sabato 8 dicembre 2012

Varietà di carismi, o “gran varietà”?

 

 

di Lorenzo Bertocchi

 



La varietà dei carismi è una ricchezza della Chiesa Cattolica, d’altra parte è anche argomento che rappresenta un “cavallo di Troia” per far passare nella vita ecclesiale confusione ed errore.

Viene spontaneo allora chiedersi dov’è il confine tra legittima diversità e caos: per un fedele non è facile districarsi nel clima da “parrocchia che vai, fede che trovi”.

Mons. Carli (1914-1986), nell’immediato post-concilio, scriveva: “corriamo il pericolo che, ad opera di minoranze spregiudicate e con l’avallo di autorità periferiche, non solo ogni nazione, ma ogni diocesi, anzi ogni parrocchia, si crei artificiosamente, e ad ogni mutar di vescovo o di parroco, la sua teologia, il suocatechismo, la sua liturgia, la sua spiritualità, la sua disciplina: in altre parole, “una sua maniera concreta di realizzare l’unico mistero della Chiesa”! (Nova et Vetera, 1969)

Osservando la realtà della Chiesa di oggi sembra che il pericolo paventato da Mons. Carli si sia concretizzato a tutti i livelli, dalle gerarchie, giù, giù, fino alla più piccola parrocchia di montagna. Eppure, come ha ricordato Benedetto XVI nel celebre discorso alla Curia Romana del dicembre 2005, c’è “un unico soggetto-Chiesa” che cresce nel tempo e si sviluppa “rimanendo però sempre lo stesso”.

Sappiamo che questo discorso del Papa ha dato avvio ad un acceso dibattito sull’ermeneutica conciliare, disputazione che purtroppo si è arenata in reciproche “scomuniche” tra contendenti, mentre rimane il fatto di questo strano pluralismo, segno di una certa crisi dell’unità e continuità ecclesiale.

La tanto sbandierata “pluriformità nell’unità” – formula molto chic, ma un po’ da neolingua – mi sembra essere tema interessante per comprendere la situazione della chiesa oggi. Nel 1972, in tempi non sospetti, la Commisione Teologica Internazionale evidenziava che “la pluralità trova il suo limite nel fatto che la fede crea la comunione degli uomini nella verità divenuta accessibile mediante il Cristo. Ciò rende inammissibile ogni concezione della fede che la riducesse ad una cooperazione puramente pragmatica senza comunità nella verità. Questa verità non è vincolata ad un sistema teologico, ma viene espressa negli enunziati normativi della fede.”

Queste norme della fede le dobbiamo cercare, innanzitutto, nelle espressioni dogmatiche che esprimono i fatti della fede (il Credo) e poi, anche per ciò che riguarda l’unità in materia morale, sui principi costanti, contenuti nelle Scritture e nella Tradizione, presentati a ciascuna generazione dal Magistero. Valicare questi limiti significa, più che varietà di carismi, un “gran varietà”.

Ogni “pluriformità” che prescinde da queste radici, finisce per trasformarsi in “pluriconfusione”, perciò è quanto mai necessario il ruolo di vigilanza dell’autorità istituita. Perché – come indicava il già citato documento della Commissione Teologica – “di fronte a presentazioni della dottrina gravemente ambigue, addirittura incompatibili con la fede della Chiesa, questa ha la possibilità di individuare l’errore e l’obbligo di rimuoverlo, fino al rigetto formale dell’eresia come rimedio estremo per tutelare la fede del popolo di Dio.


http://www.libertaepersona.org/wordpress/2012/12/varieta-di-carismi-o-gran-varieta/#more-119568

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