et similiter peccatum quod liberum arbitrium committit contra praeceptum Dei, non reducitur in Deum sicut in causam”(Iª-IIae q. 79 a. 1 ad 3). Si tratta della risposta alla terza obiezione “Chi è causa di una causa, è causa anche dei suoi effetti. Ora, Dio è causa del libero arbitrio, che è causa del peccato. Dunque Dio è causa del peccato” (“Praeterea, quidquid est causa causae, est causa effectus. Sed Deus est causa liberi arbitrii, quod est causa peccati. Ergo Deus est causa peccati”; Summa Theologie, Iª-IIae q. 79 a. 1 arg. 3)
[13] “Respondeo dicendum quod actus peccati et est ens, et est actus; et ex utroque habet quod sit a Deo. Omne enim ens, quocumque modo sit, oportet quod derivetur a primo ente; ut patet per Dionysium, V cap. de Div. Nom. Omnis autem actio causatur ab aliquo existente in actu, quia nihil agit nisi secundum quod est actu, omne autem ens actu reducitur in primum actum, scilicet Deum, sicut in causam, qui est per suam essentiam actus. Unde relinquitur quod Deus sit causa omnis actionis, inquantum est actio”; Summa Theologie, Iª-IIae q. 79 a. 2 co.
[14] “Sed peccatum nominat ens et actionem cum quodam defectu. Defectus autem ille est ex causa creata, scilicet libero arbitrio, inquantum deficit ab ordine primi agentis, scilicet Dei. Unde defectus iste non reducitur in Deum sicut in causam, sed in liberum arbitrium, sicut defectus claudicationis reducitur in tibiam curvam sicut in causam, non autem in virtutem motivam, a qua tamen causatur quidquid est motionis in claudicatione. Et secundum hoc, Deus est causa actus peccati, non tamen est causa peccati, quia non est causa huius, quod actus sit cum defectu”; Ibidem.
[15] “Ad secundum dicendum quod in hominem sicut in causam reducitur non solum actus, sed etiam ipse defectus, quia scilicet non subditur ei cui debet subdi, licet hoc ipse non intendat principaliter. Et ideo homo est causa peccati. Sed Deus sic est causa actus, quod nullo modo est causa defectus concomitantis actum. Et ideo non est causa peccati”; Iª-IIae q. 79 a. 2 ad 2
[16] Così diceva Pio XII: “nel corso di questi ultimi secoli si è tentata la disgregazione intellettuale, morale e sociale dell’unità nell’organismo misterioso di Cristo. Si è voluta la natura senza la grazia; la ragione senza la fede; la libertà senza l’autorità; e qualche volta anche l’autorità senza la libertà. Questo nemico è diventato sempre più concreto, con un’audacia che Ci lascia stupefatti: Cristo sì, la Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. E infine il grido empio: Dio è morto; o piuttosto Dio non è mai esistito. Ecco il tentativo di edificare la struttura del mondo su fondamenti che Noi non esitiamo a indicare col dito come i principali responsabili della minaccia che pesa sull’umanità: un’economia senza Dio, un diritto senza Dio, una politica senza Dio”; All’Unione Uomini di Azione Cattolica (12.10.1952).
[17] Per maggiori informazioni vedi BBC News, «No God’ slogans for city’s buses», 21 October 2008, http://news.bbc.co.uk/2/hi/7681914.stm, rivisitato il 16-2-2019.
[18] “Dicitur autem Deus tripliciter. Primo naturaliter. Deut. VI, 4: audi, Israel, dominus Deus tuus, Deus unus est. Secundo opinative. Ps. XCV, 5: omnes dii gentium Daemonia. Tertio participative. Ps. LXXXI, 6: ego dixi: dii estis. Omnibus autem his se praeferet Antichristus.”; Super II Thes., cap. 2, l. 1.
[19] “Unfortunately, he is surrounded by people who have little understanding of theology and of the Church’s social teaching, but who do not wish to abandon the century-old mentality of a courtier”. LifeSiteNews, «Vatican’s former doctrine chief: Pope is ‘surrounded’ by people who don’t know much theology», Feb 15, 2019, https://tinyurl.com/y2c7t6qf.



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