giovedì 31 agosto 2023

Il Nuovo Disordine Mondiale





di Raffaele Citterio

Fino a non molto tempo fa, e ancor oggi in alcuni casi, in certi ambienti si affermava che il traguardo del processo rivoluzionario sarebbe stato l’instaurazione di un Nuovo Ordine Mondiale. Per chi studia questo processo, invece, tale slogan contiene una vistosa contraddizione: la Rivoluzione non può produrre Ordine.

La meta ultima del processo rivoluzionario – magistralmente spiegata dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira nel suo libro «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione» – è la distruzione della Chiesa e della Civiltà cristiana, passo indispensabile per la cancellazione di ogni traccia dell’opera di Dio nell’universo. La Rivoluzione è un movimento demolitore che, spinto dalle passioni sregolate, concretamente l’orgoglio e la sensualità, non potendo uccidere Dio, cerca di cancellarne qualsiasi traccia nella creazione, attuando così le ultime conseguenze di quel “non serviam!” che diede origine al male nella storia. In questo senso, la Rivoluzione non vuole nessun “ordine”, bensì il disordine, il caos, l’anarchia, il nulla. Dopo aver conquistato tutto, il demonio dovrebbe auto-annichilirsi per cancellare l’ultimo residuo dell’opera divina: egli stesso. Ogni tappa del processo rivoluzionario è stata, in fondo, un passo verso questa utopia irraggiungibile.

Una “policrisi”

Ecco che, quegli stessi organismi internazionali dei quali si diceva che promuovono un Nuovo Ordine Mondiale, adesso stanno presentando il loro vero scopo: un Nuovo Disordine Mondiale, ossia la dissoluzione di tutte le strutture mentali, sociali, culturali, religiose, politiche ed economiche.

L’autorevole rapporto IPSOS Global Trends 2023 lo dice a chiare lettere: “Stiamo entrando in un nuovo disordine globale, contraddistinto da molteplici questioni interconnesse. Soprattutto negli ultimi anni abbiamo visto nascere e svilupparsi diverse crisi su più fronti, che hanno colpito e continuano a colpire tutto il mondo, dalla pandemia di Covid-19 alla guerra in Ucraina, dalla crisi climatica a quella economica ed energetica, dalle disuguaglianze di lunga data alle crisi geopolitiche in cui si stanno trasformando. [Tutte le tendenze] indicano un nuovo disordine mondiale”[1].

Il Rapporto IPSOS conia un nuovo termine per riferirsi a tale situazione: “policrisi”. Cita quindi Adam Tooze, professore di storia alla Columbia University di New York: “La policrisi non è una situazione nella quale si devono affrontare diverse crisi, bensì una situazione ben più pericolosa della somma delle parti”[2].

Il Global Risks Report 2023, pubblicato dal World Economic Forum, giunge a identiche conclusioni. Parlando di una “esperienza collettiva di policrisi”, il Rapporto afferma che il termine “policrisi” è emerso durante i dibattiti del meeting annuale del World Economic Forum a Davos. Gli esperti che valutano le sfide a breve e lungo termine che il pianeta deve affrontare hanno scoperto che il rischio di policrisi è in aumento. Si tratta di una situazione “dove crisi disparate interagiscono in modo tale che l’impatto complessivo supera di gran lunga la somma di ciascuna parte”[3]. E anche in questo Rapporto, il termine “disordine” è ricorrente: disordine mentale, disordine economico, disordine climatico e via dicendo.

Ormai non si parla più di governare il Nuovo Ordine Mondiale, ma di sopravvivere in mezzo al caos[4].

I principali nodi

I Rapporti sopra citati, confermati poi da altre autorevoli ricerche, passano in rivista i principali nodi di questa policrisi.

Pericolo di “sindemie”. Il Global Risks Report registra un grande aumento dei disordini della salute, parlando quindi di una “crisi sanitaria silenziosa”[5]. E continua: “In combinazione con i sistemi sanitari fragili, esiste un rischio di un aumento delle ‘sindemie’: un insieme di problemi sanitari concomitanti, che si moltiplicano a vicenda, avendo un impatto complessivo sui sistemi politici, strutturali e sociali”[6]. Da parte sua, il Rapporto IPSOS dedica diverse pagine al “grave deterioramento della salute mentale”: “I nostri risultati confermano l’aumento dei problemi di salute mentale come questione chiave, soprattutto per i giovani”[7]. Questo aumento nei disordini mentali si riflette poi nel crescente caos nelle strutture.

Immigrazione. Un altro elemento della policrisi è l’immigrazione, ormai fuori controllo. “L’immigrazione sarà il tema centrale di questo secolo”, affermava nel 2015 il giornale della sinistra inglese The Guardian[8]. “Le politiche di integrazione hanno fallito. Questi problemi possono essere difficili, e affrontarli non è più un’opzione ma una necessità. Il tessuto delle nostre comunità e dei nostri quartieri dipende da questo”, dichiara l’Huffpost[9]. L’immigrazione incontrollata sta accendendo fuochi di tensione in quasi tutto il mondo, rischiando di fare saltare la tenuta di molte società. Gli esperti concordano nell’affermare che la società moderna si sta disintegrando, dando luogo non a un nuovo ordine mondiale, ma a un disordine pieno di tensioni. D’altronde, la gente si sente sempre meno legata al proprio territorio. Il Rapporto IPSOS rivela che ben il 74% delle persone vorrebbe sperimentare una nuova vita in un’altra parte del mondo[10].

Scontri religiosi. Un altro elemento della policrisi è il forte aumento delle tensioni a sfondo religioso. In contrasto con la retorica ecumenica che domina il politically correct, cresce ovunque l’intolleranza verso altre religioni, che sfocia sempre più spesso in vere e proprie persecuzioni. Tutto questo mentre cresce la diversità religiosa e mentre le religioni perdono il legame con un territorio specifico. “Cresce la diversità religiosa”, leggiamo nel Rapporto IPSOS[11]. Ma crescono anche l’intolleranza e la persecuzione. Un rapporto dell’autorevole Pew Research Center concludeva qualche anno fa: “Le ostilità religiose raggiungono il livello più alto degli ultimi sei anni”[12]. Le persecuzioni sono più frequenti ai danni dei cristiani in paesi a maggioranza musulmana o animista, oppure in Paesi comunisti come Cina e Nicaragua. Il Paese in assoluto più intollerante è l’India, specie dopo la vittoria del Premier Narendra Modi, che ha portato a un revival del nazionalismo. Nel caso dell’Islam radicale, il problema religioso si intreccia poi col terrorismo[13].

L’abisso tra città e campagna. Altro elemento della policrisi è la crescente spaccatura tra la campagna e le città, che l’autore britannico David Goodhart ha battezzato “Somewheres” vs. “Anywheres”. Secondo Goodhart, i Somewheres sono persone radicate e conservatrici, mentre gli Anywheres sono globalisti e amano il cambiamento. Diverse ricerche mostrano il crescente divario ideologico e temperamentale tra queste due realtà, che riguarda tutte le società moderne e ha già provocato scontri politici in alcuni paesi.

Narrative conflittuali. Si usa sempre di più il termine “narrativa” per denotare una certa lettura dei fatti correnti. Ebbene, tutte le analisi mostrano una crescente polarizzazione tra le narrative, che lascia poco spazio alla moderazione: no-vax/pro-vax, anti-Trump/pro-Trump, pro-Putin/anti-Putin, democratici/populisti e via dicendo.

Una società arcipelago. Dopo il libro di Jerôme Fourquet L’archipel français, questo termine si usa per denotare la crescente frantumazione della società: ormai tutto è diviso per interessi specifici propri a gruppi, venendo quindi a mancare la coesione sociale attorno a valori e a gusti condivisi. Secondo Fourquet, la distruzione delle matrici tradizionali lascia spazio a piccoli gruppi con interessi diversi e che non cercano di aprirsi agli altri. Due esempi lo illustrano: la secessione delle élite da un lato, e quella delle popolazioni immigrate dall’altro.

Terrorismo e omicidi di massa. Il Global Risks Report 2023 dedica spazio all’aumento degli attacchi terroristici in tutto il mondo, a scopi politici, religiosi e ideologici[14]. A ciò si aggiunge il preoccupante aumento degli omicidi in massa, le famose sparatorie che ogni tanto riempiono i notiziari. La più sanguinosa è stata a Garissia, Kenya, con 147 persone uccise.

Il collasso dello Stato. Un aspetto della policrisi, che meriterebbe uno studio a parte, è il collasso dello Stato, con l’aumento dell’inquietudine sociale (civil unrest), e la conseguente esplosione di moti insurrezionali come Woke, Black Lives Matter e Cancel Culture, oppure la versione latino-americana Despertar (sveglia) che, per esempio, nel 2019 ha devastato la capitale del Cile, Santiago. Secondo il Global Risks Report, c’è il concreto rischio di “collasso dello Stato che porterà grave instabilità, con conseguenze geopolitiche, a causa dell’erosione delle istituzioni e dello Stato di diritto, alla fine del dominio della legge, all’inquietudine sociale, e agli effetti delle gravi instabilità regionali e globali”[15].

Conflitto tra i poteri dello Stato. In molti Paesi, per esempio Brasile e Stati Uniti, c’è un crescente conflitto tra i poteri dello Stato, che in alcuni casi ha portato al blocco dei processi democratici.

La “deglobalizzazione”. Per anni siamo stati abituati a vedere nella “globalizzazione” l’onda del futuro. Ebbene, contrordine compagni! “Dopo essere stata la soluzione, adesso la globalizzazione è il problema”, titola Le Monde[16]. Ed ecco che gli stessi organismi che proponevano la globalizzazione, ora offrono la “deglobalizzazione”[17]. Uno studio fatto da Teneo Global Consulting rivela che ben l’86% degli amministratori delegati e il 94% degli investitori credono che il futuro sia la deglobalizzazione[18]. Deglobalizzazione vuol dire regionalizzazione, col conseguente aumento dei conflitti regionali.

La Trappola di Tucidide. Tralasciamo altri elementi della policrisi e andiamo a uno di grande importanza: la Trappola di Tucidide. È un’espressione che definisce la tendenza che porta alcune tensioni politiche per la supremazia a sfociare in guerre. L’espressione è stata coniata dal politologo statunitense Graham Allison in un articolo per il Financial Times del 2012, venendo poi ripresa nel suo libro Destined for war: can America and China escape Thucydides’s trap? In questo senso, l’espressione si riferisce alla possibilità, secondo Allison inevitabile, di una guerra tra gli Stati Uniti e la Cina, che potrebbe facilmente degenerare in conflitto nucleare.

Mettiamo insieme tutti questi elementi, più altri che l’esiguità dello spazio ci impedisce di sviluppare, e la conclusione è inevitabile: stiamo assistendo alla graduale dissoluzione di tutte le strutture: mentali, sociali, culturali, religiose, politiche, economiche. Mentre la modernità era sinonimo di progresso, questa post-modernità si sta rivelando sempre più una marcia verso il caos. La storia moderna, diceva nel 1980 il sociologo americano Daniel Bell, è stata finora guidata dall’idea di un Aufheben, una costruzione del superuomo razionalista all’interno della civiltà perfetta. Si tratta di sostituire a questo impulso ascendente un Niedergang, ossia una discesa verso il nulla[19].


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Note

[1] IPSOS, A New World Disorder? Navigating a Polycrisis. Global Trends 2023, febbraio 2023, pp. 4, 66.

[2] Ibid., p. 6.

[3] World Economic Forum, Global Risks Report 2023. 18th Edition, gennaio 2023, p. 9.

[4] Cfr. Francesca Concina, “Polycrisis: governare il caos”, Managoritalia, 19 marzo 2023.

[5] Global Risks Report 2023, p. 35.

[6] Ibid., p. 37.

[7] A New World Disorder?, pp. 2, 29.

[8] Alexander Betts, “Human migration will be a defining issue of this century”, The Guardian, 20 settembre 2015.

[9] Rachel Marangozov, “Integration Policies Have Failed - How To Get Them Right”, Huffpost, 5 gennaio 2017.

[10] A New World Disorder?, p. 61.

[11] Global Trends 2023, p. 11.

[12] Pew Research Center, Religious Hostilities Reach Six-Year High, 14 gennaio 2014.

[13] Global Risks Report 2023, p. 75.

[14] Ibid., p. 75.

[15] Global Risks Report 2023, p. 75.

[16] Antoine Reverchon, “Why globalization is becoming a problem after been the solution”, Le Monde, 17 maggio 2022.

[17] Global Risks Report 2023, p. 6.

[18] Teneo, “Deglobalization. Is this the end of globalization? When it comes to deglobalization, it’s not a matter of if but when”, Vision 2023. Where is the World Going in 2023 and Beyond?, p. 9.

[19] Daniel Bell, Beyond Modernism, Beyond Self, Abt Books, Cambridge, 1980, p. 288.







Ieri era peccato, oggi non più, domani chissà: la curiosa dottrina di Papa Francesco


Papa Francesco conferenza stampa in volo dal kazakistan 13-15 settembre 2022





Di Sabino Paciolla, 31 Agosto 2023

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Phil Lawler e pubblicato su Catholic Culture. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella mia traduzione.




“Oggi è un peccato possedere bombe atomiche; la pena di morte è un peccato”, ha detto Papa Francesco a un raduno di gesuiti a Lisbona all’inizio del mese. Si tratta di affermazioni severe, chiare e senza compromessi. Ma, ha continuato il Papa, “prima non era così”.

Quindi in passato, ci dice il Papa, non era (o almeno non necessariamente) peccaminoso avere armi nucleari o giustiziare un criminale condannato. Ma ora, ci dice, lo è.

Se qualcosa che non era peccaminoso in passato è peccaminoso oggi, può funzionare anche il contrario? Può qualcosa che un tempo era peccaminoso diventare moralmente accettabile, forse persino gradito? Papa Francesco si è trovato di fronte a questa domanda durante lo stesso incontro a Lisbona. Uno dei gesuiti presenti ha chiesto informazioni sui giovani che si identificano come omosessuali:


Sentono di essere parte attiva della Chiesa, ma spesso non vedono nella dottrina il loro modo di vivere l’affettività, e non vedono la chiamata alla castità come una chiamata personale al celibato, ma piuttosto come un’imposizione. Poiché sono virtuosi in altri ambiti della loro vita e conoscono la dottrina, possiamo dire che sono tutti nell’errore, perché non sentono, in coscienza, che le loro relazioni sono peccaminose?

La risposta del Papa non è stata così forte e chiara come la sua condanna della pena di morte. Ma certamente non ha confermato l’antico insegnamento cristiano secondo cui gli atti omosessuali sono immorali. Ha invece espresso la sua impazienza per quella che considera un’eccessiva preoccupazione per i “peccati sotto la cintura”. Ma dopo aver chiesto “sensibilità e creatività” nella cura pastorale, ha concluso dicendo: “Tutti, tutti sono chiamati a vivere nella Chiesa: non dimenticatelo mai”.

Sì, certamente tutti sono chiamati a vivere nella Chiesa. Compresi gli omosessuali. Compresi i boia. Compresi i generali che gestiscono scorte di armi nucleari. Ma tutti sono anche chiamati a vivere secondo gli insegnamenti della Chiesa. E Papa Francesco non è timido nel pronunciare alcuni insegnamenti. Allora perché ha evitato di rispondere direttamente alla domanda sulla moralità degli atti omosessuali? La sua spiegazione è stata rivelatrice: “È chiaro che oggi la questione dell’omosessualità è molto forte, e la sensibilità al riguardo cambia a seconda delle circostanze storiche”.

Le circostanze storiche cambiano, certo, e con esse cambiano gli atteggiamenti dell’opinione pubblica. Ma i principi morali fondamentali non cambiano. Se l’adulterio, la fornicazione e la sodomia erano sbagliati nel I, nel X e nel XVI secolo, lo sono anche oggi. Il sesso ricreativo può essere ampiamente accettato – persino applaudito – in una società decadente. Ma la Chiesa non è (o non dovrebbe essere) governata dalle tendenze popolari.

Ecco perché molti cattolici sono angosciati quando il Vescovo di Roma sembra suggerire che gli insegnamenti della Chiesa possono essere influenzati dai cambiamenti del pensiero secolare. Se “la questione dell’omosessualità è molto forte” – e lo è – questo non suggerisce forse la necessità di una maggiore chiarezza sui principi fondamentali?

Durante la stessa sessione di domande e risposte, quando si è lamentato dei cattolici americani “reazionari” che resistono ai cambiamenti nell’insegnamento della Chiesa, Papa Francesco ha fatto un altro riferimento al modo in cui il pensiero secolare può influenzare la dottrina:


Qui la nostra comprensione della persona umana cambia con il tempo e anche la nostra coscienza si approfondisce. Anche le altre scienze e la loro evoluzione aiutano la Chiesa in questa crescita della comprensione.

Gli sviluppi delle scienze possono chiarire il nostro pensiero su questioni (come, in modo significativo, l’inizio della vita umana). Ma le scienze non cambiano realmente “la nostra comprensione della persona umana” in modo fondamentale. È difficile capire cosa il Papa intenda qui, a meno che non si riferisca al mutevole consenso dell’opinione popolare tra gli scienziati, che oggi chiede una maggiore accettazione dell’omosessualità.

Papa Francesco cita San Vincenzo di Lérins come autorità per l’affermazione che l’insegnamento della Chiesa cambia nel tempo. Ma San Vincenzo, come San John Henry Newman, insisteva sul fatto che l’insegnamento della Chiesa si sviluppa piuttosto che cambiare. Una dottrina può essere chiarita, o ampliata, o resa in un linguaggio più preciso; ma non può essere ribaltata. Una dottrina è come una pianta, che può crescere e fiorire e dare frutti, ma non può mai diventare qualcosa di diverso da ciò che era in origine. Una ghianda può diventare una grande quercia, ma non un acero.

In un eccellente articolo sulla corretta comprensione di San Vincenzo, apparso su First Things l’anno scorso, mons. Thomas Guarino scrive che “consiglierebbe al Papa di evitare di citare San Vincenzo per sostenere dei ribaltamenti, come nel caso del suo insegnamento che la pena di morte è “di per sé contraria al Vangelo””. La mia copia del Catechismo della Chiesa Cattolica, priva dell’ultima modifica ordinata da Papa Francesco, insegna (n. 2266): “L’insegnamento tradizionale della Chiesa ha riconosciuto come fondato il diritto e il dovere della legittima autorità pubblica di punire i malfattori con pene commisurate alla gravità del crimine, non escludendo, in casi di estrema gravità, la pena di morte”.

Se la pena di morte debba essere invocata in particolari circostanze è una questione prudenziale. Ma se la Chiesa ha tradizionalmente sostenuto il diritto e il dovere dello Stato di punire i criminali, allora la pena di morte non può essere “di per sé contraria al Vangelo” – a meno che quell’insegnamento tradizionale non fosse semplicemente sbagliato. E se la Chiesa ha sbagliato in passato, non abbiamo alcuna garanzia che non sbaglierà di nuovo in futuro. O, se vogliamo, nel presente.

Proprio domenica scorsa abbiamo ascoltato una lettura del Vangelo che parlava della solida roccia su cui è costruita la nostra Chiesa. Per secoli la nostra garanzia dell’integrità della dottrina cattolica è stata il magistero, custodito dai successori di Pietro. Quando Papa Francesco mette in discussione gli insegnamenti tradizionali – e deride coloro che vedono il magistero come un “monolite” – mina ogni autorità didattica, compresa la sua.

Phil Lawler







mercoledì 30 agosto 2023

Gesù “rigido” e peccatore, l’eresia di padre Spadaro


Sul Fatto quotidiano, il gesuita Antonio Spadaro commenta l’episodio di Gesù con la cananea per dire in sostanza che il Signore sarebbe stato un peccatore come gli altri. Un’eresia lampante, con almeno due “spiegazioni”.


ARTICOLO SHOCK

EDITORIALI 

Tommaso Scandroglio, 30-08-2023

Il gesuita padre Antonio Spadaro, direttore della rivista La Civiltà Cattolica, dalle colonne del Fatto quotidiano del 20 agosto scorso ci chiarisce come i nuovi dogmi della Chiesa presente – inclusione, dialogo e partecipazione, divieto di indietrismo, di clericalismo, di mondanità e di rigidità – sono così assoluti e veri, così universali e definitivi che investono la stessa figura di Gesù. La quale figura viene storicizzata, elisa dalla sua natura divina, gettata nell’immanentismo transeunte in cui tutti noi viviamo. Lo spadaro del gesuita si è dunque abbattuto anche sulla testa di Nostro Signore.

Padre Spadaro, dalle pagine del Fatto, commenta il passo del Vangelo di Matteo (15, 21-28) in cui una donna cananea chiede aiuto a Gesù perché sua figlia è tormentata dal demonio. Gesù, apparentemente, la tratta con durezza e solo dopo molte insistenze compie il miracolo. Anche i bambini sanno che la Chiesa ha sempre spiegato questo curioso approccio di Gesù in chiave pedagogica: a volte, anzi spesso, Dio non ci concede subito ciò che chiediamo – e a volte non ce lo concede proprio per il nostro maggior bene – per accrescere in noi molte virtù, in primis la fede e poi a seguire la pazienza, la perseveranza, l’umiltà, la docilità, l’obbedienza, etc.

Il direttore della Civiltà Cattolica è di diverso avviso. Gesù sarebbe «insensibile. […] La durezza del Maestro è inscalfibile. […] La misericordia non è per lei. È esclusa. Non si discute. [Gesù] risponde in maniera beffarda e irriguardosa nei confronti di quella povera donna. “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”, cioè ai cani domestici. Una caduta di tono, di stile, di umanità. Gesù appare come fosse accecato dal nazionalismo e dal rigorismo teologico», scrive padre Spadaro. Poi la donna ribatte dicendo che anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei padroni. Continua il commento del Nostro: «Poche parole, ma ben poste e tali da sconvolgere la rigidità di Gesù, da conformarlo, da “convertirlo” a sé. […] E anche Gesù appare guarito, e alla fine si mostra libero, dalla rigidità degli elementi teologici, politici e culturali dominanti del suo tempo».

In sintesi, secondo padre Spadaro: Gesù ha peccato di rigidità, ma poi si è convertito ed è guarito. Quindi Gesù era un peccatore come tutti gli uomini. Questa lampante eresia così si articola in modo più analitico. Nostro Signore è insensibile e duro d’animo: addio al cuore misericordioso di Cristo che ha offerto Sé stesso per salvarci. A tutti questa misericordia è rivolta, ma non alla cananea. Gesù è beffardo, quindi manifesta scherno e derisione cinica, crudele, quasi ripugnante. Non rispetta la dignità di quella donna. Cristo è poi poco elegante, perché ha una caduta di stile, ma, quello che è più grave, manca di umanità, proprio Lui che è l’uomo perfetto, paradigma di tutta l’umanità possibile, modello a cui si è ispirato Dio per creare ciascuno di noi. Gesù ha poi bisogno anche Lui della salvezza e addirittura della conversione: dato che anch’Egli è peccatore. Peccatore e nazionalista e, aggiungiamo noi per conclusione logica, uomo di destra chiuso al multiculturalismo etnico. Non è poi libero dalle gabbie teologiche che si è costruito – Lui che, essendo Dio, è l’Onnipotente – libero dai condizionamenti dei costumi del suo tempo, dalla rigidità di una forma mentis che potremmo qualificare come affetta da clericalismo. La cananea risulta quindi migliore di Lui. Migliore di Nostro Signore.

Perché queste enormità da parte di padre Spadaro? Molte possono essere le risposte. Qui ne proponiamo due, senza presunzione che siano quelle giuste. La prima: Spadaro ha voluto, per ingraziarsi le simpatie di chi sta più in alto di lui, infilare rigidità e mancanza di misericordia anche laddove proprio è impossibile mettercele. Insomma, ha fatto scorrere il lapis con un po’ troppa disinvoltura per essere al passo con i tempi, per marciare al suono dell’ecclesialmente corretto, per decifrare il Vangelo con le parole chiave di uso quotidiano nella pastorale di oggi.

Seconda ipotesi, forse più probabile. Da qualche anno molti uomini di Chiesa ci stanno tranquillizzando sul fatto che alcune condotte morali sono inarrivabili per noi mortali: essere fedeli al proprio coniuge, essere casti se divorziati o se sposati con Gesù o se omosessuali, etc. La figura di Cristo in questo senso è scomoda. Vero è che è Dio, ma è pur sempre anche uomo. Occorre quindi abbassare l’asticella. Pensate ad un Gesù non più perfetto, ma anche lui peccatore, anzi, come si dice oggi, fragile, mosso anch’egli da passioni sregolate, duro, privo di carità, rigido, debole e dunque bisognoso di conversione. Sarebbe una "liberazione". Se anche Lui cadeva, a maggior ragione possiamo farlo tutti noi. Un Gesù come noi è dunque un efficace salvacondotto per peccare, per demolire quell’odiata dottrina cattolica che percepiamo come un peso impossibile da portare. Da «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48) a «Siate peccatori come lo sono io su questa Terra». È l’uovo di Spadaro.





martedì 29 agosto 2023

La dolce conquista: l’Europa si arrende all’Islam








Di Fabio Trevisan, 28 AGO 2023

Con questo ponderoso volume: “La dolce conquista” (Edizioni Cantagalli, 2023, pagine 447, € 22,00), Giulio Meotti, scrittore e giornalista de Il Foglio, ha illustrato in nove densi capitoli, corredati di una quarantina di interviste a personaggi di assoluto rilievo nel panorama culturale mondiale (che vanno da Robert Redeker ad Alain Finkielkraut, da Rémi Brague ad Annie Laurent, soltanto per citarne qualcuno), quanto espresso nell’eloquente sottotitolo: “L’Europa si arrende all’Islam”. Come sottolineato nella prefazione di Boualem Sansal, scrittore algerino attivo da più di trent’anni nella denuncia del fondamentalismo islamico, l’Islam ha una vocazione universale, le cui élite costituiscono una fratellanza planetaria molto più potente di tutte le altre fratellanze umane messe insieme… e tanto più allarga i suoi tentacoli quanto più la vecchia Europa prosegue nel suo declino. Il libro inizia da un importante rilevamento risalente al novembre 2001 in Svizzera, dove nella villa di un banchiere egiziano appartenente alla Fratellanza Musulmana si ritrovò un documento considerevole, denominato Il Progetto, in cui veniva esposto il disegno strategico di stabilire il regno di Allah in tutto il mondo.

Roma: la moschea saudita

Sulla prima pietra della moschea di Roma, in lettere latine e arabe, sta scritta la data: 11 dicembre 1984. Per Paolo Portoghesi, progettista del grande complesso islamico, la posa di quella prima pietra è espressione concreta della cultura della pace, così come per il ministro degli Esteri Giulio Andreotti, la moschea è un fatto che si inquadra in una evoluzione positiva moderna dell’Italia e di Roma. Soltanto Giovanni Paolo II, come ricorda Meotti, suonò una nota discorde: “…Spero vivamente sia riconosciuto in ogni angolo del mondo il diritto di tutti i cristiani e di tutti i credenti di esprimere la propria fede”. L’autore, collegando i fatti specifici e ben documentati alle testimonianze vive di illustri personaggi della cultura mondiale, come ad esempio Mordechai Kedar, figura di rilievo dell’Intelligence dell’Idf, l’esercito israeliano, afferma che dopo aver conquistato la Chiesa orientale di Costantinopoli nel 1453 ora l’Islam stia procedendo alla conquista di Roma. La natura della Jihad non è solo militare, ma anche e soprattutto economica (con gli ingenti finanziamenti provenienti dal Qatar, dall’Arabia Saudita, dalla Turchia), oltre che mediatica (ad esempio il colosso Al Jazeera) e quella legata all’immigrazione. In questo Progetto di conquista islamica giocano un ruolo fondamentale la demografia, il multiculturalismo, la predicazione e il terrore. Come ebbe a dire una trentina d’anni fa Bernard Lewis, grande islamologo e arabista del Novecento, è in atto una terza invasione islamica dell’Europa in cui l’Europa sarà islamica alla fine del secolo. Il primo capitolo si conclude con una significativa citazione dello storico inglese Arnold Toynbee: “Le civiltà non si uccidono, si suicidano”.

Madrid: la Reconquista


Meotti espone nel libro, seppur con qualche ripetizione, una serie di dati statistici e storici di assoluto rilievo, come ad esempio quello secondo cui l’islamizzazione diventa irreversibile quando la popolazione musulmana raggiunge il 20 per cento, quantità già raggiunta e superata in alcune città dell’Inghilterra, della Francia, del Belgio e dell’Olanda. Sono numerosi e ben documentati gli studi citati nel volume che attestano come la dolce conquista islamica stia avvenendo, sotto lo sguardo complice dell’oligarchia politica e mediatica europea. Come espresso nell’intervista ad Alexandre Goodarzy, scrittore e professore di storia all’Université Catholique di Angers, nato in Francia da padre iraniano e mamma francese, tenuto in ostaggio in Iraq per circa due mesi: “L’Islam si sta diffondendo in aree dove la Chiesa e lo Stato si sono arresi…I francesi potranno affrontarli e vincere questa guerra di civiltà solo quando capiranno e accetteranno il cristianesimo come elemento fondamentale e inseparabile dell’identità francese”. Tra i tanti considerevoli dati citati dall’autore, non può passare inosservato che l’Arabia Saudita abbia addestrato 25.000 persone all’Università islamica di Medina, con una spesa stimata di 200 miliardi di dollari in trent’anni per creare madrasse, moschee e altre strutture per propagare l’Islam in tanti Paesi europei. Un altro dato incontrovertibile e impressionante è quello della stampa: a Medina oltre cento milioni di copie del Corano in trentanove lingue sono state stampate dal 1985, con l’impiego di ben 1700 persone. La Reconquista spagnola, in conclusione del secondo capitolo, sta ancora una volta nei numeri: nel 1990 i musulmani in Spagna erano 100.000, nel 2017 quasi due milioni con 1400 moschee, il tutto sostenuto da un fiume di denaro proveniente dal Medio Oriente e dal Golfo. Un altro dato che si impone all’attenzione in Spagna è quello del numero dei convertiti all’Islam, spesso persone di sinistra che volevano arrivare a Dio senza passare dalla Chiesa, sovente accusata di collusione con il franchismo. Non a caso nel 1987 Roger Garaudy, filosofo marxista convertito all’Islam, proclamò la necessità per l’Europa di abbracciare l’Islam per ripudiare il materialismo.

Colonia: dai Magi ai muezzin


Considerando che la venerazione dei Re Magi in Germania risale al XII secolo, facendo di Colonia un importante luogo di pellegrinaggio per la conservazione delle loro reliquie, anche la moschea di Colonia e il richiamo alla preghiera del muezzin è stata vista, in particolare dallo scrittore ebreo Ralph Giordano, un primo passo verso l’islamizzazione. Anche ad Aquisgrana (la città di Carlo Magno) il muezzin, come ricorda Meotti, è di casa. I dati parlano chiaro: 27 moschee ad Hannover, Francoforte prima città in cui i tedeschi non sono più maggioranza della popolazione, cancellazione a Berlino dell’Idomeneo di Mozart perché c’era la testa tagliata di Maometto. Il celebre islamologo Bassam Tibi, siriano d’origine, ha scritto sulle pagine della Neue Zurcher Zeitung: “Lo Stato tedesco ha ufficialmente capitolato all’Islam”, suffragato pubblicamente dalle dichiarazioni dell’ex primo ministro turco Necmettin Erbakan: “Gli europei sono malati…Daremo loro la medicina. L’intera Europa diventerà islamica. Conquisteremo Roma”. Lo stesso Erdogan ha affermato: “Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati”. L’autore ha riportato una dichiarazione, a suggello dell’invasione islamica, di un imprenditore turco-tedesco, Vural Oger: “Nel 2100 ci saranno in Germania 35 milioni di turchi, mentre i tedeschi saranno circa 20 milioni. Ciò che il sultano Suleyman iniziò nel 1529 con l’assedio di Vienna, lo realizzeremo attraverso gli abitanti”. Allora si può comprendere, leggendo attentamente questi precisi dati come fa Meotti, come gran parte delle ong che operano nel Mediterraneo siano tedesche e del motivo per cui il sociologo e accademico di origine egiziana, Hamel Abdel-Samad, autore del libro: “Fascismo islamico” sia protetto da dieci anni dalla polizia tedesca per paura delle ritorsioni e vendette islamiche.

Parigi: “Ho ucciso un cane dell’inferno”


A partire dalla testimonianza di Didier Lemaire, professore di filosofia a Trappes, che denunciò l’incendio della sinagoga del 2000 e che, dopo la decapitazione del collega Samuel Paty, lanciò un appello alla resistenza contro la minaccia islamista che gli costò il continuo accompagnamento a scuola da parte degli agenti di polizia, Giulio Meotti ricostruisce in modo dettagliato la penetrazione islamica della Francia. Raccogliendo le testimonianze dirette e gli scritti di autori famosi come Lévi-Strauss, Michel Houellebecq, Jean Daniel, l’autore mostra la disintegrazione di una Francia che si islamizza attraverso alcune tappe significative contrassegnate da sangue e terrore: Attentato a “Charlie Hedbo”. Assassinio di padre Jacques Hemel mentre celebra la Messa. Decapitazione di Samuel Paty. Appello di venti generali francesi a Emanuel Macron. Rivolte nelle banlieu. 3000 moschee sul territorio francese con il finanziamento islamico delle periferie da parte dell’Arabia e del Qatar. Aumento vertiginoso della popolazione musulmana con il raggiungimento del 30% a Marsiglia e Lione. Nonostante che studiosi importanti denuncino la gravità della situazione attraverso libri, ricerche, dati statistici e demografici, la Francia – come rileva Jean-Louis Harouel, insigne storico del diritto- si è lasciata trasformare in un Paese musulmano. Submission, come recita il libro di Houellebecq. L’autore non esita a denunciare il ruolo guida del Consiglio d’Europa, decisamente favorevole all’immigrazione, giustificando così l’espansione islamica in Europa. I dati parlano ancora una volta in modo molto chiaro: mentre una sala di preghiera musulmana viene aperta ogni settimana in Francia, la Chiesa cattolica ha costruito solo 20 nuove chiese in Francia negli ultimi dieci anni. Ha ben ragione quindi a dire Hakim El Karoui, consigliere del presidente Macron sull’Islam: “L’Islam è la prima religione praticata in Francia”. In questo clima di penetrazione nel territorio e sottomissione, persino gli imam moderati come Hassen Chalgoumi possono essere condannati a morte dai fondamentalisti islamici, soprattutto dopo che egli ha sostenuto il divieto di portare il burqa in pubblico, come ha raccontato nell’intervista a Meotti: “Bisogna battersi contro il finanziamento e l’interferenza straniera del Qatar, dell’Arabia Saudita, della Turchia e delle loro ideologie islamiste”. Il Collettivo contro l’islamofobia (un tempo si parlava di Cristianofobia), il Movimento contro il razzismo e per l’amicizia fra i popoli, che avevano condannato ad esempio Oriana Fallaci per il suo libro La rabbia e l’orgoglio, stanno perseguitando altre persone, come il celebre storico francese, studioso di antisemitismo e Medio Oriente, Georges Bensoussan, che ha denunciato l’antisemitismo in Francia da parte delle famiglie arabe.

Bruxelles: la casa dei Fratelli Musulmani


In questo capitolo riguardante la penetrazione islamica nel Belgio, Giulio Meotti ha posto l’accento sulla figura emblematica di Philippe Moureaux, professore di Filosofia all’Università di Liegi, ministro, senatore, vicepremier nel governo Martens, sindaco socialista di Molenbeek, che ha dato il nome alla legge del 1981 per contrastare il razzismo e la xenofobia in difesa degli immigrati, in gran parte islamici. Non a caso Moureaux si è sposato in seconde nozze con una musulmana tunisina ed ha sempre attinto il suo bacino elettorale con presentazioni politiche nelle moschee. Figura emblematica, in quanto fautore del meticciato culturale e del multiculturalismo. Ancora una volta i dati esposti nel volume di Meotti sono eloquenti: Bruxelles è per il 30% islamica, quasi la metà di tutti i nascituri in Belgio provengono dall’estero. Alexandre Del Valle, saggista e editorialista francese, ha analizzato in tanti saggi la strategia della conquista islamica e le forze occidentali che ne hanno permesso la penetrazione: “Gli islamisti radicali…sostengono sempre la Sinistra perché sanno che la Sinistra vuole aprire le porte, fare lo jus soli, accogliere gli immigrati musulmani per farne una forza neo-proletaria e una base elettorale crescente”. Il fallimento del multiculturalismo in Belgio è evidente ed è riscontrato da Meotti attraverso altri significativi indicatori, sottolineati nell’intervista allo storico belga David Engels, presidente della “Oswald Spengler Society”, il quale afferma: “Il Belgio non è riuscito a sviluppare una corretta identità culturale o nazionale: è profondamente influenzato dall’islamizzazione; l’élite politica è fortemente influenzata dalle reti massoniche…i valori cristiani sono sistematicamente banditi dalla legislazione e dalla società”. Proprio nei palazzi del potere europeo, come ha evidenziato l’autore, si è imposto il multiculturalismo islamofilo; la Commissione Europea ha finanziato le ong legate all’Islam, in particolare ai Fratelli Musulmani, basti pensare che alla guida della “Rete europea contro il razzismo” c’è la figlia del fondatore del braccio tunisino dei Fratelli Musulmani. Gli stessi Ecologisti sono a favore delle richieste islamiche. Qualcuno ha detto che l’islamismo è un iceberg verso il quale le élite europee si stanno dirigendo ad alta velocità e dal 2014, altro dato importante, il Consiglio d’Europa organizza la “Giornata europea contro l’islamofobia”, finanziando addirittura il “Rapporto annuale sull’islamofobia”. Per non farsi mancare niente, a Bruxelles è stata ospitata una mostra finanziata dell’Unione Europea, dal titolo: “L’Islam, la nostra storia!”.

Mosca: terza Roma o seconda Mecca?


Nell’introduzione del capitolo, Meotti rammenta una frase tratta dal Diario di uno scrittore di Dostoevskij: “Il fanatismo dell’Islam si getterà ancora una volta contro l’Europa”. Persino la Russia non è esente dalla penetrazione islamica, se, come ricorda l’autore, in vent’anni in Russia sono state costruite 8000 moschee. Seppur, come ricorda giustamente l’autore, l’identità nazionale russa si fonda sul rifiuto del “giogo tataro” dei musulmani mongoli che, dal 1236 al 1480, fecero pagare un tributo ai principi cristiani di Mosca e sul fatto che gli zar si opposero tenacemente all’avanzata asiatica musulmana e al sultanato ottomano, la Russia, come ha esplicitato inequivocabilmente “Russia Today”: “Entro il 2040 sarà un Paese musulmano, se non cambia nulla”. La paura dell’Islam è sempre stata caratteristica fondamentale della storia russa, basti pensare alla Cecenia, soccorsa dalla Turchia e dall’Iran. Meotti, avvalendosi di dati statistici cui porre fiducia, come il Rapporto della Jamestown Foundation, suona un campanello d’allarme di ciò che i numeri stanno dicendo: “Dati i cambiamenti demografici, entro il 2050 i musulmani rappresenteranno tra un terzo e la metà della popolazione russa”. Ben 7 delle 22 repubbliche russe sono già islamiche e bisognerebbe considerare e valutare, anche dal punto di vista geopolitico, come la Russia possa essere ancora un cuscinetto tra l’Occidente e l’Oriente musulmano. Come ha ribadito Alexander Maistrovoy, saggista e giornalista, nell’intervista concessa a Giulio Meotti: “Se la Russia sarà tagliata fuori dall’Occidente, diventerà completamente dipendente dalla Cina e, a sua volta, l’Islam cullerà il sogno di realizzare un unico califfato…La Russia avrebbe potuto e avrebbe dovuto diventare un alleato della cristianità occidentale nella lotta contro l’Islam”. Non a caso l’ISIS esulta e afferma: “La guerra ucraina è l’autodistruzione dei crociati, i nemici dell’Islam, e Allah sarà l’unico vincitore che emergerà dalle rovine di questa tragedia”.

Londra: “Più islamica di tante città del Medio Oriente”

Tanto si è sentito parlare in Italia di Asia Bibi, la contadina cattolica pakistana, madre di due figli, condannata a morte per blasfemia contro l’Islam, a cui fu negato l’asilo politico nel Regno Unito. Tale divieto di asilo fu, secondo Wilson Chowdhry, presidente dell’Associazione cristiana pachistana inglese: “Dovuto al governo del Regno Unito che temeva problemi di sicurezza e disordini anche nelle ambasciate britanniche”. Si spiega così l’assassinio di Sir David Amess, cattolico, padre di cinque figli, euroscettico, pro-life, nella chiesa metodista di Belfairs in Inghilterra. Tale assassinio perpetrato da un terrorista islamico di origine somala si collega a quello già riferito in Francia di Padre Jacques Hamel in Normandia, così come la strage alla basilica di Nizza, l’attentato alla cattedrale di Notre-Dame a Parigi, quello al mercatino di Natale a Strasburgo, solo per citarne alcuni. Giulio Meotti parla espressamente di “codardia dell’establishment” che non vuole rendersi conto della situazione (metà delle moschee britanniche sotto il controllo dei Talebani, l’artista Grayson Perry costretto all’autocensura, sollecitazioni a mandare al macero il libro di Julie Burchill e a sopprimere dal cartellone teatrale per timore di rappresaglie il Tamerlano di Cristopher Marlowe, soltanto per fare alcuni esempi). All’ombra di tutti questi atti di vigliaccheria un fiume di denaro, come ha ben documentato l’autore: “La London School of Economics ha ricevuto milioni di sterline dalla Fondazione degli Emirati Arabi, così come le università inglesi”. Come riporta nel libro l’autore, l’ex capo della missione militare inglese in Afghanistan, Lord Dannatt ha sentenziato: “I Talebani hanno sconfitto l’Occidente”. Anche qui i numeri sono eloquenti: il 15% di Londra è musulmana, il 20% Manchester, il 27% Birmingham. Il compianto filosofo Roger Scruton l’aveva scritto: “Stiamo perdendo la nostra fede cristiana, la nostra cultura, e una nuova fede la sta soppiantando, l’islam”. Anche Robert Redeker, filosofo, saggista è costretto a nascondersi dal 2006 per una fatwa islamica e così ha riferito nell’intervista a Meotti: “Non è solo l’Islam a sfidare l’Europa, c’è anche il wokismo, proveniente dagli Stati Uniti…l’islamizzazione dello spazio pubblico non può essere accettata, è un tradimento della civiltà europea…tra gli “utili idioti” che hanno stretto un’alleanza con l’islam politico c’è una parte della sinistra”.

Malmoe: dove inizia il futuro


Come riporta Giulio Meotti nel libro: “La Ummah islamica prospera attraverso le frontiere aperte in Europa”. Tale constatazione è stata avallata dal primo ministro svedese Magdalena Andersson: “La politica svedese di integrazione degli immigrati è fallita, portando a società parallele e alla violenza tra bande”. In molte periferie svedesi la criminalità ha preso il controllo, tanto che l’autore, in forza delle numerose testimonianze raccolte, ha potuto dire che la strada per l’inferno è davvero lastricata di buone intenzioni multiculturali. Nell’intervista a Srda Trifkovic, autore de: La spada del Profeta, egli ha condensato in poche parole quanto espresso da William Muir (1819-1905), il più grande orientalista di tutti i tempi: “La spada di Maometto e il Corano sono i nemici più fatali di civiltà, libertà e verità che il mondo abbia conosciuto”. Come espresso liberamente da Trifkovic: “Il rifiuto dell’élite dominante di proteggere l’Europa dalla conquista islamica è il più grande tradimento nella storia del mondo…L’ostacolo principale alla sopravvivenza è spirituale. L’attuale forza tecnologica e finanziaria dell’Europa è una facciata. Nasconde una sottostante debolezza morale e demografica”. Alcuni precisi dati dell’autore dovrebbero inquietarci: il 30% della popolazione svedese evita la metropolitana per timore di aggressioni; in sei anni 829 attacchi contro chiese cristiane; i Fratelli Musulmani sono riusciti a penetrare nelle istituzioni e nei partiti politici della sinistra e dei Verdi in Svezia; gli autisti di ambulanze e dei vigili del fuoco devono attendere la scorta della polizia per entrare in alcuni quartieri svedesi; il passaggio di un intero popolo, quello svedese, dal cristianesimo all’ateismo. Una società, quella svedese, post-cristiana, in cui il cristianesimo (ridotto all’1% di praticanti) non ha una dimensione pubblica né tantomeno una dottrina sociale. Di tale inconsistenza ha riferito l’autore, citando il vescovo di Stoccolma Eva Brunne, che ha ordinato che le chiese rimuovano il crocifisso e installino uno spazio di preghiera per i musulmani.

Amsterdam: via Maometto dall’Inferno di Dante


Anche nei Paesi Bassi, attesta l’autore, si è sviluppata una società parallela islamica. Ad affermare che nelle moschee si insegna l’odio è la fondatrice di Femmes for Freedom, la pachistana Shirin Musa, una delle più famose attiviste per i diritti delle donne nel mondo islamico. Non solo è naufragato il multiculturalismo come in tante altre parti d’Europa, ma si è imposto il “multi legalismo” (poligamia, matrimonio infantile, ecc.). Una nuova traduzione della Divina Commedia di Dante ha rimosso Maometto dall’Inferno. A colloquio con Bruce Bawer, autore del best seller While Europe slept, alla domanda di Giulio Meotti su quanto l’Islam sia compatibile con l’Europa, ecco cosa rispose Bawer: “Libertà e Islam sono incompatibili, uguaglianza e Islam sono incompatibili…a causa della natura stessa dell’Islam-la combattività, la spinta alla conquista-…”. Anche l’omosessuale libertario, morto assassinato, Pim Fortuyn scriveva queste cose nel libro: “Contro l’islamizzazione della nostra cultura”. Ricorda Meotti che Pim amava le libertà consegnateci dalla tradizione giudeo-cristiana e, in particolar modo, l’Italia, dov’è sepolto. In Olanda i dati sono, ancora una volta, estremamente significativi: 50 anni fa c’erano quasi 3 milioni di cattolici, nel 2016 173.000! Venduta la cattedrale di santa Caterina a Utrecht, dove dal 1853 venivano consacrati tutti i sacerdoti d’Olanda. Molte chiese sono state convertite in moschee. Da questo punto di vista, come ben espresso dall’autore, l’Olanda è la testa di ponte in Europa di una massiccia scristianizzazione.

Costa Concordia o Titanic?


Nelle Conclusioni del libro, spicca un’intervista a Michel Onfray, filosofo francese ateo, che nel massiccio volume Decadence (500 pagine) cerca di spiegare le cause di questa decadenza: “Quello che stiamo vivendo si chiama semplicemente nichilismo dove la sinistra ideologica lavora a questa Grande Sostituzione…La forza dell’Islam viene dalla debolezza del Cristianesimo, il crollo della bussola giudaico-cristiana porta a un nichilismo, dove uno dei segni è l’odio verso se stessi”. Questo colare a picco che richiama il Titanic o, più recentemente, la Costa Concordia, per l’autore può essere quantomeno frenato attraverso alcune misure: chiudere i confini esterni dell’Unione Europea restringendo il diritto di asilo; selezione l’immigrazione su base culturale e religiosa , inserire il riconoscimento delle radici giudaico-cristiane nell’Unione Europea, fermare il flusso di denaro dalle dittature islamiche, così come fermare la cancel culture, incentivare le politiche demografiche, mettere al bando i simboli dell’Islam politico (burqa, minareti, muezzin. Anche la postfazione di Richard Millet (scrittore libanese-francese), che conclude la ricerca di Giulio Meotti, riprende e sintetizza i temi dell’ampio volume, come ad esempio quello della penetrazione islamica: “Questa cecità europea ha un nome: diritti umani. In nome dei diritti umani, l’Islam si è stabilito in Europa attraverso un multiculturalismo diventato quasi una dottrina di Stato. L’altro nome nel quale riesce a radicarsi è attraverso l’economia…il cristianesimo orientale è il grande sconfitto…il velo islamico non è solo sul capo delle donne musulmane ma copre anche gli occhi degli ingenui che guardano all’uomo prima che al musulmano…la Commissione Europea lavora apertamente per estirpare ogni traccia del cristianesimo ufficiale, in nome della “tolleranza”, del “multiculturalismo”. Conclude Millet la sua lucida disamina con una frase eclatante che dovrebbe essere maggiormente sottolineata: “Il multiculturalismo…cresce sulle rovine del cattolicesimo. L’Islam lavora insieme al “woke”, all’ideologia LGBT e pure con la politica sanitaria globale introdotta dal COVID 19”.

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Fonte








Sabato 23 settembre 2023: XVI PELLEGRINAGGIO TOSCANO ALLA MADONNA DI MONTENERO







In un momento particolarmente caldo ed afoso siamo a divulgare una notizia freschissima che speriamo sollevi tutti gli Amici Toscani legati alla Santa Tradizione da molte sofferenze di calura e di pensieri.

Il nostro consueto Pellegrinaggio si terrà quest'anno il giorno Sabato 23 Settembre con la salita al Sacro Colle di Montenero e la celebrazione di una Santa Messa Solenne (ore 11,oo) nella basilica del Santuario della Patrona della Toscana.

Presto potremo diffondere il programma nel dettaglio e tutte le informazioni sulla celebrazione e sul consueto incontro nel pomeriggio.

Intanto, che siate tra i bellissimi nostri colli che speriamo ventilati ed ombreggiati, che siate sulle nostre splendide coste a prender un po' di frescura marina, o tra le incantate abetaie della nostra montagna, prendete nota!

Ma anche se questo periodo non avesse ancora il piacevole sollievo delle ferie, ricordate l'appuntamento a cui tutti siamo chiamati dalla devozione sincera per la Santa Vergine la cui materna protezione impetriamo con insistenza filiale: peccatori, insufficienti, inutili servi chiediamo al Cielo aiuto per le nostre sofferenze e necessità e per quelle della Santa Chiesa Cattolica.

Viva Maria! Viva il preziosissimo Sangue di Nostro Signore ed il Suo sacratissimo Cuore! Viva Cristo Re!







lunedì 28 agosto 2023

28 agosto: Sant’Agostino. Conosciamo in sintesi il suo pensiero






di Corrado Gnerre

La vita e la conversione


Sant’Agostino (in alcuni libri lo potreste trovare sotto il nome di “Aurelio Agostino” o “Agostino d’Ippona”) nacque nell’Africa settentrionale, a Tagaste, nel 354 da madre cristiana (santa Monica) e da padre pagano, Patrizio, che poi si convertì.

La sua giovinezza fu molto movimentata (in tutti i sensi). Quando nel 370 si recò a Cartagine per perfezionarsi negli studi, condusse una vita disordinata, aderì al manicheismo (credenza in due divinità, una buona e l’altra cattiva) e si unì ad una donna del popolo con cui convisse per alcuni anni e da cui ebbe un figlio, Adeodato, che rimase con lui.

Dopo vari viaggi e spostamenti e dopo aver abbandonato anche il manicheismo, si recò a Milano dove fece carriera e, per interessamento del prefetto Simmaco, ottenne la cattedra di retorica al Liceo imperiale. Qui lo raggiunsero la madre e alcuni amici e proprio qui, a Milano, iniziò a riflettere sulla vanità delle cose terrene.

In questo periodo fu molto importante l’amicizia con sant’Ambrogio (334-397), ch’era vescovo di Milano. Accadde che un giorno, meditando su questioni come l’origine del male e la spiritualità di Dio, udì una voce misteriosa (lo racconta lui stesso) che gli comandava: Prendi e leggi! Si trovò ad aprire le Lettere di san Paolo e capitò sulle parole: Non nelle crapule e nell’ebbrezze, non negli amplessi e nelle impudicizie, non nelle contese e nelle invidie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo…[1]

Si convertì al Cristianesimo e fu battezzato nel 387 stesso da sant’Ambrogio a Milano.

In realtà – anche questo lo dirà egli stesso – la sua conversione fu dovuta alle continue preghiere della mamma (Santa Monica). Ella sapeva che da sola, nella sua ignoranza, non avrebbe mai potuto convincere con le parole un figlio così colto e orgoglioso, e allora si mise a pregare… fin quando il figlio non trovò pane per i suoi denti: trovò appunto sant’Ambrogio.

Nell’autunno del 388 sant’Agostino partì per l’Africa, sostò brevemente a Cartagine e poi si ritirò a Tagaste, dove vendette i suoi beni, ne distribuì il ricavato ai poveri e si dedicò insieme ad alcuni amici ad una vita di preghiera e di penitenza (fu uno dei primi esempi di vita cenobitica).

Da Tagaste si trasferì ad Ippona, dove nel 391 fu ordinato sacerdote. Nel 395 fu consacrato vescovo. A Ippona per circa trent’anni visse come prodigio di santità e di sapienza.

Morì il 28 agosto del 430 mentre Ippona era assediata dai vandali.

Fu autore di moltissime opere. Quelle che hanno maggiore interesse filosofico si dividono in prima e dopo la conversione. Prima della conversione: Contra academicos, De vita beata, De ordine. Dopo la conversione: De immortalitate animae, Confessiones, De libero arbitrio, De Civitate Dei, De Trinitate, De magistro, De vera religione.

La necessità di entrare dentro di sé


La visione filosofica agostiniana è già tutta medievale perché si fonda sull’esigenza di trovare una base razionale per la fede cristiana e sul rapporto armonico tra ragione e fede. Ma gli occorreva un buon arnese per costruire questa base, si mise a pensare e trovò una buona cazzuola: la filosofia di Platone; e così ottenne una visione che venne giustamente chiamata platonismo cristiano.

Nel problema metafisico sant’Agostino manifestò tutto il suo genio, perché lo impostò partendo dall’uomo.

Si rifece a Socrate (il che ci fa capire quanto sia sbagliato dire che Agostino si sia rifatto solo a Platone) e disse che l’uomo deve prima di tutto conoscere se stesso. Insegnamento giustissimo: è inutile spremersi le meningi per risolvere tanti problemi se prima non si conosce la propria dimensione. Sant’Agostino però precisò che questo conoscere se stessi non è per “soggettivizzare” la verità (per la serie: ognuno può dire ciò che vuole) ma per conquistare la verità universale eterna.

Prima di tutto, il partire dal soggetto significava per lui dare una buona batosta agli scettici, cioè a coloro che affermavano che non si può conoscere la verità. Ammettiamo -diceva- che si debba dubitare di tutto, se io però dubito, vuol dire che esisto, e se esisto, vuol dire che non posso dubitare della certezza di esistere: “Si enim fallor sum. Nam qui non est, utique nec falli potest, ac per hoc sum si fallor” (“Se infatti mi sbaglio, vuol dire che esisto: chi non esiste non può nemmeno sbagliarsi; dunque, siccome mi sbaglio, esisto”).

Per sant’Agostino partire dal soggetto significava anche un’altra cosa. Ciò che è al di fuori della persona umana è mutevole e particolare. Questo non vuol dire che la realtà oggettiva sia un male (“tenebra” come diceva Plotino) piuttosto che la risposta del problema metafisico vada cercata dentro la persona: “Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas; et si tuam naturam mutabilem inveneris trascende et te ipsum” (“Non uscire fuori, rientra in te stesso: la verità abita nell’intimo dell’uomo. E se poi scopri che la tua natura è mutevole, pensa a ciò che ti trascende”). Dunque, il partire dal soggetto non è per raggiungere una sorta di soggettivismo, ma al contrario per raggiungere ciò che trascende il soggetto.

Solo l’anima umana, ritornando in se stessa, può avere coscienza della mutevolezza delle cose. Nessuna realtà può avere valore metafisico se non nella prospettiva dell’eterno (sub specie aeternitatis); e per guardare le cose nella prospettiva dell’eterno occorre “interiorizzare” la conoscenza.

Il tempo fa capire all’uomo chi è se stesso

E che l’interiorizzazione della conoscenza aiuti l’uomo ad incontrare l’eternità è soprattutto dimostrabile con la categoria del tempo. Mentre nel mondo esterno all’uomo il tempo appare un movimento, nell’anima il tempo si concentra in un eterno presente, dove il passato è presente come ricordo, il futuro come attesa e il presente come unione logica sia del ricordo che dell’attesa. In tal modo il tempo è considerato da sant’Agostino come una categoria che l’uomo scopre nel suo spirito, intesa come distensione dell’anima nell’eternità.

Sembra un po’ complicato come ragionamento ma non lo è. Solo l’uomo ha la consapevolezza dell’eternità, grazie alla sua possibilità di pensare al tempo ch’è passato e al tempo che verrà. L’animale non ha questa possibilità.

Veniamo adesso al problema del rapporto tra ragione e fede. Dunque, per sant’Agostino la conoscenza dell’io non era il fine ma un mezzo. L’uomo – diceva – venendo a contatto con il suo io, avverte il bisogno di andare oltre, e capisce che quell’io è creatura di qualcosa di più grande e di più vero, è creatura di Dio. E’ un capire intuitivo ma non per questo meno vero.

La conoscenza come “illuminazione”

Ed è proprio in questa intuizione di bisogno e di trascendere il proprio io che sant’Agostino iniziò ad indagare sulla credibilità e sulla necessità della Rivelazione.

I rapporti tra ragione e fede li sintetizzò con queste espressioni: “credo ut intelligam” (credo per ragionare) e “intelligo ut credam” (ragiono per credere).

Queste espressioni non significano solo che tra la ragione e la fede vi è un rapporto di successione, ma anche che la ragione e la fede si condizionano vicendevolmente e collaborano procedendo insieme nella conquista della Verità.

Veniamo al problema della conoscenza. Qui sant’Agostino volle rifarsi soprattutto a Platone, perché voleva che non si perdesse il rapporto stretto tra realtà naturale e soprannaturale. Platone, infatti, gli sembrava il filosofo che più di tutti salvaguardasse questo rapporto.

Ma c’era un problema. Platone parlava di idee che l’anima avrebbe contemplato nella vita precedente alla caduta nel corpo e il Cristianesimo invece non ammette nessuna vita precedente la vita. La mente di sant’Agostino si mise in moto e trovò la soluzione: la teoria dell’illuminazione.

Dio, creando l’uomo, l’ha fornito di intelligenza, e in questa intelligenza ha infuso una luce per distinguere il vero dal falso. In questo modo la verità delle cose non viene creata dall’intelligenza umana, ma può essere scoperta per mezzo di quella luce divina che, come dice san Giovanni, illumina ogni uomo che viene in questo mondo.[2]

Questa è sì una teoria che prende spunto da Platone e dai neoplatonici (non si parte dalla conoscenza sensibile), ma poi si sviluppa in maniera originale. L’uomo scopre in sé la verità intorno a quelli che lo circondano, per mezzo della sua intelligenza, da Dio naturalmente illuminata. Insomma, l’idea del mio essere, del mio vivere, del mio pensare, le idee del mondo che colgo in me, sono tutte verità eterne (rationes seminales) che apprendo come raggi proiettati da una fonte luminosa. Ma questa luce, e la conoscenza che ne deriva, sono opera tanto divina quanto umana. Divina, in quanto questa luce è creata e proiettata da Dio; umana, in quanto l’uomo la coglie nel suo io. La conoscenza è sì dono ma è anche sforzo; è sì sforzo ma è anche dono.

L’uomo è corpo e anima


Passiamo adesso alla concezione dell’uomo. Qui sant’Agostino (checché ne dicano molti studiosi) si allontana dal dualismo platonico e concepisce l’uomo come un composto inscindibile di corpo e di anima. Dedicato a chi vuole presentarci sant’Agostino come uno spiritualista, sentite cosa scrisse nella sua Città di Dio: “Anche a voler prescindere dalla funzionalità delle membra del corpo umano, esiste tra tutte le parti di questo corpo una proporzione così armoniosa che non si saprebbe dire se nella creazione si sia avuto più riguardo alla funzionalità o alla bellezza. Certo, non v’è alcuna parte del corpo creata per ragioni di utilità che non abbia anche una sua bellezza.”[3]

Un altro punto importante del pensiero di sant’Agostino è ciò che diceva riguardo al peccato originale. L’anima eredita misteriosamente il peso del peccato del primo uomo. Questa posizione, però, non va confusa con quella del Traducianesimo secondo il quale l’anima si trasmetterebbe di padre in figlio come il corpo. Per sant’Agostino non si discute: ogni anima è creata direttamente da Dio.

Il problema morale

Per quanto riguarda la morale, va detto che tutto il pensiero di sant’Agostino tende alla realizzazione morale e da questo punto di vista siamo lontanissimi dall’ intellettualismo etico del periodo precedente (se si conosce la verità, automaticamente si è buoni). No, sant’Agostino fa chiaramente capire che non serve solo conoscere la verità, occorre abbracciarla e seguirla. E’ certamente faticoso, ma è l’unica possibilità. Insomma, la conoscenza diventa un mezzo per l’esercizio della volontà.

Nel discorso morale c’è una questione da affrontare, che molti commentatori di sant’Agostino (e anche molti professori di filosofia dei licei) non sono riusciti a capire bene. Sant’Agostino diceva che l’uomo ha bisogno della Grazia per vincere il suo egoismo e la sua inclinazione al male, difetti che sono diventati dominanti dopo il peccato originale. Egli insistette molto su questo punto, anche perché ci teneva a rispondere ad un’eresia che si stava diffondendo molto in quel tempo, l’eresia pelagiana che affermava la possibilità dell’uomo di potersi salvare con le proprie forze. Tanto insisteva sant’Agostino su questo punto che qualcuno ha pensato, sbagliando, che concepisse la Grazia come qualcosa che annullasse totalmente la libertà individuale. Invece il nostro ne sottolineava l’importanza per rispondere a Pelagio, ma ci teneva comunque a ribadire l’ortodossia cattolica. La Grazia – diceva – perché dia frutto richiede la cooperazione dell’uomo che è padrone di respingerla o di accettarla attraverso il libero arbitrio (la libertà). Scrisse: “Chi ti ha creato senza che tu ci fossi, non ti salverà senza che tu lo voglia.” Più chiaro di così!

Il problema morale sant’Agostino lo continuò ad affrontare interessandosi dell’origine del male. Per lui il male deriva dall’esercizio della volontà, non può avere un’origina divina[4] e vien fuori da una mancanza di bene, cioè da una cattiva utilizzazione della libertà da parte delle creature.

La storia come “campo di battaglia”


Il pensiero di sant’Agostino rappresenta una novità anche riguardo la concezione della storia. Per il mondo pagano la storia aveva una dimensione circolare causata dalla mancanza della libertà umana.

Sant’Agostino, invece, cambiò prospettiva. Disse che la storia è la lotta perenne fra due città: la Città di Dio (Civitas Dei), costituita dai figli della luce, cioè da coloro che rinunciano alla superbia e scelgono Dio; e la Città terrena, che sarebbe la Città del diavolo (Civitas diaboli), costituita dai figli delle tenebre, cioè da coloro che scelgono la superbia e rinunciano a Dio.

Spetta ad ogni singolo uomo decidere per quale città combattere[5], fermo restando che la Città del diavolo può anche avere temporaneamente il sopravvento, ma si tratta di vittorie effimere perché la guerra è già decisa. Con la seconda venuta del Redentore, la Civitas diaboli sparirà completamente.

Il Bello è ordine, armonia e perfezione

Sant’Agostino trattò anche dell’estetica. Affermò platonicamente che il bello è ordine, armonia, perfezione; ma – precisò – questi termini non sono astrazioni, devono invece essere riferiti a Dio che ne è la fonte.

Il bello è manifestazione di Dio, è espressione della bellezza essenziale, concreta e assoluta che per mezzo del creato offre all’uomo la Sua Immagine (cioè di Dio).

A sant’Agostino piaceva molto la musica e la indicò come esempio dell’arte che può riavvicinare a Dio e dell’artista come colui che può avvicinarsi al Creatore. Nel suo De musica ne parlò come “scienza del misurare correttamente secondo un ritmo”. Insomma, la musica è fare ordine partendo dal disordine iniziale dei suoni che si producono spontaneamente. C’è un’evidente analogia con l’opera della provvidenza di Dio che mette ordine trasformando il khaos in kosmos. Chissà che direbbe il povero sant’Agostino se lo si catapultasse in un concerto di heavy metal…

Dio stesso, oltre ad essere Verità, è bellezza. E’ scritto nel libro X delle Confessioni: “Tardi ti amai, o Bellezza divina, per me così nuova e così antica. (…) Tu mi chiamasti, e il tuo grido perforò la mia sordità. Tu balenasti, e il tuo fulmine dissipò la mia cecità. (…) Tu mi toccasti, e il desiderio di te non fece che aumentare”.




[1] Romani 13,13.

[2] Giovanni 1,9.

[3] Civitas Dei, XXII, 24,4.

[4] Il male quindi di cui cercavo l’origine non è una sostanza, perché qualora fosse una sostanza sarebbe un bene e sarebbe o una sostanza incorruttibile e quindi un gran bene, o una sostanza corruttibile e perciò un bene, altrimenti non potrebbe corrompersi. Vidi perciò chiaramente che tu hai fatto buone tutte le cose e non c’è nessuna sostanza che tu non abbia fatta. E poiché non hai fatto tutte le cose uguali, esistono tutte in quanto sono singolarmente buone e nel complesso sono buonissime, poiché tu, o nostro Dio, hai fatto più che buona ogni cosa. (De libero arbitrio, II, 18).

[5] La natura, viziata per il peccato, genera i cittadini della Città Terrena, ma la Grazia, liberando la natura dal peccato, genera i cittadini della Città Celeste, e perciò, quelli si chiamano ‘vasi d’ira’, e questi ‘vasi di misericordia. (Civitas Dei, XV, 2).








sabato 26 agosto 2023

Francesco scriverà la seconda parte di Laudato si'



L'annuncio dell'enciclica "green" non lascia ben sperare, visto che già il testo del 2015 conteneva più di un aspetto problematico.


BASTAVA LA PRIMA


Stefano Fontana, 24-08-2023

Nei giorni scorsi Francesco ha annunciato che sta scrivendo la seconda parte dell’enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune, pubblicata nel 2015. Lo ha fatto in un discorso davanti ad una delegazione di Avvocati di Paesi membri del Consiglio d’Europa. Nessuno sapeva che il testo della Laudato si’ fosse solo la “prima parte” di un’opera maggiore. Anche perché si tratta di un testo molto lungo e che riprende all’eccesso dati e conclusioni della stampa mainstream.

In ogni caso devo dire che non mi sento molto rallegrato da questa notizia perché già la “prima parte” presenta aspetti di qualche problematicità. Uno l’ho appena accennato: riprende e fa proprie le visioni correnti e che vanno per la maggiore del problema ecologico, anche quello maggiormente ideologizzate. Non c’è da stupirsi, tenuto conto che uno degli autori materiali dell’enciclica viene indicato in Leonardo Boff, che ha fatto evolvere la teologia della liberazione nel nuovo ecologismo. È evidente che simili parti del testo niente hanno a che fare con il magistero pontificio. Se si tiene conto della quantità di testo così caratterizzata, si capisce che il nucleo di insegnamento magisteriale di questa enciclica si riduce a poco.

Un secondo consiste nella eccessiva apertura dell’enciclica alla concezione moderna di “sostenibilità”, con tutti i luoghi comuni privi di fondamento anche scientifico che essa comporta. Dalla Laudato si’ può partire una collaborazione dei cattolici con tutti i movimenti ambientalisti moderni senza alcuna distinzione.

Infine, non sono spinto all’ottimismo sulla “seconda parte” dell’enciclica dall’adesione che Francesco continua ad esprimere alla versione dominante sui media sul cambiamento climatico. Scientificamente la questione esula dalle competenze della Chiesa e sul piano morale si presenta con caratteri ideologici e di interesse economico e politico piuttosto evidenti.






Mons. Strickland: Cari figli, vi chiameranno “scismatici” perché rifiuterete i cambiamenti che contraddicono l’insegnamento perenne della Chiesa


Joseph Edward Strickland, vescovo di Tyler, Texas, USA



Di Sabino Paciolla, 26 Agosto 2023

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog la lettera ai fedeli scritta mons. Joseph E. Strickland, vescovo di Tyler, Texas, USA. Ricordiamo che la diocesi di Tyler è sotto una Visita apostolica, cioè una visita ispettiva da parte del Vaticano, pur essendo la stessa senza problemi amministrativi o di altro tipo e con una rigogliosa vita di fede. Ecco la lettera nella mia traduzione.





22 agosto 2023

Cari figli e figlie in Cristo:

L’amore e la grazia di Nostro Signore Gesù Cristo siano sempre su di voi!

In questo tempo di grande agitazione nella Chiesa e nel mondo, devo parlarvi con cuore di padre per avvertirvi dei mali che ci minacciano e per assicurarvi la gioia e la speranza che abbiamo sempre nel nostro Signore Gesù Cristo. Il messaggio malvagio e falso che ha invaso la Chiesa, la Sposa di Cristo, è che Gesù è solo uno tra i tanti e che non è necessario che il suo messaggio sia condiviso con tutta l’umanità. Questa idea deve essere evitata e confutata in ogni occasione. Dobbiamo condividere la gioiosa buona notizia che Gesù è il nostro unico Signore e che Egli desidera che tutta l’umanità per tutti i tempi possa abbracciare la vita eterna in Lui.

Una volta compreso che Gesù Cristo, il Figlio divino di Dio, è la pienezza della rivelazione e il compimento del piano di salvezza del Padre per tutta l’umanità per tutti i tempi, e che lo abbracciamo con tutto il cuore, allora possiamo affrontare gli altri errori che affliggono la nostra Chiesa e il nostro mondo e che sono stati causati da un allontanamento dalla Verità.

Nella lettera di San Paolo ai Galati, egli scrive: “Mi meraviglio che abbandoniate così in fretta colui che vi ha chiamati per la grazia di Cristo per un altro vangelo. Ma ci sono alcuni che vi disturbano e vogliono pervertire il vangelo di Cristo. Ma anche se noi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia maledetto! Come abbiamo già detto e ripeto, se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia maledetto!”. (Gal 1,6-9)

In qualità di vostro padre spirituale, ritengo importante ribadire le seguenti verità fondamentali che sono sempre state comprese dalla Chiesa da sempre, e sottolineare che la Chiesa non esiste per ridefinire le questioni di fede, ma per salvaguardare il Deposito della Fede così come ci è stato tramandato da Nostro Signore stesso attraverso gli apostoli, i santi e i martiri. Ancora una volta, riallacciandoci all’avvertimento di San Paolo ai Galati, qualsiasi tentativo di pervertire il vero messaggio evangelico deve essere categoricamente respinto in quanto dannoso per la Sposa di Cristo e per i suoi singoli membri.Cristo ha istituito una sola Chiesa – la Chiesa cattolica – e, pertanto, solo la Chiesa cattolica fornisce la pienezza della verità di Cristo e l’autentico cammino verso la sua salvezza per tutti noi.
L’Eucaristia e tutti i sacramenti sono istituiti divinamente, non sviluppati dall’uomo. L’Eucaristia è veramente il Corpo e il Sangue, l’Anima e la Divinità di Cristo, e riceverla nella Comunione in modo indegno (cioè in uno stato di peccato grave e impenitente) è un sacrilegio devastante per l’individuo e per la Chiesa. (1 Cor 11, 27-29)
Il sacramento del matrimonio è istituito da Dio. Attraverso la legge naturale, Dio ha stabilito che il matrimonio è tra un uomo e una donna fedeli l’uno all’altra per tutta la vita e aperti ai figli. L’umanità non ha il diritto o la vera capacità di ridefinire il matrimonio.
Ogni persona umana è creata a immagine e somiglianza di Dio, maschio o femmina, e tutte le persone dovrebbero essere aiutate a scoprire la loro vera identità di figli di Dio, e non sostenute nel tentativo disordinato di rifiutare la loro innegabile identità biologica e donata da Dio.
L’attività sessuale al di fuori del matrimonio è sempre gravemente peccaminosa e non può essere condonata, benedetta o ritenuta ammissibile da alcuna autorità all’interno della Chiesa.
La convinzione che tutti gli uomini e le donne saranno salvati a prescindere dal modo in cui vivono la loro vita (un concetto comunemente chiamato universalismo) è falsa e pericolosa, poiché contraddice ciò che Gesù ci dice ripetutamente nel Vangelo. Gesù dice che dobbiamo “rinnegare noi stessi, prendere la nostra croce e seguirlo”. (Mt 16,24) Egli ci ha dato la via, attraverso la sua grazia, alla vittoria sul peccato e sulla morte mediante il pentimento e la confessione sacramentale. È essenziale che abbracciamo la gioia e la speranza, nonché la libertà, che derivano dal pentimento e dalla confessione umile dei nostri peccati. Attraverso il pentimento e la confessione sacramentale, ogni battaglia con la tentazione e il peccato può essere una piccola vittoria che ci porta ad abbracciare la grande vittoria che Cristo ha ottenuto per noi.
Per seguire Gesù Cristo, dobbiamo scegliere volontariamente di prendere la nostra croce invece di cercare di evitare la croce e la sofferenza che Nostro Signore offre a ciascuno di noi individualmente nella nostra vita quotidiana. Il mistero della sofferenza redentrice – cioè la sofferenza che Nostro Signore ci permette di sperimentare e accettare in questo mondo e poi di offrire a Lui in unione con la sua sofferenza – ci sconvolge, ci purifica e ci attira più profondamente nella gioia di una vita vissuta in Cristo. Questo non significa che dobbiamo godere o cercare la sofferenza, ma se siamo uniti a Cristo, mentre sperimentiamo le nostre sofferenze quotidiane possiamo trovare la speranza e la gioia che esistono in mezzo alla sofferenza e perseverare fino alla fine in tutte le nostre sofferenze. (cfr. 2 Tim 4,6-8)

Nelle settimane e nei mesi a venire, molte di queste verità saranno esaminate nell’ambito del Sinodo sulla sinodalità. Dobbiamo tenerci stretti a queste verità e diffidare di qualsiasi tentativo di presentare un’alternativa al Vangelo di Gesù Cristo, o di spingere per una fede che parla di dialogo e fratellanza, cercando di rimuovere la paternità di Dio. Quando cerchiamo di innovare ciò che Dio, nella sua grande misericordia, ci ha dato, ci troviamo su un terreno infido. Il terreno più sicuro che possiamo trovare è quello di rimanere saldamente sugli insegnamenti perenni della fede.

Purtroppo, è possibile che alcuni classifichino come scismatici coloro che non sono d’accordo con i cambiamenti proposti. Siate certi, tuttavia, che nessuno di coloro che rimangono saldamente sul filo conduttore della nostra fede cattolica è uno scismatico. Dobbiamo rimanere senza riserve e veramente cattolici, a prescindere da ciò che può essere proposto. Dobbiamo anche essere consapevoli che non significa abbandonare la Chiesa se ci opponiamo a questi cambiamenti proposti. Come disse San Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”. (Gv 6,68) Pertanto, rimanere fermi non significa cercare di lasciare la Chiesa. Al contrario, coloro che propongono modifiche a ciò che non può essere cambiato cercano di requisire la Chiesa di Cristo, e sono proprio loro i veri scismatici.

Vi esorto, figli e figlie in Cristo, a fare in modo di rimanere saldi sulla fede cattolica di tutti i tempi. Siamo stati tutti creati per cercare la Via, la Verità e la Vita e, in quest’epoca moderna di confusione, il vero cammino è quello illuminato dalla luce di Gesù Cristo, perché la Verità ha un volto e in effetti è il Suo volto. Siate certi che Egli non abbandonerà la Sua Sposa.

Rimango il vostro umile padre e servitore,

Reverendissimo Joseph E. Strickland

Vescovo di Tyler


Fonte 


venerdì 25 agosto 2023

Sinodo sulla Sinodalità: una rivoluzione “per cambiare radicalmente l’autocomprensione della Chiesa”


Sinodo dell’Amazzonia


Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Gavin Ashenden e pubblicato su Catholic Herald. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella mia traduzione.


Di Sabino Paciolla, 25|Agosto 2023


Il recente articolo di Diane Montagna che presenta lo straordinario libro “Il processo sinodale è un vaso di Pandora”, con tanto di prefazione del cardinale Burke, è stato giustamente inquietante. In esso ci viene presentato l’impegnativo invito di Burke alla Chiesa a resistere ai processi sinodali che, secondo lui e gli autori, sono destinati a cambiare la nostra fede.

Gli autori, José Antonio Ureta e Julio Loredo de Izcue, affermano che stanno cercando di svegliare la Chiesa sulla portata dell’emergenza sia in Occidente che nella Chiesa cattolica. Essi avvertono la Chiesa che la cultura secolare è in pericolo imminente di essere scristianizzata e, peggio ancora, che questo movimento decristianizzerà anche la Chiesa stessa se introdotto dal cavallo di Troia della sinodalità.

Hanno scritto con semplicità e chiarezza perché hanno scoperto con grande allarme che “nemmeno i vescovi con cui abbiamo parlato sono consapevoli di tutta la posta in gioco”.

Se i vescovi non sono davvero consapevoli, ne consegue che è improbabile che lo siano anche i laici. Gli autori cercano quindi di scrivere in modo da “mettere in guardia la gerarchia, i circoli dell’intellighenzia cattolica e i fedeli comuni dai serpenti e dalle lucertole eterodosse presenti nel vaso di Pandora che si sta aprendo”.

Questo tipo di linguaggio potrebbe sembrare a prima vista irragionevolmente allarmistico. Per questo, per rendere il loro caso il più accessibile possibile, hanno scritto sotto forma di domande e risposte, in uno stile catechetico familiare, per aiutare i cattolici a risolverlo da soli.

Nel loro libro esplorano ciò che rappresenta e intende la strategia che sta dietro al processo sinodale.

Ciò che forse manca al libro è un’analisi concettuale complessiva di ciò che sta accadendo alla società secolare e di ciò che potrebbe accadere alla Chiesa.

Infatti, il processo che sta alla base di quella che il cardinale Burke descrive come una rivoluzione utilizza una miscela inebriante di sesso, marxismo e bipensiero orwelliano confusamente avvolti insieme, per capovolgere l’etica tradizionale del cattolicesimo.

I lettori del libro vorranno ovviamente esaminare attentamente queste affermazioni. Che cos’è, ad esempio, il “doppio senso”? Perché viene usato?

Il classico distopico 1984 di George Orwell, che ha preannunciato in modo così accurato gran parte di ciò che viviamo oggi, ci fornisce la chiave. Il bipensiero è “l’atto di avere contemporaneamente due idee o opinioni opposte e singolarmente esclusive e di credere in entrambe contemporaneamente e in modo assoluto”. Il doppio pensiero richiede l’uso della logica contro la logica o la sospensione dell’incredulità nella contraddizione”.

In questo romanzo, il Ministero della Pace si occupa della guerra, il Ministero della Verità della menzogna, il Ministero dell’Amore della tortura e il Ministero dell’Abbondanza della fame. I tre slogan del partito sono: “La guerra è pace; la libertà è schiavitù; l’ignoranza è forza”.

L’agenda contemporanea per la diversità, l’inclusione e l’uguaglianza riflette le stesse contraddizioni. In termini contemporanei Diversità significa in realtà uniformità non cristiana, Inclusione significa escludere i valori cristiani e tradizionali, e Uguaglianza significa vendicarsi di coloro che hanno opinioni cristiane con la cancellazione o peggio. Ogni giorno i telegiornali ci raccontano di cristiani che sono stati licenziati o cancellati per avere opinioni che “non si allineano con i valori di”, eccetera.

Orwell aveva avvertito i suoi lettori che l’obiettivo della follia del bipensiero è quello di far sì che una popolazione sempre più sottoposta al lavaggio del cervello non sia più in grado di riconoscere le contraddizioni.

Nell’attuale nebbia politica e culturale, in cui i politici hanno troppa paura di basarsi sulla biologia quando si chiede loro cos’è una donna, e in cui i trans-attivisti lanciano attacchi violenti contro le femministe comuni, la nostra cultura secolare sembra aver raggiunto lo stesso punto di paralisi in cui la contraddizione non può essere né gestita né articolata.

L’attuale lotta filosofica in tutto il mondo occidentale coinvolge il marxismo culturale o nuovo marxismo che sostituisce l’etica di quella che era la cristianità. I fondamenti dell’integrità dell’individuo e della compassione che Gesù incarnava vengono sostituiti dal collettivismo e dalle gerarchie di potere. Potremmo osservare che le relazioni di potere politicizzate hanno sostituito la compassione contrabbandandosi per il favore del pubblico fingendo di essere composte da un’inebriante e attraente miscela di gentilezza e giustizia. L’opinione pubblica ha ampiamente accettato l’idea che essere “woke” significhi essere a favore di una rinnovata giustizia sociale e che questa sia una cosa buona e meritevole.

La giustizia sociale, ora definita come restituzione dei cosiddetti alienati ed emarginati, in modo alquanto bizzarro ora funziona attraverso un prisma che vede il sesso come un elemento importante.

La sfida per la Chiesa che questo nuovo libro ci avverte non è solo che stiamo perdendo la battaglia per i valori cristiani nello Stato secolare, ma che il Sinodo amazzonico e il Cammino sinodale stanno replicando gli obiettivi secolari di minare e ridefinire l’etica cristiana, ma questa volta all’interno della Chiesa e non solo.

L’ironia è che la Chiesa stessa ci ha già provato una volta e si poteva pensare che avesse imparato da questo.

Negli anni ’60 e ’70 una prima versione economica di questo è stata tentata in quella che abbiamo chiamato “Teologia della Liberazione”. Stranamente tutto questo sta accadendo proprio nel momento in cui alcune parti della Chiesa che ha tentato l’esperimento si sono svegliate e hanno capito che la Teologia della Liberazione ha distrutto la Chiesa ovunque sia stata praticata in Sud America.

Il fratello di Leonardo Boff, Clodovis, come il fratello, ex teologo della liberazione, ha recentemente scritto un’accorata analisi del modo in cui l’adozione di categorie marxiste a favore degli alienati si è rivelata del tutto distruttiva dell’integrità e dell’etica cattolica.

Come mai, dunque, scorgiamo nella Sinodalità un attacco all’etica e alle convinzioni della Chiesa?

Vediamo l’uso del doppio linguaggio orwelliano rappresentato dai valori del D.I.E. che ci sono stati inflitti. Scopriamo anche la sostituzione dell’integrità dell’individuo con la preferenza per il “collettivo”. Scopriamo che il peccato è meno importante dell’inclusione; che la compassione e il perdono lasciano il posto al dominio delle relazioni di potere. Ma c’è anche l’ulteriore elemento, forse sconcertante, della centralità del sesso al centro dell’agenda.

Perché il classico focus dell’alienazione si è spostato dall’economia al sesso?

È solo una parte della degenerazione della cultura del losco? O forse fa parte della crescente pandemia di dipendenza dal sesso che la pornografia ha scatenato dietro la privacy dello schermo del computer? Oppure fa parte di una strategia?

È diventato impossibile non notare che le conseguenze del progetto secolare che la sinodalità sta copiando sono state la diminuzione di ciò che viene sprezzantemente chiamato “eteronormativo”. E come il valore dell’eterosessualità viene messo in discussione, così inevitabilmente anche lo status e il funzionamento della famiglia.

La spiritualità cattolica del secolo scorso è stata giustamente allertata dagli avvertimenti scaturiti dall’apparizione mariana di Fatima. E a prescindere da come li interpretiamo, è sempre più difficile non riconoscere che la sintesi di suor Lucia, secondo cui “la battaglia finale tra il Signore e il regno di Satana riguarderà il matrimonio e la famiglia”, ha una profonda e crescente risonanza e rilevanza contemporanea per la Chiesa nel momento attuale.

Ciò è reso ancora più toccante e allarmante dal momento che, avendo osservato la ferocia con cui i regimi marxisti hanno attaccato l’integrità della famiglia durante i loro anni di dominio negli Stati comunisti del XX secolo, ci troviamo a chiederci: “È davvero possibile che la Chiesa si stia preparando a sottoscrivere un progetto che sembra cercare di raggiungere di nascosto gli stessi obiettivi che un tempo erano stati tentati in modo così spietato con la forza”?

Il cardinale Burke, nella sua prefazione a questo nuovo libro, insiste che è esattamente ciò che sta accadendo:

“La sinodalità e il suo aggettivo, sinodale, sono diventati slogan dietro i quali è in atto una rivoluzione per cambiare radicalmente l’autocomprensione della Chiesa, in accordo con un’ideologia contemporanea che nega molto di ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e praticato”.

Se è vero che i nostri vescovi, i cattolici consapevoli e la Chiesa in generale non hanno ancora compreso il carattere e la presunta strategia dell’attuale turbolenza, allora la lettura di “Il processo sinodale è un vaso di Pandora” può essere un compito importante come lo ritengono gli autori.

Gavin Ashenden









Il processo sinodale è un vaso di Pandora” può essere letto qui.

Il modello cinese sta per crollare, spettacolarmente?





Spesso ormai la stampa segnala problemi strutturali nell’economia e della società cinese. Proprio in questi giorni si parla della crisi immobiliare e di altri sintomi che denotano gravi difficoltà [QUI]. Il nostro Osservatorio aveva studiato il fenomeno nel suo 13mo Rapporto di due anni fa [Il modello cinese: capital socialismo del controllo sociale]. Pubblichiamo qui sotto uno stralcio dell’articolo di Steven Mosher “Il modello cinese sta per crollare: spettacolarmente” pubblicato nel suddetto Rapporto. Il libro può essere ancora acquistato presso di noi.






Il ventre molle del Dragone: l’economia è un gigante secondo lo schema Ponzi



Di Steven Mosher, 25 AGO 2023

Se si guarda solo alla crescita della sua forza militare, al suo risultato economico, alla vastità del suo territorio e all’ampiezza della sua popolazione, la Cina controllata-dal-PCC appare come la forza dominante nell’Asia orientale e una superpotenza globale. Ma questa non è per niente tutta la storia.

Nonostante la Cina potenzi il proprio esercito a passo spedito, deve ancora raggiungere gli Stati Uniti in termini di aerei da caccia, cacciabombardieri, portaerei, testate nucleari, missili balistici e sottomarini.

Il reddito procapite è un altro ambito nel quale la Cina cade. Esso negli Stati Uniti è circa 64,000 dollari e si aggira attorno a questo livello nella maggior parte dei Paesi occidentali. Il reddito procapite della Cina, invece, è inferiore a 12,000 dollari, ossia per oltre il 50 per cento inferior a quello degli Stati Uniti. A causa del ristagno demografico e della sua incapacità ad innovare, la Cina fatica ad uscire da quanto gli economisti chiamano la “trappola del reddito medio” (middle income trap)”.

Per passare da un reddito molto basso – da cui era partita 40 anni fa – ad un reddito medio, la Cina dipendeva da un lavoro a basso costo operante in linee produttive di assemblaggio che producevano beni di scarso valore aggiunto. Il capitale straniero si riversò in Cina per attrezzare queste fabbriche, i cui prodotti ora sono sugli scaffali dei centri commercali americani. Ma questa strategia porta, in termini di reddito procapite, ad un picco massimo di soli 10,000 dollari.

Il percorso dal reddito medio al reddito alto, ritenuto di circa 20,000 euro procapite, è moto arduo. Bisogna convertirsi dalla produzione di beni di scarso valore aggiunto alla produzione di beni di alto valore aggiunto. Questo richiede una economia innnovativa in grado di creare e utilizzare processi sofisticati di alta tecncnologia.

I soli Paesi che hanno operato con successo per fare questo balzo dopo la Seconda guerra mondiale sono stati i quattro piccoli dragoni, come sono chiamati: Taiwan, Hong Kong, Singapore e Corea del Sud. Ogni altra economia in via di sviluppo, sia di grandi dimensioni (India, Brasile) che piccole (Cile, Sri Lanka) non è stata in grado di attuare questa transizione e continua a languire al livello dei Paesi a reddito medio.

Nonostante i suoi grandi investimenti in infrastrutture, la Cina resta un Paese a reddito medio, frenato da una cultura della corruzione e dalla mancanza di legalità, elementi che inibiscono l’innnovazione. Perché spendere miliardi in ricerca e sviluppo di nuove tecnologie quando puoi rubarle ad altri? I “campioni nazionali” della Cina, come l’industria hi-tech Huawei, si basano sulla tecnologia rubata agli Stati Uniti e ad altri Paesi che ora stanno iniziando a dare un giro di vite ai furti tecnologici della Cina.

Gli impressionanti tassi di crescita raggiunti dalla Cina negli scorsi decenni appartengono ormai al passato. Nel futuro immaginabile la Cina sembra destinata a rimanere un Paese a reddito medio, con centinaia di milioni di persone che vivono sotto il livello di povertà.

Questo minaccia il patto non scritto del popolo cinese con il Partito Comunista, per il quale il Partito promette sviluppo economico e aumento dei livelli di benessere in cambio dell’acquiescienza al suo ininterrotto potere. Se l’economia cinese ristagna e non riesce a creare lavoro, a produrre beni e a fornire servizi, il Partito Comunista cinese dovrà affrontare malcontento sociale e crisi esistenziali. Pechino affronterebbe una ondata di agitazioni popolari al cui paragone le dimostrazioni di Piazza Tienanmen del 1989 sembreranno ben poca cosa.

Anche prima della pandemia che il PCC ha fatto dilagare nel mondo, la Cina stava affrontando vari seri problemi economici strutturali che si sono velocemente accentuati. Primo e principale, il debito nazionale della Cina è ben oltre il 300 per cento del prodotto interno lordo ed è in aumento. Fallimenti e insolvenza aumentano nonostante il bailout delle banche di Stato. La creazione di maggior debito porterà il sistema bancario ancora più velocemente verso l’insolvenza.

A ciò si aggiunga una bolla immobiliare di misura grandiosa. Molti dei nuovi appartamenti e dei centri commerciali, creati con facili prestiti dalle amministrazioni locali, rimangono vuoti. La loro costruzione ha ingrossato i portafogli dei funzionari comunisti locali e ha anche creato lavoro e stimolato le imprese del vetro, dell’acciaio e del cemento. Ma una volta completati stanno lì, vuoti e improduttivi.

Il paesaggio cinese è ingombrato da simili “città fantasma”, costruite su terreni rubati agli abitanti dei villaggi vicini da funzionari rapaci che non si curano tanto della legge della domanda e dell’offerta finché ricevono le loro tangenti dalle banche e dalle imprese di costruzione. Si stima che in questo momento la Cina abbia sul mercato 70 milioni di appartamenti in attesa di compratori che, con ogni probabilità, non arriveranno mai. Disperati per pagare i clienti, i funzionari locali vengono ingaggiati nelle cosiddette campagne anti-povertà, nelle quali essi dichiarano inagibili e fanno demolire le case del villaggio locale per costringere gli abitanti a traslocare nei nuovi appartamenti e pagare l’affitto. Inutile dire che un simile modello di sviluppo non è sostenibile nel lungo tempo.

I dirigenti comunisti hanno cercato di favorire lo sviluppo mediante facili crediti aperti a soggetti collegati e rilevanti investimenti in grandiosi progetti infrastrutturali. Ma più della metà degli investimenti della Cina in infrastrutture sono come elefanti bianchi, strade e ponti che nessuno adopera, treni che nessuno guida. La Cina ha raggiunto il livello in cui pompare nuovo denaro nel suo modello di sviluppo non solo non produce crescita ma rallenta l’economia e anticipa il giorno in cui il gigante secondo lo schema Ponzi collasserà.

La leadership cinese sa che, quando accadrà, decine di milioni di migranti urbanizzati, arrivati nelle città sulla promessa che avrebbero trovato buone paghe, saranno espulsi dal lavoro. Molti di loro sono maschi, poveri, non istruiti e non sposati. Senza legami familiari a causa dell’uccisione delle bambine a seguito della politica del figlio unico, non pochi di loro sono inclini a comportamenti anti-sociali, abuso di droga e violenza.

Grandi disordini sociali seguiranno, minacciando la sopravvivenza di un regime già visto come illegittimo da molti, se non dalla maggior parte, del popolo cinese.

La bomba demografica cinese a tempo sta facendo tic-tac. Ed esploderà presto.

Nel 1980 stavo facendo una ricerca in una comune cinese, quando il gruppetto di anziani che guidavano la Cina istituirono improvvisamente la politica del figlio unico. Fui un testimone oculare del più orrendo programma di controllo delle nascite che il mondo avesse mai visto. Le donne incinte venivano arrestate e incarcerate per il crimine di aspettare un figlio, sottoposte a interminabili lezioni di propaganda su come – per il bene del Paese – dovevano abortire il loro bambino, e alla fine – consenzienti o meno – fatte abortire e sterilizzate.

La politica del figlio unico, mutatis mutandis, continuò per decenni. Essa comportò centinaia di milioni di aborti forzati e sterilizzazioni, e causò una enorme ondata di infanticidi femminili. Nei primi tempi le famiglie tenevano secchi d’acqua accanto ai lettini del parto così che, se fosse nata una bambina, sarebbe stata immediatamente fatta annegare. In seguito, l’avvento degli ultrasuoni condusse all’aborto selettivo di milioni di bambine non nate. La mia stima è che circa 60 milioni di bambine, nate o non nate, siano state uccise così.

Ovviamente questa politica fece crollare il tasso di natalità nel Paese più popoloso del mondo. Nel 2015, l’Ufficio Nazionale di Statistica della Cina riportava che le donne cinesi avevano una media di soli 1.05 figli. Si trattava del secondo più basso tasso di natalità nel mondo – solo Singapore era inferiore – e una ricetta per il suicidio demografico.

La Cina cominciò ad incoraggiare maggiori nascite nel 2016, quando per la prima volta fu allentata la politica del figlio unico, ma gli anni successivi hanno visto un continuo calo dei tassi di natalità. Nel 2020 sono nati solo 12 milioni di bambini, contro i 14.65 milioni dell’anno precedente. Si è trattato del numero di nascite più basso dalla grande carestia del 1961, quando 42.5 milioni di persone morirono di fame.

Di recente, il gruppetto di anziani che guidano la Cina ha deciso di permettere alle coppie cinesi di avere tre figli. Il sorprendente cambiamento, voluto dal dittatore comunista Xi Jinping e dai suoi colleghi del Politburo, segna un rovesciamento sbalorditivo dell’infame politica del figlio unico. La nuova politica del terzo figlio era necessaria. Il giornale di Stato Xinhua lo spiega bruscamente: “per rispondere attivamente all’invecchiamento della popolazione”. Nessuna spiegazione però viene fornita su come abbia avuto inizio questo invecchiamento. Essere l’avanguardia del proletariato – come i partiti comunisti definiscono se stessi – significa non dover chiedere mai scusa.

Limitarsi a dire che la popolazione cinese è invecchiata significa mettere in sordina il problema causato da 40 anni di controllo demografico. La Cina oggi non solo è invecchiata, è letteralmente in fin di vita e ogni anno riempie più bare che culle. I leader comunisti sono sempre più preoccupati di avere un umero sufficiente di lavoratori e di soldati per le fabbriche e l’esercito del futuro.

Nello stesso tempo, è indubbio che la politica del terzo figlio avrà successo, almeno fino a quando rimarrà volontaria. Il problema vero è però dato dalle giovani donne decimate durante i decenni dalla politica del figlio unico. Le bambine venivano abortite, uccise alla nascita, destinate a morire dai dieci milioni di genitori cinesi disperati di avere un figlio. Semplicemente ci sono troppe poche donne in età fertile per compensare l’imminente crollo demografico – a meno che ognuna di esse non abbia tre figli. Ma non posso immaginare una combinazione di carote così allettante da indurre una donna cinese, urbanizzata e occupata nel lavoro a dedicare se stessa alla maternità in questa misura.

Infatti, le giovani donne in Cina hanno risposto a questo nuovo invito pro-natalità con scherno – o almeno con la cosa più somigliante allo scherno che i censori comunisti possono permettere ai post sui social media. “Non mi fa divertire” ha postato su Weobo un commentatore circa la nuova politica. “Le coppie sposate hanno quattro genitori anziani da curare. Se aggiungi anche tre bambini significa che non vuoi avere una vita”.

Naturalmente, se la persuasione non funziona si può facilmente immaginare che i leaders della Cina possano ricorrere alla costrizione. Come ha scritto il professore Nie Shengzhe nel 2018 “Solo la forte leadership del partito può risolvere questo problema . . . di un catastrofico declino demografico. Le sue proposte, riprese poi da altri, comprendono: –  I quadri del partito devono essere i primi ad avere due, tre o quattro figli, e devono promuovere quadri di partito che abbiamo più figli; – il Comitato Centrale del Partito deve stabilire uno stretto controllo sulla vendita di preservativi e contraccettivi e proibire agli ospedali di praticare gli aborti, – il dipartimento della propaganda del partito deve vigorosamente diffondere l’idea che “più figli portano più benedizioni” e “uno è troppo poco, due non è sufficiente, tre va bene, quattro è l’ottimo”, – i membri di partito in età feconda che usano contracccettivi devono essere puniti”.

Xi Jinping esiterebbe ad imporre simili misure all’intera popolazione cinese? No, se egli ricorda i detti del presidente Mao Zedong a questo proposito. L’ultimo presidente – che per Xi è il modello in ogni campo – disse in un famoso discorso del 1957 che “La riproduzione deve essere programmata. Secondo me, il genere umano è completamente incapace di programmare se stesso. Ha programmi di produzione nelle fabbriche, per produrre tessuti, tavoli e sedie, e acciao, ma non ci sono programmi per produrre gli umani”.

Annunciando la politica del terzo figlio, Xi Jinping ha detto chiaramente di volere “produrre più umani”. Nessuno che sia stato testimone della brutale coercizione della politica del figlio unico lungo gli anni – come è capitato a me – può dubitare che egli abbia i mezzi per realizzare questo piano. Prevedo che, entro pochi anni, verremo considerati né più né meno che come “gravidanza forzata” in Cina da un Partito Comunista disperato di aumentare i tassi delle nascite.

Ma qualunque politica il partito adotti, sarà o troppo piccola o troppo in ritardo. I bambini abortiti 20, 30, e 40 anni fa sono i lavoratori che mancano oggi. Già nel 2016, in Cina mancavano 4 milioni di lavoratori. E negli anni a venire sarà anche peggio. Il Paese perderà più di un milione di lavoratori nei prossimi decenni, quando chi andrà in pensione non sarà sostituito da nessuno.

La crescita dell’economia cinese dal 1995 al 2010 si è basata su una notevole disponibilità di lavoratori a bassa specializzazione e per facili lavori di assemblaggio nelle catene di montaggio. Ora l’offerta di manodopera sta finendo, e le manifatture di assemblaggio stanno traslocando in India, Vietnam e Messico. Si aggiunga tutto questo alla sua incapacità di innovazione a causa della corruzione rampante e al furto di proprietà intellettuale, e la Cina apparirà catturata nella trappola del reddito medio.

La Cina potrebbe sfuggire a questa trappola mediante il peso dei numeri, ma le decine di milioni di produttori (e consumatori) a basso costo che ciò richiederebbe è stato ucciso dalle “genialità” del Partito Comunista Cinese.

Xi Jinping può annunciare la politica del terzo figlio fin che vuole. Egli ha la possibilità di obbligare ogni giovane donna cinese ad obbedire, che voglia a no. Ma ci vuole una generazione prima che il bambino della “politica del terzo figlio” raggiunga l’età del lavoro, troppo tardi per potere fare la differenza nella crisi demografica ed economica che ora lentamente sta surclassando la Cina. La bomba a tempo della demografia, che è stata costruita in quarant’anni, è esplosa e trascina con sè il sogno del Partito Comunista Cinese di dominio sul mondo, se non anche il Partito stesso.

Steven Mosher

(Traduzione dall’inglese di Benedetta Cortese)