di Padre Giovanni Cavalcoli, OP
Sappiamo quante difficoltà e quanti equivoci esistono circa la questione del rapporto del cristianesimo con le altre religioni, venuta particolarmente alla luce a seguito degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, in special modo nella “Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane” (Nostra aetate).
Non era mai accaduto che il Magistero solenne della Chiesa, qual è quello che proviene da un Concilio ecumenico, si esprimesse in tono così positivo sulle religioni non-cristiane, mentre sin dalle sue origini la Chiesa ha sempre usato toni severi verso le altre religioni, non escluso l’ebraismo, del resto facendo capo agli stessi testi scritturistici, dove troviamo per esempio le seguenti parole di S.Paolo: “i sacrifici dei pagani sotto fatti a demòni” (I Cor 10,20).
Il Concilio ovviamente non smentisce le precedenti condanne o disapprovazioni e tuttavia, secondo l’impostazione generale del Concilio stesso, ci offre dei punti di contatto fra cristianesimo e religioni, soprattutto la religione ebraica, per la quale ha parole di particolare stima. “La Chiesa cattolica – si dice – nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni”, anche se ribadisce che solo in Cristo “gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa” e solo in Lui “Dio ha riconciliato a sé tutte le cose” (n.2).
Questa visione ampia e magnanima del Concilio suppone evidentemente che l’uomo come tale, a qualunque tempo o cultura o popolo appartenga, senta l’esigenza, in varie forme, magari anche difettose e superstiziose o magiche, di render culto alla divinità, anche se non ne ha ben chiaro il concetto, praticando o il politeismo o l’idolatria o culti cosmici, satanici, ctonici[1], animisti, totemistici, sciamanistici[2] o panteistici.
Esiste dunque una forma di religione, come espressione naturale seppur diversificata della coscienza umana in tutti i popoli e in tutti i tempi, e che si è convenuto di chiamare “religione naturale”[3], frutto del naturale senso del sacro e della ragion pratica la quale, sulla base della consapevolezza razionale dell’esistenza di Dio o comunque della divinità, sente il dovere di render loro culto in appositi riti o cerimonie – ecco la liturgia -, offrendo voti, doni, sacrifici e preghiere al fine di rendersi propizia la divinità, di purificarsi o di espiare le proprie colpe, di ottenere salvezza, luce, benefìci, potere, felicità, grazie, favori e misericordia.
La religione come atto umano è così una virtù, come dimostra S.Tommaso, appartenente all’ambito della “giustizia”, benchè in senso solo analogico, in quanto “giustizia” verso Dio, anche se poi in fin dei conti questa nostra giustizia non è tanto effetto delle nostre opere, quanto piuttosto della grazia di Dio. Ed ecco qui inserirsi la religione cristiana, che non è più opera dell’uomo ma opera di Dio.
Infatti il cristianesimo è sorto bensì sulla base e sul presupposto non solo della religione naturale, ma ancor più della religione dell’Antica Alleanza, la quale si pone su di un piano superiore a quello della semplice religione naturale, trattandosi di una religione rivelata da Dio stesso, nella quale cioè Egli insegna ad Israele, attraverso Abramo, Mosè e i Profeti, come vuole essere conosciuto, onorato, adorato, coltivato e pregato. Con la religione veterotestamentaria siamo già sul piano della religione rivelata o soprannaturale, da alcuni chiamata anche “positiva”, intendendo con questa espressione il fatto che essa si basa appunto su credenze, riti, usanze, norme, regole, sacri segni, simboli, statuti ed istituzioni considerati come dettati da Dio stesso.
Indubbiamente – e ciò è stato ulteriormente chiarito dal recente documento della Congregazione per la Dottrina della Fede “Dominus Iesus” – il cristianesimo è la religione più perfetta ed anzi assolutamente perfetta, priva in sè di qualunque errore, carenza, difetto o superstizione, eccellente scuola di santità, in quanto, unica tra tutte le altre, compresa quella giudaica, è stata fondata per mandato di Dio Padre nella potenza dello Spirito Santo dallo stesso Figlio di Dio, il quale, come insegna la Lettera agli Ebrei, ha finalmente offerto un sacrificio a Dio Padre effettivamente efficace e pegno di vita eterna per tutta l’umanità, perché è stato ed è – pensiamo soprattutto alla liturgia eucaristica – il sacrificio del Figlio di Dio incarnato, Nostro Signore Gesù Cristo, mentre i sacrifici dell’Antica Alleanza, per quanto voluti e benedetti da Dio, erano solo simbolici e prefigurativi rispetto all’avvento dell’unico divin sacrificio di Cristo.
Sempre secondo la dottrina della Chiesa, le altre religioni, compresa quella ebraica, derivano comunque da Cristo e conducono a Cristo, anche se i loro fedeli in buona fede non lo sanno, appunto perché nel piano della salvezza Cristo è l’unico Salvatore. E quando si dice Cristo si dice anche la Chiesa Cattolica, essa pure sotto Cristo e per volontà di Cristo via necessaria di salvezza per tutti, come ha definito il Concilio di Firenze del 1442, anche se poi il Magistero moderno della Chiesa a partire dal Beato Pio IX chiarirà la possibilità di salvezza anche per coloro che in buona fede non sanno dell’esistenza della Chiesa. Tuttavia ciò non esclude la necessità di appartenere alla Chiesa. Si distinguerà allora un’appartenenza visibile e conscia da un’appartenenza invisibile ed inconscia, valida, questa, per i non-cattolici onesti e in buona fede.
Questa comune appartenenza del cristianesimo e delle altre religioni alla categoria generale di “religione”, con i suoi valori universali, è ciò che consente quel dialogo interreligioso al quale la Chiesa, sulla scorta del Concilio, oggi tiene come non mai. Tuttavia è chiaro che il punto di contatto è la religione naturale, effetto spontaneo, come ho detto, della sana ragione e del bisogno di Assoluto, e quindi in linea di principio condivisibile da tutti gli uomini in quanto esseri razionali, benchè sappiamo poi bene come di fatto tanti manchino di equilibrio o buon senso nei confronti della religione o perché ne esagerano la portata o l’importanza (bigottismo, fanatismo, fideismo, facile credulità, pietismo) o la falsificano (idolatria, magia, riti massonici, spiritismo, satanismo, superstizione) o perché all’estremo opposto la disprezzano (atei, materialisti, bestemmiatori, empi).
Un errore in questo campo che merita speciale attenzione è la concezione del Padre Giuseppe Barzaghi circa il rapporto tra cristianesimo e religione (e quindi religioni). Egli è giustamente preoccupato di sottolineare l’immensa dignità della vita cristiana, quella che i Padri greci chiamavano “divinizzazione” dell’uomo (theosis) mediante la grazia di Cristo.
Per questo egli vede il cristianesimo non tanto come una religione quanto piuttosto come una vita divina effetto delle virtù teologali della fede, della speranza e della carità. “La cosa che mi infastidisce – dice Padre Barzaghi – è la confusione fra Cristianesimo e religione”[4]. Il cristianesimo, egli dice, non è conquista dell’uomo ma dono di Dio e vita divina. Sin qui tutto va bene.
Ma poi Barzaghi eccede in modo intollerabile in questo distanziamento del cristianesimo dalla religione, al punto d’affermare che “religione cristiana è una contraddizione in termini”[5]. Il cristianesimo non sarebbe una religione, ma sarebbe una “fede”, dove poi per fede in altre opere Barzaghi intende il “Pensiero puro”, o “puro atto del pensiero”, concetto desunto dalla filosofia di Giovanni Gentile. “Il Cristianesimo, secondo Barzaghi, si configura con caratteristiche diametralmente opposte a quelle della religione … Se esiste un culto cristiano – i sacramenti – , questo non consiste nella coltivazione di Dio da parte dell’uomo, quanto piuttosto nella coltivazione dell’uomo da parte di Dio”[6].
La conseguenza logica di queste false premesse è ovviamente altrettanto falsa, perché viene a negar senso all’apologetica che si propone di dimostrare qual è la vera religione[7] evidentemente sulla base di valori religiosi comunemente ammessi, nonché al dialogo interreligioso promosso dal Concilio ed infine toglie fondamento anche al diritto alla libertà religiosa, sul quale oggi tanto insiste la Chiesa, ed è accolto anche dagli Stati moderni, inquantoché ciò presuppone evidentemente una comune nozione di religione (propria della legislazione civile sia per quanto riguarda il cristianesimo che per quanto riguarda le altre religioni).
Dice infatti Barzaghi: “Cristianesimo e religione sono due realtà assolutamente disomogenee e dunque imparagonabili … nel senso che si tolga di mezzo l’idea del cimento o confronto bellicoso tra religione cristiana e altre religioni: qual è la vera religione? Dico che il cimento o confronto viene tolto perché, se il Cristianesimo non è religione nel senso cultuale del termine, non ha senso paragonarlo con ciò che appartiene a questo ordine di cose. … Non ha senso il paragone tra Cristianesimo e le altre religioni, perché il Cristianesimo non è religione, nel senso precisato di virtù cultuale”[8].
Osservo che si può e si deve parlare di un’analogia tra religione naturale e culto cristiano, ma non assolutamente di “imparagonabilità” o addirittura “opposizione”, il che porta a togliere dal culto cristiano il suo elemento naturale, umano ed esterno, che invece gli è assolutamente essenziale, come presupposto all’aspetto soprannaturale fondato sulla Rivelazione e sulla fede.
Quello che è erroneo in modo speciale nella visione di Barzaghi, col suo intollerabile dualismo cristianesimo-religione, è il disprezzo nel quale getta la religione dell’Antica Alleanza, catalogata sbrigativamente tra le varie religioni del mondo alla pari di esse e senza riconoscere l’eminente ruolo preparatorio che essa ha avuto ed ha nei confronti della religione cristiana: un atteggiamento antisemitico oggi del tutto al di fuori della storia e della verità. Queste idee potevano andar bene a Giovanni Gentile durante il fascismo ma non nella Chiesa di oggi a 50 anni dal Concilio Vaticano II !
Nel culto cristiano ciò che l’uomo fa per onorare Dio si incontra e non si scontra con ciò che Dio fa per salvare e divinizzare l’uomo. Altrimenti volendo in modo così indiscreto ridurre il culto cristiano ad un “atto divino”, come esprime lo stesso Barzaghi[9], accantonando l’umano, si finisce in realtà per assorbire l’umano nel divino, umano che comunque non può essere assente e quindi si finisce per confondere l’umano col divino, cadendo in un fideismo panteista, che dimentica che la grazia suppone la natura e la fede suppone la ragione.
Così la religione cristiana suppone la religione naturale. La liturgia cristiana suppone una dimensione naturale e sociale che esprime il naturale senso del sacro ed è regolamentata dagli usi, dalle tradizioni e dalla norme della Chiesa.
Questo falso soprannaturalismo in campo liturgico che lascia l’umano in balia del relativismo e quindi dell’arbitrio, è una spiegazione molto plausibile, anche se non l’unica, dell’attuale disordine liturgico che nasce da un falso interiorismo anche di sapore protestante, per cui con la scusa dell’interiorità e magari di un appello allo Spirito Santo, ci si permette ogni atteggiamento arbitrario, anche se contrario al preciso dettato del Magistero della Chiesa, della Sacra Scrittura e della Sacra Tradizione.
Per quanto riguarda i sacramenti, essi hanno per la verità entrambi gli aspetti: sono “coltivazione dell’uomo da parte di Dio”, ma anche indissolubilmente coltivazione di Dio da parte dell’uomo, ossia hanno certo come aspetto precipuo il fatto di essere canali della grazia, ma sono questo in quanto operano servendosi di atti umani compiuti dal ministro del sacramento nel rispetto delle norme dalla liturgia e di quanto ha positivamente stabilito il Signore.
Inoltre, con le idee di Barzaghi si può cadere anche nell’indifferentismo religioso, in quanto l’elemento naturale della religione cristiana perde il suo primato tra le altre religioni, non è più il paradigma col quale distinguere in esse il vero e il falso, come invita a fare il Concilio, ma l’elemento religione nel cristianesimo, staccato dall’essenza del culto cristiano, diventa qualcosa di relativo o facoltativo, per non dire di nocivo, e comunque viene a valere altrettanto bene quanto qualunque altra religione, per cui lo stesso cristiano appare libero di assumere nel culto cristiano elementi di altre religioni senza preoccuparsi – ecco il sincretismo – se questi siano assimilabili al cristianesimo perchè si parte dal presupposto che comunque non lo sono (sono “imparagonabili”).
Da qui la libertà data a ciascuno – ecco il soggettivismo – di fare la liturgia che gli salta in mente, ed ecco abbiamo la spiegazione “teologica” del caos liturgico del quale oggi soffriamo, magari con la scusa del pluralismo e delle relatività – ecco il relativismo – delle forme umane ed esteriori del culto.
Naturalmente il confronto non deve comportare nessuna “bellicosità”, come purtroppo è avvenuto nel passato, anche se ci si dovrà difendere da certe forme integraliste come per esempio l‘islamismo, ma il timore dello scontro o dell’intolleranza non deve condurci a negare l’utilità ed anzi la doverosità di un confronto, che va fatto con le dovute regole del dialogo, oggi ben note sin dall’enciclica di Paolo VI “Ecclesiam suam”.
Il fine del cristianesimo è certamente la “divinizzazione” dell’uomo, da intendersi peraltro senza troppo calcare la mano come fa Barzaghi, rischiando il panteismo, ma tenendo presente che l’uomo non si risolve in un semplice “sguardo di Dio”, ma comporta nella sua natura ilemorfica creata da Dio anche una dimensione di limitatezza e di storicità, nonché, a causa del peccato originale, una tendenza al male ed alla ribellione a Dio, cose che non sono estrinseche o accidentali alle esigenze del culto o al quadro esistenziale nel quale esso si pone, ma sono tutti elementi dei quali il vero culto cristiano tiene saggiamente conto, proprio al fine di elevare l’uomo, mediante il Sacrificio della Croce, alla vita di figlio di Dio partecipe della natura divina.
Libertà e Persona 30 dicembre 2012