martedì 31 ottobre 2023

Meno figli per salvare il pianeta. In Vaticano è arrivato Foer




Si è svolta Giovedì 5 ottobre 2023, alle ore 10.00, presso Largo della Radio, antistante la Palazzina Leone XIII in Vaticano, una Conferenza riservata ai giornalisti accreditati, dal titolo “Laudate Deum: voci e testimonianze sulla crisi climatica”.




Desta ancora una volta preoccupazione il modo in cui in Vaticano si affronta la cosiddetta “crisi climatica”. Non solo il nuovo documento Laudate Deum vieta ogni dubbio nei confronti della tesi sull’origine antropica del riscaldamento globale ponendo fine ad ogni dibattito scientifico, ma a quanto pare, al fine di preservare il pianeta dalla imminente catastrofe, vengono legittimate idee e soluzioni che contrastano con ciò che la Chiesa ha fin’ora creduto ed annunciato.

In occasione della pubblicazione dell’Esortazione Apostolica Laudate Deum il Vaticano ha organizzato una Conferenza stampa in cui interverranno diversi personaggi del tutto estranei al nostro modo di vivere, di pensare, di credere.

Tra loro l’attivista indiana, vegetariana, Vandana Shiva, il gastronomo e attivista Carlo Petrini (che vanta un libro col Papa che lo ha definito “agnostico pio”) così come l’attivista tedesca Luisa Neubauer del partito politico Verdi, “coach” di Greta Thunberg e promotrice degli scioperi scolastici del venerdì. C’è anche il professore Giorgio Parisi che nel 2008 impedì a papa Benedetto XVI di tenere una conferenza all’Università La Sapienza di Roma.

Ma più di tutti inquieta la presenza dello scrittore Jonathan Foer (diventato “vegetariano per rispetto ai diritti degli animali”). Presentato alla conferenza vaticana come “scrittore”, Foer è autore di diversi saggi e romanzi. In uno dei suoi ultimi libri annuncia le regole pratiche per salvare il pianeta. Afferma infatti che è il nostro comportamento quotidiano a compromettere l’ambiente. È dunque urgente cambiare il nostro modo di vivere e a questo – perché no! – si può arrivare anche tramite regole e leggi imposte dagli stati (come è successo per il tabbacco, afferma, può farsi alzando il prezzo della carne al fine di renderla inappetibile ai più, …o ai più poveri). Ma tornando alle regole pratiche lo scrittore afferma che le regole base sono tre:

1) Usare meno la macchina e l’aereo
2) Fare meno figli
3) Mangiare meno carne

A parte la difficile quantificazione del “meno” finché delle specifiche leggi ci vengano in soccorso (per il meno-macchina ci si sta già attrezzando, ora anche con il sostegno del magistero papale). Immaginiamo che il signor Foer sia arrivato da New York in barca a vela, ma non staremo qui a sindacare o moralizzare su come Foer mette in pratica i suoi buoni consigli (lui stesso ammette di avere difficoltà ma di mettercela tutta). L’idea che questo giovane scrittore sia stato gentilmente invitato in Vaticano per offrire a noi – peccatori ecologici – una guida pratica per salvarci fa rabbrividire.

Ovviamente sarebbe da sciocchi credere che il signor Foer verrà in Vaticano a dire di fare meno figli. Parlerà di ciò che è gradito ai padroni di casa (già in passato, Francesco ha pubblicamente invitato i giovani a mangiare meno bistecche) e tralascierà gli argomenti più spinosi e controversi che più nettamente contrastano la dottrina biblica e il magistero sulla famiglia.

Anche perché la proposta avrebbe delle serie ricadute in campo etico se si pensa ad una auto assoluzione morale dell’aborto o a una giustificazione ecologica dell’inverno demografico che vive la società occidentale, addicendo una nobile causa superiore.

Sappiamo già, per esperienza, che avere una famiglia numerosa oggi giorno (beh, diciamo dal 1968 in poi) non è ben visto. Chi ha tanti figli è considerato persona di un livello intellettuale e culturale basso, necessariamente povero, oppure talmente ricco da poterselo permettere. Neanche in Vaticano la cosa è ben vista: avere tanti figli è un affronto, un’esagerazione, un atteggiamento irresponsabile che spesso è frutto di una lettura “integralista” dell’Humanae Vitae, lettura tipica di alcuni movimenti troppo conservatori.

Oggi però a questo “sentire” si aggiunge il “peccato ecologico” come un pesante macigno. Avere tanti figli inquina e contribuisce allo “sgretolarsi” del pianeta. Più emissioni, meno risorse per tutti. Lo hanno detto e ripetuto i giornali laici, ribadito nelle conferenze ecologiche e spiegato nei libri di Foer. Ma ora è la Chiesa che, nella sua nuova versione ecosostenibile, dichiara guerra agli inquinatori seriali. Chi ha tanti figli inquina non solo perché ogni figlio respira (e a sua volta inquina), ma anche perché produce più rifiuti, consuma più elettricità e più riscaldamento, necessita case più grandi e una macchina abbastanza grande per trasportare tutta la famiglia. Come si concilia dunque questo grave “peccato ecologico” con l’apertura alla vita che manifesta (o manifestava?) la collaborazione tra Dio e l’uomo nell’atto creativo, sempre nuovo e segno dell’amore del Creatore.

Peccato che tra i recenti dubia presentati dai Cardinali alla vigilia del Sinodo sinodale sulla sinodalità non ci sia la domanda “se fare tanti figli (quando possibile) sia ancora auspicabile”, seguendo il Magistero della Chiesa, oppure sia necessario “farne di meno” per salvare il pianeta? Un dubbio che si aggiunge a quelli del Sinodo ma che si collega a quelli già espressi perché se le unioni omosessuali possono essere benedette, va da sé che queste esse avranno un impatto ambientale meno forte e meno distruttivo di quello generato da una famiglia etero numerosa, non potendo esse procreare per natura ma solo per procura. Un dubbio al quale sembra aver risposto il Vaticano molto eloquentemente con l’invito di Foer alla Conferenza sulla Laudate Deum sulla cosiddetta “Crisi climatica”.




Halloween si insinua in casa cattolica e i preti aprono le porte



A Reggio in una chiesa, a Varese in parrocchia con “predica" del parroco e a Venezia streghe e mostri in oratorio. Mentre gli esorcisti lanciano l'allarme sulla trappola mortale di una festa che è entrata in casa cattolica, il prete Dj della Gmg si esibisce nella festa esoterica di Ferrara.


IL CASO


EDITORIALI 


Andrea Zambrano, 31-10-2023

C’è una Halloween ancora più subdola che si insinua tra le porte del Cristianesimo. Ed è favorita da parroci e sacerdoti che non comprendono l’intrinseca pericolosità di una festa che esalta il mondo orrorifico delle tenebre coprendolo con l’ingenuità dei bambini, dei dolcetti e degli scherzetti.

Quello dell’infiltrazione di questa festa pagana ed esoterica dentro le strutture della Chiesa cattolica è un universo ancora tutto da scoprire, nonostante negli ultimi anni abbiamo assistito a episodi di ambiguità. Ma quest’anno, alcuni episodi fanno riflettere sul fatto che forse, la netta demarcazione tra il fuori e il dentro la chiesa, si stia rompendo.

Almeno stando alle informazioni giunte all’orecchio della Bussola.

L’evento più eclatante è sicuramente quello che si terrà stasera a Castelseprio, in provincia di Varese. Qui, l’associazione di promozione sociale Seprio Aps ha organizzato una festa di Halloween per i più piccini. Dove? Nei locali dell’oratorio, con tanto di benedizione e “predica” del parroco. «Capisco che possa risultare strana come proposta (strana? Ndr.), ma dietro questa decisione c’è un ragionamento», ci spiega Davide, dell’associazione in questione.


Sì? sentiamo.

«Penso che ormai la festa di Halloween sia una cosa che i bambini, piaccia o no, aspettano con ansia. Io ero contrario, ma ai bambini piace, si divertono e penso che farli non festeggiare sia brutto, questi bambini sono arrivati da due anni di pandemia (ah... la pandemia, tutte le altre scuse porta via ndr.) e hanno il diritto di divertirsi».

Insomma, visto che i bambini si annoiano, allora diamogli anche pozioni magiche e veleni. Il coinvolgimento della parrocchia, però è di tutto rispetto. «Ci sarà un momento di preghiera dove il parroco, don Andrea Budelli, spiegherà come deve essere vissuta questa cosa».

E come deve essere vissuta? Chiediamo. «Non sappiamo che cosa dirà, improvviserà a braccio...». Certo, non essendoci spiegazioni valide da fornire, né in punta di dottrina né di pastorale, si andrà un po’ a sentimento, magari per dare un colpo al cerchio e un altro alla botte (della strega).

L’anno scorso l’evento si è svolto all’interno di un parco pubblico della cittadina, quest’anno il salto di qualità e la promozione nei locali dell’Oratorio col parroco che apre le porte volentieri. «Ma ci saranno anche le famiglie, sia chiaro», conclude il responsabile dell’associazione.


Un coinvolgimento diretto della parrocchia in occasione di una festa di Halloween avverrà sempre stasera anche a Venezia. Precisamente a Carpenedo. Così recita il volantino pubblicato anche sul sito del Comune di Venezia: «Ci si diverte con la festa della parrocchia dei SS. Gervasio e Protasio. Dalle 17 alle 21 “Halloween Carpenedo” propone, presso il patronato della parrocchia, esibizioni di danza, lo spettacolo del Mago Mirtillo, una zona ristoro e dolcetti per tutti». Non siamo riusciti a contattare il parroco, ma ogni commento sembra più che superfluo.

Ci sono anche casi in cui la festa di Halloween non è sponsorizzata dalla parrocchia, ma si svolge in una chiesa. Una chiesa che si chiama Santa Maria della Misericordia e che si trova in diocesi di Reggio Emilia, precisamente nel comune di Castelnovo Sotto.

Tutto è pronto per Puppet House, come recita la locandina, la festa di Halloween di burattini con a tema la storia di Frida Kahlo, «in una discesa agli inferi fatta di scheletri e spiriti». L’organizzatrice conferma alla Bussola l’evento di stasera che si svolgerà in chiesa, ma si affretta a specificare che la Chiesa è sconsacrata.


Il parroco don Paolo Tondelli, ci conferma che, effettivamente, la chiesa di proprietà del Comune esula dalla sua giurisdizione, ma il codice di diritto canonico regola al 1212 la perdita della dedicazione o della benedizione dei luoghi sacri mediante decreto del vescovo, mentre il canone 1222 ha come oggetto la riduzione di una chiesa a uso profano non sordido.

Ora, considerato che non sappiamo se un decreto di perdita della dedicazione sia mai stato emesso nel corso della storia (lo stesso parroco ci ha detto di non esserne a conoscenza), è comunque un fatto che quell’edificio si chiami chiesa e sia a tutti conosciuto come una chiesa. Molto probabilmente si è cessato di celebrare Messa e nel tempo, complice la proprietà del Comune, è stato destinato a eventi profani.

Ma questo non fa di quella chiesa un luogo che abbia smesso di essere sacro. Anche perché la richiesta di “uso profano non sordido” dovrebbe ricondurre tutti ad una maggiore saggezza.

Chiudiamo la carrellata con un evento di Halloween che si svolgerà a Ferrara stasera. È di organizzazione interamente “laica”, ma vede come guest star un ospite molto particolare. Si tratta di padre Guilherme, il prete Dj che all’alba di domenica 6 agosto svegliò i ragazzi della Gmg con un mix di musica techno. Il padre divenne famoso e in molti si affrettarono a lodare la sua capacità di parlare ai giovani con questo stile musicale. Ora, diventato un personaggio pubblico, gira le discoteche prestandosi anche a questo tipo di iniziative, segno che dietro questi tentativi spesso si nasconde una offerta artistica e religiosa piuttosto povera.


Ecco la sua presentazione nel profilo Instagram dell'organizzatore per l'evento di stasera: «Monsterland 2023 è lieto di ospitare un artista inaspettato, colui che è riuscito ad unire techno e religione. Questa estate ha fatto ballare un milione e mezzo di giovani della Giornata mondiale della gioventù al Parque Tejo di Lisbona, che è diventata così la più grande discoteca del mondo a cielo aperto. Il suo set è diventato iconico e virale sui social, la dimostrazione che la musica elettronica è un linguaggio universale, capace come niente altro di unire e non dividere».

Insomma, accanto a felici esperienze di opposizione, che si stanno svolgendo in diverse diocesi italiane, dove ad Halloween si sostituiscono iniziative come la notte dei santi e della luce, in altri contesti Halloween trova accoglienza in casa cristiana. E questo proprio mentre l’Associazione degli esorcisti non smette di rimarcare la pericolosità di questa “festa”.

Il 26 ottobre, l’Associazione Internazionale Esorcisti ha diramato un comunicato stampa dal titolo inequivocabile: La trappola mortale di Halloween. Nel testo, padre Padre Francesco Bamonte, Vicepresidente dell’AIE scrive: «Noi sacerdoti esorcisti non ci stanchiamo di mettere in guardia contro questa macabra ricorrenza, che non solo attraverso condotte immorali o pericolose, ma anche con la leggerezza del divertimento ritenuto innocuo, non solo può preparare il terreno a una futura azione straordinaria del demonio, ma gli permette di intaccare e deturpare le anime dei più giovani».

E così conclude rivolgendosi ai genitori e agli educatori: «Sappiano che il disegno di portare i loro figli tra le braccia del nemico di Cristo e dell’umanità in genere è sempre in agguato. Soprattutto in questi giorni». Con buona pace di preti confusi.






lunedì 30 ottobre 2023

Lgbt e diaconato femminile, il Sinodo ha avviato il processo



La Relazione finale della sessione del Sinodo sulla Sinodalità, resa nota sabato, conferma la volontà di rimettere in discussione la natura e la struttura della Chiesa. Inclusa la possibilità di riconsiderare temi già chiusi dai precedenti Papi.



BILANCIO

EDITORIALI 



Stefano Fontana, 30-10-2023

Sabato scorso è stata resa nota la Relazione finale della sessione del Sinodo sulla sinodalità svoltosi durante il mese di ottobre. Il cardinale Hollerich, relatore generale del Sinodo, e il cardinale Grech, segretario generale, hanno presentato il testo in conferenza stampa, ove si sono sentiti in dovere di precisare che «non era stato preparato prima». Come è noto, questo Sinodo si svolge in due fasi, quella appena celebrata e ora conclusa e quella in programma nell’ottobre 2024. La prima, dopo la fase di ascolto del biennio precedente, doveva trovare una convergenza dei sinodali sui principali aspetti della vita della Chiesa, indicare le questioni ancora aperte e da approfondire e, infine, fare delle proposte. Da qui, e da quanto maturerà durante l’anno prossimo, prenderà le mosse la seconda sessione.

Il testo della Relazione è molto lungo e ogni punto viene esposto nei tre momenti delle “convergenze”, delle “questioni da affrontare” e delle “proposte”. Sono stati anche resi noti i risultati delle votazioni per ognuno di questi punti. Nonostante questa sua ampiezza è possibile darne una prima valutazione sintetica.

Innanzitutto, c’è stata la conferma che trattare della Chiesa come sinodalità comporta riconsiderare tutti gli aspetti della natura e della vita della Chiesa. I temi trattati hanno la stessa estensione e profondità di quelli all’ordine del giorno di un Concilio come il Vaticano II. La lettura della Relazione giustifica le preoccupazioni di quanti temevano che la logica di questo Sinodo conducesse a cambiamenti radicali non solo pastorali ma anche dottrinali.

Ora, questi cambiamenti ci sono stati? Certamente qualcuno se li aspettava. Se li aspettavano i progressisti radicali, secondo i quali il Sinodo aveva già fallito in partenza in quando troppo indeciso e timoroso. Dal fronte opposto anche alcuni oppositori del Sinodo si aspettavano dichiarazioni dirompenti. Hanno avuto invece ragione quanti, come noi, avevano previsto che questa sessione sinodale sarebbe stata un processo nel processo, guidata per non chiudere il percorso e porre i presupposti per farlo maturare. Con ciò non si vuol dire che sia stato abbandonato il processo rivoluzionario, ma solo che questo viene inteso, appunto, come un processo dialettico, lungo e articolato che va pazientemente gestito per tappe.

Leggendo la Relazione, si vede benissimo che essa tiene aperte tutte le porte e non solo perché il compito di questa fase transitoria non era di chiuderle, ma perché ci sono nuove acquisizioni su cui far crescere la “condivisione” sia dentro i partecipanti al Sinodo sia fuori e poi, solo poi, eventualmente si chiuderà qualche porta.

A proposito del diaconato femminile, per esempio, la Relazione non dice né che non si può concedere né che si può fare. Dice che «occorre adattare il diritto canonico» per «garantire che le donne possano partecipare ai processi decisionali e assumere ruoli di responsabilità nella pastorale e nei ministeri». Poi afferma che è auspicabile una maggiore creatività nella istituzione dei ministeri, per esempio si potrebbe istituire il «ministero della Parola di Dio» con la possibilità della predicazione anche per le donne. Quindi chiede una nuova riflessione sul diaconato «in sé» e non solo come prima fase del sacerdozio, sostenendo che «una più approfondita riflessione a riguardo consentirà di illuminare anche la questione dell’accesso delle donne al diaconato». Infine, chiede espressamente che «si prosegua la ricerca teologica e pastorale sull’accesso delle donne al diaconato». Non si dice, ma si mettono le basi per cui si possa dire in futuro, spingendo in questo modo la prassi a preparare il terreno.

La necessità di esaminare le implicazioni canonistiche dei cambiamenti proposti, necessità che viene ripetutamente segnalata dalla Relazione, ci dice che l’intento è di dare alla Chiesa una nuova struttura e non solo di suggerire qualche nuovo atteggiamento pastorale. Un tema che la Relazione ritiene necessario approfondire è lo statuto teologico e canonico delle Conferenze episcopali: «Consideriamo necessario un ulteriore approfondimento della natura dottrinale e giuridica delle Conferenze Episcopali, riconoscendo la possibilità di un’azione collegiale anche rispetto a questioni di dottrina che emergono in ambito locale, riaprendo così la riflessione sul motu proprio Apostolos suos». La Relazione, infatti, ritiene che la nuova sinodalità debba promuovere forme di decentramento e istanze intermedie. Anche qui si prepara il terreno a fondamentai cambiamenti strutturali.

Con il loro voto i sinodali hanno a grande maggioranza approvato tutti i punti della Relazione. Qualche contrario solo in ambiti delicati come il diaconato femminile. La cosa si può spiegare ricordando che i lavori del Sinodo sono stati “guidati” direttamente e indirettamente a partire dalle nomine fino ad arrivare al ruolo dei “facilitatori”, e che i testi da approvare preparavano sì un terreno ma non lo dichiaravano espressamente. Inoltre, non è mai emersa in tutta la discussione sinodale qualche osservazione critica rispetto alla Chiesa conciliare e postconciliare sicché tutti si sono sentiti rassicurati di essere sulla buona strada e in continuità con la tradizione.

Non bisogna con ciò credere che la funzione di questo sinodo consistesse solo nel dire o non dire alcune cose. Esso è servito a gettare sassi nello stagno, come più volte Francesco si è espresso, smuovere le acque, sparigliare le carte, acuire i contrasti senza farli esplodere per poi esercitare su questi un potere di moderazione e di indirizzo. Approfittando della fase sinodale, Francesco ha incontrato suor Jannine Gramik e Marianne Duddy-Burke, direttrice pro-transgender di DignityUSA. Ha anche detto no al diaconato femminile, ma senza bloccare una possibile nuova configurazione del diaconato in futuro. Anche il cardinale Schönborn ha approfittato del clima sinodale per affermare la possibilità di cambiare il Catechismo sull’omosessualità così come è stato fatto per la pena di morte. Sul fronte opposto, altri vescovi oltre a Schneider e Strikland hanno colto l’occasione per far sentire la propria voce, come l’olandese Rob Mutsaerts («lo Spirito Santo non ha niente a che fare con tutto ciò») o l’australiano Anthony Fisher («Se una proposta è radicalmente in contrasto con il Vangelo, allora non viene dallo Spirito Santo»). Senza Sinodo queste posizioni non sarebbero emerse. La nuova sinodalità è un processo dialettico, il Sinodo serve anche a far emergere tensioni e contraddizioni e per un pontefice hegeliano è in questa prassi che si deve lavorare per far nascere una sintesi, anche se sempre aperta.





domenica 29 ottobre 2023

È uscito "Credo. Compendio della fede cattolica", di monsignor Athanasius Schneider. Una guida sicura e autorevole in questa temperie oscura.



È uscito “Credo. Compendio della fede cattolica” di monsignor Schneider. Una guida sicura e autorevole in questa temperie oscura.

Alla fine del suo discorso al lancio del Credo a Roma, il vescovo Schneider ha detto: “Chiediamo umilmente al Signore di concederci per intercessione della Madonna la grazia di poter dire: “Io conosco la mia fede cattolica. Non permetterò che io sia confuso. Per questa Fede sono pronto a morire”. 

Ecco alcuni autorevoli apprezzamenti sull'opera:

Possa quest’opera rivelarsi un ottimo strumento per coloro che cercano di esplorare più profondamente la verità di Gesù Cristo. (+ Vescovo Joseph Strickland)

Credo è uno strumento importante nell'essenziale lavoro missionario di evangelizzazione e apologetica nell'annuncio della verità salvifica di Gesù Cristo nel nostro mondo che ne ha così disperatamente bisogno. (+ Cardinale Robert Sarah)

Mons. Schneider dà voce alla tradizione viva, mostrando che non è semplicemente viva, ma ha il potere di cambiare la nostra vita, di renderci santi. Credo che questo libro farà molto bene. (Dott. Scott Hahn)


“Credo. Compendio della fede cattolica”di mons. Athanasius Schneider.



Esce in questi giorni in inglese, a cura della casa editrice cattolica Sophia Institute Press di Manchester (New Hampshire, Stati Uniti) il libro Credo. Compendio della fede cattolica, di monsignor Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Santa Maria ad Astana, Kazakistan.

Scritto per i piccoli e i semplici, in un linguaggio accessibile e comprensibile anche a persone non esperte di questioni teologiche, pur essendo accurato e fedele alla dottrina della Chiesa, questo Compendio espone la verità della Fede e della Tradizione cattolica di fronte alla complessità del momento attuale.

La trasmissione completa della fede, della morale e della Sacra Liturgia ricevuta dalla Chiesa è un dovere e una responsabilità di ogni vescovo cattolico, e ciò in virtù della consacrazione episcopale. Né il papa, Vicario di Cristo, né i vescovi sono proprietari del Depositum fidei o della Sacra Liturgia, né possono disporne a loro discrezione. Non hanno nemmeno il potere di proporre nuove forme di espressione della dottrina cattolica, se non nello stesso senso della Tradizione. 

A questo proposito, il commento di san Vincenzo de Lerins nel Commonitorium 8 è molto significativo:

L’autorità dell’Apostolo si manifestava allora con la sua massima severità: “Se anche noi stessi, o un angelo dal cielo, vi predicasse un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anatema” (Gal 1, 8). E perché san Paolo dice “anche se noi stessi” e non “anche se io stesso”? Perché significa che se anche Pietro, o Andrea, o Giovanni, o l’intero collegio degli Apostoli, annunciasse un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema. Tremendo il rigore con cui, per affermare la fedeltà alla fede primitiva, non esclude né se stesso né gli altri Apostoli.

Mai come oggi il popolo cattolico ha avuto a disposizione una tale quantità di testi del Magistero. Tuttavia, mai come oggi la fede si è persa. Questa è un’apparente contraddizione. La fortissima diminuzione, in Occidente, nel periodo successivo al Concilio Vaticano II, della frequenza alla Santa Messa, dei battesimi, dei matrimoni cattolici, delle prime comunioni, delle cresime, delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, la perdita dei vescovi come autorità morale in ogni Paese, l’enorme abbandono sia del ministero sacerdotale che dei voti religiosi, tutto questo è avvenuto per gravi ragioni. Alcuni attribuiscono una situazione così drammatica al Concilio Vaticano II, altri al cosiddetto “spirito del Concilio”, altri ancora all’attuale situazione mondiale, altri ancora a una combinazione di questi fattori, ma il fatto reale è lì, davanti a noi. Riconoscerlo in tutta la sua ampiezza, profondità e drammaticità, sia all’interno della Chiesa sia nello stato caotico del mondo attuale (elementi concatenati), costituisce il punto di partenza per cercare una via d’uscita soprannaturale e naturale da una crisi, l’attuale, che secondo alcuni è la più grande nella storia della Chiesa.

D’altra parte, nessuno può negare che, data la grave spaccatura della cristianità dovuta all’opera disgraziata di Martin Lutero nei suoi vari aspetti religiosi, politici, sociali e culturali, il Concilio di Trento e il “movimento della controriforma” hanno avuto il potere, a differenza del Concilio Vaticano II, di affrontare l’eresia e di salvaguardare l’intera fede cattolica all’interno della Chiesa, riconquistando molti Paesi con radici cattoliche.

Il Compendio del vescovo Schneider, esponendo con chiarezza la fede, la morale e la liturgia cattolica, affronta numerose e complesse questioni attuali segnate da grande confusione. Le affronta senza paura di nessuno, se non di Dio – a cui tutti dobbiamo rendere conto – e senza i condizionamenti mentali e comportamentali imposti dal compromesso con il mondo civile ed ecclesiastico, che in molti casi si traduce in un clamoroso silenzio.

Oggi abbiamo la preziosa testimonianza [qui], a favore della verità, del vescovo di Tyler (Texas), monsignor Joseph Strickland, che tutti dobbiamo accompagnare con la preghiera.

Nel Compendio, in oltre 400 pagine e con 607 citazioni di documenti della Chiesa, il vescovo Schneider affronta, tra gli altri, i seguenti temi:

Transumanesimo [qui], Pentecostalismo, Il significato della persecuzione dell’antica Messa tradizionale e il problema dell'”obbedienza” che questa persecuzione genera [qui], Il culto della Madre Terra [qui], Metodi asiatici di meditazione, Il sacerdozio o il diaconato femminile, L’uso dei social network, Scienza ed evoluzione, La guerra giusta, La pena di morte [qui], Ideologia di genere [qui], Modestia, Vaccini e mandati sanitari [qui], Religioni del mondo, La vera preghiera, L’educazione dei figli e la scuola, La complessa questione della libertà religiosa [qui - qui] e della libertà di espressione, Gli scandali nella Chiesa, L’infallibilità, i gradi del Magistero e l’errore, La pornografia e l’educazione sessuale, Il lavoro domenicale e il modo di adorare Dio, Il comunismo e la massoneria, Il globalismo, Il movimento carismatico, Il consumo di marijuana e di droghe, Il senso di un autentico rinnovamento della Chiesa e molto altro ancora.

Era necessario un altro Credo o Compendio della fede cattolica, dato che sono stati pubblicati di recente sia il Catechismo della Chiesa cattolica che il suo corrispondente compendio?

Leggendo il Compendio del vescovo Schneider troviamo, per la prima volta negli ultimi sessant’anni, un’esposizione della fede, della morale e della liturgia cattolica che contiene numerose citazioni del ricchissimo magistero precedente al Vaticano II. Vi si trovano anche buoni passi del Vaticano II, ad esempio da Sacrosanctum Concilium, in collegamento con Mediator Dei di Pio XII, Quanta Cura di Pio IX, Libertas Praestantissimus di Leone XIII, e così via. La Chiesa non è iniziata nel 1962: questo è un dato che va sempre sottolineato.

Il Compendio del vescovo Schneider affronta implicitamente anche la questione delle cause della crisi attuale, rivelando le ambiguità insite nello stesso Vaticano II e nei documenti successivi, compreso il Catechismo della Chiesa cattolica, oltre a citare i contributi del Magistero attuale quando è in continuità con la fede e la Tradizione della Chiesa. Nella lettura frequente di questi documenti, spesso ci sfuggono affermazioni che, se guardate più da vicino e nel loro vero significato, non sono compatibili con la dottrina della Chiesa o la diluiscono in modo quasi impercettibile.

Ringraziamo monsignor Schneider per l’egregio lavoro svolto e incoraggiamo i lettori ad acquistare il Compendio ora disponibile presso la casa editrice Sophia Institute Press o su Amazon, in lingua inglese. Speriamo di poterlo avere presto anche in altre lingue. Preghiamo affinché la purezza della sua dottrina, della sua morale e della sua liturgia torni presto a risplendere nella Chiesa, in modo da poter distinguere senza dubbio il grano dalla zizzania, per la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime [qui].

Terminiamo queste righe citando la fine del prologo dell’autore del Compendio:

“I santi Apostoli, Padri e Dottori della Chiesa intercedano per tutti coloro che useranno questo Compendio, affinché ne ricevano molti benefici spirituali. La Beata Vergine Maria, Madre di Dio e nostra tenera Madre, degnamente invocata nella Chiesa come Distruttrice di tutte le eresie e Sede della Sapienza, ci protegga con il suo manto materno e preghi per noi affinché possiamo essere resi degni delle promesse del suo Figlio divino, il Verbo fatto carne, che è pieno di verità e, stando nel Padre, ci ha rivelato tutta la verità (cfr. Gv 1, 14.18)”.





Gotti tedeschi: La “posta in gioco “ oggi non è solo la Fede, ma la nostra millenaria Civiltà Occidentale Cristiana.


Gotti Tedeschi Ettore




Di Redazione Blog di Sabino Paciolla, 29 Ottobre 2023



di Ettore Gotti Tedeschi

Mi riferisco all’articolo, qui pubblicato domenica 29 ottobre (quale commento al Vangelo), di don Alberto Strumia, sulla tentazione di professare un cristianesimo senza Cristo. Don Alberto, il cui pensiero è sempre illuminante, spiega che la tentazione in corso nella Chiesa è quella di proporre un “Umanitarismo” che rimpiazza la carità cristiana. Obiettivo si direbbe quello di unificare la cultura della Chiesa con quella del mondo per risolvere ogni conflitto, ecc. Don Alberto spiega che cercare di separare l’Amore verso Dio-Creatore da quello verso l’uomo-creatura non sta in piedi.

Non solo non sta in piedi, ma crea un rischio per la civiltà occidentale che è cristiana (anche se rinnegato). Con queste mie quattro righe vorrei solo far riflettere il lettore che la “posta in gioco “ oggi è non solo la Fede, ma la nostra millenaria Civiltà Occidentale Cristiana, dei cui effetti hanno goduto tutti, non solo i cristiani (e non vado oltre…). Vediamo di chiarire il significato dei termini (con una sintesi estrema).- “Umanità” è l’insieme dei caratteri che contraddistinguono la specie umana. – “Civiltà” è come l’Umanità vive questi caratteri in una epoca.

La cosiddetta vecchia Umanità (che qualcuno ricorda ancora, spero) si rifaceva alla Genesi, alle Leggi naturali, ai valori non negoziabili, ecc. La cosiddetta nuova Umanità si riconosce solo in leggi “scientifiche” tradotte in prassi. In pratica la nuova Umanità si emancipa dal “sacro” sostituendolo con lo “scientifico”, nega il Libero Arbitrio (fonte di tutti i problemi perché irrazionale e soggettivo) sostituendolo con ”determinismo scientifico”. Ciò necessariamente comporta (antropologicamente) la sostituzione della visione dell’essere umano da creatura figlia di Dio a bacillo evoluto e sfuggito alla stessa evoluzione. Ed essendo questa creatura-bacillo “cancro della natura” che violenta, depreda, sfrutta ininterrottamente, va (diciamo cosi) ridimensionata da ogni punto di vista. Da civiltà per l’uomo a civiltà per l’ambiente, forse non tutti hanno ben riflettuto su cosa significhi: senso della vita, da ricerca (con opere) della salvezza a protezione dell’ambiente, sacro …

Ora risulta evidente che se una Umanità produce una Civiltà, un’altra Umanità che si sente diversa, produrrà un’altra Civiltà. Se una Umanità crede in un Dio Creatore che ha dato senso alla Creazione, chiedendo alla creatura di dare senso alla propria vita, nasce la Civiltà (occidentale e cristiana). Se una Umanità nega un Creatore e si considera una schifezza vivente, farà nascere una civiltà confacente che influenzerà necessariamente la stessa Umanità. Come scrisse infatti il saggista francese Paul Bourget (1852-1935): "se non si vive come si pensa si finirà col pensare come si vive"...

Così oggi, tutti convinti e giulivi, concordiamo che aveva ragione centoventi anni fa il filosofo Frederic Nietzsche quando, profetizzando la fine della civiltà cristiana (perché “valle di lacrime”), affermava che ben presto "il peccato che prima era verso Dio, sarebbe diventato contro la Terra " e che l’uomo grazie al rinascimento scientifico sarebbe diventato il famoso “superuomo”.

E concludo dicendo che in tutti questi sconvolgenti passaggi “evolutivi”, notiamo che l’Autorità Morale si occupa nel suo magistero solo degli “effetti” anziché della “cause “, proponendo un magistero (talvolta utopistico) che pare essere utilitaristico, dove il bene è ciò che sembra esser utile. Magari senza chiedersi se è coerente con la vecchia, sorpassata dai tempi, evoluta culturalmente, carità cristiana. Sostituita presto da un algoritmo che produrrà benessere, uguaglianza, inclusione, sostenibilità, pace e letizia … Naturalmente se, e come, l’algoritmo ne calcolerà l’utilità.



Ettore Gotti Tedeschi è un economista.





sabato 28 ottobre 2023

Al via il pellegrinaggio Summorum Pontificum. Da tutto il mondo testimonianze e riflessioni sulla bellezza della Tradizione




27 OTT 2023

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by Aldo Maria Valli


Ha preso il via a Roma l’annuale pellegrinaggio Summorum Pontificum, che comprende il convegno organizzato da Paix liturgique, con ospiti da tutto il mondo.

Nella sala convegni dell’Augustinianum, a due passi da piazza San Pietro, ha aperto i lavori il professor Rubén Peretó Rivas.

Alla presenza del cardinale Robert Sarah, l’abbé Claude Barthe ha sottolineato il valore della testimonianza. È stata poi la volta di monsignor Athanasius Schneider, il quale ha ricordato che la liturgia non può essere rivoluzionata se non al prezzo di rivoluzionare, e quindi perdere, anche la fede stessa.

L’autorità del papa – ha detto il vescovo Schneider – non è illimitata: è al servizio della Tradizione della Chiesa.

È seguita la testimonianza della storica Michela Di Mieri, collaboratrice di Duc in altum e autrice del libro Mi sono innamorata dell’eterno. Storia di un ritorno a casa (con prefazione di Aldo Maria Valli).

Propongo qui il testo della relazione della professoressa Di Mieri.


***


Dal “no pasaran” al “non praevalebunt”. La mia rivoluzione copernicana




di Michela Di Mieri

Buongiorno a tutti.

Innanzitutto, ringrazio il professor Peretó Rivas per avermi invitata e tutti voi, qui presenti, per la pazienza che esercitate nell’ascoltare una perfetta sconosciuta.

Come se non bastasse, vi chiedo ulteriore pazienza, se vi dovessi sembrare un po’ impacciata, ma in questo intervento non dovrò argomentare di questioni geopolitiche o di didattica del latino, bensì, metterò, come si suol dire, in piazza i miei affari personali; e parlare di sé in una dimensione pubblica, quando si è timidi, per giunta, o non ci si è lasciati ubriacare dal costume odierno di sciorinare le proprie faccende intime urbi et orbi, è ben faticoso. E allora, voi potreste obiettarmi che non me l’ha ordinato il dottore di salire quassù, né di scrivere il libello di cui sto per parlarvi. Verissimo. E infatti, quando sottoposi il testo incriminato al dottor Valli, nelle mie intenzioni c’era di lasciarlo anonimo. Della serie: ecco, io il mio dovere di testimonianza nei confronti del Creatore l’ho compiuto, la mia fatica è partorita, ora lascio lei a vivere di vita propria ad imperitura memoria per la posterità, e lascio me a tornare quieta e silente nel mio angolo di Bassa ad occuparmi dei miei amati cani abbandonati in un canile che sembra uscito da un girone infernale e del mio altrettanto amato latinorum. Ebbene, bonariamente ma fermamente, sono stata riportata all’ordine: le testimonianze devono portare un nome e un volto, il corpo dei quali si deve mettere in moto, affinché raggiungano il maggior numero possibile di persone, specie in tempi come i nostri, in cui se ne avverte un particolare bisogno. Altro che dottore. Parole sacrosante, che hanno colpito dritte nella coscienza; per cui, quando il professor Peretó Rivas mi ha contattata per venire qui a raccontarvi della mia rivoluzione copernicana, non ho potuto dire altro che “eccomi”, nonostante il brivido lungo la schiena generato dalla mia parte selvatica e la vertigine del non sentirmi degna. Me, proprio me, la Michela della Bassa e dei cani straccioni? Ma era sicuro? Sì, lo era. E a quanto pare lo era anche il Padreterno, quando mi ha presa per un orecchio e mi ha scaraventata giù dal pero di illusioni e miti in cui erravo e annaspavo, come un cieco nella via centrale di una megalopoli. Non sarò degna, ma obbedisco. Perché, di fatto, non è la mia persona la protagonista di questa storia: essa è solo un onoratissimo strumento della vera protagonista, ovvero la Divina Provvidenza, che si è presa la briga di palesarsi attraverso il mio incespicare qua e là alla ricerca di un senso compiuto capace di rendere ragione del dolore, dell’ingiustizia e della morte; e io voglio fortissimamente poterLa servire al di là della mia riottosa umanità, ovunque questo mio passaggio sulla terra possa renderle testimonianza. “Non nobis, Domine, sed nomini tuo da gloriam”. Ed è verissimo, quanto il fatto che il pino è verde, che Lui prevede e provvede ad ogni capello del nostro capo, perché ha tramato a mia totale insaputa, sin da quando ho emesso il primo vagito in questo mondo, perché il mio ritorno a casa è l’epilogo di un percorso che, a guardarlo con il senno di poi, segue un suo filo logico, in cui tutti gli avvenimenti, anche quelli più apparentemente banali, hanno concorso a farmi varcare la soglia di quella casa non dico perduta, ma del tutto sconosciuta; e lo ha fatto non solo esattamente nel momento giusto, non un attimo prima, né uno dopo, con una sapienza incredibile, ma anche in un modo tale da farmi scegliere se entrarvi in piena libertà e con convinta adesione.

È il milieu che fa la persona? In parte sicuramente. Questi i fatti e la mia terra emiliana.

Avevo dieci anni quando piansi sinceramente la morte del compagno Enrico Berlinguer (segretario del Partito comunista italiano dal 1972 al 1984). La mia nonna, il cui padre era stato partigiano nella brigata Stella Rossa, in quel di Marzabotto (tristemente famosa per via della strage compiuta dai nazisti tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre del 1944), mi ricordava sempre, ogni volta che compariva in tv, che lui era il suo amico, perché se lei aveva finalmente una casa, lo doveva a lui.

Ero poco più che una ragazzina quando iniziarono a morire amici e conoscenti per l’epidemia di eroina (cui seguì quella di Aids), o quando qualcuno spariva perché, causa rapina, spaccio, furto, estorsione o affini, era momentaneamente custodito alla Dozza, la prigione cittadina che porta il nome del più amato e compianto sindaco del dopoguerra. Perché il mio quartiere, alla periferia di Bologna, un postaccio malfamato, cresciuto come un fungo per ammassare gli sfollati dalle campagne e gli immigrati meridionali, come mio nonno paterno, era un ghetto in cui questa era la normalità.

Avevo quattordici anni quando mi sono iscritta al Liceo Classico e ventinove quando mi sono laureata in Storia. Un po’ molto fuori corso, ma avevo la rivoluzione sociale da fare, faccenda molto più urgente che portare a casa uno stupido, inutile e borghesissimo pezzo di carta. Anche perché, dalla quarta ginnasio all’ultimo esame dell’università, ho ininterrottamente approfondito, mia sponte, la mia formazione di compagna, i cui elementi sostanziali erano comunque già forniti dall’impostazione stessa della cultura per come ci veniva gramscianamente propinata. Noi, specie quelli come me, che da sempre sopportavamo a fatica l’immane ingiustizia che opprime il mondo e che avevamo un’indole militante, avremmo dovuto fungere da guida delle masse, nel processo rivoluzionario. Non sono comunista. Sono un’anarchica, innamorata di Bakunin, Malatesta, Proudhon, Emma Goldman, Stirner. Leggo “Umanità Nova”, il giornale della Fai (Federazione anarchica italiana), organizzo manifestazioni e cortei, scrivo volantini, mi becco qualche denuncia e qualche manganellata negli scontri di piazza con la polizia, partecipo alle occupazioni di immobili sfitti e semi abbandonati del Comune, alle assemblee del movimento anarchico, tengo un programma in una radio antagonista, attraverso i Centri Sociali giro l’Italia e anche un po’ d’Europa. Il mio modello sociale sono la Comune di Parigi o i villaggi liberati dai franchisti dai compagni del Poum (Partido obrero de unificacion marxista, partito marxista e dichiaratamente antistalinista) e della Cnt (Confederacion nacional del trabajo, un sindacato anarchico), durante la guerra civile spagnola. Poi, dopo il mio ritorno nel quartiere, divento responsabile culturale del Locale, un circolo aperto da un amico, entrato in galera come criminale comune per rapina e uscito compagno ortodosso marxista leninista. In quegli anni scrivo un libro su una partigiana che abitava nel mio quartiere, una specie di eroina per tutti noi, e questo mi apre le porte del mondo delle istituzioni locali, perché nella nostra terra la parola partigiano evoca tutto ciò che è buono e giusto e, se una neolaureata si prende la briga di scrivere la storia di una dirigente locale dell’Udi (Unione donne italiane; di fatto, la sezione femminista del Partito comunista italiano), si aprono le porte che contano; che io, però, decido di non varcare, perché sono un soldataccio di periferia, mi ripugna il gioco politico, il potere e la sua stessa costituzione. Insomma: socialismo o barbarie. “Né Dio, né stato, né servi, né padroni”. “Nostra patria è il mondo intero, nostra legge la libertà”, come recitano gli “Stornelli d’esilio” di Pietro Gori (avvocato e letterato anarchico dell’Ottocento).

Poi, ecco una serie di concomitanze che iniziano a riavvolgere il filo verso il ritorno a casa.

Succede che il mio amato fidanzato, alla soglia dei miei trent’anni, nel giro di poche ore, muore. E Marx non mi aiuta per niente a farmi una ragione di questa tragedia, a farmi capacitare che un uomo di neppure quarant’anni, appena riconquistato alla vita, finalmente vinto il drago dell’eroina, debba andarsene così, nel bel mezzo del suo riscatto. E non so dove sbattere la testa. La psicoterapia, come ovvio, ma oltre a qualche pastiglina e goccina, oltre a benedire il mio inveterato ed ovattante costume di concludere le mie giornate con il rito dello spinello serale, non può fare. Mi spingo a guardare a Oriente. Tante mie amiche trovano la serenità recitando i mantra tibetani o praticando lo yoga, ma io sono troppo occidentale per acquietarmi nella posizione del Loto. E succede che inizio a insegnare italiano a stranieri, business alquanto redditizio, della cui enorme torta beneficio io pure di qualche briciola (devo pur campare), e mi trovo circondata da islamici orgogliosissimi dei loro costumi, fedeli alle loro tradizioni, attaccatissimi al loro Maometto. Tutta roba che per me è semplicemente fantascienza, perché per me e quelli come me il mondo diventa realtà solo dal secolo dei Lumi in poi: tutto quel che viene prima è buono solo per vecchie teche impolverate. Però non posso non notare che tutto ciò stride tantissimo con noi, proprio noi che ci facciamo paladini di queste masse umane sbarcate in Europa, noi che, invece, sottoponiamo il nostro passato collettivo ad una critica impietosa, fustigandoci in mea culpa e abiure degne della peggiore tanto esecrata Inquisizione. E, ultimo colpo al mio castello di certezze, succede che, a forza di studiare la Storia, capisco con mio sommo sconforto, ma con onestà intellettuale, che non c’è struttura economica che tenga, che la giustizia e la felicità, l’uguaglianza e la libertà non si realizzeranno mai, perché il problema non è tanto il feudalesimo o il capitalismo, o che per lo meno, non si esaurisce in questi, ma sono costretta a concludere desolatamente che è proprio homo sapiens, per una sorta di caratteristica strutturale, genetica forse, ma ineludibile. Non mi rimane che soffiare sulla polvere della teca, più per disperazione che per altro: se dopo mille milia anni ci propinano ancora gli antichi, ci sarà pure un motivo. E ritrovo Omero, Tacito, Seneca, Dante, di cui non avevo mai veramente capito l’insegnamento, al di là delle figure retoriche e della lotta tra guelfi e ghibellini, e, inevitabilmente, il latino, quella lingua da me terribilmente odiata e temuta, inutile e vagamente fascista. Ed ecco che, un pomeriggio d’estate di dieci anni fa, mi imbatto, mentre giravo oziosamente per il mondo di internet, nella notizia che esiste una Messa in latino, e non solo in lingua latina, ma vecchio stile, uguale a quella che avevo intravisto sui film di don Camillo (il personaggio nato dalla penna di Giovannino Guareschi, da cui sono stati tratti dei film), con il prete rivolto di spalle alla gente. Nei giorni seguenti, guardo le foto, scopro siti, blog, video, leggo articoli, e rimango stupita dell’esistenza di un mondo tanto complesso, strutturato, ma, soprattutto, bello: tutte le immagini che vedo mi attraggono per una bellezza a me sconosciuta, che mi rimanda ad un’atemporalità e ad una ieraticità che non immaginavo potessero ancora esistere in Occidente. E dunque, incuriosita, una calda domenica di luglio vado a una celebrazione nella mia città. Ebbene, da quel giorno non ho più smesso, e, a tutt’oggi, mi è necessaria come l’aria che respiro. È avvenuto tutto molto semplicemente, senza che io dovessi fare null’altro che lasciarmi guidare dalla Messa e da quello che, domenica dopo domenica, mi insegnava e mi lasciava scoprire. Ero tornata a casa. Non sapevo quando ci fossi mai stata o quando me ne fossi allontanata, ma sapevo di esserci arrivata. Perché lì, ad incantarmi osservando don Tiziano sollevare il calice al suono di un campanello in un silenzio tombale, in ginocchio, in una chiesa in cui tutto richiamava alterità dal profano e immergeva nella bellezza, io stavo bene e mi cibavo di sicurezza, di meraviglia, di luce e stabilità. Nulla è stato più come prima, perché davvero la mia anima e la mia mente sono state dissodate, arate, seminate di un Verbo nuovo e vero, non facile, anzi, la cui aderenza mi è costato, mi costa e mi costerà a tratti sacrifici che non saprei sorreggere con le mie sole forze, e la metanoia, la rivoluzione copernicana, domenica dopo domenica, ha compiuto il suo giro. Da donna occidentale, femminista, fieramente autodeterminata, sono lietamente una creatura femminile eterodeterminata da un Creatore infinitamente più saggio di me. Ma allora, mi si potrebbe dire che ciò sarebbe potuto benissimo accadere anche con la Messa novus ordo. Ecco, lungi da me l’idea di rubare il mestiere agli illustri personaggi che sono seduti a questo tavolo e che sono senz’altro molto più competenti di me in teologia, liturgia, dottrina, storia ecclesiastica eccetera, però, mi sento di poter affermare una cosa con sicurezza, perché sperimentata, quindi è un fatto. Il filosofo, il benemerito Aristotele, tra le tante, diceva che la realtà consta di forma e di sostanza. Ora, noi umani non siamo intelligenze angeliche, ma, imprigionati nella dimensione della materia, quanto a percezione sensibile della realtà, abbiamo bisogno di avvalerci della forma, per riuscire a carpire la sostanza. La Bellezza, quella con la B maiuscola, quella che l’immenso Dostoevskij diceva che avrebbe salvato il mondo, è il mezzo principe, affinché la forma ci rimandi alla sostanza. Uno potrebbe ribattere, allora: “Va be’, ma tu hai fatto determinati studi, hai una certa propensione e sensibilità dell’animo, ed è perciò che riesci a codificare questo nesso”. Innanzitutto, non è vero, Perché io, all’inizio, non capivo proprio un bel nulla: ci ho messo una buona manciata di mesi per riuscire ad intellettualizzare, a rendermi consapevole dei segni e dei simboli. Ma nondimeno, quel che mi ha fatta rimanere, e che dunque ha permesso questo lento processo di comprensione, è stata la Bellezza, che placava in primis una fame viscerale. Poi, rispondo con un caso concreto, un fatto. Mio marito è un gommista. Non ha mai studiato latino in vita sua, non sa nulla di arte o di estetica, né mastica cognizioni filosofiche o teologiche. Tutto questo sapere è lontano anni luce dalla sua forma mentis, eminentemente pratica e concretissima. Quando gli chiedo perché lui, dalla mia conversione in poi, venga alla Messa di sempre, scomoda per orari e luoghi, lui risponde semplicemente che è più bella. E questo dovrebbe bastare a redimere le arzigogolature, in quanto dimostra che la bellezza è una categoria inerente a qualsiasi essere umano, la cui percettibilità ci differenzia da tutti gli altri animali. E a tutto ciò, contribuisce anche l’uso del latino, la nostra lingua sacra, atemporale, veramente cattolica.

Non è cambiata la mia abitudine ad essere in guerra, è cambiata la guerra. Che ha tre fronti, uno più insidioso dell’altro. Il primo è interno. È la guerra dello spirito contro le possenti forze ctonie, imbizzarrite per la tema di lasciarsi sfuggire un’anima. Il secondo è esterno, tra una mens christiana del concepire la vita e il mondo e il nostro Occidente contemporaneo, che poggia su presupposti radicalmente antitetici e, a mio umilissimo avviso ed esperienza, non conciliabili. E fin qui, tutto sommato, nulla di nuovo o di strano per un cristiano. Ma è il terzo fronte quello maggiormente cruento, tanto da lasciarmi esterrefatta nel momento in cui ne ho scoperto l’esistenza. Perché mai mi sarei immaginata, da soldato semplicissimo quale sono, che i vertici della Chiesa latina muovessero una guerra alla venerabile Tradizione che l’ha traghettata dal crepuscolo dell’Impero romano fino agli anni Sessanta dello scorso secolo. Senza voler entrare in un ginepraio spinosissimo, è però innegabile che, eliminando de facto la liturgia tradizionale dall’orizzonte delle possibilità, si sia arbitrariamente e proditoriamente sottratto alle genti un loro diritto di battezzati, ma anche di uomini, perché la Messa di sempre è anche un’opera della cultura e dell’arte, come ben avevano capito i firmatari, non necessariamente cattolici, del cosiddetto indulto di Agatha Christie. Nel mio piccolissimo, racconto della Messa antica, della nostra Tradizione, ogni volta che me ne si presenta l’occasione, e invito a venire e a vedere, e a conoscere il tesoro, tutte le persone che mi stanno intorno: dai volontari del canile, per lo più atei o antispecisti, al massimo filo buddisti o cattolici sbiaditi, agli studenti, mediamente indifferenti al trascendente, magari cattolici per tradizione o persino frequentanti la parrocchia, ma completamente all’oscuro di cosa sia, ad esempio, un canto gregoriano. Perché, come la mia vicenda personale dimostra, la nostra Liturgia, da sé stessa, può essere il grimaldello per aprire la breccia nell’animo tutto immanente e centrato sul proprio ombelico tipico dei nostri tempi, così da permettere alla Grazia di educare un’anima cristiana, purché si abbia la pazienza e l’umiltà di lasciarsi plasmare dalla pedagogia divina.

In conclusione, desidero salutarvi con una riflessione. I guerriglieri del Poum, durante la guerra civile di Spagna, usavano darsi coraggio dicendo “No pasaran”. Bene, io declino ora per tutti noi in linguaggio cattolico questo sprone, che è promessa del Salvatore: “Non praevalebunt”, nonostante tutto. Forse a noi è richiesto di tenere la posizione, di salvare il seme in attesa che l’ubriacatura modernista passi, perché la Verità prima o poi trionfa su tutte le carabattole umane; e questo è un fatto, oltre che di Fede, di evidenza storica. Grazie ancora, che l’Onnipotente ci benedica e buon proseguimento.






venerdì 27 ottobre 2023

La luce che non si spegne. A proposito di abolizione del Natale




27 OTT 2023

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by Aldo Maria Valli



di Rita Bettaglio

Con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli (Sal 8,3)

A Fiesole [Duc in altum ne ha parlato qui] vogliono cambiare nome al Natale, quasi bastasse questo per risolvere il problema. Se il problema è il Natale, non c’è altra soluzione che eliminarlo del tutto.

L’idea non è nuova. E non è neppure tanto difficile, visto che già ci era arrivato il Lungo, luogotenente di Peppone e custode integerrimo della Casa del Popolo.

Il Lungo, che aveva appena finito il corso di preparazione politica in città, disse: «Mettiamoci subito al lavoro incominciando lo smantellamento della roccaforte sentimentale dei preti».

Poi il Lungo spiegò il suo concetto: «La roccaforte sentimentale dei preti è il Natale. Quando viene il Natale tutti sono disposti a concedere qualcosa ai preti. Non occorre andare in chiesa: il semplice fatto di mangiare meglio del solito è una concessione che si fa ai preti, che hanno inventato il Natale. A Natale anche i più forti e i più duri cascano nella trappola del sentimento: il ragazzino che dice la poesia e mette la letterina sotto al piatto, il Presepe, le cartoline d’auguri, la neve, gli angioletti, l’organo della chiesa nella notte, i ricordi di fanciullezza, insomma è tutta una messa in scena che riesce a farci dimenticare la realtà a vantaggio della favola. Bisogna reagire e passare al contrattacco!».

Partì così, nella Bassa, l’opera di smantellamento del Natale.

Il Lungo era il custode della Casa del Popolo: abitava con la moglie e col figlio in tre stanzette del primo piano e la sua vita privata non poteva essere più trasparente per i frequentatori della Casa del Popolo.

Una brutta sorpresa aspettava il Lungo… Ma andiamo con ordine.

Inizialmente scettico, Peppone ci mise poco a entusiasmarsi: la sua parola d’ordine divenne democratizzare il Natale. Bisognava agire subito, cominciando da casa propria.

«Da quest’anno Natale non deve esistere più» disse Peppone e la moglie gli domandò se fosse ubriaco di vino o di liquori.

Peppone, da buon comunista, non intese ragione, non ascoltò le rimostranze della moglie e si buttò come un dannato nell’impresa di snatalizzazione.

Arrivò la sera della Vigilia e tutto era squallido a casa, come da ordinanza del capofamiglia: tovaglia macchiata, minestra feriale e frittata di cipolle.

«Alle otto tutti a letto» avvertì con voce dura Peppone.

Cena in silenzio e, poi… poi la trappola: sotto la fondina la letterina di Natale. Il ragazzino piccolo, quello di sette anni, aveva consumato il tradimento.

Peppone strinse i denti, inforcò il tabarro e uscì.

Arrivò a grandi falcate alla Casa del Popolo, e di lì partì per un giro ispettivo col Lungo, lo Smilzo e il Bigio, per verificare l’adesione al diktat nataleclastico.

L’ispezione continuò; Peppone, il Lungo, il Bigio e lo Smilzo dovettero andare a bussare ad altre dieci porte perché il primo esperimento di disintossicazione sentimentale era stato ristretto alla cerchia dei fedelissimi: e dappertutto trovarono case già buie o gente che leggiucchiava il giornale seduta davanti ai resti di una tristissima cena.

Quando fecero ritorno alla Casa del Popolo era quasi mezzanotte e la gente stava in chiesa per assistere alla Messa.

Ma una delle finestrelle del solaio della Casa del Popolo era illuminata. Tutti guardarono. La luce si spense e poi si riaccese per parecchie volte. I commissari del popolo, truci, salirono sin lassù.

Peppone, il Lungo e lo Smilzo rimasero in agguato trattenendo il respiro: poi, quando al vicino campanile incominciarono a battere i primi tocchi della mezzanotte, si infilarono dentro la porta del solaio e si addossarono al muro. Al dodicesimo rintocco la luce si accese e non si spense più.

Il ragazzino del Lungo stava muto, davanti a una minuscola capanna sistemata su una cassa, a contemplare il presepio.

Peppone si chinò a guardare il Presepino: «Nessuno» spiegò. «Sono statuine di terra cruda pitturata. Se le è fatte da solo. E sono anche belle parecchio. Mica stupido il ragazzino.»

Il Lungo, con una sberla le mandò a sbriciolarsi contro il muro, ma la lampadina rimase accesa nella capannuccia.

La gente usciva dalla chiesa e riempiva di allegre voci la piazza: Peppone si riscosse dallo stupore nel quale il gesto del Lungo l’aveva fatto piombare e raggiunse in fretta la porta, seguito dallo Smilzo, mentre il Lungo rimaneva là a guardare con occhi attoniti quella luce che non si spegneva.

Peppone rientrò a casa, ma non c’era verso di dormire in quella notte santa che si era tanto industriato di cancellare. Dopo un breve sonno agitato, scese in cucina per farsi scaldare un po’ di latte. La tavola era ancora messa e la fondina sporca di minestra stava dove l’aveva lasciata la sera prima. Era ancora buio e Peppone la sollevò per vedere se sotto ci fosse la lettera del piccolino. Ma non c’era più niente.

Un sordo tormento interiore prese Peppone che cercò d’ignorarlo finché poté. Andò anche alla Casa del Popolo per lavorare e continuare a incaponirsi nella sua infelice idea di cancellare il Natale.

Ma non vi riuscì. Arrivato davanti a casa chiamò la moglie: «Vedi di arrangiarti di preparare tutto come se fosse un Natale normale».»

Volatilizzata la letterina della vigilia, Peppone, che aveva fatto pace con se stesso e le bislacche idee del Lungo, sperava nella poesia. Ma il piccolino si rifiutò tenacemente. Adesso non contava più: il Bambino era nato e la poesia parlava del Bambino che deve nascere nella notte.

Nel pomeriggio Peppone portò a spasso il piccolino e, quando furono lontani dal paese, fece l’ultimo tentativo:

«Adesso che siamo soli, me la dici la poesia?».

«No», rispose il piccolino.

«Qui nessuno ti sente!».

«Ma il Bambino Gesù lo sa», sussurrò il piccolino.

Questa era la più bella poesia che il piccolino potesse dire, e Peppone lo capì.

Quindi, signori di Fiesole e consimili: arrendetevi!

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I brani sono tratti da: Giovannino Guareschi, La luce che non si spegne, in Chico e altri racconti




Il cinema sdogana la bestemmia, la Cei assolve



Due bestemmie in Comandante ed Enea, entrambi alla mostra del Cinema di Venezia. La commissione della Cei se ne accorge, ma senza pretendere una riparazione si limita a non condividere, ma li consiglia. Il modo migliore per sdoganare le offese a Dio al cinema.


FILM A VENEZIA

EDITORIALI 



Andrea Zambrano, 27-10-2023

Una bestemmia è una bestemmia, non è oggetto di opinioni. Eppure, stando alla Commissione nazionale di valutazione film della Cei, su di essa si può tranquillamente sorvolare.

Due film in uscita nelle sale ci introducono ad un cambiamento epocale nel linguaggio cinematografico: lo sdoganamento della bestemmia in formato technicolor. Parliamo di Comandante, di Edoardo De Angelis, che racconta la storia dell’eroe Todaro con Pierfrancesco Favino e di Enea, film di Pietro Castellitto. Entrambi presentati all’80esima mostra del cinema di Venezia, si tratta di due pellicole che hanno già ricevuto ottimi riscontri da parte della critica.

Salvo una dimenticanza, che o è sfuggita a molti oppure è ormai digerita da tutti: la presenza di diverse bestemmie all’interno dei film. Per quanto riguarda Comandante – che tra l’altro è prodotto da 01 Distribution, di emanazione Rai Cinema, quindi pubblico - di una sola imprecazione, per il film Enea invece ce ne sono diverse, almeno stando alla critica che ne fa il sito saledellacomunità.it.

Comandante è in uscita in questi giorni, mentre il film di Castellitto è previsto per gennaio. Ma la Commissione Nazionale di Valutazione Film della Cei – almeno per Comandante - è riuscita ad intercettarla, probabilmente perché qualche suo delegato ha partecipato alla mostra del cinema e ne ha preparato la scheda valutativa.

Ecco la valutazione che esce a nome dei vescovi italiani: Complesso, Consigliabile, Problematico, Adatto per dibattiti. Si tratta di attributi abbastanza consueti per la filmografia che la Cnvf analizza. Ma verso la fine si dice che “al di là di qualche passaggio narrativo poco convincente, del rischio di scivolate retorico-didascaliche, come pure di alcuni raccordi di dialogo o espressioni problematiche, non sempre condivisibili (come la presenza di una bestemmia), il film “Comandante” risulta valido per stile di racconto e temi in campo. Consigliabile-complesso, problematico e adatto per dibattiti”.

Quindi, secondo i filmografi dei vescovi la presenza di una bestemmia in un film è un’espressione problematica non condivisibile? Per giunta da mettere tra parentesi? E comunque nulla che possa scalfire il suggerimento di consigliarlo comunque alla visione? Tutto qua? Come se la bestemmia fosse legata al contesto e alle varie circostanze che potrebbero renderla condivisibile o meno? Come fosse un accidente di passaggio? Il giudizio che sembra uscirne è solo quello dell’avvertenza degli utenti e della presa di distanza. Della serie: a noi non piace, ma tant’è.

Ma è davvero tutto qui o non siamo forse di fronte a un passaggio epocale nel linguaggio cinematografico che dovrebbe costringere i vescovi ad un’analisi più attenta e ad una denuncia ben diversa?

Facciamo un passo indietro per capire che cos’è la bestemmia, così come la definisce la Chiesa cattolica: anzitutto è il peccato più grave del Secondo comandamento. Essa consiste nel pronunciare parole offensive contro Dio, associando il nome di Dio ad una aggettivazione che non è consona a Dio, o utilizzare il nome di Dio per compiere il male. In secondo luogo, il Catechismo della Chiesa cattolica, al numero 2148, insegna che "la bestemmia consiste nel proferire contro Dio – interiormente o esteriormente – parole di odio, di rimprovero, di sfida, nel parlare male di Dio, nel mancare di rispetto verso di lui nei propositi, nell'abusare del nome di Dio".

Dunque, in una sua cornice normativa e di verità di fede, la bestemmia è un’offesa a Dio. Un atto oggettivo, perciò, come uno schiaffo, non interpretabile a seconda delle circostanze o dei bisogni. È quello che esprime. Ne consegue che, in quanto fatto oggettivo, non può entrare dentro una finzione scenica o filmica, perché nessuna bestemmia si dice per finta.

Piccola postilla per i puristi cinefili, attaccati al verismo e al realismo di fronte al quale si può spesso chiudere un occhio: il verismo di un film è la sua capacità di servirsi della finzione scenica per ricreare un elemento della realtà. Ecco perché la valutazione, ad esempio, di una scena di violenza (uno schiaffo, un pugno) o di sesso, attiene più al campo morale, cioè a ciò che vuole esprimere, con presenza o meno di violazioni al pudore e dunque rimarcabili per un fattore soggettivo, ma nasce comunque all’interno di una finzione. Gli attori fingono l’atto sessuale, non lo compiono veramente, salvo piccanti retroscena di certi interpreti. Il giudizio che viene espresso, dunque è legato all’offesa al pudore o alla morale.

Anche nel campo della violenza è lo stesso: gli schiaffi di Bud Spencer e Terence Hill sono diversi dalle violenze di certi film, ma tutti rientrano dentro il campo della finzione. Non sono schiaffi veri, ma finti, sennò sarebbero violenza.

Ma una bestemmia non può essere pronunciata per finta, per esigenza scenica. Si auto-esprime e per tanto non ricade sotto l’interpretazione dell’offesa al pudore, ma dentro un fatto oggettivo, l’offesa a Dio. Che è commessa anche se l’intenzione dell’attore o del regista vuole semplicemente creare per finta un linguaggio particolarmente crudo.

Torniamo alla valutazione della Commissione film. La sostanziale assoluzione dell'organismo Cei deriva dal fatto che faccia ricadere le bestemmie dentro una critica di tipo opportunistico, sulla condivisibilità o meno, come appunto si trattasse di una scena di sesso spinto o di un bacio appassionato o di una fucilazione davanti al plotone d’esecuzione, su cui ci sono gradi di interpretazione variabili. E ancora, il fatto che faccia ricadere la bestemmia dentro una categoria di finzione è indice di una certa difficoltà dei cinefili vescovili a leggere i segni dei tempi. Che oggi vedono la bestemmia come sdoganata quasi totalmente.

Una bestemmia va denunciata come tale, se necessario anche protestando con la produzione, fino a chiedere un ri-doppiaggio nel nome della libertas Ecclesiae di far valere diritti che le sono propri anche in campi e ambiti non di propria pertinenza. Perché si tratta in questo caso di diritti di Dio. E anche ripararla con le preghiere che la Chiesa comanda, che si devono ancora dire di fronte a chi pronuncia invano il nome di Dio, indipendentemente dalle sue intenzioni sceniche o inconsapevoli. Non è che se questo avviene in un film, allora il fatto non sia avvenuto o sia meno grave.

Ripetiamo: nella bestemmia, non c’è finzione scenica, perché non è possibile averla. È, come direbbe il Feltri di Crozza, fattuale. Non capirlo o fare finta di non capirlo è il segno che il Rubicone della pietas è stato valicato. Con superficialità e pressapochismo di un nulla osta vescovile a cui poi cinema, cinefili e appassionati di ambito parrocchiale si adegueranno senza problemi.






giovedì 26 ottobre 2023

Piazza vuota e riti stanchi. Morte di un pontificato




26 OTT 2023


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by Aldo Maria Valli


La foto parla da sola. Udienza generale del mercoledì. Piazza vuota. Solo poche decine di persone. Va bene, c’è la pioggia. Ma una volta, in caso di pioggia, la piazza diventava una distesa di ombrelli.

Il quadro è desolante, e i mass media vaticani, a partire dal centro televisivo, non sanno più come fare per nascondere il dato di fatto: nessuno va ad ascoltare Francesco. Si cerca di rimediare con immagini strette, anzi strettissime, un po’ come faceva la tv polacca con Giovanni Paolo II in visita in patria. Ma se nel caso della televisione polacca il problema era nascondere le folle che accorrevano da Wojtyła, in Vaticano il problema è opposto: nascondere i vuoti imbarazzanti.

Questo pontificato sta morendo così, d’inedia. Incominciato con tante speranze, si sta esaurendo nel disinteresse generale. Cose che succedono quando la Chiesa si mette a inseguire il mondo. Perché il mondo è sempre un passo avanti, e la Chiesa diventa semplicemente patetica quando pretende di andare a rimorchio.

Intanto nella basilica vaticana piove. Infiltrazioni un po’ ovunque, anche negli archivi. Certo, gestire un patrimonio così grande non è semplice, ma da tempo la manutenzione fa – letteralmente – acqua. Testimoni dicono che anche le pulizie lasciano a desiderare. In mancanza di celebrazioni papali, San Pietro assomiglia sempre di più a un museo in progressivo stato d’abbandono. E le cose non vanno meglio a Castel Gandolfo, dove il palazzo dei papi, non più utilizzato come residenza, è diventato a tutti gli effetti un museo e incomincia a soffrire di tutti i problemi tipici di questi luoghi (compreso un recente incendio).

Intanto i partecipanti al sinodo, riuniti attorno ai loro tavoli, discutono, discutono, discutono. Una specie di gran ballo delle parole sulla tolda del Titanic che affonda. Niente di male nel discutere, ci mancherebbe. Il problema è che i partecipanti sembrano muoversi su un altro pianeta rispetto alla realtà effettuale. La Chiesa agonizza, i fedeli scappano, le vocazioni spariscono, ma i sinodali vivono in un mondo tutto loro. Come tutti gli apparatčik, i funzionari di partito, appartengono a una casta chiusa, il cui unico scopo è la perpetuazione di se stessa.

Intanto esce un altro libro con un’altra intervista al papa. Intanto ci dicono che al sinodo si è pregato per migranti e rifugiati. Intanto si premurano di farci sapere che “alcuni poveri a Santa Marta hanno pranzato con il papa”. Le chiese hanno sempre bisogno di ritualità e questi sono i riti, stanchi, della morente “chiesa di Francesco”.

A.M.V.





La sinodalità minata da un vescovo ortodosso durante il sinodo





 26 ottobre 2023

Lunedì, parlando al Sinodo sulla sinodalità, il metropolita Giobbe di Pisidia, vescovo ortodosso, ha affermato che la definizione di sinodalità nel sinodo che si terrà a Roma “differisce notevolmente” dalla comprensione ortodossa.

Il metropolita Giobbe di Pisidia si riferì nel suo discorso al primo concilio ecumenico, il Concilio di Nicea del 325, e citò i Canoni Apostolici, del IV secolo, sul governo e la disciplina della Chiesa paleocristiana. Su questa base ha dichiarato che

“un sinodo è un incontro deliberativo di vescovi, e non un’assemblea consultiva di chierici e laici”.
“Alla luce di quanto sopra, potremmo dire che la comprensione della sinodalità nella Chiesa ortodossa differisce molto dalla definizione di sinodalità data dalla vostra attuale assemblea del Sinodo dei Vescovi”, ha aggiunto.

Il metropolita Job è il rappresentante permanente del Patriarcato ecumenico presso il Consiglio ecumenico delle Chiese: partecipa al sinodo sulla sinodalità come “delegato fraterno”. I delegati fraterni sono rappresentanti non cattolici delle Chiese cristiane. Partecipano all'assemblea sinodale senza diritto di voto.

Secondo il rappresentante ortodosso:

“Un sinodo è un incontro deliberativo di vescovi, e non un'assemblea consultiva di chierici e laici. Non può esserci sinodo senza primato, e non può esserci primato senza sinodo. Il primate fa parte del sinodo; non ha autorità superiore al sinodo e non ne è escluso. La concordia che si esprime attraverso il consenso sinodale riflette il mistero trinitario della vita divina.»
“È attraverso questa pratica della sinodalità che la Chiesa ortodossa è stata amministrata nel corso dei secoli fino ai giorni nostri, anche se la frequenza e la costituzione dei sinodi può variare da una Chiesa autocefala locale all'altra”, ha aggiunto.

Mons. Job ha poi ammesso che ci sono state "alcune circostanze storiche" in cui la Chiesa ortodossa si è allontanata da questa formula, anche per quanto riguarda la partecipazione dei laici al processo decisionale sinodale, in una serie di casi specifici, da lui elencati.


Infine, un'altra eccezione, ha spiegato, è la Chiesa di Cipro, dove i laici partecipano alla prima fase dell'elezione dei vescovi. “Tuttavia, la Chiesa di Cipro costituisce un caso eccezionale nell’Ortodossia contemporanea, dove la pratica della sinodalità coinvolge esclusivamente un’assemblea di vescovi”, rilevando che durante un sinodo della Chiesa ortodossa di Creta nel 2016, i 62 assessori composti da membri della clero, monaci e laici non avevano voce o voto.

Questa testimonianza, aggiunta ad un recente intervento di un vescovo cattolico di rito orientale, mostra che voler far credere che la sinodalità di Francesco sarebbe una tradizione sia nell'Ortodossia che tra i cattolici orientali, è una vasta mistificazione, che sconfina nella pura e semplice semplici bugie...


Fonti: CNA/InfoCatolica – FSSPX.News





mercoledì 25 ottobre 2023

C’è un libro che da solo vale più del Sinodo. È di un vescovo, ed è sulla castità



Settimo Cielo di Sandro Magister

25 ott 23

In Vaticano il Sinodo volge alla sua fase finale, che poi finale non è, dato che sarà riconvocato tra un anno e soltanto dopo il papa, da solo, deciderà quali conclusioni tirarne, in capo a un dibattito di cui poco o nulla si sa, oscurato com’è dal segreto.

Intanto, però, c’è anche un sinodo “fuori le mura”, del quale il libro qui sopra è una voce, su un tema, la castità, che è quasi diventato un tabù per chi nella Chiesa invoca un “cambiamento di paradigma” nella dottrina cattolica sulla sessualità, in testa quel cardinale Jean-Claude Hollerich che Francesco ha collocato al timone del Sinodo.

L’autore di “Chastity. Reconciliation of the Senses”, uscito il 12 ottobre per i tipi di Bloomsbury e presto in libreria anche in spagnolo, edito da Encuentro, col titolo “Castidad. La reconciliación de los sentidos”, è Erik Varden, 49 anni, norvegese, monaco cistercense di stretta osservanza, trappista, già abate in Inghilterra dell’abbazia di Mount Saint Bernard nel Leicestershire, e dal 2020 vescovo di Trondheim.

Varden, che al Sinodo non c’è, fu tra i firmatari, assieme a tutti i vescovi di Scandinavia tra i quali il cardinale di Stoccolma Anders Arborelius, di quella ”Lettera pastorale sulla sessualità umana”, diffusa la scorsa Quaresima, che Settimo Cielo aveva a suo tempo pubblicato integralmente, per la sua straordinaria originalità di linguaggio e di contenuto, capace di dire all’uomo moderno tutta la ricchezza della visione cristiana della sessualità con fedeltà intatta al magistero millenario della Chiesa e insieme in limpida opposizione all’ideologia “gender”.

C’è uno stile che accomuna quella lettera pastorale al libro di Varden. Ma c’è anche una differenza importante. “Chastity” non si mescola alle dispute, ai “dubia”, sulla benedizione delle coppie omosessuali o sulla comunione ai divorziati risposati. Su tali questioni l’autore premette di non discostarsi di uno iota da quanto insegna il Catechismo della dottrina cattolica del 1992, e ad esso rimanda come a “un grande tesoro”.

Ma proprio come vescovo, Varden vuole fare altro con questo suo libro. Vuole “costruire ponti”, colmare quel vuoto che si è creato tra il pensiero della moderna società secolare e l’immensa ricchezza della tradizione cristiana, oggi dissolta da una diffusa amnesia.

Vuole cioè, scrive, ripresentare al mondo la fede cristiana integralmente, senza compromessi. Ma nello stesso tempo esprimerla in forme comprensibili anche a chi vi è del tutto estraneo: “appellarsi all’esperienza universale, cercando di leggere tale esperienza alla luce della rivelazione biblica”.

E “Chastity” è appunto un viaggio affascinante tra la Bibbia e la grande musica, la letteratura, la pittura, dai Padri del deserto alla “Norma” di Bellini, da Omero al “Flauto magico” di Mozart, a una buona dozzina di scrittori e poeti moderni più o meno distanti dalla fede cristiana. Anche l’apostolo Matteo della copertina è parte del gioco. È ripreso dal giudizio finale affrescato nel 1300 da Pietro Cavallini, antesignano di Giotto, nella basilica romana di Santa Cecilia in Trastevere. I suoi occhi guardano a Cristo, al destino finale dell’uomo glorificato.

Tutto per mostrare come la “Chastity”, nei più vari stati di vita, è riconciliazione e compimento di desideri e passioni, che ha come meta proprio quell’uomo “vestito di gloria ed onore” che è l’Adamo uscito dalla creazione, al quale ci riconduce Cristo.

Qui di seguito è riprodotto un breve estratto del libro, che però è da leggere tutto, imperdibile e incomparabile com’è con le fiacche, noiose, “esculturate” chiacchiere sinodali.

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È TEMPO DI OPERARE UN “SURSUM CORDA”




di Erik Varden (dalle pagine 114-116 di “Chastity. Reconciliation of the Senses”)

Santità, vita eterna, configurazione a Cristo, risurrezione del corpo: queste nozioni non fanno più parte, oggi, del pensiero comune sulle relazioni umane e sulla sessualità. Ci siamo allontanati dalla mentalità che ha prodotto l’eccelsa verticalità delle cattedrali del XII secolo, case che contenevano la pienezza della vita per elevarla.

Non è stata recentemente avanzata la proposta di installare una piscina sul tetto ricostruito di Notre Dame de Paris? Mi è sembrata un’idea appropriata. Avrebbe simbolicamente ristabilito la cupola d’acqua che separava la terra dal cielo nel primo giorno della creazione, prima che in essa si manifestasse l’immagine di Dio (cfr Genesi 1,7). Avrebbe cancellato, ancora simbolicamente, lo squarcio del firmamento nel Battesimo di Gesù, che preannunciava un nuovo modo di essere uomini. Qualunque frammento di mistero che potesse rimanere all’interno della chiesa stessa sarebbe stato rappresentato sotto gli spruzzi di corpi impegnati a tenersi in forma. La metafora sarebbe stata eloquente.

Una volta scomparsa dal cristianesimo la spinta soprannaturale, che cosa resta? Un sentimento di buone intenzioni e una serie di comandamenti ritenuti oppressivi, poiché la finalità del cambiamento a cui dovrebbero servire è stata sbrigativamente respinta.

Comprensibilmente, prenderà allora piede un movimento per consegnarli agli archivi. Perché quale sarà il loro scopo? Divenuta mondana, la Chiesa si accomoda al mondo e si mette diligentemente a suo agio al suo interno. Le sue prescrizioni e proscrizioni rifletteranno e saranno modellate dai costumi correnti.

Ciò richiede una flessibilità continua, poiché i costumi della società secolare cambiano rapidamente, anche nell’ambito della riflessione progressista sul sesso. Certe idee proposte come liberatorie e profetiche ancora in tempo recente – riguardanti, ad esempio, la sessualità infantile – sono ora giustamente guardate come aberranti. Eppure nuovi profeti vengono prontamente unti, nuove teorie vengono proposte e sperimentate in un’area che ci tocca nella nostra sfera più intima.

È tempo di operare un “Sursum corda”, di correggere una tendenza a una orizzontalità introspettiva per recuperare la dimensione trascendente dell’intimità incarnata, parte integrante della chiamata universale alla santità. Naturalmente dovremmo raggiungere e coinvolgere coloro che si vedono messi fuori dall’insegnamento cristiano, coloro che si sentono ostracizzati oppure pensano di essere forzati a rispettare uno standard impossibile. Ma allo stesso tempo non possiamo dimenticare che questa situazione è tutt’altro che nuova.

Nei primi secoli della nostra era vi era una tensione colossale tra i valori morali mondani e quelli cristiani, non ultimo quello relativo alla castità. Ciò non accadeva perché i cristiani fossero migliori – la maggior parte di noi, oggi come allora, vive una vita mediocre – ma perché avevano un senso diverso di cosa significhi la vita. Erano i secoli delle sottili controversie cristologiche. Instancabilmente, la Chiesa lottava per formulare con chiarezza chi è Gesù Cristo: “Dio da Dio” eppure “nato dalla Vergine Maria”; pienamente umano, pienamente divino. Su questa base è arrivata a dare un senso a cosa significhi l’essere umano e a mostrare come potrebbe realizzarsi un ordine sociale umano.

Oggi la cristologia è in eclisse. Ancora affermiamo che “Dio si è fatto uomo”. Ma utilizziamo in gran parte un’ermeneutica rovesciata, proiettando un’immagine di “Dio” che scaturisce dalla nostra comprensione in sole “tuniche di pelle” (cfr Genesi 3,21) di ciò che è l’uomo. Il risultato è caricaturale. Il divino è ridotto alla nostra misura. Il fatto che molti contemporanei rifiutino questo “Dio” contraffatto è per molti aspetti un indizio del loro buon senso.


Fonte 


lunedì 23 ottobre 2023

La Chiesa slow food che sposa l'antiumano (senza Cristo)



Il sorprendente forum delle Comunità Laudato si' nell'episcopio di Verona. Antinatalismo, climatismo ed ecologismo alimentare per piegare il cristianesimo ad alcune esigenze politiche ed economiche del mondo di oggi.



IL CONVEGNO

EDITORIALI 


Stefano Fontana, 23-10-2023

Sabato 14 ottobre 2023, in riva all’Adige, nella sala dei vescovi dell’episcopio di Verona, ospite il vescovo Domenico Pompili e con un videomessaggio del papa, si è tenuto il sesto forum delle Comunità Laudato si’, dal titolo “Raddoppiare l’impegno”, a partire dall’Esortazione Laudate Deum di Francesco. Si è trattato di un incontro impensabile perché improponibile prima del 2013 e anche oggi decisamente sorprendente.

Cominciamo con i relatori invitati. Il primo è stato Carlo Petrini, inventore e patron di “Slow Food”. Petrini è un amico del vescovo Pompili. Era stato lui a presentarlo a Francesco. I due si erano poi incontrati più volte e da questo è nata nel 2020 la pubblicazione del libro del gastronomo-scrittore “Terra futura”, con prefazione dello stesso Pompili. Domenica 15 ottobre, Petrini, insieme al vescovo di Verona, ha anche tirato le somme dell’incontro, proponendo un manifesto dal titolo “Sei abitudini alimentari ecologicamente virtuose” che sarebbero le seguenti: «Mangiare cibo locale, stagionale, diminuire il consumo di proteine animali, ridurre il consumo di cibi ultra processati, ridurre lo spreco alimentare, ridurre il consumo di plastica monouso, ridurre il consumo di acqua». Che collegamento ci sia tra l’essere cattolici e assumere il nuovo geniale decalogo ecologista di Petrini non è dato sapere e viene il dubbio che, alla fin fine, le comunità Laudato sì coincidano con le comunità Slow Food.

Il secondo invitato è stato Gaël Giraud, gesuita ed economista francese operante a Washinton e autore, tra l’altro, del libro “La transizione dolce della conversione ecologica” edito nientemeno che dal Vaticano. Nessun dubbio, quindi, sulle sue idee a proposito della questione ambientale. Era poi presente Franco Rovelli, fisico e saggista che ha ampiamente lodato la recente Esortazione di Francesco. Anche qui un pensiero perfettamente allineato. Infine era presente Carlos Alvarez Pereira, vicepresidente del “Club di Roma”. Naturalmente Pereira ha invitato al Grande Reset: il modello di sviluppo è insostenibile, serve un cambiamento che sia contemporaneamente sociale, culturale, politico ed economico, occorre trovare una nuova via, compatibile con il benessere umano e allo stesso tempo con il benessere di tutto ciò che non è umano. Anche di Pereira possiamo osservare la sintonia con l’ideologia del forum e quindi constatare di nuovo che tutti i relatori hanno recitato in coro lo stesso copione, ma sarebbe troppo poco, dato quello che è stato ed è il “Club di Roma”, di cui Pereira è vicepresidente.

Come noto, questo Club, fondato nel 1966 da Aurelio Peccei, ha pubblicato nel 1972 il Rapporto “I limiti dello sviluppo” (o della crescita - Limits of Growth), detto anche Rapporto Meadows, che presumeva di prevedere fino al 2050 le conseguenze (negative) della natalità sullo sviluppo economico. Fu il primo a prevedere “emergenze”, poi mai verificatesi in quanto di produzione ideologica, proponendo come loro soluzione la denatalità. L’ideologia del Club di Roma era incentrata sull’uomo visto come principale artefice dei presunti disastri futuri dell’umanità, ripresa oggi con l’ideologia dei cambiamenti climatici di origine antropica. L’iniziativa del Club di Roma si inseriva allora in una convergenza di molteplici istituzioni globali interessate a proporre un sostanziale neo-malthusianesimo. Se gli altri relatori presenti a Verona destano perplessità, la presenza di Pereira suscita sconcerto. La Chiesa (di allora) aveva sempre contrastato l’attacco all’uomo con scuse ambientaliste.

Il vescovo Pompili ha sottolineato che non basta la transizione ecologica, ci vuole la conversione ecologica, con il che si pretende di dare un’anima cristiana ad una scelta politica e per di più discussa e discutibile. Tutto il forum è stato orientato a piegare il cristianesimo ad alcune esigenze politiche ed economiche del mondo di oggi, senza approntare dei criteri di giudizio, senza riferirsi ai principi della Dottrina sociale della Chiesa, senza tenere conto di quanto la Chiesa aveva insegnato su questi temi fino a ieri l’altro. Tutti i relatori si sono scagliati, copiando servilmente dalla Laudate Deum, contro il “paradigma tecnocratico”, come se la rivoluzione green non fosse tecnocratica, ma felice, spontanea e bucolica, e come se le transizioni che essa richiede non fossero costosissime per alcuni e vantaggiosissime per altri. Costosissime soprattutto per i poveri.

Rimane tutto da spiegare perché debba essere un vescovo a ospitare un simile appuntamento, perché esso debba essere tenuto in una sala di un Episcopio, perché le parole Gesù Cristo non siano mai state pronunciate, perché siano stati invitati solo relatori di un’unica idea, perché le conclusioni siano state messe in mano al Petrini di turno, perché si dovrebbe assumere come criterio di vita l’imbarazzante decalogo da egli proposto, perché non si abituino le persone, compresi i fedeli, ad usare la ragione, perché si sposi la posizione del potere globalista sulla crisi ambientale fingendo di criticarlo, perché si dia la parola ad esponenti di linee culturale e politiche decisamente anticristiane e antiumane.