Il quotidiano dei vescovi esalta gli «incroci sorprendenti» tra il riformatore di Wittenberg e l'esortazione sulla famiglia scritta da Francesco nel 2016. Un elogio che conferma dubbi e dubia sulla mentalità eterodossa alla base di certe "aperture".
Cripto-protestantesimo
Ecclesia
Stefano Fontana, 16-12-2024
Molti – e tra essi chi scrive – hanno sostenuto che l’esortazione Amoris laetitia, scritta da Francesco nel 2016 a seguito del sinodo biennale sulla famiglia, è un testo – esprimendoci con moderazione – molto aperto alle esigenze del protestantesimo luterano. Ora questa valutazione viene confermata dal quotidiano Avvenire, non però per manifestare una perplessità o farne un problema, come era stato negli altri casi, ma come apprezzamento. Si dice addirittura che Lutero sarebbe stato profetico e avrebbe anticipato quanto la Chiesa ha finalmente scoperto nel 2016.
L’articolo in questione, firmato da Luciano Moia, ricorda che l’anno prossimo verranno celebrati i 500 anni dal matrimonio contratto da Lutero con Katherina Von Bora, la quale, come anche Lutero, aveva lasciato il convento. Da questo avvenimento prende spunto il teologo Francesco Pesce che per la Marcianum Press pubblica il libro Il matrimonio a Wittenberg. Con un’antologia di testi di Martin Lutero, e da questo libro prende spunto a sua volta Moia, citando qualche passo luterano sul matrimonio indirizzato alla “cara Kathe” e traendo alcune conclusioni sugli “incroci sorprendenti” tra Lutero e Amoris laetitia. L’impostazione del nostro autore ha numerosi vizi di forma: adopera una prosa ambigua, se la prende retoricamente con la “vulgata controriformistica” senza specificare di cosa si tratti, punta tutto su alcune affermazioni “sentimentali” più che teologiche dei testi luterani citati, ed è tutto pervaso dal luogo comune di cercare quanto ci unisce piuttosto che quanto ci divide, secondo l'approssimativo linguaggio ecumenicista.
A parte questi aspetti espressivi e di tono, ci sono in questo nuovo tentativo conciliarista alcuni punti inaccettabili. Uno di essi riguarda il tema della “gradualità” del matrimonio, che viene presentato nell’articolo di Moia come un tratto comune sia a Lutero che all’Esortazione. Per gradualità del matrimonio l’articolista e il teologo Pesce che egli commenta intendono i limiti, le imperfezioni e la situazione di peccato in cui comunque l’uomo si trova, ossia il male presente nell’esistenza matrimoniale nel quale Dio però conserva il bene. Più esattamente, però, con gradualità del matrimonio si intende che esso non sia in nessun modo una realtà perfettamente istituita, che non sia stabilita nella sua essenza in via definitiva, che non abbia una sua “natura” che tale rimane nonostante le imperfezioni umane. Il matrimonio non può essere “graduale”, il matrimonio non è un processo, è una realtà, i due sono una carne sola in via definitiva e non dipendente dalla loro evoluzione esistenziale; il matrimonio, una volta rato e consumato, è indisponibile. Moia e Pesce hanno ragione a dire che la gradualità del matrimonio è presente sia in Lutero che in Amoris laetitia, ma questo è un grosso problema dell’Esortazione.
Questo argomento della gradualità era già stato contestato ai tempi del sinodo sulla famiglia (2014-2015) da molti professori dell’Istituto Giovanni Paolo II per gli studi su matrimonio e famiglia. Purtroppo, con scarsi risultati allora e ancora di più oggi, come si vede anche da questo articolo. L’idea comporta di ripensare il matrimonio come un “ideale” e non come un sacramento che conferma e purifica una realtà naturale (torneremo più avanti su questo aspetto del carattere naturale del matrimonio). Se è un ideale da raggiungere e non una realtà che costituisce i coniugi come tali, si può essere più avanti o più indietro rispetto al suo raggiungimento, ma in nessun caso si può essere fuori dallo stesso. Inoltre, il precetto di non commettere adulterio perderebbe la sua perentorietà di un dovere di diritto divino, perché lo si vedrebbe collegato con i limiti esistenziali inevitabili lungo il processo, il quale può avere avanzamenti ma anche arretramenti, senza però che nessuno ne sia escluso. Tutti rimangono “dentro”. Davanti al matrimonio come ideale il peccato cambia di significato e si trasforma in una debolezza vissuta durante il percorso. Siamo in presenza qui di una rivoluzione nel campo della teologia sacramentale e morale, contenuta anche in Amoris laetitia.
Un altro punto dell’articolo deve pure essere censurato per la gravità delle inesattezze in esso contenute. Moia cita Pesce, il quale dice che «è il sacramento che rende indissolubile l’amore umano tra un uomo e una donna», sicché il motivo contro il divorzio sarebbe solo sacramentale, mentre Lutero «affermando che il matrimonio non può essere sciolto pur non essendo un sacramento, conferisce all’amore umano di per sé la qualifica dell’indissolubilità».
Lasciamo stare qui gli aspetti storici di questa dubbia difesa luterana dell’indissolubilità, per soffermarci su quelli teoretici e dottrinali. L’indissolubilità del matrimonio si basa anche sulla natura del matrimonio e poi, certamente, ancora di più sulla sua sacramentalità, ma anche sulla natura. San Tommaso, per esempio, elenca le cinque ragioni naturali per cui il matrimonio è monogamico e le sei ragioni naturali per cui è indissolubile. Quella di Moia/Pesce è una tesi inventata e priva di fondamento, essa elimina dalla questione la dimensione della natura e separa il piano naturale da quello soprannaturale, attribuendola anche ad Amoris laetitia. Un ottimo esempio di protestantesimo luterano.
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