martedì 21 maggio 2024

La scomparsa del pensiero generale e astratto – Considerazioni tra logica, fede e segni dei tempi






Di Salvatore Scaglia, 21 Maggio 2024



A Edoardo,
sapiente con la II Elementare

Se si presta attenzione ai discorsi della gente – per strada come al bar, nei luoghi di lavoro come in chiesa – si nota che, oggigiorno, gli oggetti del suo dire sono quasi esclusivamente le cose e le preoccupazioni, più o meno grandi, dell’individuale e del quotidiano: bollette da pagare, auto da far riparare, abiti o cibi da acquistare, soldi da incassare, viaggi da fare …

La dimensione dei problemi che vengono affrontati è sempre di livello, per così dire, basso, in una duplice accezione. Nel senso che afferisce ai bisogni primari, quelli, cioè, che caratterizzano – pur nella loro variabilità in relazione ai tempi e ai luoghi – tutti gli uomini di sempre: essenzialmente i bisogni fisiologici, legati alle esigenze vitali, al nutrimento, al riposo, all’eliminazione delle scorie e alla riproduzione. Ma la dimensione dei problemi trattati dalla gente è di livello prevalentemente basso anche nel senso che attiene al particolare individuo, al massimo al gruppo familiare di cui il soggetto fa parte.

È sempre più raro, insomma, ascoltare ragionamenti alti, anche qui in un doppio significato. Nel senso che è elevato il loro oggetto: politica, filosofia, religione … . E riguardo all’estensione degli interessati da questi ragionamenti: una comunità assai più ampia, nella migliore delle ipotesi, della cerchia famigliare: il proprio paese, il mondo.

Una delle dimostrazioni di quanto rilevato è data dal fatto che, sempre più spesso, allorché si parla o si discute, si fa confusione tra argomenti o temi di primo piano, essenziali, e argomenti o temi di secondo, terzo o quarto ordine. Quando, infatti, si conversa, nella dinamica delle tesi e delle antitesi, degli argomenti e dei contro-argomenti, non si dà spazio prima agli argomenti o ai temi oggettivamente più significativi, ma si parte dal considerare quegli aspetti che in verità sono secondari se non addirittura marginali. Si registra, pertanto, un ver’e proprio capovolgimento della gerarchia degli argomenti o dei temi, per cui quelli di secondo piano vengono considerati più importanti di quelli che, invece, sono essenziali o fondamentali. E va bene se questi ultimi non sono addirittura del tutto obliterati. In altre parole oggi, per esempio, appassionarsi ad una squadra di calcio è ritenuto più importante dell’approfondire le questioni democratiche o della dignità e libertà della persona rispetto all’incalzante tecnocrazia; discutere di borse e vestiti è più importante del parlare di Dio.

Questo è un grave problema logico legato, a mio avviso, alla scomparsa del pensiero generale e astratto, inteso come capacità di svolgere ragionamenti e discorsi di carattere più ampio ed elevato, che, trascendendo l’angusto campo, come dicevo su, del quotidiano e dell’individuale, consentano alle persone, tra l’altro, di interpretare più a fondo il tempo in cui viviamo.

Tengo a precisare che gli anzidetti difetti, nel senso di lacune vieppiù diffuse tra la gente, non sono però peculiari del cosiddetto volgo, delle fasce meno istruite della popolazione. Riguardano, infatti, anche le persone più dotate di titoli di studio e di, lato sensu, cultura. Tra costoro cioè si può assistere, all’occorrenza, sì, a discorsi oltre il livello di tipo basso, ma sempre in una prospettiva prevalentemente specifica. Parlano, magari, di quella mostra cui hanno partecipato, di quel film che hanno visto, di quel libro che hanno letto, ma senza che mostra, film e libro servano loro come fomite per letture più alte e generali, come strumenti ermeneutici del nostro tempo. Si limitano, invero, a racconti, più o meno autocompiaciuti.

Verosimilmente le persone, ormai da decenni, sono abituate a ritenere che i problemi dell’esistenza umana coincidano con i bisogni elementari, più o meno basilari, che riguardano certamente tutti. È particolarmente triste, poi, constatare come anche i credenti, e i cattolici in specie, sempre più spesso non si rendano conto del fatto che tali problemi sono strumentali rispetto ad altri, sono in realtà secondari rispetto ad altri. Come anche il Signore insegna: « Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo » (Matteo 4, 4).

Nella citata pericope evangelica è chiaro che Gesù non intende affatto disprezzare il pane, come, più latamente, ogni esigenza materiale o corporale: anche Lui, il Verbo Divino fattosi uomo, mangiava e beveva, anche in compagnia di altri, secondo le narrazioni dei Vangeli. Cristo, piuttosto, invita ad alzare lo sguardo, ad andare oltre il pane inteso come aggregato chimico, quantunque necessario per sfamare gli uomini. Il pane, dunque, è importante, ma è necessario per l’uomo andare oltre, come sempre Cristo ci dice istituendo l’Eucarestia. Gesù prende il pane, ma quel pane lo trasfigura, facendolo diventa addirittura il suo stesso corpo: « Prendete e mangiate; questo È il mio corpo » (Matteo 26, 26; il maiuscolo è mio). Il pane non significa soltanto, ma è il Suo corpo, ontologicamente. Il livello materiale è unito al livello spirituale: il primo livello, quello fisico, non è separato da quello metafisico. Il primo livello – il pane -, però, non basta se non è trasceso nel livello ulteriore – il corpo del Signore – .

Ho usato questa analogia, molto forte, per spiegare credo icasticamente quanto bisogno ci sia, soprattutto oggi, del pensiero generale e astratto. Quanto sia indispensabile riscoprirlo, sollecitarlo negli altri, segnatamente nei giovani, che costituiscono per definizione il nostro futuro.

L’angosciante realtà che ho sommariamente descritto è indubbiamente il portato dell’opera, massiccia, di propaganda e di manipolazione effettuata per molto tempo, che ha convinto – attraverso la pubblicità, il cinema, il teatro, i mass media in genere, ma anche mediante le varie comodità disponibili, come pc e cellulari – come, appunto, i problemi dell’uomo siano esclusivamente quelli basilari, di primo livello. In qualche modo si è realizzata, forse al massimo grado storico, la geniale intuizione di Giovenale: il popolo « duas tantum res anxius optat panem et circenses » (Satira X, 81).

E ciò è tanto più vero quanto più si consideri l’odierna attitudine penetrativa dei media, molto più diffusi, anche attraverso il web, rispetto al tempo del letterato romano. È infatti tramite questa attitudine che si inoculano vieppiù, anche al livello subliminale (dell’inconscio, a discapito della coscienza chiara e aperta della persona umana), messaggi tambureggianti ispirati al godimento, che, anche quando ha apparentemente ad oggetto cose culturali – esposizioni, parchi, letture … – rimane, come ho detto, atto di mero consumo, di puro soddisfacimento di bisogni egotistici. Le persone, infatti, anche quelle in apparenza più colte, sono avvezze ad analizzare – e con quale cura, con quale attenzione quasi entomologica! – problemi bassi, come sopra li ho definiti, e non sono più in grado di avere pensiero astratto, generalizzante.

Queste mende esistono tra moltissimi professori, avvocati…, per cui c’è da chiedersi a cosa servano la grande cultura che essi ammanniscono e i libri pur interessanti che hanno letto se poi, paradossalmente, risultano, dal punto di vista che sto considerando, peggiori di altri, i quali, magari illetterati, sono viceversa dotati di Sapienza, come il mio conoscente Edoardo, con la II Elementare, che vive cercando nei cassonetti dell’immondizia e che un giorno mi ha colpito parlandomi esplicitamente di Sapienza.

Quel sapere, anche suggestivo, di quegli insegnanti e di quei legali a nulla giova se non gli permette di cogliere, con pensiero appunto generale e astratto, i “segni dei tempi” (Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes n. 4), intesi come le “caratteristiche più rilevanti del mondo contemporaneo” (ibidem). Quella grande cultura, infatti, non è occasione per la mente per procedere oltre e verso Altro, ma, per paradosso, è un vincolo, una catena che impedisce alla mente stessa di ascendere verso il secondo o terzo livello.

Ai quali si può pervenire se si è esercitati a riflettere per ipotesi paradigmatiche: usus cogitandi – abitudine del pensare – che da un fatto, da una vicenda, permette di ricavare un messaggio ulteriore, una lezione morale, sociale, politica, metafisica, per cui si possono trarre delle generalizzazioni, per dirla con Aristotele col c. d. metodo induttivo.

Diversamente è agevole osservare come i più, oggi, facciano persino una laparatomia di un evento, di una circostanza, di una situazione individuale, ma non siano in grado e non siano interessati ad andare oltre quel fatto.

La riconquista del pensiero generale e astratto è, dunque, tra le operazioni più indispensabili e urgenti, poichè degli specifici fatterelli tutti sanno parlare, anche se chi a mo’ di chiacchiera, chi in maniera più altisonante. Ci si fissa, in ogni caso, su particolari magari di poco momento, che peraltro sovente vengono pure interpretati in modo inadeguato o erroneo perché slegati da un sistema logico più ampio, scevri, come sono, da un quadro più vasto. Ne deriva tra l’altro che non di rado si debba spiegare ciò che invece è evidente – da porre quindi come base di partenza del discorso -, finendo con l’appesantire il ragionamento e con lo smarrire, e far smarrire all’interlocutore, il messaggio centrale e più ampio che si intende trasmettere.

I più leggono dettagli, vedono in televisione particolari, sanno tutto – per dirla ancora con una metafora evangelica – sulla pagliuzza, ma capiscono poco o nulla della trave. Mentre questo è proprio il tempo della trave: della grande propaganda, delle democrazie soltanto apparentemente tali, di una Chiesa sempre più appiattita sul mondo e che si fa dettare l’agenda dal mondo stesso, anziché dettarla lei in forza del Cristo, che ha vinto il mondo (cf. Giovanni 16, 33).

Così, anziché notare, analizzare, reagire a tutte queste cose, che rappresentano, appunto, la trave, si continua ad entusiasmarsi per la pagliuzza, per bagatelle. Questo, a mio avviso, è uno dei segni dei nostri tempi, purtroppo riscontrabile in un numero sempre più esteso di persone. Persino, come detto, tra gli insegnanti e gli educatori, per cui non si può pretendere dai giovani quel pensiero generale e astratto, profondo, che gli stessi adulti non hanno.

Manca infatti sempre di più la Sapienza, che fa conoscere all’uomo cose elevate infiammandolo d’amore per le stesse.

È per questo che moltissimi, oggi, tra l’altro, “dai beni visibili” non riconoscono “colui che è”; non riconoscono “l’artefice, pur considerandone le opere” (Sapienza 13, 1). “Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l’autore” (Sapienza 13, 5).

Ciò è talmente vero che lo stesso lemma “Sapienza” è sparito dal vocabolario – peraltro sempre più povero e impreciso – usato dalla gente. E quando non si usa più una parola è come se si volatilizzasse la stessa realtà sostanziale evocata dalla parola stessa.

Come possono allora questi uomini comprendere i segni dei tempi ? Si occupano di tutto: delle necessità basilari come dello sport, dell’arte …, ma sempre come oggetti di consumo, secondo un orizzonte limitato e limitante, basso. Sono informati sul meteo, sempre in ragione dei loro impegni o dei loro svaghi. Direbbe tuttavia Gesù oggi: « Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. […] Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo ? » (Luca 12, 54-56).



19 Maggio 2024, Pentecoste






Ami la tradizione? Per il papa hai un atteggiamento suicida




21 MAG 2024

Saved in: Blog
by Aldo Maria Valli

Alla lunga lista di parole misericordiose che Francesco rivolge a chi non la pensa come lui (ricordiamo che, fra l’altro, ha dato dello “stupido” a chi non è d’accordo circa le origini antropiche del cambiamento climatico) se ne può aggiungere una nuova. Amate la tradizione? Ebbene, sappiate che per il papa siete persone cieche, affette da ristrettezza mentale che porta a un atteggiamento suicida. Bergoglio lo ha detto parlando con la conduttrice della Cbs Norah o’Donnell.

Nell’intervista (l’ennesima intervista in ginocchio) per la trasmissione 60 Minutes [qui], il papa afferma che un conservatore “è qualcuno che si aggrappa a qualcosa e non vuole vedere oltre. È un atteggiamento suicida”.

“Una cosa – sostiene – è tenere conto della tradizione e considerare le situazioni del passato, un’altra è chiudersi in una scatola dogmatica”.

Già nell’agosto del 2023 il papa aveva pubblicamente lamentato l’“arretratezza” dei cattolici conservatori americani: “La situazione non è facile negli Stati Uniti, dove c’è un atteggiamento reazionario molto forte”, aveva detto a un gruppo di gesuiti. “Vorrei ricordare a queste persone che il retropensiero è inutile. Dobbiamo capire che c’è un’evoluzione appropriata nella comprensione delle questioni di fede e di morale”.

Secondo il papa, “la nostra comprensione della persona umana cambia con il tempo e anche la nostra coscienza si approfondisce. Anche le altre scienze e la loro evoluzione aiutano la Chiesa in questa crescita della comprensione. La visione della dottrina della Chiesa come monolitica è errata. I problemi che i moralisti devono esaminare oggi sono molto seri e, per affrontarli, devono correre il rischio di fare dei cambiamenti”.

Negli Stati Uniti, ha proseguito, si respira un “clima di chiusura” in alcune situazioni in cui “si può perdere la vera tradizione e ci si rivolge alle ideologie come sostegno. In altre parole, l’ideologia sostituisce la fede, l’appartenenza a un settore della Chiesa sostituisce l’appartenenza alla Chiesa”.

Questi gruppi americani “si stanno isolando” e “invece di vivere secondo la dottrina, la vera dottrina che si sviluppa e porta sempre frutto, vivono secondo le ideologie”.







lunedì 20 maggio 2024

Giovanni Paolo II e Jérôme Lejeune: Due vite al servizio della vita”


Papa Giovanni Paolo II e Jerome Lejeune


Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog la relazione scritta da George Weigel, rilanciata dal National Cathoic Register. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella traduzione da me curata.



Di Sabino Paciolla, 20 Maggio 2024


Nota dell’editore [del National Catholic Register]: Il biografo di Giovanni Paolo II George Weigel ha pronunciato le seguenti osservazioni il 18 maggio a Roma, in occasione della II Conferenza internazionale di bioetica, cattedra internazionale di bioetica Jérôme Lejeune. È ristampato con il permesso.




George Weigel

Molti dei partecipanti a questa conferenza sono esperti della vita e del pensiero di un grande uomo di scienza e di fede, il venerabile Jérôme Lejeune; io non lo sono. Ma come biografo di Papa Giovanni Paolo II, so qualcosa di questo discepolo esemplare e potente pensatore, e so che questo grande santo aveva la massima stima di Jérôme Lejeune.

Come disse Giovanni Paolo in una lettera al cardinale Jean-Marie Lustiger, arcivescovo di Parigi, il giorno dopo che il dottor Lejeune fu chiamato a casa dal Signore, il dottor Lejeune aveva un “carisma”: un dono di Dio che lo autorizzava a “impiegare la sua profonda conoscenza della vita e dei suoi segreti per il vero bene dell’uomo e dell’umanità, e solo per questo scopo”.

Jérôme Lejeune, ha proseguito Giovanni Paolo, era diventato “uno degli ardenti difensori della vita, in particolare della vita dei bambini pre-nati”. E nel farlo, era disposto “a diventare un “segno di contraddizione”, indipendentemente dalle pressioni esercitate da una società permissiva o dall’ostracismo che ha subito”.

Così, in Jérôme Lejeune, il mondo ha incontrato “un uomo per il quale la difesa della vita è diventata un apostolato”. Il carisma che il dottor Lejeune aveva ricevuto è stato vissuto nel servizio evangelico a Cristo e ai piccoli di Cristo.

I rapporti tra Giovanni Paolo II e Jérôme Lejeune, segnati da un profondo rispetto reciproco che si è trasformato in una forma di amicizia spirituale, sono certamente noti a tutti voi.

Sappiamo della gratitudine di Giovanni Paolo per il lavoro del dottor Lejeune sulla e per la Pontificia Accademia per la Vita, di cui Lejeune è stato il presidente fondatore.

Sappiamo della gratitudine di Giovanni Paolo per il lavoro strenuo del dottor Lejeune in difesa dei nascituri, al quale ha conferito una singolare autorità, dati i suoi risultati come uno dei più importanti scienziati della vita del mondo.

Sappiamo che il 13 maggio 1981, a pranzo, discussero delle minacce alla famiglia che Giovanni Paolo II cercò di affrontare con la creazione del Pontificio Consiglio per la Famiglia, collegando la difesa della famiglia alla difesa della vita in tutte le fasi e in tutte le condizioni.

Sappiamo che Giovanni Paolo chiese al dottor Lejeune di guidare la delegazione della Santa Sede che si recò a Mosca dopo la morte del leader sovietico Yuri Andropov: un grande difensore internazionale della vita che rappresentava il Papa al funerale dell’uomo che, come capo della polizia segreta sovietica, il KGB, aveva incarnato l’insensibilità del comunismo nei confronti della santità della vita – e che forse era alla testa della catena causale che portò a un altro evento il 13 maggio 1981.

Sappiamo della gratitudine di Giovanni Paolo per i servizi che il dottor Lejeune era in grado di rendere, anche in mezzo al suo lavoro scientifico e nella sua ultima malattia, all’Istituto Giovanni Paolo II per gli Studi sul Matrimonio e la Famiglia.

E ricordiamo la visita di Giovanni Paolo alla tomba del dottor Lejeune, un amico che ringraziava Dio per le grazie che avevano abbondato nella vita di un altro, raccomandando quell’amico alla Divina Misericordia – e poi cantando la Salve Regina con la famiglia Lejeune.

Sapere tutto questo, per quanto edificante, significa rimanere un po’ alla superficie delle cose. È importante scavare più a fondo per cogliere l’essenza di questi due uomini e del loro rapporto.

A questo proposito, mi viene in mente una conversazione che ebbi alla fine degli anni ’90 con l’allora cardinale Joseph Ratzinger. Sapevo che il cardinale, a differenza della brutta caricatura di lui che era onnipresente sulla stampa mondiale, aveva un bel senso dell’umorismo. Così quel giorno iniziai la nostra conversazione prendendolo in giro per una foto che avevo visto di lui, scattata alla fine degli anni ’60, in cui indossava una cravatta molto larga invece del colletto clericale. Il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede si mise a ridere e disse: “Vede, è come ha insegnato il Santo Padre nella Fides et Ratio: Dobbiamo andare dal fenomeno alle fondamenta!”.

Seguiamo dunque la prescrizione di Giovanni Paolo II nella Fides et Ratio e passiamo dal “fenomeno” al fondamento”, riflettendo sulle radici intellettuali della passione che Giovanni Paolo II portava nelle cause della vita, passione che trovava rispecchiata nell’opera e nella testimonianza del suo amico Jérôme Lejeune.

Questa riflessione può iniziare da un corso di laurea in filosofia tenuto dal futuro Papa all’Università Cattolica di Lublino nel 1956-57.

Durante i suoi anni di permanenza nella facoltà di Lublino, Karol Wojtyla conduceva ogni anno un esame approfondito di un particolare filosofo o filosofi, in un seminario da lui diretto per gli studenti laureati. In questo seminario, nel 1956-57, Wojtyła e i suoi studenti più avanzati fecero un’attenta lettura delle filosofie di David Hume e Jeremy Bentham, sotto il titolo generale di un esame di “Norma e felicità”. L’effetto netto dello scetticismo di principio di Hume sulla capacità degli esseri umani di conoscere con certezza la verità di qualsiasi cosa, concludeva Wojtyła, era quello di spingere un cuneo spesso tra la morale e la realtà, in modo tale che la vita morale inevitabilmente andasse alla deriva in una nebbia di soggettività radicale. Il risultato di questa deriva, per Bentham, era l’utilitarismo: L’utilità, non la dignità, sarebbe stata la misura dell’uomo e del bene.

Ecco, appunto, un professore di filosofia preveggente.

Il professor Wojtyła e i suoi studenti, in una piccola università cattolica in una zona oscura della Polonia, stavano guardando a più di 30 anni nel futuro post-comunista: un futuro che nessun altro sembrava in grado di immaginare, dato il soffocante smog culturale della vita comunista. E nel farlo, iniziavano a sondare il terreno intellettuale della prossima lotta in difesa della dignità umana e della sacralità della vita: la lotta per difendere intellettualmente, e per incarnare nella cultura e nella legge, la dignità inalienabile e il valore infinito di ogni vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. Anche in mezzo alla peste comunista, Wojtyła e i suoi studenti, nell'”unico posto tra Berlino e Seoul dove la filosofia era libera” (come uno dei colleghi di facoltà del futuro Papa descrisse la loro università), leggevano filosofi britannici relativamente sconosciuti in Polonia e analizzavano la minaccia al futuro umano che sarebbe stata rappresentata se il loro pensiero fosse stato incarnato nella cultura, nella società, nella politica e nell’economia.

Karol Wojtyła portò questa preoccupazione – che la dignità umana e la santità della vita sarebbero state in grave pericolo se un’etica utilitaristica, sottoprodotto del nichilismo metafisico e dello scetticismo epistemologico, avesse avuto la meglio – al Concilio Vaticano II e oltre. Così, nel 1968, scrisse a un altro amico francese, il gesuita Henri de Lubac, con il quale aveva collaborato alla preparazione della bozza finale di quella che sarebbe diventata la Gaudium et Spes, la costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo moderno, a proposito del lavoro intellettuale in cui era impegnato in quel momento in mezzo al suo pesante programma di attività pastorali:


“Dedico i miei rarissimi momenti liberi a un lavoro che mi sta a cuore e che è dedicato al senso metafisico e al mistero della PERSONA. Mi sembra che il dibattito odierno si svolga a questo livello. Il male del nostro tempo consiste innanzitutto in una sorta di degradazione, anzi di polverizzazione, dell’unicità fondamentale di ogni persona umana. Questo male è ancora più di ordine metafisico che di ordine morale. A questa disintegrazione pianificata a suo tempo dalle ideologie atee, dobbiamo opporre, piuttosto che una sterile polemica, una sorta di ‘ricapitolazione’ del mistero inviolabile della persona”.
Qui, suggerisco, siamo arrivati al “fondamento” del “fenomeno” delle “due vite al servizio della vita” – un fondamento costruito su una grande convinzione, un’analisi perspicace e due impegni fermi:

Primo, la convinzione che ci sono verità inscritte nel mondo e in noi, verità che possiamo conoscere con la ragione sia filosofica che scientifica in un processo di ricerca che può essere facilitato dalla frequentazione della Rivelazione divina; secondo, una chiara lettura dei segni di questi tempi, in cui l’umanità si stava mettendo in grave pericolo perdendo la presa su quelle verità, e soprattutto sulla verità che ogni vita umana non è un semplice aggregato di materiali biologici, ma è la vita di una persona, un essere spirituale con un valore infinito e un destino eterno; terzo, un fermo impegno a difendere l’unicità di ogni vita umana, in qualsiasi condizione e in qualsiasi stadio di sviluppo; e, quarto, un impegno altrettanto fermo a impostare questa difesa della vita in termini che potessero essere accettati da coloro che stavano perdendo la presa sulle verità inscritte nella natura e in noi.

Il dottor Lejeune avrebbe dato voce a questo quarto impegno nella sua straordinaria testimonianza davanti a una commissione del Senato degli Stati Uniti il 23 aprile 1981. In quell’occasione, descrisse con un linguaggio accessibile la genetica dell’inizio della vita umana (“I cromosomi sono le tavole della legge della vita, e quando sono raccolti nel nuovo essere umano… descrivono completamente la sua costituzione personale”). Poi, ha spiegato come la costituzione genetica di ogni persona umana sia unica e irreplicabile. Infine, ha tratto l’ovvia conclusione scientifica: “Accettare il fatto che dopo la fecondazione è nato un nuovo essere umano non è più una questione di gusto o di opinione. La natura umana dell’essere umano, dal concepimento fino alla vecchiaia, non è un’ipotesi metafisica ma, piuttosto, un fatto evidente dell’esperienza”.

Giovanni Paolo II ha tratto le chiare conclusioni morali da questo fatto scientifico quando, nell’enciclica Evangelium Vitae, ha insegnato il principio generale che l’uccisione diretta e deliberata di qualsiasi vita umana innocente è sempre gravemente immorale, e poi ha applicato questo principio generale a un rifiuto di principio dell’aborto e dell’eutanasia, in qualsiasi circostanza. Una società giusta e giustamente ordinata, ha insegnato Giovanni Paolo, riconoscerà sia il fatto scientifico che la conclusione morale, e quindi fornirà protezione legale alla vita umana in tutte le fasi della vita e in tutte le circostanze della vita, fornendo allo stesso tempo cure compassionevoli a coloro che affrontano gravidanze in crisi e a coloro che affrontano malattie terminali.

Jérôme Lejeune e Giovanni Paolo II hanno capito che non si tratta di verità accessibili solo ai cattolici. Non è necessario il dono della fede per comprendere che la vita umana inizia al momento del concepimento e che la dignità di tale vita non è diminuita dalla debolezza, dalla disabilità o dalla malattia terminale. Non è necessario il dono della fede per capire che una società giusta avrà a cuore la vita innocente nella cultura e proteggerà la vita umana innocente nella legge. E così la Chiesa può sostenere il diritto alla vita dal concepimento fino alla morte naturale su basi che qualsiasi persona moralmente seria può comprendere.

Sembra dolorosamente ovvio che, negli anni successivi alla morte di queste due grandi anime che hanno dedicato la loro vita al servizio della vita, le minacce alla dignità umana e alla santità della vita a cui Jérôme Lejeune e Giovanni Paolo II si sono sforzati di resistere con tanta forza si sono intensificate, come avete discusso in questi due giorni.

Ecco perché il lavoro continuo della Fondazione Jérôme Lejeune è così importante.

Ed è per questo che dobbiamo sperare che la decostruzione della Pontificia Accademia per la Vita e dell’Istituto Paolo II per gli Studi sul Matrimonio e la Famiglia, un processo doloroso che si può osservare nell’ultimo decennio, venga fermato, e poi invertito, negli anni a venire.

Per decenni, la [Pontificia] Accademia [per la Vita] e l’Istituto Giovanni Paolo II hanno svolto un lavoro creativo e innovativo nello sviluppo di una teologia morale cattolica e di una pratica pastorale in grado di affrontare la sfida degli assalti del XXI secolo alla dignità e alla santità della vita – e lo hanno fatto in modi che chiamavano le varie espressioni della cultura della morte alla conversione: una conversione alle verità inscritte nel mondo e nella condizione umana dal Creatore. Eppure, ora, l’accademia ha pubblicato un libro dall’ironico titolo La Gioia della Vita, scritto da teologi che possono solo essere descritti onestamente come dissenzienti dall’insegnamento autorevole dell’Evangelium Vitae. Quel libro non solo indebolisce la tesi cattolica di una cultura della vita che rifiuta i gravi crimini contro la vita identificati dall’Evangelium Vitae. Lo fa in termini di un’antropologia anti-biblica e anti-metafisica che sarebbe stata completamente estranea, anzi aborrita, sia da Jérôme Lejeune che da Giovanni Paolo II. E come la Pontificia Accademia della Vita tradisce il suo presidente fondatore, il dottor Lejeune, pubblicando e promuovendo un libro così poco informato e mal argomentato, così il ricostituito Istituto Giovanni Paolo II, ora in gran parte privo di studenti, tradisce l’intenzione del santo e dello studioso che lo fondò e che chiamò la teologia morale cattolica a un rinnovamento che non si arrendesse allo Zeitgeist, lo spirito del tempo, ma piuttosto lo convertisse alla giusta ragione, alla vera compassione e al nobile esercizio della libertà.

Possiamo sperare e pregare che le virtù eroiche di Jérôme Lejeune siano ufficialmente riconosciute dalla Chiesa, in modo che possa unirsi al suo amico Giovanni Paolo II tra le file dei beati e dei canonizzati. Se ciò dovesse accadere, sarà perché la Chiesa si è convinta che queste due vite al servizio della vita sono state vissute da uomini coraggiosi, di fede e di ragione, che sapevano che la verità ci rende liberi nel senso più profondo della libertà – e che la testimonianza della verità ci chiama a essere, quando necessario, segni di contraddizione, come il Signore Gesù stesso.

Grazie




SOS: fermare la tirannica presa di potere del 27 maggio da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità





di Robert Williams*, 18 maggio 2024

Traduzioni di Angelita La Spada

L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) non è eletta, non ha legittimità democratica, non deve rendere conto a nessuno e non dispone di meccanismi di controllo per limitarne la portata. Dopo i terribili fallimenti dell'OMS durante il Covid-19, la risposta non è dare più potere all'organizzazione, ma svincolarsi completamente da essa. 

La maggior parte dei Paesi non ha aperto alcun dibattito pubblico e critico su come è stata gestita la pandemia di Covid-19. I governi ritenuti responsabili della risposta oltraggiosamente maldestra al virus non hanno dovuto rispondere dei loro errori. La Cina comunista, nonostante abbia diffuso il virus nel mondo mentendo deliberatamente in merito alla sua trasmissione da uomo a uomo, non ha avuto una sola conseguenza avversa. Non è stato fatto nulla nemmeno riguardo al ruolo ambiguo svolto dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ha fatto eco alla propaganda del Partito Comunista Cinese sul virus, anche dopo essere stata informata in anticipo per iscritto da Taiwan che il virus era altamente trasmissibile.

L'OMS, ancora guidata da Tedros Adhanom Ghebreyesus, sospettato di corruzione (si veda qui e qui), ha coperto la Cina e l'ha ripetutamente elogiata, di fatto, per aver ucciso più di sette milioni di persone in tutto il mondo, di cui più di un milione solo negli Stati Uniti.

Nessuno ha chiamato a rispondere la Cina del modo in cui ha gestito la pandemia ritirando i dispositivi medici di protezione in modo che ne avesse abbastanza per sé; nessuno ha rimproverato la Repubblica popolare cinese per aver guadagnato miliardi, esportando difettosi dispositivi medici di protezione considerati "inutili" (si veda qui e qui), nessuno ha redarguito Pechino per aver mandato i propri cittadini all'estero a infettare il mondo intero, mentre all'interno chiudeva le proprie frontiere e cercava di isolare Wuhan, dove, in un laboratorio, il virus sembra aver avuto origine.

La Cina ha imposto letteralmente il lockdown, impedendo fisicamente a 25 milioni di suoi cittadini di lasciare le proprie abitazioni. Alcuni di loro che erano stati rinchiusi dall'esterno sono morti carbonizzati in un incendio; altri, tra cui gli scienziati che hanno cercato di mettere in guardia sulla letalità del virus, o hanno menzionato il ruolo della Cina nella diffusione del virus, o hanno espresso scetticismo sulle cure, sono stati arrestati, messi a tacere o sono "scomparsi".

Gli stessi governi e le organizzazioni che hanno mentito e insabbiato la cattiva gestione del Covid-19 sono ora in procinto di perfezionare i negoziati sugli emendamenti al Regolamento sanitario internazionale (RSI) dell'OMS e al nuovo Trattato pandemico che insieme conferiranno al Direttore generale dell'OMS un potere senza precedenti sulla salute pubblica globale.

Al momento, almeno fino a quando l'Assemblea Mondiale della Sanità, l'organo decisionale supremo dell'OMS, non si riunirà a Ginevra dal 27 maggio al 1° giugno, l'OMS può dichiarare un'emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale, ma ora le raccomandazioni dell'organizzazione non sono vincolanti. E fin qui tutto bene.

Gli emendamenti proposti al Regolamento sanitario internazionale, tuttavia, conferiscono al Direttore generale dell'OMS l'autorità di dichiarare l'esistenza non solo di un'emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale reale ma anche potenziale e di adottare raccomandazioni vincolanti su come gestirla, indipendentemente dal fatto che i singoli Stati siano d'accordo o meno con lui.

Ciò significa che l'OMS potrà dichiarare qualunque cosa ritenga essere un'emergenza sanitaria reale o potenziale e imporre lockdown, accertamenti sanitari, richiedere vaccinazioni o altre profilassi, porre individui sotto osservazione sanitaria pubblica, applicare la quarantena o altre misure sanitarie.

Inoltre, il Regolamento sanitario internazionale adotterà l'uso mondiale di passaporti sanitari digitali o certificati vaccinali elettronici. Già nel giugno 2023 l'Unione Europea e l'OMS avevano annunciato "un partenariato digitale a lungo termine per garantire a tutti una salute migliore".

"Questo partenariato si adopererà per sviluppare il sistema dell'OMS a livello tecnico con un approccio graduale per coprire ulteriori casi d'uso che potrebbero includere, ad esempio, la digitalizzazione del certificato internazionale di vaccinazione o profilassi. Ampliare tali soluzioni digitali sarà essenziale per garantire una migliore salute alla popolazione di tutto il mondo".

Gli emendamenti proposti al Regolamento sanitario internazionale garantiranno uno "scambio digitale globale di informazioni sanitarie" nell'ambito dell'OMS.

Peggio ancora, nessuna critica al nuovo regime dell'OMS e alle sue decisioni di dichiarare potenziali o reali pandemie, lockdown e trattamenti sanitari, compresi i vaccini, sarà consentita ai sensi del Regolamento sanitario internazionale emendato:

"L'OMS si impegna a collaborare e ad assistere tempestivamente gli Stati parte, in particolare gli Stati Parte in via di sviluppo, su richiesta, nel contrastare la diffusione di informazioni false e inaffidabili su eventi di sanità pubblica, misure e attività preventive e anti-epidemiche nei media, nei social network e in altri modi di diffusione di tali informazioni".

In altre parole, le menzogne, la mancanza di chiarezza e gli insabbiamenti del governo che hanno tanto dominato l'ultima pandemia verranno normalizzati e tutte le critiche saranno bandite.

Proprio il mese scorso, la Germania si è resa conto che le autorità sanitarie pubbliche del Paese avevano mentito sul Covid. I documenti pubblicati di recente e acquisiti da un gruppo di giornalisti investigativi dopo una battaglia giudiziaria durata due anni, mostrano che l'autorità indipendente federale competente in materia sanitaria, il Robert Koch Institute (RKI), aveva informato il governo tedesco che l'influenza comportava un rischio maggiore del Covid, che le mascherine sarebbero state inutili e i lockdown erano più pericolosi del virus e avrebbero potuto portare ad un aumento della mortalità infantile. Nessuna di queste preoccupazioni di fatto è stata affrontata. Il governo tedesco, come la maggior parte degli altri governi, ha preferito adottare misure draconiane e totalitarie ispirate dalla Cina.

Inoltre, le preoccupazioni dell'RKI non sono mai state comunicate all'opinione pubblica tedesca.

Il dottor Tedros Adhanom Ghebreyesus (il quale non è un medico) ha già criticato i detrattori degli emendamenti previsti e del nuovo Trattato sulle pandemie definendoli teorici della cospirazione che diffondono "fake news, bugie e teorie del complotto".

La presa di potere non solo darà alla corrotta OMS poteri senza precedenti, ma ne beneficeranno anche gli interessi speciali che controllano efficacemente la stessa OMS, in primis la Cina comunista.

Gebreyesus, amico di lunga data della Cina, si è assicurato il posto di direttore generale dopo che Pechino ha appoggiato la sua candidatura, nonostante le energiche obiezioni di Ghana ed Etiopia.

Gebreyesus, ex ministro degli Esteri e della Sanità dell'Etiopia, accusato nel 2017 di essere "pienamente complice delle terribili sofferenze" causate da tre epidemie di colera in Sudan e in Etiopia, ha utilizzato il suo ruolo presso l'OMS per sostenere la campagna globale della Cina per il dominio economico. Ha anche nominato l'alleato di Pechino, il dittatore dello Zimbabwe Robert Mugabe, "ambasciatore di buona volontà". Gebreyesus ha ulteriormente ripagato il suo debito con Pechino quando è iniziata la pandemia di Covid-19. Non è riuscito a contrastare la disinformazione cinese sulla pandemia, ha ritardato la dichiarazione di emergenza internazionale e ha protetto l'economia cinese scoraggiando i governi dall'introdurre controlli sui viaggi. "Ciò", ha scritto il Sunday Times, "ha consentito al virus di diffondersi in tutto il mondo nelle prime settimane cruciali".

L'Organizzazione Mondiale della Sanità non è eletta, non ha legittimità democratica, non deve rendere conto a nessuno e non dispone di meccanismi di controllo per limitarne la portata. Dopo i terribili fallimenti dell'OMS durante il Covid-19, la risposta non è dare più potere all'organizzazione, ma svincolarsi completamente da essa.

I progetti illiberali dell'OMS di mettere a tacere tutto il dissenso come "disinformazione" rappresentano una corruzione sia della scienza che della libertà di parola, un risultato che non sorprende data l'enorme influenza che la Cina evidentemente esercita sull'organismo e sugli Stati membri delle Nazioni Unite. Basta guardare la disponibilità con cui i governi occidentali apparentemente liberali hanno adottato le misure autoritarie del Partito Comunista Cinese.

Una volta approvati i nuovi strumenti giuridici, non ci sarà nulla che impedirà all'OMS di prendere decisioni folli basate sulla sua visione corrotta della scienza. Una di queste visioni, totalitaria nel suo approccio, consiste nell'affermare che esiste indiscutibilmente una sola vera scienza, verosimilmente quella dell'OMS. "Possediamo la scienza e pensiamo che il mondo dovrebbe saperlo", ha dichiarato Melissa Fleming, sottosegretario generale per le comunicazioni globali presso le Nazioni Unite, in un panel del World Economic Forum del 2022 a Davos. Ha inoltre rivelato che le piattaforme dei social media già "sanno" che l'ONU "possiede" la scienza:

"Abbiamo collaborato con Google. Ad esempio, se digitate su Google 'cambiamento climatico', in cima alla vostra ricerca troverete tutti i tipi di risorse delle Nazioni Unite. Abbiamo iniziato questa partnership quando siamo rimasti sconcertati nel vedere che cercando su Google il termine 'cambiamento climatico', ottenevamo informazioni incredibilmente distorte proprio in alto, quindi stiamo diventando molto più proattivi".

Dal momento che l'ONU afferma di "possedere la scienza", sta ora facendo il lavaggio del cervello alla gente inducendola a credere che il "cambiamento climatico" minacci la salute globale. Questa visione rende probabile che un giorno ci si ritrovi in un lockdown imposto dall'OMS per mitigare gli effetti della "crisi climatica", insieme a limiti su dove andare, come arrivarci, cosa fare e cosa poter possedere.

Gli Stati Uniti ne vedono già i precursori negli ordini esecutivi di dubbia costituzionalità dell'amministrazione Biden, forse anche nei suoi tentativi di vietare i veicoli con motore a combustione interna e i fornelli a gas; o nel fatto di imporre lavastoviglie che potrebbero necessitare di cicli ripetuti per pulire i piatti e nuove normative più severe sui climatizzatori, sulle lavatrici, sui frigoriferi e perfino sui soffiatori di fogliame, e questo è solo l'inizio.

L'OMS ha scritto in un comunicato stampa del 22 marzo sul suo nuovo "kit di strumenti che consente agli operatori sanitari di far fronte ai cambiamenti climatici":

"Il cambiamento climatico rappresenta una delle sfide sanitarie globali più significative e sta già avendo un impatto negativo sulle comunità di tutto il mondo. Comunicare i rischi per la salute derivanti dai cambiamenti climatici e i benefici per la salute derivanti dalle soluzioni climatiche è essenziale e vantaggioso...

"Il cambiamento climatico influisce sulla salute attraverso vari modi, tra cui eventi meteorologici estremi, inquinamento atmosferico, insicurezza alimentare, scarsità d'acqua e diffusione di malattie infettive. Le ondate di caldo, i cambiamenti climatici e l'inquinamento atmosferico contribuiscono a una serie di effetti negativi sulla salute, tra cui malattie cardiovascolari, malattie respiratorie, problemi di salute mentale e malnutrizione. Inoltre, i sistemi sanitari si trovano ad affrontare una pressione crescente derivante dalle sfide legate al clima, rendendo sempre più urgente l'azione...

"Dando agli operatori sanitari la possibilità di comunicare sul cambiamento climatico e sulla salute, il programma mira a guidare un'azione collettiva verso la mitigazione del cambiamento climatico, lo sviluppo della resilienza e la protezione della salute pubblica".

A quanto pare, le Nazioni Unite e l'OMS vogliono un controllo illimitato. Se non vengono fermate adesso dai governi nazionali che rifiutano di approvare il nuovo Trattato sulle pandemie e gli emendamenti proposti al Regolamento sanitario internazionale avranno un controllo illimitato, e saremo noi a darglielo.




*Robert Williams è un ricercatore che vive e lavora negli Stati Uniti.






domenica 19 maggio 2024

Chiamati più che mai ad aprire il cuore allo Spirito Santo




19 MAG 2024

Saved in: Blog
by Aldo Maria Valli


Meditazione 

E tutti furono colmati di Spirito Santo

Atti 2,1-11

di Eremita

In questo giorno di Pentecoste siamo chiamati più che mai ad aprire il cuore allo Spirito Santo che scende nuovamente su tutta la Chiesa. Nonostante la Chiesa stia vivendo una crisi e una persecuzione forse mai vista nella storia, è molto importante che i nostri cuori siano spalancati per poter ricevere il dono sello Spirito di Dio.

Sta scritto: “Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca, sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi la riceve” (Apocalisse 2,17).

Cosa significa “vincitore”? Il “vincitore” è colui che esce vittorioso dal combattimento spirituale con la forza di Gesù Cristo. Il combattimento spirituale è quello che intraprendiamo ogni giorno contro la catechesi del demonio, contro la tentazione, contro l’assalto delle “passioni” e dei vizi. Non è con le nostre forze infatti che vinciamo, perché noi siamo profondamente deboli. Ma grazie allo Spirito di Dio, proprio come è scritto: “Non con la potenza né con la forza, ma con il mio Spirito dice il Signore” (Zaccaria 4,6). Attraverso la forza dello Spirito Santo possiamo essere vittoriosi di fronte alle avversità. Ma la cosa fondamentale è invocare con tutte le nostre forze lo Spirito di Gesù, affinché nella nostra vita e nella nostra famiglia avvenga una nuova Pentecoste. Gesù dice che consegnerà al vincitore “la manna nascosta”. Qual è questa “manna”? È la potenza dell’Eucaristia. E perché nascosta? Perché purtroppo oggi non tutti sanno riconoscere la grandezza e l’infinità del dono dell’Eucaristia, il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo Nostro Signore che riceviamo ogni volta che partecipiamo alla Santa Messa, baluardo e difesa per la nostra anima.

E cos’è il nome nuovo scritto nella pietra bianca? È il nome potentissimo di Gesù, al quale “ogni ginocchio si piega nei cieli, sulla terra e sotto terra” (Filippesi 2,10), in forza del quale riceviamo ogni grazia tutte le volte che lo invochiamo! Spesso non serve utilizzare tante parole nella preghiera. Ma basta dire semplicemente “Gesù”, per far tremare i demoni, per invocare l’aiuto dell’Altissimo, per chiedere al Padre qualunque cosa. Perché nulla ci sarà impossibile quando chiediamo al Padre nel nome di Gesù!

Invochiamo allora in questo giorno lo Spirito Santo su noi stessi e sulle nostre famiglie! Perché possiamo essere uniti profondamente alla Santissima Trinità, ed essere veri annunciatori dell’unica speranza che salva il mondo: Gesù Cristo Nostro Signore.

Amen.






sabato 18 maggio 2024

La Pentecoste e l’attualità delle parole di Benedetto XVI




17 MAG 2024

Saved in: Blog
by Aldo Maria Valli



di Vincenzo Rizza

Caro Aldo Maria,

il 19 maggio ricorre la solennità di Pentecoste.

Quindici anni fa la stessa solennità ricorreva il 31 maggio. Quella domenica mi trovavo nella basilica di San Pietro per pregare sulla tomba di Giovanni Paolo II. Uscendo dalle grotte vaticane (all’epoca la tomba di Papa Wojtyla non era ancora all’interno della basilica) mi accorsi che a breve sarebbe stata celebrata da papa Benedetto XVI la messa in basilica. Non avevo il biglietto, ma gli addetti alla sicurezza mi diedero comunque il permesso di assistere alla celebrazione e trovai posto nell’abside, proprio dietro l’altare.

Era il periodo in cui il papa celebrava e non si limitava a presiedere la liturgia. Nel 2009 cadeva, peraltro, il bicentenario della morte del compositore Joseph Hayden e per l’occasione fu scelta per la liturgia la Harmoniemesse, l’ultima delle Messe composte dal grande compositore. L’esecuzione fu affidata alla Kammerorchester e al coro del duomo di Colonia.

Inutile (e forse impossibile) descrivere l’emozione provata nel seguire la celebrazione. Vorrei solo ricordare un paio di considerazioni tratte dall’omelia del Santo Padre [qui] che ancora oggi sono di un’attualità disarmante e sono forse profetiche.

La prima: «Perché la Pentecoste si rinnovi nel nostro tempo, bisogna forse – senza nulla togliere alla libertà di Dio – che la Chiesa sia meno “affannata” per le attività e più dedita alla preghiera».

Che tristezza constatare quanto la Chiesa si stia oggi sempre più allontanando dalla sua missione, per trasformarsi in una sorta di ONG asservita alle esigenze politiche del momento.

La seconda, che ci ridona speranza: «Sì, cari fratelli e sorelle, lo Spirito di Dio, dove entra, scaccia la paura; ci fa conoscere e sentire che siamo nelle mani di una Onnipotenza d’amore: qualunque cosa accada, il suo amore infinito non ci abbandona. Lo dimostra la testimonianza dei martiri, il coraggio dei confessori della fede, l’intrepido slancio dei missionari, la franchezza dei predicatori, l’esempio di tutti i santi, alcuni persino adolescenti e bambini. Lo dimostra l’esistenza stessa della Chiesa che, malgrado i limiti e le colpe degli uomini, continua ad attraversare l’oceano della storia, sospinta dal soffio di Dio e animata dal suo fuoco purificatore. Con questa fede e questa gioiosa speranza ripetiamo oggi, per intercessione di Maria: “Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra!”».





Dove si arena l'Occidente


La vittoria dell'artista svizzero all'Eurovision festival non è importante in sé, ma come simbolo di una civiltà che ha fatto del niente la propria bandiera. In questo senso, è l'unico vero profeta di questa «patria» Ue ed il suo messaggio è la negazione di ogni identità. Nemo rappresenta il (non) binario su cui si è arenata l'Unione europea



di Marcello Veneziani

Lo diceva già il proverbio an­tico: «Nemo propheta in pa­tria»: così Nemo, cantante non binario, sui generis, stato eletto profeta canoro della non-patria europea. Nemo, che in latino vuol dire Nessuno, è svizzero e applica la neutralità svizzera anche al genere sessuale. Non ce ne saremmo mai occupati della notizia in sé, anche se ieri continuavano sulle prime pagine dei nostri più rispettabili giornali, ba­vose apologie del cantante «non binario» e del mondo che cambia in quella dire­zione. L'Eurovision ha rico­nosciuto, premiato, fatto trionfare un cantante la cui speciale virtù è quella di es­sere un mutante in bilico, che non si vuol riconoscere nel sesso nativo e nemmeno in quello adottivo. Hai qual­cosa contro chi si definisce non binario? Figuriamoci, non sono mica un passaggio a livello, non mi occupo di chi attraversa i binari. Non ho il minimo interesse a spiare la vita altrui dal buco della serratura o da altri ori­fizi. Il problema non è la sua vita, come lui si sente, cosa vorrebbe essere, un cama­leonte o una zucchina, fatti suoi e dei suoi intimi. Il pro­blema non è nemmeno l'esi­bizione in mondovisione, con messaggio annesso, del suo sesso variabile, come il tasso dei mutui; ma il rico­noscimento pubblico, l'atte­stazione internazionale, il premio alla sua mobilità ses­suale, alla sua estempora­neità di genere. Come se fos­se un precursore, un pionie­re e un modello, esempio per tutti. La notizia su cui si sono concentrati tutti, al pa­ri della motivazione del suc­cesso, non era la sua canzo­ne, la sua esibizione, ma il suo status non binario, di umanità in transito, perso­nale viaggiante dal maschile al femminile verso l'ignoto, senza fissa dimora.

Dai su, direte voi, cosa vuoi che sia una pagliacciata canora, un fenomeno da ba­raccone; lascia il circo, pen­sa alle cose serie. Ma è lì che sorgono i problemi, anzi è lì che si amplificano e diventa­no sistema, paradigma uni­versale. Perché quando pas­si dallo spettacolo alla vita seria, alla politica, alle rela­zioni sociali, all'impegno ci­vile il quadro che si prospet­ta è la continuazione del Me­desimo, per dirla con Alain de Benoist; ossia è la conti­nuazione del circo, dell'Eurovision in altre forme, è sempre la stessa roba, la stessa ideologia dominante. L'Eurovision coincide con la visione dell'Europa. Nemo per tutti, tutti per Nemo.

Insomma, per dirla in mo­do più chiaro, il problema non è Nemo che vince un festival, ma è Nemo che gui­da l'Unione europea, ne è il parametro, lo spread e l'uni­tà di misura. Quel Nessuno rappresenta un popolo ri­dotto a moltiplicarsi in tanti Nessuno, privi di identità; la cosa che oggi unisce l'Euro­pa è il ripudio dell'identità comune e personale, indivi­duale e generale, famigliare e di civiltà. La canzone ne è solo la sintesi fatua e simbo­lica a uso pop.

La perdita dell'identità, decantata come un'emanci­pazione, una liberazione, una presa di coscienza, un passaggio - per stare alle pa­role della canzone di Nemo - dall'inferno al paradiso, ha una serie di effetti nefasti che ricadono a cascata sulla vita concreta degli europei. L'identità di genere è solo il primo livello dell'identità, quello più elementare, più evidente, più naturale: poi c'è l'identità civica, l'identi­tà culturale, l'identità popo­lare, l'identità derivata dalla storia e dalla tradizione, l'i­dentità di civiltà.

Il rifiuto dell'identità o euronemia produce danni a più livelli. Impedisce di rico­noscere e accettare chi sia­mo davvero, la realtà nostra e degli altri, i corpi, i limiti, i confini, le eredità. Rende più vulnerabili e soccom­benti rispetto a chi invece preserva e difende la pro­pria identità, come per esempio gli islamici. E ridu­ce i corpi a gelatine, le perso­ne a tatuaggi, i pensieri a capricci e celebra storie inti­me come se fossero storie uniyersali, tappe gloriose - nel quadro dell'evoluzione della specie.

Sappiamo che in assenza di riferimenti alti, superiori e ulteriori, alla fine chi rap­presenta, incarna ed espri­me l'Europa e la sua icona è quello che ci giunge dagli eventi e dai personaggi pop, dai racconti di massa imba­stiti sul terreno dello spetta­colo e dell'intrattenimento. Di Nemo all'Eurovision chi se ne frega; ma deprime la visione dell'Europa ridotta a celebrare, non solo nei festi­val, il Nemo di turno e l'euro-nemia. Farà una brutta fine questa specie d'Europa, in­vestita sui binari incustoditi dal treno della realtà.




Fonte La Verità del 16 Maggio 2024


venerdì 17 maggio 2024

Triptorelina come blocca-pubertà, è tempo di dire basta



Governo e Aifa procederanno a una rivalutazione dell’uso off-label della triptorelina per il trattamento della “disforia di genere”. Traballa la rimborsabilità. Determinanti gli scandali e i pericoli per bambini e ragazzi. Ripercorriamo i passi che hanno portato a questo primo ripensamento.


LA SVOLTA POSSIBILE




Ermes Dovico, 17-05-2024

L’uso disinvolto della triptorelina come farmaco soppressore della pubertà, nei minori che lamentano la cosiddetta "disforia di genere", potrebbe essere vicino al capolinea, almeno in Italia. Il condizionale è d’obbligo, visto che queste decisioni spesso cambiano al cambiare del colore politico al governo e, altrettanto spesso, le ideologie e le lobby che le promuovono – magari ammantando di “scientificità” le proprie posizioni – influiscono più del buonsenso.

Ma intanto va accolta positivamente la notizia del tavolo tecnico istituito attraverso il decreto firmato dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, e da quello della Famiglia, Eugenia Roccella, con il fine di redigere nuove linee guida sulla "disforia di genere" (concetto già di suo fuorviante) e rivalutare l’inclusione della triptorelina tra i farmaci autorizzati per il suo trattamento off-label (cioè al di fuori delle indicazioni da foglietto illustrativo) e rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale.

Vale la pena ricordare i passaggi principali che hanno portato l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), nel marzo 2019, a garantire questa perniciosa rimborsabilità. L’Aifa, nel novembre 2017, aveva ricevuto una richiesta in tal senso dalla Società italiana di endocrinologia (Sie), dalla Società italiana di andrologia e medicina della sessualità (Siams), dalla Società italiana di endocrinologia e diabetologia pediatrica (Siedp) e dall’Osservatorio nazionale sull’identità di genere (Onig).

A corroborare questa richiesta all’Aifa contribuirono all’epoca anche le linee guida della World professional association for transgender health (Wpath), tra le più influenti organizzazioni scientifiche mondiali a sostenere l’approccio transessualista. Oggi sappiamo che si tratta della stessa organizzazione finita in questi mesi al centro dello scandalo noto come “Wpath files”, sorto dalla pubblicazione di una serie di documenti interni che mostrano come i medici della Wpath abbiano usato bambini e ragazzi come vere e proprie cavie dei loro trattamenti o, meglio, esperimenti sull’impossibile “cambio” di sesso.

Tornando all’iter per l’uso fuori etichetta della triptorelina, farmaco usato principalmente come antitumorale, nell’aprile 2018 l’Aifa aveva chiesto una valutazione al Comitato nazionale di Bioetica, che il 24 luglio dello stesso anno aveva dato – pur con una serie di raccomandazioni – il suo parere favorevole, con un solo voto contrario. L’Agenzia del farmaco aveva quindi redatto il provvedimento per la rimborsabilità (determinazione 21756/2019), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 2 marzo 2019. Nel regime precedente i medici potevano sì prescrivere, come per altri farmaci, l’uso off-label della triptorelina, ma chiaramente con un maggior carico di responsabilità da parte loro e appunto senza rimborso.

I lettori della Bussola, inoltre, ricorderanno che pochi giorni dopo la determinazione dell’Aifa c’era stata la clamorosa apertura verso la nuova linea dello Stato da parte di Vatican News e, a ruota, di Avvenire, segno di un sostanziale nulla osta da parte dei vertici vaticani e del tradimento rispetto a quello che le Sacre Scritture (cominciando dalla Genesi) e il Magistero della Chiesa hanno sempre insegnato in tema di corpo, sessualità, natura maschile e femminile.

Prima o poi, però, tutti i nodi vengono al pettine. E così sta accadendo per la triptorelina usata per bloccare la pubertà. Va ricordato innanzitutto che nel variegato mondo delle società scientifiche ci sono state realtà che si sono dette contrarie alla rimborsabilità del farmaco, come ha ricostruito l’attuale presidente dell’Aifa, Robert Giovanni Nisticò, nell’audizione del 14 maggio scorso davanti alla Commissione Affari sociali della Camera.

Ma altri fatti sono nel frattempo occorsi, tra cui gli scandali legati all’uso della triptorelina come farmaco blocca-pubertà e le salutari retromarce fatte da alcuni degli Stati più progressisti in tema di transessualismo.

Nel nostro Paese è scoppiato da mesi il caso dell’Ospedale Careggi di Firenze, sottoposto a un’ispezione del Ministero della Salute per via delle criticità emerse nella somministrazione della triptorelina, che sarebbe stata prescritta a giovani e giovanissimi anche in assenza dei requisiti della valutazione psicologica e quindi del consenso multidisciplinare. Consenso che peraltro, dobbiamo aggiungere, al di là del rispetto formale degli attuali protocolli medici, non giustificherebbe – sul piano sostanziale – l’idea di bloccare un processo naturale come la pubertà, con i relativi danni che questo comporta per lo sviluppo psicofisico dei minori.

La relazione di Nisticò ha evidenziato alcune lacune nella documentazione ricevuta dal Careggi, spiegando che la struttura del file, su base trimestrale, inviato dall’ospedale di Firenze «non consente una agevole distinzione tra le varie categorie di soggetti (adolescenti con DG [disforia di genere] rispetto a adulti in percorso transgender, rispetto ad altri soggetti in trattamento per condizioni analoghe)», aggiungendo che «nessuna informazione era presente in relazione alle valutazioni psicologiche o psichiatriche».

C’è poi, come accennato, il dietrofront di altri Paesi a interrogare le coscienze di casa nostra. «Recentemente sono state pubblicate raccomandazioni con orientamenti non più concordi rispetto all’impiego della triptorelina nella DG», ha riconosciuto il presidente dell’Aifa. Il quale ha quindi citato esplicitamente la revisione pubblicata il 12 marzo di questo anno dal ramo inglese del National Health Service (Nhs), che di fatto mette a nudo l’inconsistenza dei pareri favorevoli all’uso degli ormoni soppressori della pubertà. «Questo accurato processo di revisione – riassume Nisticò – suggerisce come le evidenze scientifiche a supporto dell’uso di triptorelina nella DG derivano da piccoli studi osservazionali non controllati, soggetti a bias e confondimenti. Ad esempio, si conoscono poche informazioni su comorbità e trattamenti concomitanti». Tra i limiti statistici più evidenti, la mancanza di un gruppo di controllo per analizzare «gli effetti della triptorelina sulla densità ossea». Inoltre, «rimangono limitati i dati sulla sicurezza a breve e lungo termine». Per questi motivi, l’Nhs ha concluso che non ci sono prove sufficienti a sostegno della sicurezza dell’uso di farmaci come la triptorelina per il trattamento della disforia di genere in bambini e adolescenti.

Alla luce di questi fatti, è stata appunto annunciata una rivalutazione sul regime di rimborsabilità della triptorelina in questo suo uso off-label. Questa rivalutazione sarà fatta dall’Aifa di concerto con il tavolo tecnico istituito presso l’ufficio di Gabinetto del ministro della Salute, composto da 29 membri, «e con le principali Società scientifiche coinvolte», che lo stesso Nisticò, nella sua relazione, ha indicato nella Sie, la Siams e la Siedp. Sono le stesse società, come visto, che nel 2017 avevano spinto per la rimborsabilità. Si spera che nel frattempo abbiano avuto modo di cambiare idea, in favore di un principio base della medicina: primum non nocere. Che qui significa preservare dei corpi sani, anziché assecondare l’erronea convinzione che siano “sbagliati” e devastarli. Ne va della salute, innanzitutto, di bambini e ragazzi.






La persecuzione dei Cattolici in Spagna negli anni trenta del Novecento



Negli anni Trenta (1931-1939), la Chiesa e i Cattolici in Spagna furono vittime di leggi discriminatorie, torture e massacri

 

di Alberto Rosselli

Come scrisse lo storico Gregorio Marañón y Posadillo, «la Seconda Repubblica Spagnola, proclamata nel 1931, instaurò un sistema che, dietro una facciata di democraticità, si rivelò assolutamente irrispettoso di ogni libertà individuale e religiosa», situazione che durante la Guerra Civile (1936-1939) peggiorò a tal punto che il 1° luglio 1937 l’episcopato spagnolo fu costretto ad inviare in Vaticano una lunga e dettagliata relazione sulla «sistematica violazione da parte del governo repubblicano di tutti i diritti fondamentali della persona umana: violazione che ha avuto inizio nel 1934, in concomitanza con la cosiddetta “rivoluzione rossa di ottobre” scoppiata nelle Asturie, sommossa che aveva come scopo l’instaurazione di un regime comunista ateo e l’eliminazione del Cattolicesimo». Tale denuncia fu avvalorata dalle osservazioni di molti diplomatici stranieri presenti in Spagna e da altrettanti uomini di cultura iberici, anche lontani dalle posizioni franchiste. «In seguito alla violenta rivoluzione del 1934 – annotò il funzionario d’ambasciata e letterato don Salvador de Madariaga – la Sinistra spagnola perse addirittura qualsiasi autorità morale per condannare la ribellione franchista del luglio 1936». Accusa, questa, confermata da una serie infinita di documentati soprusi perpetrati dalle autorità repubblicane e dai gruppi organizzati anarchico-comunisti ai danni dei Cattolici. Durante la cosiddetta «rivoluzione delle Asturie», bande di anarchici e marxisti lasciate libere di agire assassinarono trentasette fra sacerdoti, seminaristi e religiosi ed incendiarono cinquantotto chiese. Il «massacro» delle Asturie ufficializzò, se così si può dire, l’inizio del lungo martirio della Chiesa Iberica che nel 1931, tramite i suoi Vescovi, aveva riconosciuto come legittimo il nuovo esecutivo repubblicano.

L’atteggiamento violentemente antireligioso di buona parte dello schieramento politico repubblicano ebbe dunque modo di manifestarsi – contrariamente a quanto sostenuto per decenni dalla pubblicistica di Sinistra – ben prima della cosiddetta «rivolta franchista». In concomitanza con gli assalti alle chiese da parte dei gruppi anarchico-marxisti delle Asturie, il governo madrileno emanò infatti una sequenza di leggi direttamente o indirettamente anticattoliche. Basti pensare all’importante organismo istituzionale delle «Cortes Constituyentes» della Repubblica, i cui seggi furono totalmente occupati da elementi massoni violentemente anticlericali, da comunisti e in misura minore da anarchici. Secondo il gesuita Ferrer Benimeli, uno dei maggiori esperti in materia, nella prima metà degli anni Trenta ben 183 esponenti della massoneria più anticlericale entrarono nelle «Cortes Constituyentes», fornendo un valido contributo alla lotta contro la Chiesa Cattolica e le sue istituzioni. La massoneria ebbe quindi un notevole influsso nell’elaborazione della legislazione anticattolica, o meglio atea, della Repubblica. D’altra parte, uno dei padri della Seconda Repubblica Spagnola, Manuel Azaña, era convinto che lo Stato dovesse diventare laicista nel senso più radicale ed esasperato del termine. Egli voleva una Chiesa mansueta e sottomessa, dominata e controllata dallo Stato, e se ciò non fosse risultato possibile si sarebbe dovuto eliminarla. Azaña non era solo contro il Cattolicesimo spagnolo nella sua forma storica concreta, ma contro il Cristianesimo in quanto tale.

La quasi totalità dei leader repubblicani vedeva nella Chiesa di Cristo un pericoloso ostacolo alla realizzazione di un Nuovo Stato totalmente laicista e ateo. Non a caso, nel 1931, la Repubblica varò una serie di leggi atte a paralizzare l’attività della Chiesa, abolendo anche associazioni e ordini importanti, come la Compagnia di Gesù. La dissoluzione di quest’ordine fu giustamente interpretata dai Vescovi spagnoli non soltanto come un abuso, ma come un vero e proprio attacco alla Santa Sede. Il decreto di scioglimento della Compagnia è un esempio paradigmatico della violenta discriminazione repubblicana nei confronti della Chiesa, senza considerare che il provvedimento in questione andava contro la stessa Costituzione che riconosceva i diritti fondamentali degli ordini religiosi.

D’altra parte, fino dall’insediamento al potere del governo repubblicano, la gerarchia cattolica iberica percepì il rapido evolversi di una drammatica situazione di intolleranza, come dimostra il rapporto del 16 ottobre del ’31 dell’Arcivescovo di Tarragona, Cardinale Vidal y Barraquer, al nunzio apostolico vaticano, Cardinale Eugenio Pacelli (il futuro Papa Pio XII). Ciononostante – e probabilmente dietro indicazioni del Vaticano – la Chiesa Spagnola tentò per mesi e con tutti i mezzi di addivenire ad un’intesa con il governo madrileno.

Ma nulla valse a modificare l’atteggiamento del governo che il 2 giugno 1932 per tutta risposta varò la legge sulle «Confesiones y Congregaciones religiosas» che di fatto minacciava il patrimonio ecclesiastico e aboliva l’insegnamento religioso nelle scuole. A questo proposito, la Santa Sede inviò ai Vescovi spagnoli una nota – la Gravis theologi sententia (redatta proprio dal nunzio, Cardinale Pacelli) – in cui si davano ai Vescovi alcuni orientamenti sul modo di reagire di fronte a questi soprusi. I Vescovi, che all’inizio si erano dimostrati prudenti e concilianti, presero finalmente una posizione più ferma, intervenendo ufficialmente, come nel caso della Declaración (25 maggio 1933) siglata dai metropoliti, un documento che denunciava tutte le offese e le violazioni compiute dallo Stato nei confronti del Cattolicesimo.

Pur non condividendo le tesi franchiste (e tanto meno quelle degli alleati di Franco, prima fra tutte la Germania di Hitler) il 19 marzo 1937, Papa Pio XI – ormai edotto circa la politica fortemente anticlericale del governo repubblicano spagnolo – fu costretto a pronunciarsi con l’enciclica Divini Redemptoris contro il «comunismo ateo», mettendo in evidenza il pericolo rappresentato da due dottrine – il panteismo nazionalsocialista e l’ateismo marxista – che si richiamavano entrambe ad un nichilismo distruttivo ed autodistruttivo.

D’altra parte, in quegli anni bui la Chiesa Spagnola era ben consapevole di dovere difendere a tutti i costi i principi fondamentali della giustizia e della pace di fronte all’affermarsi nella società iberica di ideologie violente ed opposte. Il 18 luglio 1936, quando ebbe inizio la Guerra Civile – conseguenza logica della violenta e caotica situazione nazionale venutasi a creare all’indomani delle elezioni del febbraio dello stesso anno, in seguito alle quali il Fronte Popolare (coalizione composta da socialisti, comunisti, anarchici ed altri elementi estremisti e violenti) aveva preso il potere – la posizione della Chiesa Spagnola si fece addirittura drammatica. Il composito e frazionato governo repubblicano aveva da tempo dimostrato la sua sostanziale inettitudine nell’affrontare la complessa realtà sociale spagnola, e dopo alcuni mesi caratterizzati da grande instabilità politica e da disordini di tutti i tipi, una parte dell’esercito, al comando dei Generali Emilio Mola, José Sanjurjo e Francisco Franco e appoggiata da gran parte del ceto aristocratico, borghese e contadino, si sollevò in armi per abbattere un esecutivo, quello repubblicano, dominato a tutti gli effetti dalla forte componente comunista e sindacalista. Come spiega senza tante perifrasi l’illustre storico e politologo cattolico Estanislao Cantero Nuñez «la versione “politica” e “ideologica”, diffusa in Spagna soprattutto dopo la nuova restaurazione che ha rotto con la legalità precedente, secondo cui l’alzamiento fu soltanto la sollevazione – illegale – dei militari contro la legittimità della Repubblica, è semplicemente propaganda, ma non storia, anche se buona parte di quanti si definiscono storici, e tali sono generalmente considerati, ha contribuito a diffonderla. Ancor meno si può sostenere che fu una sollevazione del fascismo contro la democrazia; e neppure una reazione borghese o delle classi dominanti in difesa dei loro privilegi di classe, come con assoluta sfacciataggine afferma Manuel Tuñón de Lara, il tutto dovuto al fatto che la Destra non accettò la propria sconfitta elettorale nel febbraio del 1936; oppure che si trattò di una ribellione dei militari, delle classi conservatrici e della Chiesa contro la ragione e la libertà incarnate in una Repubblica, che aveva tentato senza successo di condurle a una soluzione moderna, come con completo misconoscimento dei fatti ha proposto Aldo Garosci. L’alzamiento fu soltanto un pronunciamento o golpe militare contro un sistema politico che aveva dimostrato in modo inequivocabile non solo la propria inettitudine, ma la propria arbitrarietà e conculcato le basi elementari di ogni Stato di diritto. In se stesso, fu solamente la reazione di alcuni militari, che non potevano assistere inerti alla distruzione della loro patria nel disordine, nel settarismo, nel partitismo e nell’anarchia, tutto questo tollerato, auspicato e perfino provocato dallo stesso governo della Nazione. Quando si verificò l’alzamiento, il governo era privo di ogni legittimità d’esercizio e il sistema instaurato con il golpe dell’aprile del 1931 aveva mostrato in modo definitivo la sua radicale incapacità di garantire la convivenza. Tanto l’uno che l’altro erano falliti facendo scomparire le sia pur minime condizioni di imparzialità, di mantenimento dell’ordine pubblico e di orientamento della res publica al bene comune, esigibili da ogni governo».

Fino agli inizi del novembre del 1936, la Santa Sede mantenne il suo rappresentante a Madrid. Il Cardinale Tedeschini, era partito un mese prima dell’inizio della guerra, e monsignor Filippo Cortesi non giunse mai nella Spagna Repubblicana presso la quale era stato nominato nunzio.

Il 16 maggio 1938 monsignor Gaetano Cicognani fu nominato nunzio apostolico nella Spagna presso il governo nazionale di Salamanca. Con questa nomina la Santa Sede riconosceva ufficialmente la giunta militare presieduta dal Generale Franco, quando ormai erano trascorsi quasi due anni di guerra civile. Ma nel frattempo il quadro della situazione religiosa nella Spagna Repubblicana si era fatto intollerabile. Nei soli primi sei mesi di Guerra Civile i repubblicani avevano eliminato oltre 6.500 tra preti, suore, distruggendo e profanando chiese e cimiteri. In certe diocesi, come quella aragonese di Barbastro (la città del Beato Escrivà de Balaguer), venne trucidato l’88% del clero locale. Per la precisione, tra il luglio 1936 e il marzo 1939, vennero torturati e massacrati 4.184 tra preti e seminaristi diocesani, 2.365 frati, 283 suore, tredici Vescovi, per un totale di 6.834 vittime. Mentre le diocesi completamente distrutte furono ventisette e otto quelle saccheggiate. Soltanto ventidue vennero risparmiate. Va infine notato che a portare a compimento tali efferatezze non furono soltanto i raggruppamenti armati di miliziani comunisti (sia stalinisti che trotzkisti) o anarchico-sindacalisti, ma anche quelli socialisti, come testimonia il diario del leader Pietro Nenni impegnato a quel tempo sul fronte aragonese: «Purtroppo non si è riusciti a sfondare le difese di Saragozza, ad incendiare la grande basilica del Pilar e a fare piazza pulita del clero».

Buona parte degli storici è concorde nell’affermare che il sollevamento militare nazionalista contro il governo della Repubblica (18 luglio 1936) prese alla sprovvista la Chiesa, mettendola in un certo imbarazzo. Ciò è vero. Nonostante le innumerevoli vessazioni e discriminazioni subite a partire dal 1931 dai Cattolici Spagnoli, sulle prime la Chiesa, fedele alle norme evangeliche, tentò di mantenersi neutrale, respingendo l’idea della rivolta e della guerra: atteggiamento che poi fu costretta però ad abbandonare in quanto il governo repubblicano non solo volle mantenere in vigore tutte le norme restrittive nei confronti del clero, ma – dietro pressione dei comunisti, degli anarco-sindacalisti e di buona parte dei socialisti – incominciò a perseguitare tutti gli esponenti della Chiesa. Alla luce di questa violenta svolta, ci si interroga su quale atteggiamento avrebbe dovuto prendere la Chiesa, amante sì della pace e della convivenza, ma anche ridotta sull’orlo del dissolvimento. Furono le circostanze e la necessità a spingere il clero, e il Vaticano, a schierarsi dalla parte dei cosiddetti «ribelli» falangisti, nazionalisti e monarchici: una scelta difficile, dolorosa, ma inevitabile e più che giustificata.

Va ricordato che il 13 agosto 1936, cioè poco dopo lo scoppio della Guerra Civile, il Cardinale Gomá inviò a Roma un dettagliato rapporto nel quale il prelato illustrava la genesi della sollevazione militare e le cause di una guerra resa inevitabile dalla fallimentare politica economica (e soprattutto agraria) varata dal governo repubblicano, dalle ripetute e violente discriminazioni del Fronte Popolare nei confronti dei Cattolici, ma anche degli esponenti dei gruppi liberali e moderati spagnoli: discriminazioni diventate ancora più dure in seguito alle elezioni del febbraio del 1936. Gomá rammentò l’assassinio da parte dei comunisti dello statista nazionalista Calvo Sotelo (la scintilla che fece innescare la guerra) e i piani, elaborati dalle fazioni governative marxiste, per prendere il potere con la forza già a partire dal luglio del ’36. Gomá mise al corrente il Vaticano circa l’esistenza di fitte liste di proscrizione: elenchi di Vescovi, prelati, sacerdoti e attivisti cattolici da eliminare fisicamente. Il Cardinale esaminava poi la natura e il carattere della «rivolta» franchista identificandola alla stregua di una spontanea «reazione, condivisa da larghi strati della società civile, nei confronti del “regime repubblicano”». Gomá si soffermò poi a lungo sulla difficile posizione della Chiesa Spagnola per nulla incline ad atti di vendetta, ma timorosa di venire schiacciata dalla repressione «rossa». Il Cardinale paragonò gli eccessi antireligiosi dei repubblicani a quelli dei rivoluzionari francesi, russi bolscevichi e messicani. E si interrogava, infine, sulle possibili conseguenze in caso di sconfitta del movimento nazionalista. Se Franco avesse perso la guerra – annotò Gomá – per la Chiesa Spagnola si sarebbe aperto un periodo ancora più drammatico, in quanto il governo repubblicano (aiutato militarmente ed economicamente da Stalin) si sarebbe sicuramente spostato su posizioni totalmente subalterne all’Unione Sovietica. Era convinzione del Cardinale (ma anche di molti altri prelati) che in caso di vittoria, la Repubblica si sarebbe presto trasformata in un regime rigidamente comunista, con tutte le conseguenze del caso. Gomá non credeva infatti che la componente cosiddetta «moderata», e comunque minoritaria, dell’esecutivo Azaña potesse sopravvivere a lungo.

Va ricordato che a pensarla in questa maniera non era solo il Cardinale Gomá. Il 6 agosto, l’8, il 15 e il 16 settembre 1936, i Vescovi di Vitoria, Pamplona, Maiorca, Valencia, Tuy si schierarono infatti dalla parte degli insorti e attraverso altri diciassette interventi episcopali successivi, fra i quali quello del Beato Anselmo Polanco, Vescovo di Teruel, la stragrande maggioranza degli alti prelati spagnoli si pronunciò allo stesso modo. In questo senso, l’intervento più significativo fu quello del Vescovo di Salamanca, futuro Arcivescovo Cardinale di Toledo e Primate di Spagna, Enrique Pla y Deniel (1876-1968), noto per il suo impegno in favore dei diritti sociali degli operai. La sua lettera pastorale Las dos ciudades fu infatti uno dei testi episcopali più chiari circa la definitiva posizione assunta dalla Chiesa Spagnola, ma anche dal Vaticano, nei confronti della guerra. D’altra parte, già attraverso l’enciclica Dilectissima Nobis, del 3 giugno 1933, Papa Pio XI era intervenuto direttamente sulla situazione in Spagna, denunciando la politica anticlericale del governo repubblicano.

Seguirono altri puntuali interventi, fino a giungere, a guerra civile inoltrata (il 1° luglio 1937), alla Carta Colectiva del Episcopado Español a los obispos del mundo entero, promossa dal Cardinale Primate Gomá. Il documento, che di fatto costituì la somma di tutti i precedenti proclami, venne firmato da quarantatre Vescovi e cinque vicari capitolari, ma non ottenne la sigla di cinque Vescovi assenti dalle loro diocesi, fra i quali Francesco Vidal y Barraquer che, pur condividendone il contenuto, temeva che la sua pubblicazione desse il destro al governo repubblicano per inasprire la sua politica anticlericale. Anche il Vescovo di Vitoria, monsignor Múgica, ebbe delle riserve circa l’opportunità di rendere nota la lettera, e di conseguenza non la firmò. Va comunque detto che, nonostante l’evidente carisma e influenza esercitati da Gomá, questi lasciò del tutto liberi i Vescovi, non facendo alcuna pressione affinché si adeguassero al suo pensiero, come confermò lo stesso Segretario di Stato vaticano.

Con il documento di Gomá i Vescovi non pretesero di dimostrare o sostenere una tesi politica in favore di una delle fazioni in lotta, ma tentarono di esporre a grandi linee le reali motivazioni e le caratteristiche di un confronto armato deprecabile, assurdo, fratricida, ma forse ineluttabile. Ribattendo alle accuse lanciate contro la Chiesa Spagnola da parecchi intellettuali antifascisti europei e perfino da circoli cattolici, i Vescovi invitarono tutti a riflettere attentamente sulle ragioni della loro difficile scelta, sottolineando, in ogni caso, che non sarebbe mai potuta esistere «ragionevole proporzione tra i beni emblematici ottenibili con una guerra e gli enormi mali che da essa sempre derivano».

Terminata la guerra civile (1° aprile 1939), e con essa lo sterminio dei Cattolici Spagnoli, al Vaticano non rimase che fare la drammatica conta dei morti e delle devastazioni e ad iniziare una minuziosa raccolta delle testimonianze dei sopravvissuti. Gli orrori, e soprattutto lo straordinario coraggio dimostrato dalla totalità degli uomini di Chiesa torturati e assassinati (nessuno di essi abiurò mai la propria fede di fronte ai carnefici), indusse Papa Pio XI ad avviare una serie di processi di beatificazione. Processi che nel secondo dopoguerra, nel 1964, Papa Paolo VI bloccò nel timore di polemiche e di strumentalizzazioni e per la pressione esercitata dal Partito Comunista e da parte di quelli socialista e democristiano. Bisognò quindi attendere il coraggioso pontificato di Giovanni Paolo II (uomo che aveva sperimentato sulla propria pelle i rigori dei regimi comunisti) per vedere riprendere l’iter della beatificazione ad imperituro ricordo di tante vittime. Per la cronaca, fu il 22 marzo del 1986, che Papa Giovanni Paolo II decretò, per primo, il martirio di tre carmelitane di Guadalajara, cerimonia di beatificazione che venne presto seguita da molte altre, fino ai giorni nostri.

 






Fonte 


giovedì 16 maggio 2024

Miracolo Eucaristico a Buenos Aires: l’Ostia che divenne carne umana.



16 Maggio 2024 Pubblicato da Marco Tosatti 

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, grazie alla segnalazione di Josè Arturo Quarracino, che ringraziamo di cuore offriamo alla vostra lettura questo articolo sul miracolo eucaristico di Buenos Aires. Buona lettura e condivisione.



___


Le misteriose manifestazioni avvennero per la prima volta nel 1992. Il miracolo fu analizzato scientificamente nel 1999 su richiesta dell’allora cardinale Bergoglio, l’attuale Papa Francesco. Hanno verificato che si trattava di tessuto cardiaco umano vivo. Il ricordo di uno dei testimoni




Di Cintia Suárez e Nunzia Locatelli, 8 maggio 2024



La storia del miracolo dell’ostia


Padre Eduardo Pérez del Lago , appena trentenne, fu appena ordinato sacerdote quando il 1 maggio 1992 si trovava nella parrocchia di Santa María, situata nel quartiere Almagro di Buenos Aires. Così racconta i fatti a Infobae : “Dopo la messa, il parroco Juan Salvador Carlomagno e il ministro della comunione che lo aiutava, nel riservare le ostie nel Tabernacolo, hanno trovato che nel corporale, che è il fazzoletto bianco quello posto davanti al Tabernacolo, c’erano due pezzetti dell’ostia. Probabilmente sarebbero caduti durante il trasferimento da una pisside all’altra e bianco su bianco non se ne sarebbe accorto. “Poi il prete ha fatto qualcosa che facciamo di solito, cioè metterlo in un bicchiere d’acqua.” Così sacerdote Pérez del Lago ricorda la consueta procedura che la Chiesa prevede per questi eventi.

E la descrizione dei fatti continua: “In questo caso si trattava di un vaso di ceramica con un po’ d’acqua nella quale si mettevano i due pezzetti e si aspettava che si diluisse. Normalmente con il passare dei giorni si diluisce e l’acqua viene gettata in una pianta perché non c’è più presenza eucaristica e il vetro viene pulito o purificato. Ma ciò non accadde per tutta la settimana. Arrivato l’8 maggio, giorno della Vergine di Luján, il parroco, dopo aver terminato la messa, guardò il contenitore per vedere se avesse bisogno di essere purificato e trovò qualcosa di molto strano . Il sacerdote ha chiamato me e il diacono per vederlo ed è stato come se l’ostia fosse esplosa , si vedeva che era un’esplosione perché c’erano delle schegge contro le pareti del vetro”.

Il sacerdote sottolinea che il colore dell’ostia ha attirato la sua attenzione, poiché “aveva un colore scuro”. E completa: “Ma c’erano altre schegge che erano nell’acqua e mantenevano il loro colore rosso, ma molto alte e poi dentro era come una massa di carne . Alla vista era come carne lucida, ma come carne di fegato”.



Padre Pérez del Lago espone la teca che contiene un panno macchiato del sangue schizzato sul Segno eucaristico (foto Alejandro Beltrame)

Padre Pérez del Lago espone la teca che contiene l’ostia che si fece carne (foto Alejandro Beltrame)


Silenzio e discrezione

Di fronte a questo scenario sconvolgente, il parroco Carlo Magno e i sacerdoti testimoni del Miracolo dell’Ostia Sanguinante contattarono l’arcivescovado e denunciarono lo strano evento al cardinale Antonio Quarracino, allora arcivescovo di Buenos Aires.

Le prime istruzioni che hanno ricevuto i sacerdoti, oltre a rivolgersi a un medico, sono state di essere cauti e di mantenere il segreto.



“Dall’interno era come una massa di carne. Alla vista era come carne lucida, ma come carne di fegato”, spiega padre Pérez del Lago.

«Abbiamo approfittato della chiusura della chiesa a mezzogiorno e abbiamo mostrato l’ostia a un’oncologa che abitava lì vicino e lei ha detto che era sangue . Poi ha detto che avrebbe prelevato un campione per analizzarlo. Quando ha portato la siringa non aspirava perché era carne e allora ha preso con uno scivolo una delle schegge che erano nell’acqua e l’ha portata in sanatorio e il primo risultato è stato che era sangue umano “, ricorda il padre. Perez.

Il sacerdote continua a spiegare: “Così abbiamo deciso quello stesso giorno di collocare l’ostia sanguinante in un tabernacolo mobile e l’abbiamo posizionata sulla mia scrivania. Nel fine settimana le patene erano inspiegabilmente macchiate di sangue , in una, che era una patena di bronzo e l’altra era una patena di stagno, la parte di stagno assorbiva il sangue. Successivamente si è potuto analizzare e si è scoperto che il sangue che c’era su quella patena corrispondeva allo stesso che era nella mia stanza, però nessuno di loro aveva avuto contatti.”



Sono stati effettuati diversi studi che hanno confermato che si trattava di DNA e sangue umani


«Sarà stata la nostra giovinezza, forse, non so esattamente cosa, ma quando il cardinale Quarracino venne a conoscenza del miracolo, spesso ci chiedeva se qualcuno di noi avesse dubitato della presenza viva di Gesù nell’Eucaristia. Perché nella storia dei Miracoli Eucaristici ci sono stati sacerdoti che hanno avuto dei dubbi e Gesù, per confermarli, compie un atto straordinario. Questo ci ha mortificato molto perché non avevamo dubbi che Gesù fosse nell’Eucaristia e dovevamo spiegare quello che credevamo e il cardinale lo ha capito, lo ha accettato”, spiega il sacerdote.

“Era sorprendente, dato che un pezzo di carne dopo tre giorni deve iniziare a puzzare, giusto? e questo era in un Tabernacolo, che è una lastra di bronzo con una porticina, senza alcun tipo di refrigerazione. Rimase così per 40 giorni, senza seccarsi , c’era acqua in giro. A un certo punto il sacerdote vi aggiunse un po’ d’acqua perché l’acqua stava evaporando, finché il vescovo gli disse di non aggiungere altra acqua e di lasciarla al suo corso naturale”. Ecco come l’ultima testimonianza vivente del Miracolo Eucaristico del 1992 descrive dettagliatamente ciò che accadde.



Il miracolo dell’ostia avvenne nel 1992 e poi ci furono altri due episodi


Le manifestazioni del 1994 e del 1996

Nella stessa parrocchia di Santa María, durante una messa infantile il 24 luglio 1994, uno dei ministri dell’Eucaristia osservò una goccia di sangue sul corporale.

Più tardi, il 18 agosto 1996, nello stesso tempio di Buenos Aires accadrà un altro fenomeno inspiegabile. Quel giorno trovarono un’ostia nascosta e sporca in un crocifisso di legno in un’ala della chiesa. Quando lo trovarono, lo conservarono nel tabernacolo e una settimana dopo trovarono un nuovo miracolo.


Cosa dice la scienza?


Passarono gli anni e sembrava che il Miracolo Eucaristico fosse rimasto solo un segreto ben custodito tra i protagonisti. Finché, nel 1999, con l’autorizzazione dell’allora arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio , furono effettuate analisi scientifiche in due laboratori forensi negli Stati Uniti. Hanno prelevato due campioni, uno dall’ospite sanguinante del 1992 e un altro del 1996. Lo studio è stato condotto in doppio cieco, cioè non si sapeva da dove provenissero i campioni. I rapporti ottenuti hanno concluso che sono stati rinvenuti elementi del sangue, il resto della catena del DNA umano e una sostanza generata dalla pelle dopo una ferita . Gli esperti hanno anche riscontrato la presenza di globuli bianchi, che esistono solo in una persona vivente.

“Nel 1999 si presentò il dottor Ricardo Castañón Gómez, proveniente da una fondazione degli Stati Uniti interessata allo studio delle ostie di Santa María e che entrò in contatto con il cardinale Bergoglio. Conosciamo tutti l’amore che ha per la povertà e poi dice a questo medico ‘quanto costa?’, e il medico gli ha detto ‘no, niente perché c’è una fondazione che si fa carico delle spese’ e Bergoglio allora ha dato l’autorizzazione all’esecuzione dello studio.” Così ricorda padre Eduardo.



Il reliquiario che protegge l’Ostia del Miracolo (foto Alejandro Beltrame)


“Prima è stato effettuato uno studio sulla credibilità dei testimoni ed è stata eseguita un’analisi psicologica sui testimoni e poi il dottor Castañón ha portato un notaio che ha certificato che il campione prelevato in quel momento e messo in una busta era lo stesso poiché stava per aprire negli Stati Uniti e lui lo portò in un laboratorio in Texas. Dopo un po’ tornò per riferire al cardinale Bergoglio il risultato, che era il miocardio e il tessuto cardiaco ad essere vivi e feriti . Il medico chiese al cardinale Bergoglio di sottoporre l’ostia a ulteriori studi, ma il cardinale disse di no. Non lasciamo che la scienza dica quello che dice la fede», dice il sacerdote.



I risultati delle analisi hanno stabilito che si trattava del tessuto miocardico e cardiaco vivo e ferito.

Successivamente, un cardiologo e patologo di nome Frederic Uribe, che viveva a New York, continuò con le relazioni degli esperti. Dopo il suo studio ha concluso che “era il cuore di una persona di 30 anni che soffre di uno stress molto grave, che ha ricevuto un colpo al petto, che ha i globuli bianchi in modo tale da difendersi da un ferita molto grave, che è vivo e che il gruppo sanguigno è AB. “Con cui coincide con il gruppo sanguigno di Sabana Santa e altri miracoli eucaristici “, conclude padre Eduardo Pérez del Lago.

Dal 1999, il cardinale Bergoglio ha autorizzato la diffusione e la narrazione dei fatti accaduti, attività che viene svolta mensilmente nella Parrocchia di Santa María, situata in Avenida La Plata 286 nella città di Buenos Aires.





Il Miracolo di Lanciano, il più antico della storia


In Italia, nell’VIII secolo, avvenne il cosiddetto Miracolo di Lanciano . Un monaco che aveva dubbi sulla reale presenza di Gesù Cristo nell’Eucaristia scoprì durante la consacrazione durante la messa che il pane e il vino si trasformarono in carne e sangue, che si coagularono in cinque globuli irregolari di diverse dimensioni e forme, che hanno la particolarità di pesare 15,18 grammi quando entrambi i cinque insieme e qualsiasi combinazione di essi vengono pesati separatamente.

La carne è fibrosa e di colore marrone scuro e diventa rosa se illuminata da dietro.

L’esame scientifico effettuato nel 1971 confermò che si trattava di tessuto cardiaco umano e che il sangue era di tipo AB, lo stesso di quello della Sindone.

Nel 1902 l’ostensorio fu collocato all’interno di una struttura marmorea, un tabernacolo accanto all’altare maggiore e gli elementi sono oggi visibili nella Chiesa di San Francesco a Lanciano.