martedì 31 gennaio 2023

In cosa consisteva la pedagogia di don Bosco?







di Corrado Gnerre

Don Bosco viene ricordato anche per la sua pedagogia. Essa è stata definita “preventiva”, ovvero una pedagogia che mirava ad evitare gli errori comportamentali piuttosto che a curarli dopo che questi si fossero manifestati. In realtà il famoso sacerdote piemontese era convinto che la pedagogia vera non avesse bisogno di metodi precostituiti, ma decise lo stesso di dare un nome alla sua pedagogia perché doveva pur dare una definizione da presentare al ministro Rattazzi.

La pedagogia preventiva presuppone l’esistenza della verità


La pedagogia di Don Bosco era ovviamente una pedagogia che si basava sulla convinzione dell’esistenza della verità. Sulla convinzione cioè che il soggetto che la pedagogia doveva servire (il fanciullo), pur nelle diversità contestuali, familiari e sociali, fosse sempre lo stesso, ovvero un dato perenne. A dimostrazione di ciò, egli affermava che il primo bisogno del fanciullo fosse quello di essere amato. Sperimentò che quando un giovane o un fanciullo vive nella strada o una vita animalesca nei tuguri, diventa diffidente e scontroso. Invece, quando gli si dimostra affetto e lo si circonda di calore e simpatia, le cose cambiano. Insomma, va fatto capire ai fanciulli che la loro vita non è senza senso, ma sempre frutto di un progetto di amore, che non si è “gettati” nel mondo, ma che invece si ha la possibilità di essere accompagnati dall’Assoluto.

Come mai don Bosco era convinto che il fanciullo, una volta amato, tendesse sempre a rispondere positivamente? La risposta sta nel fatto che egli era convinto che nessun fanciullo fosse veramente cattivo. Attenzione però: questa convinzione non si poneva all’interno di una prospettiva di tipo roussoniana (l’uomo in natura è sempre buono, ciò che lo corrompe è il progresso e la società), quanto nella concezione autenticamente cattolica del peccato originale. Il Santo credeva che il fanciullo, più facilmente dell’adulto, tendesse a rispondere alla pedagogia dell’amore, perché questi (il fanciullo) ancora conserva in sé le gemme preziose della grazia santificante ricevuta dal Battesimo e di una vita senza malizia.

Dunque, “prevenzione” del suo metodo vuol dire appunto prendere i fanciulli quanto prima: evitare che si possano guastare e quindi rendere più difficile il loro recupero e l’efficacia della pedagogia dell’amore.

Per far questo don Bosco dette grande importanza all’oratorio. Volle che i ragazzi non fossero nella strada, bensì sempre controllati non solo nello studio ma anche nel giocare e nel trascorrere il tempo libero. Attenzione: il gioco e lo sport vennero valorizzati da don Bosco non solo come riempimento, ma anche come realizzazione e contributo importante alla crescita. Il gioco, come possibilità di scaricare le proprie energie per evitare, quindi, qualsiasi tipo di “corto circuito” sul piano fisico e mentale; e per evitare che il fanciullo trascorresse nell’ozio i suoi momenti di libertà dallo studio. Ma anche lo sport, come capacità di giocare nell’accettazione delle regole, vere metafore dell’oggettività della vita; ovvero il fatto che l’uomo non può gestire la sua esistenza a proprio piacimento, ma sempre in conformità alle leggi che non può darsi da sé, ma che invece deve oggettivamente riconoscere e rispettare.

La pedagogia preventiva come ‘risposta’ alla morale autoritaria postkantiana


La pedagogia preventiva di don Bosco muove non solo dalla convinzione dell’esistenza della verità, ma anche dalla convinzione secondo cui tale verità è conoscibile. Essa presuppone che alla base dell’educazione vi sia la possibilità di motivare le regole imposte. Insomma, non si tratta della cosiddetta “morale del pugno sbattuto sul tavolo”, devi far questo perché lo devi fare, bensì della morale che, imponendo regole, dà anche la spiegazione delle motivazioni che ne sono alla base.

In questo senso si capisce molto bene come la spiritualità e il pensiero pedagogico di don Bosco costituiscano valide ed evidenti risposte alla mentalità dominante nel XIX secolo. La morale di quel secolo era infatti di tipo autoritario, proprio perché “figlia” della filosofia kantiana. Tale pensiero aveva demolito la metafisica, affermando l’impossibilità di dimostrare l’esistenza di Dio; accorgendosi poi dell’incapacità, in tal modo, di costruire una morale universale. Kant, dunque, dovette recuperare queste verità non più nella prospettiva razionale, bensì in quella volontaristica: anche se Dio non è conoscibile, deve essere ammesso per esigenze morali. Da qui una morale che non poggiasse sull’evidenza della verità, ma solo sull’impulso della volontà; una morale non più basata sulla persuasione, ma solo sull’imperativo categorico.

L’allegria


L’esito di questa prospettiva pedagogica fondata sul riconoscimento della verità e di una morale basata sulla persuasione era inevitabilmente un rapportarsi positivo e gioioso nei confronti della vita, atteggiamento questo molto lontano dalla cultura del tempo o da spiritualità seriose e protestantiche. Scrive un famoso biografo di don Bosco, Bonaventura Zarbà D’Assoro: Ecco perché don Bosco vuol bandito ogni sussiego e ogni accigliamento del volto degli educatori salesiani, e ogni piega amara sul labbro dei loro educandi. Egli ispira la sua pedagogia al motto di San Filippo Neri: ‘Scrupoli e malinconia, via da casa mia!’ che non è altro poi che la traduzione libera del detto paolino: ‘Guadete, iterum dico, gaudete!’ (…). Dell’allegria don Bosco fece come un precetto del vivere fin dai primi anni, e com’egli aveva vissuta la giovinezza a cielo aperto, così volle che i fanciulli avessero ‘ampia libertà di saltare, correre, schiamazzar a piacimento.’ La disposizione de’ suoi istituti conserva l’impronta di quello stile; niente chiostre e cortili chiusi: aria e luce, nell’anima e fuori.

L’amore alla Chiesa e al Papa


La pedagogia di don Bosco, partendo da questi presupposti, si mosse anche nella trasmissione ai fanciulli dell’affidamento alla Chiesa e al suo Capo visibile, nell’amore verso queste realtà. Il Governo Piemontese, infatti, non sopportava le scuole di don Bosco proprio perché in esse gli allievi s’innamoravano della Chiesa e di Pio IX.

La pedagogia preventiva non prescinde dal senso della giustizia


La prospettiva di don Bosco, proprio perché basata sul riconoscimento della verità e pur fondandosi sull’amore, non si traduceva in una sorta di relativismo mieloso. Egli era convinto della necessità della missione. Racconta Zarbà D’Assoro: “Una delle ultime volte che don Bosco comparve in mezzo ai suoi, il 7 dicembre 1887, fu per trascinarsi incontro a monsignor Cagliero che tornava a rivederlo ancora e gli conduceva con alcune suore una piccola india battezzata. ‘Eccole –gli dissero- o Padre, una primizia che i suoi figli le offrono dagli ultimi confini della terra’. E subito la giovinetta, con accento filiale disse: ‘Vi ringrazio, carissimo Padre, di aver mandato i vostri missionari a salvar me ed i miei fratelli! Essi ci hanno resi cristiani e ci hanno aperto le porte del cielo.’ Don Bosco pianse. Nella piccola india redenta egli vedeva non solo il primo fiore cristiano delle Pampas, ma anche il pegno delle future conquiste destinate ai suoi figli.”


Fonte: I tre sentieri 




lunedì 30 gennaio 2023

Il Papa e i tedeschi ai ferri corti, ma per un compromesso




La “luna di miele” del presidente della conferenza episcopale tedesca Bätzing con Francesco subisce una battuta d’arresto dopo le dichiarazioni del Papa sul sinodo «ideologico» che prendono le distanze dalle aperture. Ora è spalle al muro, ma lo stop di Francesco sembra mirare a un compromesso “alla romana”
.



di Luisella Scrosati (30-01-2023)

Per Mons. Georg Bätzing si avvicina il redde rationem? La luna di miele con papa Francesco pare abbia subito una brusca battuta d’arresto, almeno stando ai toni stizziti della sua ultima intervista del 27 gennaio a Die Welt. Un’intervista decisamente “in piedi” dell’ottimo Lucas Wiegelmann, che più di una volta mette il Presidente della Conferenza episcopale tedesca spalle al muro.

A ben vedere, Bätzing non ha proprio sempre tutti i torti; come quando rimprovera al Papa di voler governare la Chiesa a colpi di interviste. A Wiegelmann che lo accusa di aver ingannato a lungo i fedeli in Germania, avendo sempre detto che il Papa sosteneva il Synodalerweg, mentre invece, nella recente intervista ad Associated Press, lo ha criticato, il vescovo di Limburg risponde: «Prima di tutto, perché il Papa non ce ne ha parlato quando lo abbiamo visitato a novembre? Ci sarebbe stata un’opportunità, ma non ha colto l’occasione per scambiare idee. Considero estremamente discutibile questo modo di esercitare la leadership della Chiesa attraverso le interviste».

E poco oltre ribadisce: «Abbiamo avuto un canale di comunicazione, la visita ufficiale di tutti i vescovi a Roma in novembre. Siamo stati lì per un’intera settimana. Ci siamo seduti insieme a papa Francesco per due ore e mezza. Direi che quello è il luogo in cui il Papa può parlarci. Allora avremmo potuto rispondere». In effetti, ha sorpreso tutti l’assenza del Papa durante l’incontro tra i vescovi tedeschi e i cardinali Ladaria e Oullet; incontro che ha sollevato serie perplessità sulla piega presa dal Sinodo. Pare proprio che al Papa piacciano di più le telecamere che i canali ufficiali.


Ad aver irritato notevolmente il Presidente della DBK è stata la qualifica di “ideologico” che il Papa ha attribuito al Cammino sinodale: «Che Francesco dica anche che il nostro dibattito rischia di diventare “ideologico” e poi come esempio porti proprio la questione del celibato, veramente non riesco più a comprenderlo. Se il celibato debba rimanere obbligatorio è una questione che si discute da 60 anni! E che lo stesso Papa ha ammesso al Sinodo amazzonico! Descrivere questo adesso come un dibattito ideologico, dove lo Spirito Santo, per così dire, scappa in fretta dalla sala, che storia è questa?». Anche in questo caso, difficile dargli torto.

Bätzing tenta invece un’improbabile arrampicata sugli specchi sulla questione del Consiglio permanente, che è stato oggetto di critica nella recente lettera firmata dai cardinali Parolin, Ladaria e Oullet (vedi qui); in particolare per il fatto che si porrebbe come un organismo sovrastante l’autorità dei vescovi nelle proprie rispettive diocesi. Il Vescovo di Limburg dapprima prova a ad evitare il problema: «Noi in Germania stiamo cercando un modo di consultazione e decisione realmente comunitarie, senza che le norme canoniche che riguardano l’autorità del vescovo vengano scavalcate. Stiamo ancora parlando di come raggiungere questo obiettivo».

Messo però alle strette da Wiegelmann, che gli ricorda che o questo Consiglio non decide nulla (e dunque è inutile), oppure ha un ruolo decisionale, attirando la condanna di Roma, Bätzing si inventa una singolare ”via di mezzo”: «In Germania abbiamo già dagli anni ’70 la cosiddetta Gemeinsame Konferenz (Conferenza congiunta), in cui si consultano la Conferenza episcopale e il Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZdK), cioè laici e vescovi. Questa Conferenza congiunta ha ricevuto compiti specifici. Quindi l’opzione di ripiego è: rimaniamo con questo modello e aggiungiamo semplicemente compiti importanti che sono fattibili dal punto di vista canonico». Quali compiti e con quale forza vincolante per i vescovi? «È già vero – spiega Bätzing – che gli organi consultivi nella Chiesa prendono effettivamente molte decisioni importanti, e alla fine noi vescovi spuntiamo solo formalmente la casella».

Dunque, secondo il Presidente della DBK, sarebbe compatibile con il diritto canonico, il quale traduce sul piano giuridico l’identità teologica del vescovo (si veda in particolare Lumen Gentium, 21), il fatto di trasformare i vescovi in “spuntatori di caselle” anche su questioni dottrinali e morali.

Quanto al rischio di scisma, Bätzing respinge l’idea che possano esserci scissioni ed indica la sua via d’uscita: «Dobbiamo parlarci, scendere a compromessi l’uno con l’altro». Un po’ alla romana: una concessione sul celibato potrebbe placare la spinta verso il sacerdozio femminile, e il via libera alle benedizione delle coppie omosessuali potrebbe valere la rinuncia all’approvazione dottrinale della sodomia.

Sicuramente l’intervista di Francesco all’Associated Press ha messo in seria difficoltà l’autorevolezza di Bätzing in Germania, il quale rassicurava dell’appoggio del Papa, aumentando così la temperatura delle aspettative dei cattolici progressisti. Il Papa decide ora di prendere gesuiticamente le distanze dal Cammino sinodale, dopo che per anni ha lasciato che andasse per la sua strada, gettando tutta la responsabilità sul vescovo di Limburg.

Bätzing da parte sua respinge con decisione l’idea che dal Papa sia venuto uno stop – «No, non l’ha mai detto, e non lo dice nemmeno questa volta!» – e punta dritto all’obiettivo che potrebbe trovare nuovamente d’accordo lui e Francesco: «Francesco dice anche nell’intervista che le tensioni devono essere sanate, che dovremmo inserire i nostri temi nel Sinodo mondiale del Vaticano attualmente in corso. Bene, questo è il nostro contenuto originario, è esattamente quello che vogliamo».

Forse è proprio qui che Francesco voleva arrivare: evitare che i vescovi tedeschi finiscano per prendere decisioni rivoluzionarie, in modo elitario e su base regionale. «L’esperienza tedesca non aiuta, perché non è un Sinodo, un cammino sinodale serio, è un cosiddetto cammino sinodale, ma non della totalità del popolo di Dio, ma fatto di élite», spiegava il Papa. L’obiettivo è «avere pazienza, dialogare e accompagnare questo popolo nel suo cammino sinodale e aiutare questo cammino più elitario perché non finisca in qualche modo male, ma si integri anche nella Chiesa». Il Sinodo sulla sinodalità potrebbe aprire le sue porte alle acque malsane del Reno.








domenica 29 gennaio 2023

Il latino continua a vivere anche dopo aver smesso di essere una lingua parlata. Aspetti da non dimenticare




28 gennaio 2023

È fuori moda, sarebbe oggetto degli strali più aspri della cancel culture, è oggi guardato (spesso perfino nel mondo accademico) con una certa insofferenza, ma quel che scrisse sulla «persistenza del latino scritto» un maestro indiscusso di comparatistica e storia delle lingue come Antoine Meillet resta illuminante e, almeno nelle sue linee essenziali, ancora valido ed attuale.



Stralci nella traduzione italiana:


«Il latino scritto [...] ha salvaguardato la tradizione della civiltà antica, con la quale non c’è mai stata rottura nell’Impero romano: l’Occidente ha conservato ciò che ha potuto della letteratura latina, così come Bisanzio ha conservato parte della letteratura greca.


[...] D’altra parte, il latino scritto era la lingua del cristianesimo in Occidente.[...] Tra la lingua più classica e quella della Vulgata o dei Padri della Chiesa ci sono solo differenze di dettaglio [...]. Rimase sempre un solo latino scritto, che era l'unica lingua della Chiesa romana, l'unica lingua della cultura intellettuale sopravvissuta in Occidente. Malgrado la diversità delle dominazioni barbariche, questa unità non è stata mai inficiata; e, anche quando in un territorio non si parlava una lingua romanza, il latino è stato la lingua della civiltà e della Chiesa - inseparabili l'una dall'altra [...].


Il re franco Carlo Magno si fece incoronare imperatore romano, protesse la Chiesa romana e fu sostenuto da essa; nel diffondere il cristianesimo propagò l’uso del latino scritto nell’Europa centrale. [...] L’impero di Carlo Magno non mantenne l’unità che il suo fondatore gli aveva dato. [...] Ma, soprattutto nelle regioni di lingua tedesca e slava occidentale e in Italia, in certa misura il senso di unità dell’impero perdurò e andava ad aggiungersi all’unità reale e indiscussa – anche quando il papato fu temporaneamente diviso – della Chiesa.


[...] Per quanto il potere politico fosse diviso e sgretolato, in Occidente restava integra nondimeno l'unità culturale. Fino alle soglie dell’età moderna, non si pensò se non in latino. [...] Tale unità era così forte e profondamente radicata che la sua azione si manifesta ancora oggi con forza. Anche se la Riforma ha rotto l’unità della Chiesa e ha staccato da essa gran parte dei territori di lingua tedesca [...], tuttavia il cattolicesimo romano è ancora oggi l'unica religione che merita il nome di cattolica, cioè universale. [...] È imitando l’articolazione delle frasi latine che i prosatori europei hanno imparato l’arte della scrittura. L’Europa e l’America potranno anche dimenticare l'unità originaria della loro cultura – e lo farebbero a proprio discapito – ma le loro lingue di civilizzazione, attraverso la loro unità (rivendicata o dissimulata che sia), continueranno sempre a testimoniare che, dietro le diversità di cui tanto ci si vanta e di cui di esagera il valore, rimangono - a volte poco visibili, spesso dimenticati ma sempre attivi - gli enormi benefici dell'unità romana».

ù(Da A. Meillet, Esquisse d'une histoire de la langue latine, Hachette, Parigi 1931, pp. 279-284)





sabato 28 gennaio 2023

giovedì 26 gennaio 2023

Se rubare 30 ostie è un furto... attenuato




Il tribunale di Varese assolve dall'accusa di furto aggravato un 25enne che trafugò una pisside con 30 ostie (mai ritrovate) danneggiando il tabernacolo. Il «fatto è tenue» - la motivazione del giudice -, vale a dire di scarsa importanza. Almeno i "30 denari" un qualche valore ce l'avevano.

Andrea Zambrano, 26-01-2023

Secondo il dizionario Treccani il significato dell’aggettivo tenue è: di poca importanza, di scarso rilievo. Codice penale alla mano, un giudice di Varese ha deciso di considerare un fatto tenue, cioè di scarsa importanza, il furto di una pisside che un malcapitato 25enne ubriaco aveva sottratto dalla chiesa di Muceno, una piccola frazione del varesotto, nel comune di Porto Valtravaglia. Con questa motivazione, infatti, l’uomo è stato assolto dall’accusa di furto aggravato nel processo che lo ha visto imputato martedì. E proprio con la stessa motivazione il pm Antonia Rombolà aveva chiesto al giudice di assolverlo. Così è stato e il giovane l’ha fatta franca, almeno per la giustizia terrena.

Intanto, però, di caos l’uomo ne aveva fatto nel settembre 2020 quando, entrato nella chiesetta aveva preso un crocifisso e lo aveva utilizzato come piede di porco per scardinare la porticina d’ottone del tabernacolo e trafugare la pisside, anch’essa di ottone, con al suo interno 30 ostie consacrate.

Un furto sacrilego, tecnicamente parlando, ma di lieve entità secondo pm e giudice.

La pisside e la porticina del tabernacolo sono di ottone, evidentemente il pm e poi il giudice hanno dovuto concludere che in fondo rubare un oggetto di ottone non è poi così grave. Certo, se consideriamo maniglie, corrimano, spalliere da letto, l’ottone è davvero un materiale di scarso valore.

Già più complicato dimostrare lo scarso valore di una tromba di ottone, soprattutto se è quella che utilizzava Miles Davis in Blue in green. Ma nessuno si è interrogato su ciò che quell’ottone conteneva. Che vale più dell’oro se stiamo a ciò che la Chiesa insegna nella sua imperturbabile verità. 30 ostie consacrate possono, a conti fatti, determinare la salvezza eterna di almeno 30 anime, ma di queste “tenuità” il giudice non è tenuto a occuparsi, né ci si è chiesti durante l’udienza, almeno stando alle cronache, che cosa ne è stato di quelle 30 particole.

Certo, considerare nel codice di procedura penale un appiglio per ricordare all’ubriaco scardinatore che anche il sacrilegio, se compiuto attraverso un furto di cose, può essere un reato, evidentemente era troppo impegnativo. Meglio derubricare a fatto di tenue entità il tutto.

Eppure, le indagini per come erano partite non sembravano affatto declinare all’attenuamento del reato. I carabinieri avevano isolato le impronte digitali dell’uomo e le avevano spedite al Ris di Parma per l’analisi dattiloscopica. In questo modo erano risaliti all’autore del furto, il quale dopo aver confessato aveva anche restituito il maltolto alla parrocchia. Il parroco di allora (nella foto) e il sindaco avevano persino fatto una cerimonia di riconsegna della porticina del tabernacolo restaurata. Delle ostie trafugate non si era però più saputo nulla, né risulta che ci siano state Messe di riparazione per il grave “ratto eucaristico”.

Però, a conti fatti, isolare le impronte digitali e inviarle al Ris per analizzarle non deve essere stata un’operazione di tenue entità, per lo meno nei costi sostenuti dalle forze dell’ordine durante l’indagine, a carico del contribuente. Non è che tutte le volte che in casa arrivano gli zingari per rubare collane e catenine d’oro si allestisce la scena del delitto con gli agenti in tuta bianca e reflex col flash, insomma, non è mica il furto della collana di Maria Antonietta ad opera di Lupin.

Ma per la chiesetta di Maceno è stato fatto e questo significa che un qualche valore l’operazione furto ce l’aveva. Per non considerare il passaggio in tribunale, le cui spese processuali sono anch’esse a carico del cittadino, essendo l’uomo stato assolto. Insomma: qua di tenue c’è soltanto la pisside d’ottone, che se fosse stata d’oro allora sì che un anno con la condizionale non glielo levava nessuno. Mentre, destino ancor più “vile” è toccato alle ostie, delle quali nessuno ha considerato il valore sovra economico, di altra natura.

Anche il parroco don Luca Ciotti, al telefono con la Bussola, non sembra particolarmente preoccupato dell’esito del procedimento, anzi sembra proprio chiamarsi fuori: «Sono arrivato da pochi mesi, non so nulla di questa storia - ha detto – e devo capire che cosa è successo».

Sul fatto in sé, cioè il trafugamento delle particole, il parroco ha ammesso che «non è una cosa leggera trafugare delle ostie», salvo però aggiungere una – perdonate il gioco di parole – attenuante: «Chi l’ha fatto è inconsapevole di quello che ha fatto, magari pensava che fosse una cassaforte, io non starei a farci sopra una crociata, chi lo ha fatto lo ha fatto con poca consapevolezza e quindi non c’è neanche una colpa grave».

Sicuro? E se le ostie fossero finite al “mercato” delle messe nere? Non abbiamo prove né in un senso né in un altro. Povero Gesù, almeno i 30 denari come prezzo del tradimento un qualche valore economico ce l’avevano. Oggi, al mercato del relativismo, 30 ostie non valgono neanche una multa per furto… attenuato.





mercoledì 25 gennaio 2023

Davvero arriverà un documento ancora più restrittivo di “Traditionis custodes”? Ipotesi e prospettive





25 GEN 2023


Saved in: Blog
Aldo Maria Valli

Da diverse settimane circolano voci secondo cui papa Francesco starebbe per firmare un documento che restringerebbe ulteriormente la celebrazione della Messa tradizionale. Un sito tedesco ha spiegato in dettaglio quali sarebbero le nuove restrizioni, e altri, come Infovaticana, Rorate Coeli e Messainlatino, hanno fatto eco.

Stando a quanto si vocifera, il nuovo documento sarebbe quasi pronto e dovrebbe uscire nel prossimo aprile, o maggio, in forma di esortazione o costituzione apostolica. Visto lo scarso effetto avuto da Traditionis custodes, lo scopo del papa sarebbe di limitare ulteriormente le possibilità di celebrare con il rito tradizionale. Le nuove restrizioni sottrarrebbero ogni potere decisionale ai vescovi rimettendolo nelle mani di Roma, la quale stabilirebbe che nessun tipo di celebrazione liturgica tradizionale potrà aver luogo nelle chiese diocesane o, al più, potrà essere celebrata solo da sacerdoti appartenenti a istituti religiosi nati attorno a questo rito (Fraternità sacerdotale san Pio X, Cristo Re, Buon Pastore, eccetera), comunità che dunque avranno l’esclusiva della celebrazione della Messa e dell’amministrazione dei sacramenti secondo i libri precedenti la riforma di Paolo VI.



In proposito ci siamo consultati con due fonti romane che frequentano i sacri palazzi e abbiamo avuto due risposte diverse.

La prima risposta dice che non è in preparazione nessun documento del genere. Le indiscrezioni trapelate sarebbero solo voci di corridoio diffuse per rendere ancora più teso un clima già di fibrillazione.



Solo pettegolezzi, dunque, messi in giro al fine di destabilizzare un panorama già precario. Facendo riferimento alla contorta psicologia di Francesco, chi avalla questa tesi sostiene che un documento con tali caratteristiche non arriverà mai perché ammetterebbe il fallimento di Traditionis custodes, che ha solo due anni di vita. Sarebbe come dire che il re non ha potere e servirebbe a confermare l’idea di quei vescovi, sacerdoti e laici secondo cui papa Francesco è un’anatra zoppa. E la similitudine è la cosa peggiore che possa capitare a un sovrano.



Un tale documento dichiarerebbe che i vescovi hanno disobbedito al papa, perché era compito loro applicare Traditionis custodes. Ma se hanno già disobbedito una volta, perché non dovrebbero rifarlo?

E poi il papa avrebbe l’audacia di misericordiare diverse dozzine di vescovi? Firmando un documento del genere, Bergoglio correrebbe molti più rischi che lasciando le cose come stanno. Nessuno vuole rendere manifesta la propria incapacità e la perdita di potere.



D’altra parte, nei giorni scorsi gli oppositori di papa Francesco, che erano rimasti in attesa e in prudente silenzio, sono entrati in scena con le baionette in pugno. È il caso del cardinale Pell, di venerata memoria, del vescovo Gänswein e, di recente, del cardinale Müller, il cui nuovo libro dice autorevolmente, con giusti e puntuali attacchi a Bergoglio, ciò che da questo blog e da altri diciamo ormai da molti anni. In questo quadro, un documento con ulteriori e dure restrizioni alla liturgia tradizionale aprirebbe un nuovo fronte di battaglia, ma Francesco, a causa della debolezza del suo pontificato, non può permettersi il lusso di prestare un altro fianco su cui essere attaccato. Appena uno dei mastini inizierà a mordergli i garretti, molti altri lo attaccheranno. Il bambino ha già gridato che “il re è nudo”, e la folla inizia a vociferare.

Un’altra versione secondo cui il documento sarebbe solo un mero mormorio senza fondamento dice che la decisione di limitare in questo modo crudele la celebrazione di un antico rito della Chiesa dovrebbe essere sostenuto da solide argomentazioni teologiche in grado di scardinare le argomentazioni che papa Benedetto XVI ha inserito nel Summorum Pontificum, ma questa non è una cosa facile da fare. Inoltre, non sembra proprio che le persone che lavorano per il cardinale Roche, nel Dicastero per il culto divino, abbiano la capacità di procedere in tal senso. Proprio questa fatale mancanza di argomentazione teologica farà in modo che ogni vescovo, e pure ogni sacerdote, discernerà – verbo tanto caro alla politica pontificia – di proseguire con le celebrazioni della Messa tradizionale. E poi sarà il prossimo papa a mettere in ordine le cose.



La seconda fonte consultata, invece, ci ha confermato che esiste effettivamente una bozza di documento con queste caratteristiche. Potrebbe darsi che sia stato elaborato nelle fucine del Dicastero per il culto divino su iniziativa di Roche e dei suoi, ma si tratta ora di capire che cosa deciderà di farne Francesco quando glielo presenteranno. Potranno anche rilegarlo in pelle di vitello con bordi dorati, ma il papa di certo non ci penserà due volte a buttarlo nel cestino se penserà che il documento non sia una buona idea sul piano politico.

Tuttavia, come detto, la psicologia di Bergoglio è contorta. Può anche darsi che sia stato lui stesso a incoraggiare quel documento e che lo firmerà.

Proviamo a ipotizzare questo scenario. Ci ritroveremmo nella stessa situazione che abbiamo vissuto sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, quando solo pronunciare le parole “Messa tridentina” era tabù.



Circa questo scenario giovanpaolista-franceschista, la prima cosa da dire, per stare a noi, è che in Argentina e nella maggior parte dell’America Latina le cose non cambierebbero più di tanto. Da queste parti le cappelle della Fraternità san Pio X continuerebbero a crescere inarrestabilmente, così come è successo in gran parte del mondo, e altre regioni, soprattutto Europa e Stati Uniti, ne sarebbero fortemente colpite. Si pensi, ad esempio, che in tutta la città di Parigi non esiste una chiesa in cui venga celebrata la messa tradizionale da parte degli istituti ex Ecclesia Dei; e in tutta la Spagna ce n’è una sola. L’entrata in vigore della nuova norma comporterebbe che tutti i vescovi dovrebbero decretare immediatamente che il culto tradizionale non può essere celebrato nelle chiese delle loro diocesi e, di conseguenza, che le decine di migliaia di fedeli, di tutto il mondo, che da molti anni frequentano queste celebrazioni si troverebbero da un giorno all’altro senza luogo di culto.

Analizzando questa eventualità, ricordiamo quanto accaduto quando entrò in vigore il messale di Paolo VI: nessuna ribellione. Ma le circostanze erano diverse: c’erano la novità, l’enorme forza d’inerzia del Concilio e l’atteggiamento remissivo di tutti i fedeli – clero e laici – agli ordini di Roma. Nessuna di queste circostanze è presente oggi: la novità ha cessato di essere tale, perché noi ormai sappiamo bene in cosa consiste il famoso novus ordo. Inoltre il Concilio è apertamente messo in discussione e i fedeli non sono più mansueti come una volta. D’altra parte, il Summorum Pontificum è penetrato in profondità in un ristretto ma convinto numero di cattolici. Coloro che frequentano da quindici anni la liturgia tradizionale, e soprattutto i giovani che vi sono cresciuti, saranno disposti a farsela portare via docilmente da un paio di insignificanti officiali romani e dal capriccio di un pontefice caduto in disgrazia? Chi metterà le firme necessarie dovrà tener conto di questa situazione: il nuovo documento potrebbe generare ribellioni di fedeli in molte diocesi, soprattutto americane. E i molti sacerdoti – soprattutto giovani – che celebrano il vetus ordo permetteranno che gli venga sottratto? Nel modo di protestare saranno certamente più cauti, come si conviene, ma dai vescovi esigeranno ciò che è loro dovuto.



E cosa faranno i vescovi? Sopporteranno di vivere anni nelle diocesi avendo la gran parte del clero – i preti migliori e più giovani – insoddisfatto e i laici infuriati? O applicheranno il discernimento franceschista evitando di obbedire all’ordine romano? Sarà interessante stare a vedere.

Postilla 1. Vista l’età avanzata di Francesco, non sembrerebbe opportuno, prima di consegnare l’anima al Creatore, decidere di firmare un documento che, facile prevederlo, potrebbe portare a disordini in tutte le diocesi. In tal caso, l’argomento sarebbe certamente oggetto di più di una conversazione tra i cardinali in conclave, e non è plausibile pensare che il nuovo papa vorrà iniziare la sua amministrazione gettando benzina sul fuoco. Più logico immaginare che cercherà, in qualche modo, di calmare le acque.

Postilla 2. È chiaro che, in caso di pubblicazione del documento, sarebbe essenziale la forte protesta e l’inarrestabile ribellione dei fedeli. Che non vengano ora i soliti genietti a cercare di imporre strategie inutili o a proporre ermeneutiche contorte. Se un simile documento dovese uscire, l’unica possibilità di sopravvivenza del rito tradizionale, al di là della FSSPX e della sua piena cittadinanza con pieni diritti all’interno della Chiesa, sarebbe la protesta dei fedeli, quanto e come possibile. Nessuno può portarci via ciò che ci appartiene. Forse è arrivato il momento di tornare in trincea.

Fonte: caminante-wanderer.blogspot.com

Titolo originale: Rumores sobre nuevas restricciones a la liturgia tradicional

Traduzione di Valentina Lazzari.






martedì 24 gennaio 2023

Il sistema internazionale dei diritti umani: corruzione e influenza







di Louis-Marie Bonneau, 24 GEN 2023

Mentre il Centro europeo per il diritto e la giustizia (ECLJ) denuncia il finanziamento occulto di parecchi esperti dell’ONU, Fondazioni neoliberali, imprese multinazionali, grandi università e anche alcuni Stati finanziano le istituzioni internazionali per i diritti umani e ne condizionano ideologicamente l’operato. Lo scopo è di imporre una certa visione dei diritti umani, conforme ad una società aperta, frammentata e post-tradizionale.

Il sistema internazionale dei diritti umani è condizionato da un fenomeno di “cattura” e di “privatizzazione”, due parole che possono essere riassunte nel termine “influenza”. Quando si parla di “sistema internazionale dei diritti umani” s’intendono le corti internazionali incaricate di far rispettare le convenzioni che tutelano tali diritti (Corte europea dei Diritti umani e Corte interamericana dei Diritti umani, per esempio) come pure le organizzazioni internazionali specializzate in questo ambito (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani, Il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione, ONU Donne, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo…). Questo fenomeno di “cattura” si esprime in varie forme: finanziamento delle istituzioni, partecipazione istituzionale ai loro lavori, intervento nella procedura di nomina dei membri e creazione di una bolla ideologica stagna intorno ad essi.

Influenzare i diritti umani: un investimento redditizio


Le relazioni finanziarie delle varie istituzioni citate mostrano che esse sono parzialmente finanziate da donatori volontari privati. Molto spesso i principali contribuenti sono le fondazioni neoliberali Open Society, Ford, Oak, Gates e MacArthur. Anche talune imprese come Microsoft, Google o Facebook finanziano il sistema dei diritti umani. Tuttavia non sono le uniche, in quanto anche grandi università del sistema anglo-sassone (esse stesse spesso finanziate dalle suddette fondazioni neoliberali) forniscono un sostegno. Taluni Stati sono pure particolarmente attivi, come i Paesi Bassi o la Norvegia, sovvenzionando le istituzioni ben oltre i contributi di stato ordinari. Ci si può quindi chiedere cosa spinge questi vari attori a finanziare il sistema internazionale dei diritti umani.

Per i neoliberali, la democrazia e i diritti umani sono un espediente per veicolare la loro ideologia nel mondo intero. Le corti specializzate e le istituzioni internazionali incaricate di tutelare tali diritti diventano così enti strategici mediante la loro influenza e il potere sugli Stati. Questo è tanto più vero in quanto le ONG godono di facilitazioni d’intervento e i fondi neoliberali riempiono, a loro vantaggio, il vuoto economico causato dalla mancanza di contributi di Stato ordinari. Ecco dunque un’opportunità per queste grandi fondazioni di portare avanti la loro visione dei diritti umani, cioè il progetto di creare una società aperta all’egemonia del mercato e più in particolare alla crescita dei profitti privati. La segmentazione della società in gruppi minoritari è un metodo per “liquefarla” e renderla permeabile all’imposizione di un mercato globale aperto e senza ostacoli alla libera circolazione dei beni e delle persone. L’interesse economico di questi gruppi è di spingere gli Stati verso società multietniche governate da “Stati internazionali”.

Una nuova morale: l’ideale della “Società aperta”


A proposito di questi finanziamenti, un ex esperto dell’ONU intervistato dall’ECLJ, parla di “corruzione silenziosa”. Anzitutto bisogna ben capire cosa s’intende per “corruzione”. Oltre all’aspetto finanziario che, come abbiamo visto, oggi discredita il Parlamento europeo, la corruzione svela soprattutto l’indebolimento intellettuale, morale e ideologico delle persone che agiscono all’interno dei meccanismi dei diritti umani (giudici, esperti dell’ONU…) veicolando l’imposizione, da parte di agenti esterni, di un programma e di temi precisi. La spiegazione di tale dinamica si può ravvisare sia nel fatto che tali attori dei diritti umani non sono sempre attrezzati per rilevare e contrastare l’influenza che potrebbero subire, sia nel fatto che essi stessi aderiscono ai messaggi di coloro che li influenzano, che comunque detengono l’egemonia economica e culturale necessaria al loro predominio su questo sistema.

Per i neoliberali, la posta in gioco è infatti dissolvere le “società chiuse” tradizionali sovrane, servendosi del contenzioso internazionale e dell’influenza di coloro che sono punti di riferimento in quest’ambito: per esempio, gli esperti dell’ONU o i giudici della CEDU. L’obiettivo è raggiungere la “società aperta”, ideale di ciò che Marcel De Corte chiamava la “dis-società”. Questo avviene grazie all’omogeneizzazione culturale tra gli Stati e dunque attraverso una battaglia contro le specificità, le tradizioni e i retaggi storici e religiosi. L’ex esperto dell’ONU per la salute esprimeva bene questa idea in una delle sue relazioni: «La xenofobia, i “valori familiari tradizionali” e altre forme di discriminazione minano la coesione sociale, a scapito di tutti». Nel corso del suo mandato aveva ricevuto finanziamenti diretti dalla Open Society di almeno 425.000$. Se ne può dedurre l’osservazione che nei Paesi di tradizione cristiana, le controversie portate davanti alle corti europee sono orientate all’emancipaziuone religiosa, al “diritto all’aborto”, all’eutanasia e ai diritti delle minoranze sessuali. Questa strategia ha una logica economica poiché, come spiega il Dr Gaëtan Cliquennois, ricercatore presso il CNRS (ndt Centre National de la Recherche Scientifique), «la mondializzazione economica poggia sulla mondializzazione culturale»[1].

Un ordine morale binario


Spesso abbiamo l’impressione di assistere all’imposizione di un ordine morale binario. Nelle nostre società secolarizzate, sta apparendo un nuovo clero simbolico. Si tratta dei “profeti dei diritti umani”. Questo nuovo clero impone implicitamente una morale che deve guidare l’azione politica. E, ancora prima di imporla, l’annuncia. È ciò che Charles Péguy scriveva: «Tutto comincia in mistica e finisce in politica». Nella società dell’ateismo radicale, la mistica del progresso insegna all’uomo che deve essere misura di ogni cosa, che l’autonomia della sua volontà è fondamento del reale. Pur non essendo vera, questa idea è redditizia e taluni “filantropi” l’hanno ben compreso.

di Louis-Marie Bonneau

Ricercatore associato presso il Centro europeo per il diritto e la giustizia (ECLJ)

Pubblicato su “L’Homme Nouveau”, Parigi, n. 1774, 31 dicembre 2022, pp. 12-13

Traduzione dal francese di Orietta Tunesi.


[1] Cf. Gaëtan Cliquennois, European Human Right Justice and Privatisation – The Growing Influence of Foreign Private Funds, Cambridge University Press, pag. 257.










domenica 22 gennaio 2023

Benedetto XVI postumo: l'opposizione di alcuni alla Messa tridentina è dovuta al fatto che vedono in essa un'idea inaccettabile di sacrificio espiatorio



Il nuovo libro, postumo, di Benedetto XVI. "Che cos'è il cristianesimo".



L'INTERCOMUNIONE TRA CATTOLICI E PROTESTANTI NON È POSSIBILE

Infocatolica, 19-1-23


Il defunto Papa Benedetto XVI considerava impossibili le celebrazioni congiunte della comunione tra cattolici e protestanti a causa delle differenze fondamentali. Il pontefice tedesco ha espresso il suo pensiero su molti argomenti nel suo libro pubblicato postumo Che cos'è il cristianesimo? La sua posizione in difesa della Messa tridentina e la sua definizione di coloro che la rifiutano è certamente significativa.


(Katolisch/InfoCattolica) 

Parti del saggio erano già apparse nel 2020 in un libro scritto in gran parte dal cardinale Robert Sarah. Tuttavia, il confronto con il protestantesimo è nuovo.

Nel testo ora pubblicato, come riporta Katolisch, Benedetto XVI lamenta che il Concilio Vaticano II (1962-1965) "non ha affrontato la fondamentale messa in discussione del sacerdozio cattolico da parte della Riforma del XVI secolo". Si tratta di una "ferita che ora si fa sentire e che, a mio avviso, deve essere finalmente affrontata in modo aperto e fondamentale". Il pontefice, recentemente scomparso, sottolinea che si tratta di una questione "tanto importante quanto difficile, perché da essa dipende l'intero problema dell'interpretazione della Scrittura, la cui ermeneutica è stata definita da Lutero".


Benedetto XVI vede l'errore fondamentale di Lutero nel fatto che ha costruito un'opposizione inconciliabile tra il concetto sacerdotale dell'Antico Testamento e il sacerdozio conferito da Gesù. L'intera costruzione di Lutero si basava sul contrasto tra la legge e il Vangelo, tra la giustificazione per opere e la giustificazione per sola fede. In realtà, però, la Chiesa primitiva aveva già collegato il sacerdozio dell'Antico Testamento con i ministeri del Nuovo Testamento e non vedeva la giustificazione per fede e per opere come opposte.


Il culto protestante e la messa sono "chiaramente" diversi nella sostanza.



A causa dei loro fondamenti teologici completamente opposti, "è abbastanza chiaro che la 'Cena del Signore' (ndt: è così che i protestanti chiamano il loro culto domenicale) e la 'Messa' sono due forme di culto fondamentalmente diverse, che per loro stessa natura si escludono a vicenda". Chi predica l'intercomunione oggi dovrebbe ricordarlo", è l'ammonimento postumo di Joseph Ratzinger.


Per quanto riguarda quelle che il sito web patrocinato dai vescovi tedeschi chiama "controversie cattoliche interne sul sacrificio della Messa", Benedetto ha sottolineato che nella riforma liturgica successiva al 1969 "le tesi di Lutero hanno avuto un certo ruolo, tacito, così che alcuni ambienti hanno potuto affermare che il decreto del Concilio di Trento sul sacrificio della Messa è stato tacitamente abolito". Esprime quindi il sospetto che la durezza dell'opposizione alla Messa antica derivi in parte anche dal fatto che alcuni vedono in essa un'idea di sacrificio e di espiazione non più accettabile.




Il mondo moderno accetta più Lutero che il cattolicesimo.



Alla fine delle sue riflessioni, finora inedite, Papa Benedetto XVI afferma:


"È evidente che il pensiero moderno (...) si trova più a suo agio con l'approccio di Lutero che con quello cattolico. Infatti, un'interpretazione pneumatologica della Scrittura, che interpreta l'Antico Testamento come un percorso verso Gesù Cristo, è quasi inaccessibile al pensiero moderno. Ma è comunque chiaro che Gesù non pensava in termini di una radicale "sola fide", ma in termini di compimento della legge e dei profeti. È compito della nuova generazione creare le condizioni per una rinnovata comprensione di ciò che ho esposto qui".




Dialogo con l'Islam


Benedetto XVI ha poi criticato alcuni tentativi attuali di dialogo tra cristiani e musulmani. Spesso sono caratterizzati da una "insufficiente conoscenza delle sacre scritture" di entrambe le religioni. Inoltre, questo dialogo è spesso "strutturalmente fuori luogo". Da un lato, si sottolinea che sia la Bibbia che il Corano parlano della misericordia di Dio. Da questo deriva l'imperativo di amare il prossimo. Ma si sostiene anche che entrambi i testi contengono inviti alla violenza. Infine, in un certo senso, ci si pone al di sopra di entrambe le religioni e si afferma che in entrambe c'è il bene e il male e che quindi è necessario leggere la Bibbia e il Corano con un'ermeneutica dell'amore e opporsi alla violenza con un occhio di riguardo per entrambe.


In questo modo, secondo la critica del Papa Benedetto XVI, si confondono diversi livelli. A differenza della Bibbia, il Corano è un libro unico. I musulmani la considerano un'ispirazione diretta di Dio e quindi rivendicano un'autorità che emana da Dio.


La Bibbia, invece, è una raccolta di scritti che si è sviluppata nel corso di mille anni. Secondo le credenze ebraiche e cristiane, non sono dettate direttamente da Dio. La loro autorità si sviluppa sempre e solo nell'interpretazione del cammino che il popolo di Dio ha percorso sotto la loro guida. In questo senso, la fede cristiana non è una "religione del libro". Coloro che osservano queste differenze strutturali diffideranno di fare paralleli affrettati tra le due religioni.




La falsa tolleranza in Occidente



In un altro testo, Benedetto critica quella che considera una concezione errata della tolleranza in molti Stati occidentali. Le "grandi potenze della tolleranza" non concedono al cristianesimo la tolleranza che propagandano", critica. Con la loro "manipolazione radicale dell'uomo" e "la distorsione dei sessi attraverso l'ideologia di genere", si opponevano chiaramente al cristianesimo, afferma in un saggio inedito sul tema "Monoteismo e tolleranza".


Nel testo, scritto alla fine del 2018, spiega:


"L'intolleranza di questa apparente modernità nei confronti della fede cristiana non si è ancora trasformata in aperta persecuzione, eppure si manifesta in modo sempre più autoritario con l'obiettivo di arrivare, attraverso una legislazione adeguata, all'estirpazione di ciò che è essenzialmente cristiano".


Benedetto XVI non ha condiviso la critica secondo cui la fede cristiana sarebbe di per sé intollerante a causa della sua pretesa di verità e universalità. Questa visione si basa sul sospetto che la verità in sé sia pericolosa. Al contrario, la tolleranza è ancorata all'essenza della verità, ha detto il pontefice. Le società che si oppongono alla verità sono intolleranti.


Il libro contenente i testi teologici del Papa emerito è disponibile nelle librerie da mercoledì . Intitolato "Che cos'è il Cristianesimo?", contiene 16 testi del periodo successivo alle dimissioni di Benedetto dal papato nel 2013; la maggior parte sono stati scritti intorno al 2018, l'ultimo nel 2022. È stato pubblicato dalla casa editrice italiana Mondadori.




"La furia dei circoli contro di me in Germania...".



Il "quasi-testamento spirituale", come viene sottotitolato, contiene materiale finora inedito, oltre a testi, interviste e corrispondenza già pubblicati. Si tratta di saggi sul concetto di religione o sul tema del monoteismo e della tolleranza. Per il libro, Benedetto ha anche rivisto e integrato alcuni vecchi testi, ad esempio sul sacerdozio cattolico, secondo la prefazione del coeditore Elio Guerriero. Anche il segretario privato di Benedetto XVI, l'arcivescovo Georg Gänswein, ha supervisionato il progetto.


Secondo Guerriero, la condizione imperativa di Benedetto era di pubblicare il libro solo dopo la sua morte. "Da parte mia, non voglio pubblicare nulla durante la mia vita. La rabbia dei circoli contro di me in Germania è così forte che la comparsa di ogni mia parola provoca immediatamente un clamore omicida da parte loro. Voglio risparmiare me stesso e il cristianesimo".
Un altro desiderio del Papa tedesco era che la prima edizione fosse in italiano.


Nella prefazione del 1° maggio 2022, Benedetto XVI descrive la sua stanchezza dopo le dimissioni dal papato nel 2013. Dopo l'elezione di Francesco, aveva ripreso solo lentamente il suo lavoro teologico. Tutti gli scritti sono stati redatti nella sua residenza di ritiro "Mater Ecclesiae" nei Giardini Vaticani. Mondadori aveva inizialmente annunciato la pubblicazione del libro di 190 pagine per il 20 gennaio.








La perla preziosa: III domenica dopo l'Epifania

 



 













sabato 21 gennaio 2023

Marcello Pera: "Io, Benedetto XVI e l’autodemolizione dell’Occidente"


L'intervista al filosofo e senatore Marcello Pera, amico di Benedetto XVI.



20 GENNAIO 2023

"Un giorno dell’agosto 2004, lessi il libro Fede, verità, tolleranza di Joseph Ratzinger, pubblicato da Cantagalli, e feci una scoperta che per me, evidentemente ignorante di quel genere di studi, fu scioccante: che il relativismo era una corrente di pensiero diffusa anche nella teologia cristiana". Pera afferma, tra l'altro, che ai tempi dei suoi colloqui con Benedetto XVI esistevano già due Chiese, che la bomba ad orologeria del Vaticano II era scoppiata, che i secolarismi stanno vincendo con la complicità della Chiesa, che l'Occidente così come è oggi è perduto, che i Pontefici preconciliari furono profetici, che bisogna frenare e invertire l'autodemolizione dell'Occidente.


***

Io, Benedetto XVI e l’autodemolizione dell’Occidente


Intervista esclusiva a Marcello Pera


a cura di don Samuele Cecotti

L’ultimo giorno dell’anno civile - giorno in cui la Chiesa celebra san Silvestro, il Papa di Costantino e del Concilio di Nicea - papa Benedetto XVI concludeva il suo pellegrinaggio terreno.

Con la morte di Benedetto XVI, non solo ci lascia un fine teologo e un grande intellettuale europeo, ma si chiude un’epoca, quella del Concilio Vaticano II (e del travagliato post-Concilio) e forse si chiude anche l’età della Chiesa come anima di una civiltà. Con san Silvestro I la Chiesa divenne l’anima dell’Impero Romano dalla Britannia all’Egitto, dalla penisola iberica alla Siria, dall’Atlantico al Mar Nero, oggi la Chiesa guidata da Jorge Mario Bergoglio ha completamente rinunciato all’idea di plasmare, informare e guidare una civiltà. L’idea stessa di societas christiana o di Civiltà Cristiana è estranea alla deriva teologico-ideologica e pastorale incarnata dal pontificato di Francesco che pare anzi proporre il paradigma inverso con il mondo, sociologicamente inteso, elevato a luogo teologico a cui conformare Chiesa, dottrina e predicazione.



Joseph Ratzinger, invece, come teologo e Cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, poi come Romano Pontefice, ebbe sempre a cuore l’identità cristiana dell’Europa e della Magna Europa, non si arrese mai all’idea che la Civiltà Cristiana fosse da archiviare come cosa superata, sempre intese ribadire l’inseparabilità di fede e ragione, di fede e cultura, dunque il necessario farsi civiltà del Cristianesimo.

Molto caro al pensatore Ratzinger fu il provvidenziale incontro tra la Divina Rivelazione e il logos greco (e il ius romano) ovvero tra la Parola di Dio e la speculazione razionale classica capace di raggiungere le vette della metafisica così come il rigore della dialettica e della logica analitica, la legge morale naturale e una verace antropologia-psicologia. Ratzinger si oppose con forza al processo di de-ellenizzazione del Cristianesimo in atto da più di mezzo secolo nella Chiesa, ribadì anzi la provvidenzialità dell’incontro tra classicità greco-romana e Rivelazione biblica, incontro da cui nacque la Civiltà Cristiana.

Sul piano morale e politico Ratzinger-Benedetto XVI denunciò il male del nichilismo che corrode l’Occidente moderno e post-moderno, indicò nella dittatura del relativismo la forma di un nuovo subdolo totalitarismo, insegnò con forza la non negoziabilità (non solo sul piano morale personale ma anche su quello pubblico giuridico e politico) di principi naturali quali la difesa della vita umana dal concepimento alla morte naturale, il riconoscimento del matrimonio come unione monogamica e indissolubile di un uomo e una donna aperta alla vita, la libertà educativa dei genitori che hanno, da Dio, loro (e non lo Stato) il compito di educare la prole. Rigoroso e forte anche il rifiuto che Ratzinger oppose all’ideologia gender e alla pretesa di legittimare moralmente e riconoscere giuridicamente le unioni omosessuali.

In questa generosa e grandiosa opera, in questo intellettualmente possente tentativo di arrestare il crollo della Civiltà Cristiana, di puntellarne le mura e di iniziarne la ricostruzione, Ratzinger cercò sempre il dialogo con la cultura europea e nord-americana più sensibile anche se non-cattolica. Ratzinger cercò di costruire una proficua interlocuzione con il mondo laico e non-cattolico sulla base di un comune amore per la verità, la giustizia e la Civiltà occidentale. In questo quadro si inserisce l’incontro, il confronto, il dialogo e l’amicizia con Marcello Pera, illustre filosofo e politico liberale italiano.

Al senatore Marcello Pera, ringraziandolo per la generosa disponibilità, rivolgiamo così alcune domande per meglio capire cosa Ratzinger abbia rappresentato rispetto alla cultura europea e occidentale, dunque quale sia il vuoto che la morte di Benedetto XVI lascia nella Chiesa e in Occidente.



Presidente Pera, in Italia pochi intellettuali laici possono dire di aver conosciuto e apprezzato Benedetto XVI come lei. Come nacque il vostro rapporto e cosa la colpì del Ratzinger pensiero?


L’incontro nacque proprio da ciò che mi aveva colpito in lui. Coltivavo studi epistemologici (era la mia disciplina accademica) e avevo sempre avversato le idee nelle quali, dopo una lunga parabola cominciata col neopositivismo logico, era infine precipitata la filosofia della scienza dopo Popper. Ad esempio, la tesi che la scelta dei grandi paradigmi scientifici non dipende in modo decisivo da prove specifiche ma è frutto di un processo di “conversione”, che la verità delle grandi idee scientifiche, ad esempio quelle di Galileo confrontate con quelle di Tolomeo, è interna a ciascuna di esse perché dipende da criteri contestuali, che i paradigmi sono perciò incommensurabili, perché due scienziati entro due paradigmi diversi lavorano in due “mondi diversi”, eccetera. Insomma, mi era familiare il problema del relativismo. Un giorno dell’agosto 2004, lessi il libro Fede, verità, tolleranza di Joseph Ratzinger, pubblicato da Cantagalli, e feci una scoperta che per me, evidentemente ignorante di quel genere di studi, fu scioccante: che il relativismo era una corrente di pensiero diffusa anche nella teologia cristiana. L’autorevolezza di Ratzinger, di cui avevo letto come tanti la sua Introduzione al cristianesimo, non mi fece dubitare che avesse ragione. Ne fui stupito e turbato: come era possibile? Che cosa era successo, nella religione del Verbo rivelato e incarnato, perché la verità non fosse più assoluta? Al rientro dalle vacanze, feci altre letture e chiesi visita a Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Dopo aver incontrato in un piccolo salottino un giovane biondo che allora era il suo segretario, entrai nel suo studio, che ricordo essere meno della metà del mio in Senato. Cominciammo a parlare senza tanti preamboli o presentazioni, di filosofia, teologia, cristianesimo. Ricordo gli argomenti, ma soprattutto i toni dell’interlocutore, la sua figura, il suo garbo gentile e in particolare il suo sguardo mi impressionarono. In vita mia, avevo avuto rapporti di familiarità con figure come Popper, Kuhn, Feyerabend, ma benché ne avvertissi l’autorevolezza, nessuno di loro mi aveva mai impressionato allo stesso modo. Non ebbi dubbi: Joseph Ratzinger era un grande. Non solo perché ne sentivo la vastità e profondità della cultura, ma per un tratto assai più prezioso: un uomo che sa stare al pari degli altri, che discute e interroga, senza toni di cattedra. Gli occhi non tradivano. Il sorriso non mentiva.

Da liberale laico, anzi da “gran liberale […] certamente il più illustre politico liberal-conservatore oggi in Italia” per usare le parole che l’arcivescovo Crepaldi le riservò a Trieste, cosa trovò in Ratzinger di stimolante, di coinvolgente e di convincente? Ci fu una iniziale difficoltà a comprendere e integrare nel suo sistema di pensiero il pensare teologico di Ratzinger oppure ci fu subito una convergenza di idee?


Nessuna difficoltà di comprensione, ma immediata consonanza di idee. Mi era ben chiaro che, se il relativismo fa male alla scienza, perché la riduce solo a una “cultura”, una “tradizione”, una “narrazione”, il relativismo teologico e religioso ha conseguenze perniciose sul cristianesimo. Se la verità è relativa, Cristo redentore dell’umanità è privo di senso. Non solo. Non era passato molto tempo dall’11 settembre 2001: se il cristianesimo fosse solo una cultura fra tante, la civiltà cristiana non avrebbe particolari fondamenti e meriti. E allora avevano ragione i terroristi islamici a considerarci imperialisti e a combatterci in quanto “giudei e cristiani”. Si ricordi e si rifletta: venivamo considerati colpevoli non tanto per il nostro fare, ma per il nostro essere. Ora, puoi dirti laico quanto vuoi, puoi diventare sordo e anche stimpanato al messaggio di Cristo quanto ti pare, ma questo era un dato inaccettabile: il cristianesimo era un nemico! Solo che il cristianesimo non è una fede e basta, è una fede che ha tenuto a battesimo una civiltà: quella della dignità degli uomini, della libertà, della responsabilità, dell’uguaglianza. Abbattete il cristianesimo e avrete distrutto questa civiltà. Relegate la fede cristiana al ruolo di una narrazione e avrete perso il nostro fondamento. E anche la nostra identità: perché se gli altri ti colpiscono perché sei giudeo e cristiano e tu non dai alcun peso a questo tuo essere, allora gli altri sono qualcuno e tu non sei nessuno, non avendo niente da difendere. Questa è la lezione, del tutto personale, che io trassi dalla tragedia dell’11 settembre e che mi rafforzai durante gli incontri con Ratzinger. Lui aveva lucidità e coraggio.

Restava un problema, tuttavia. Storicamente, sono un uomo della modernità: vengo dopo lo scisma protestante, la nascita della scienza sperimentale, il cogito di Cartesio, l’Io di Kant, eccetera. E modernità vuol dire ragione. Anche se non sono disposto a considerarla “l’unica nostra regola e compasso”, come diceva Locke, non c’è dubbio che la ragione è esigente: non può ammettere qualcosa che le sia contrario. Deve comunque dire la sua. Per capirci con un esempio (è di Kant): anche se una voce interna, prepotente, mi dicesse: “Io sono il tuo Dio, seguimi!”, la ragione deve avere un modo per accertarlo, o più precisamente per accertarsi che non sia la voce di un maligno. Dunque, la mia fede deve andare d’accordo con la mia ragione. Dopotutto, se Dio mi ha fatto dono di entrambe, deve esserci un modo — nascosto, difficile, faticoso quanto si vuole —, per conciliarle. E anche qui Ratzinger è stato grande: nel suo pensiero, che ha sempre difeso la “ellenizzazione” del cristianesimo, è il logos che si rivela. La fede è vestita di ragione, e la ragione si perde se non riconosce che opera su presupposti di fede. La fede non è razionale, ciò che è razionale è il bisogno che la ragione ha della fede. Non sono mai riuscito a far credere a Ratzinger che, anche solo per questo specifico motivo — la ragione che cerca e produce la fede — Kant merita di essere riconosciuto come un cristiano moderno. È vero, era un luterano, ma un luterano autentico non è un agostiniano rigoroso? Come che sia, che tesoro di discussioni ho perduto per sempre!

Politicamente il Magistero di Benedetto XVI avrebbe potuto ispirare una rinnovata identità culturale euro-occidentale cristiana e avrebbe potuto offrirsi come pensiero di riferimento per quanti non si riconoscono nell’universo ideologico progressista, nel relativismo etico e nel globalismo apolide, ovvero per le forze conservatrici e identitarie di Europa, Stati Uniti e America latina. A suo giudizio, come risposero le forze politico-culturali conservatrici/identitarie europee e americane all’estremo appello di Benedetto XVI? Furono all’altezza della sfida? Cosa impedì, secondo lei, un risveglio politico-culturale cristiano in Italia e in Europa tale da corrispondere all’appello di Benedetto?

“Avete perduto una grande occasione”, mi disse una volta, quando ormai era emerito, e noi di centro-destra avevamo perduto il governo. Gli replicai con sincerità e anche amarezza: “è vero, ma neppure la Chiesa ci ha aiutato”. Perché di chiese cristiane cattoliche ce ne erano già due all’epoca del suo pontificato: la sua, del cristianesimo come salvezza, e quella dei più, secolarizzata, del cristianesimo come giustizia. Come nell’affresco della scuola di Atene: una col dito e lo sguardo in alto, l’altra in basso. L’una che voleva correggere il mondo, l’altra che andava incontro e assorbiva il mondo, col pretesto di “aggiornarsi”. Benedetto XVI ebbe il conforto di tanti che aveva chiamato a raccolta col nome di “minoranze creative”, fu appoggiato da intellettuali laici, fu sostenuto negli Stati Uniti dal presidente Bush. Ma il sostegno era timido, serpeggiava la paura, la circospezione, la prudenza. Fino a che, dopo la lezione di Ratisbona, tutto precipitò. Nessun capo di stato o di governo si alzò a difendere Benedetto XVI, a dire che non era questione di libertà di religione dell’islam, ma degli strumenti violenti che l’islam usava e non rinnegava. Ancora in questi giorni mi è capitato di leggere una signora sopracciò che dice che Ratzinger citava Manuele il Paleologo “fuori contesto”! E così per mancanza di coraggio, paura e codardia, calcolo e furbizia, le cose andarono male. Il Papa che aveva tenuti sull’attenti i partecipanti al collegio dei Bernardini a Parigi, nella Westminster Hall a Londra, al Reichstag di Berlino, che aveva condotto il laico presidente Sarkozy a dire a Roma che la Francia è cristiana, che aveva sfidato i laici sulle radici dell’Europa in una sala del Senato italiano, fu abbandonato. Fu costretto a spiegarsi, a giustificarsi, ad aggiungere note a piè di pagina. Se quella era una guerra di civiltà, allora la civiltà cristiana si ritirava. Difficile spiegare perché le cose siano andate così. Io penso che la bomba ad orologeria innescata col Vaticano II, e che Woytila e Ratzinger avevano cercato di disinnescare con la loro ermeneutica della continuità, infine sia esplosa. Si sono aperte la cataratte, al punto che oggi siamo alla Madre Terra, cioè alla rinascita del paganesimo, e al sincretismo. Sento ancora parlare di Dio, ma poco di Cristo; sento dire che la misericordia e il perdono prevalgono sul giudizio; non sento più l’espressione “peccato originale”. Stiamo tornando ai bei tempi russoviani, dell’uomo buono, angelico, incorrotto, vittima incolpevole della cultura perversa. O ai tempi di Pelagio, dell’uomo che ce la fa con le sue sole forze. Come se la Caduta fosse un mito. Con la colpevole complicità della chiesa, i secolaristi stanno vincendo.

Tutte le grandi battaglie condotte da Ratzinger-Benedetto XVI, tanto quelle ecclesiali quanto quelle culturali-politiche, paiono oggi perse. La Chiesa sembra sconvolta da un radicale processo rivoluzionario tanto l’insegnamento di Benedetto XVI è distante da quello che oggi dicono le Gerarchie. È proprio la direzione di marcia ad essere stata invertita sul piano dottrinale, liturgico, morale, socio-politico. Non minore la distanza tra i moniti di Ratzinger in campo politico-culturale e lo stato in cui versa l’Occidente odierno. Vede ancora possibile una “ri-conversione” dell’Occidente a Cristo, una nuova unità di fede e ragione, di fede e cultura, di fede e politica oppure la deriva nichilista e post-anti-cristiana dell’Occidente è umanamente inarrestabile? La parola di Benedetto XVI fu profezia o sogno?

La storia, mi scusi, è una baldracca. Va con tutti i clienti che incontra e cambia continuamente gusti. Dunque, cambierà ancora. Ma su una riconversione a Cristo dei popoli europei ho dei dubbi, almeno per le prossime generazioni. Temo che dovremo berci l’amaro calice ancora per un bel po’. Viviamo un’epoca scristianizzata e che pensa che scristianizzarsi sia un bene. Pensiamo di essere sempre più liberi e invece la mancanza del senso del limite, del proibito, del peccato, ci rende più schiavi. Siamo diventati creatori di diritti fondamentali: una bella contraddizione per chi crede in questi diritti, perché se sono fondamentali allora non possono essere creati dalle nostre leggi. Perciò i nostri laici razionalisti devono sciogliere un dilemma e prendere una posizione: o i diritti fondamentali dipendono dalle leggi positive e allora sono convenzionali e interessati, come favori elettorali, e dunque non sono diritti, oppure se sono fondamentali c’è una legge superiore alle leggi positive.

Frutto di lunghi anni di studio, nel 2022 ha dato alle stampe il volume Lo sguardo della Caduta. Agostino e la superbia del secolarismo (Morcelliana, Brescia), un intenso dialogo tra lei e il Vescovo d’Ippona in cui il liberale Marcello Pera cerca nel vecchio Agostino una risposta al male che corrode l’Occidente odierno. Ratzinger si può con verità definire un discepolo di Agostino essendo il suo pensare nella linea agostiniana-bonaventuriana. Ratzinger e Pera uniti anche da Agostino? E qual è la cura che Agostino offre all’Occidente malato?

Se si pensa ad una cura politica, nessuna. Agostino non crede nella politica, soprattutto non crede che la politica possa essere una strada per la salvezza. Non ci sono ricette politiche nel Vangelo, non ci sono in Paolo, salvo l’“ubbidite alle autorità”, non può esistere uno Stato cristiano, neanche governanti cristiani possono costruirne uno. La ragione è semplice: non si raggiunge, e neppure ci si avvicina, alla Città di Dio usando gli strumenti secolari. Lo Stato serve solo a difenderci da noi stessi. Tuo dovere è credere e convertire il tuo amore. Lo sforzo è individuale: quando diventasse collettivo, ne trarremmo vantaggio anche politico, che però mai sarebbe stabile, perché anche la migliore società terrena è affetta da vizi e caduca. Ma se in positivo mai c’è certezza di un Regno sulla terra, in negativo una certezza c’è: se trascuri lo sforzo della salvezza, se ti allontani dalla verità, se persegui idoli secolari, allora non ci sarà neppure società decente. Questo è il caso dell’Occidente. Così com’è, oggi, è perduto. Io ho tratto molta ispirazione e beneficio da Ratzinger. Certamente Ratzinger è stato molto influenzato da Agostino e Bonaventura. Confrontata al resto, la sua teologia politica è povera, ed a ragione.

Ebbe modo di parlare di questo suo interrogare Agostino e delle risposte che Agostino le dava con Benedetto XVI? Le risposte dell’Agostino di Pera coincidono con quelle dell’agostiniano Ratzinger?


Feci in tempo a conversare con lui di Agostino e Kant e del mio progetto di critica della ragion secolare. Lo ringrazio ancora per avermi incoraggiato. Mi dispiace di essere arrivato tardi per proseguire la discussione. Perciò mi confronto con la sua memoria e i suoi scritti.

In Lo sguardo della Caduta vi è, a mio avviso, molto di Ratzinger, anche ciò che si potrebbe individuare come debolezza/contraddizione rispetto al rapporto con la modernità politica, al giudizio sul liberalismo. Infatti, se Agostino è individuato come maestro e terapeuta da cui ricavare la ricetta per risanare l’Occidente malato e la ricetta di Agostino è decisamente “non liberale” anzi in punti fondamentali si potrebbe definire persino illiberale (nel senso di antitetica ai postulati dell’ideologia liberale), come si può sperare di tenere assieme la liberal-democrazia che costituisce l’identità politica dell’Occidente con la cura agostiniana “non liberale”? Curare il male dell’Occidente con la medicina di Agostino non significherebbe proprio negare il sistema liberal-democratico e, in generale, l’idea moderna di individuo, di società, di Stato, di politica, di diritto, etc.? Curare l’Occidente non implicherebbe forse la necessità di liberare l’Occidente dalla prigione ideologica della modernità (dunque anche dall’ideologia liberale) per riaffidarlo alla Tradizione Cristiana?

Se lei vuol fare del liberalismo un bersaglio, è necessario, per colpire nel segno, identificarlo con precisione. Che cosa si intende per liberalismo? Una dottrina politica a salvaguardia della dignità e libertà dell’uomo contro la interferenza della società e dello Stato. Il liberalismo, perciò, è contrario allo Stato assolutistico e anche paternalistico, ed è favorevole ai diritti inalienabili dell’uomo. Questi sono diritti, come la uguaglianza nel valore dell’uomo, la sua irriducibilità a solo mezzo, la sua libertà di pensiero e di devozione, che sono fondamentali nel senso che non sono creati da alcuna autorità politica, ma da essa rispettati come limite della propria azione. Come si giustificano? È nota la posizione del liberalismo classico di Locke: i diritti fondamentali si giustificano perché noi siano creati e siamo proprietà di Dio e a lui siamo sottomessi, e Dio non può aver voluto che, riguardo a “life, liberty, and property”, alcuni uomini fossero sottomessi ad altri o avessero valore inferiore a quello degli altri. Perché? Perché Dio ci ama e noi dobbiamo essere degni del suo amore. Questo liberalismo, chiaramente, discende e si iscrive in una cornice cristiana, di cui accetta il primo insegnamento: Dio è caritas, amore che si dà alle sue creature, e noi dobbiamo onorarlo. In questo liberalismo vige, palesemente, la priorità del dovere (verso Dio) sui diritti. È il tuo dovere verso Dio che fa nascere il mio diritto di essere rispettato da te. È il mio dovere di non sopprimere una creatura di Dio che fa nascere il mio diritto alla vita. Eccetera.

Ora, si cambi qualcosa in questa cornice. Si sopprima il ruolo di Dio o lo si metta da parte. Che cosa diventano più i diritti fondamentali dell’uomo? Nient’altro che richieste di individui o di gruppi concesse e tutelate dallo Stato. Potrà chiamarli ancora fondamentali, ma non sono più gli stessi: sono libertà o licenze garantite. Come tali, si moltiplicano, perché non hanno più un limite che le freni: sono desideri, poi richieste, poi rivendicazioni, infine leggi. Il regime politico che tollera e consente tutto questo si chiama ancora liberalismo, ma si tratta di un’usurpazione concettuale. È quella che è in corso in Europa e nell’Occidente. Dove scompare il cristianesimo, il liberalismo si trasforma in anarchia etica, la vera “dittatura del relativismo”, come la chiamavano papa Wojtila e papa Ratzinger. E viceversa. Non è la prova migliore che liberalismo e cristianesimo sono concettualmente congeneri? E che un liberale autentico dovrebbe difendere il cristianesimo? Quando Agostino dice che lo Stato ha bisogno di un vincolo sociale religioso, non è come se dicesse ai liberali di oggi: almeno tornate alle vostre origini?

La Chiesa di Leone XII, di Gregorio XVI, del beato Pio IX, di Leone XIII, di san Pio X o di Pio XI non si faceva alcun problema a condannare la modernità ideologica e la liberal-democrazia, con il Vaticano II cambia la prospettiva e il giudizio si fa decisamente ambiguo. Di questa “ambiguità di giudizio” riguardo la modernità politica (dunque anche riguardo la liberal-democrazia) vive tutto il post-Concilio, pensiamo solamente al giudizio della Chiesa sulla democrazia o sui diritti umani. Non ne è esente neppure Ratzinger. Lo chiedo a lei, sapendola capace di libertà di giudizio e di vera onestà intellettuale, con schiettezza un po’ provocatoria: non avranno forse avuto ragione i Papi preconciliari? Non sarà proprio la liberal-democrazia il problema, la malattia di cui soffre l’Occidente?

Tra i miei libri ce n’è uno a cui tengo molto: Diritti umani e cristianesimo. Ovviamente, nessuno, soprattutto fra gli uomini di Chiesa, intende leggerlo. Non mi lamento. Ma se uno lo scorre, lì vedrà che rendo omaggio a quei Papi per essere stati profetici. Non sono più di moda, capisco. Ma come venire a capo del loro argomento, che se si definiscono i diritti dell’uomo come proprietà dell’uomo allora questi diventano diritti positivi degli Stati, che danno e negano? Questo, secondo me, oggi accade anche per responsabilità della Chiesa. Quando la Gaudium et Spes dichiara di “proclamare i diritti umani in nome del Vangelo” prende anch’essa una scorciatoia pericolosa: dimentica che bisogna prima passare dai doveri dell’uomo verso Dio. Solo questi doveri fanno la cernita dei diritti ammissibili. Altrimenti, non c’è modo di fermare aborto, eutanasia, matrimoni omosessuali, eccetera. Mi piace in proposito ricordare Mazzini: “certo, esistono i diritti; ma dove i diritti di un individuo vengono a contrasto con quelli di un altro, come sperare di conciliarli, di metterli in armonia, senza ricorrere a qualche cosa superiore a tutti i diritti?”. Credo che questa priorità dei doveri sui diritti Ratzinger l’avesse ben chiara, ma non sempre lo ha scritto chiaramente.

Benedetto XVI tentò l’impresa eroica di salvare l’Occidente da se stesso, tentò di impedirne il suicidio. Tentò anche di rianimare l’Europa riportandola alla propria identità cristiana … e tutto questo fece non dentro un contesto ecclesiale solido e sicuro, bensì avendo la roccia insidiata dalle sabbie mobili postconciliari. Tentò di strappare la Chiesa al processo autodemolitorio. Fu battaglia ad intra e ad extra. Cosa resta di tutto ciò? Quale futuro, secondo lei, per l’eredità ideale di Joseph Ratzinger?

Mi attendo che Ratzinger diventi santo per aver compiuto un miracolo …collettivo e se lo sarà, sarà solo per questo: aver frenato e invertito l’autodemolizione dell’Occidente cristiano. Era il suo impegno, è sempre stata la sua missione. Che Iddio, quando e come vorrà, gli garantisca il successo.

Grazie, Presidente!

don Samuele Cecotti





venerdì 20 gennaio 2023

Insetti a colazione, il sapore della modernità



Da Bruxelles un nuovo invito a cambiare abitudini alimentari, includendo gli insetti nella dieta. Perché? Chi dice per salvare l'ambiente, chi per combattere la fame nel mondo. Ma c'è una spiegazione più convincente: la rottura di un tabù, per portare la gnosi direttamente a tavola.



MENU GNOSTICO


Roberto Marchesini, 20-01-2023

L’Unione Europea, questa volta, ci chiede di mangiare insetti. Una dopo l’altra, sta autorizzando la commercializzazione di varie specie di insetti per l’alimentazione dei cittadini del vecchio continente. Ovviamente, i media nazionali sono stati attivati e non fanno che parlare di questo, coinvolgendo chef stellati, «scienziati» e diversi testimonial: i cittadini europei devono considerare normale (anzi: «figo») mangiare insetti; retrogrado l’essere scettici o, addirittura contrari a questa pratica. All’unisono, ad esempio, diverse testate hanno cominciato a propalare l’idea che «Già mangiamo insetti senza saperlo», quindi… che problema c’è? Ed ecco aperta una nuova "finestra di Overton".

Ma perché dovremmo «cambiare il nostro stile di vita» (cosa che, abbiam giurato, non avremmo fatto nemmeno sotto attacco dei kamikaze islamici) e mangiare qualcosa che non rientra nelle nostre abitudini alimentari, suscita un certo ribrezzo e più di qualche dubbio sulla salubrità? La spiegazione ufficiale è questa: «I sistemi alimentari non possono essere resilienti a crisi come la pandemia di COVID-19 se non sono sostenibili. Dobbiamo riprogettare i nostri sistemi alimentari che oggi rappresentano quasi un terzo delle emissioni globali di gas serra, consumano grandi quantità di risorse naturali, comportano la perdita di biodiversità e impatti negativi sulla salute (dovuti sia alla sottonutrizione che alla sovranutrizione) e non consentono ritorni economici e mezzi di sussistenza equi per tutti gli attori, in particolare per i produttori primari».

Ovviamente, serve a salvare l’ambiente. Qualcuno sosteneva che mangiare insetti servisse a combattere la fame nel mondo. Qualcuno, un po' più malizioso, sostiene che sia un modo che l’élite ha escogitato per marcare la differenza di status: il popolo, gli «inutili mangiatori», come ci ha definiti l’intellettuale Yuval Noah Harari, mangino insetti; i vip, impegnati a salvare il mondo, si sostentino con cibi raffinati e succulenti. Sarebbe, per farla breve, un modo per umiliare chi non appartiene all’élite.

Devo dire, francamente, che nessuna di queste spiegazioni mi convince. C’è, piuttosto, un’altra spiegazione che mi ronza nella testa. L’idea è questa: promuovere l’alimentazione insettivora per infrangere un tabù (alimentare e culturale). Questo è l’obiettivo dell’arte moderna: infrangere tabù estetici e culturali. Ad esempio, nel 2014 i curatori della mostra milanese intitolata Reality Hacking, che hanno commentato la decisione di esporre una «scultura» (un fallo di legno alto quattro metri e pesante una tonnellata) dello svizzero Peter Regli con queste parole: «[...] queste azioni combinano abilità tecnica, intuizione e intelligenza critica per scardinare la percezione di un sistema specifico, di un ordine visivo e concettuale precostituito». Ancora: nell’ottobre dello stesso anno, in piazza Vendome a Parigi, è stata esposta un’opera dello scultore Paul McCarthy: un gigantesco albero di Natale/sex-toy. Alle polemiche che l’oggetto ha suscitato, la Direttrice Artistica della Fiera d’Arte Contemporanea Jennifer Flay, che ha organizzato l’installazione, ha risposto con queste parole: «È chiaro che quest’opera è controversa, che gioca sull’ambiguità tra un albero di Natale e un sex toy: non è una sorpresa né un segreto. Ma non c’è alcuna offesa al pubblico ed è abbastanza ambigua per non sconcertare i minori. Del resto ho ricevuto tutte le autorizzazioni necessarie, dalla Prefettura, al municipio, fino al ministero della Cultura. A cosa serve l’arte se non per scuotere, porre delle domande, evidenziare le falle di una società?» (cfr. Roberto Marchesini, La Rivoluzione nell’arte, D’Ettoris, Crotone 2016). Credo che lo stesso shock, lo stesso scardinamento, scuotimento morale e culturale sia l’obiettivo della pensata UE.

Perché? È presto detto: gnosi. Secondo lo studioso Robert Grant, la gnosi nacque tra il popolo ebreo dopo la distruzione del tempio:


I servizi del tempio erano finiti; che dovevano fare i sacerdoti e i leviti? Col tempio distrutto, come potevano i pii farisei continuare ad ubbidire alla legge di Mosè? Col fallimento della visione apocalittica, come poteva questa essere conservata dagli esseni o dagli zeloti? La legge e i profeti rimanevano, ma come potevano ormai essere interpretati?

Gli antichi miti, con i quali gli ebrei erano entrati in contatto nei secoli precedenti e dei quali si era mantenuta la memoria, fornirono una sconvolgente spiegazione: Yahweh non era un dio buono, che proteggeva e tutelava gli ebrei come figli prediletti. Egli era piuttosto un dio malvagio, ingannatore (il demiurgo platonico), che li aveva abbandonati in mano agli invasori dopo averli lusingati con vane promesse. Se la legge divina era un inganno, essa poteva essere infranta senza peccato da chi era «illuminato» dalla conoscenza di questi misteriosi segreti. Anzi: la legge doveva essere infranta, perché era la legge di un dio malvagio e bugiardo. Ciò che è bene è in realtà male, e viceversa. Tutto deve essere rovesciato, valori e norme morali comprese. Attraverso il peccato, l’infrazione di tabù, ci si purifica.

Per qualche secolo, la gnosi restò un fenomeno carsico, emergendo qua e là (specialmente in Europa centrale) sotto forma di movimenti ereticali ebraici (Shabbatai Zevi e Jakob Frank) o cristiani (Catari); emergendo definitivamente nel XVI secolo per imporsi, lentamente, come filosofia dominante. Ora assistiamo al suo trionfo. La chiamiamo «modernità».
Che aggiungere? Buon appetito!









giovedì 19 gennaio 2023

Mons. Chaput: "Dire la verità è polarizzante" (riguarda la sinodalità e il Vaticano II)




19 gennaio 2023

L'arcivescovo Charles Chaput, OFM Cap., è l'arcivescovo emerito di Filadelfia e da lungo tempo un leader tra i vescovi americani.

L'arcivescovo, 78 anni, è diventato nel 1988 il secondo sacerdote di discendenza nativa americana a diventare vescovo diocesano. Dopo aver prestato servizio per nove anni come vescovo di Rapid City, South Dakota, Chaput è diventato nel 1997 arcivescovo di Denver e nel luglio 2011 è stato nominato alla guida dell'arcidiocesi di Filadelfia.

Chaput e l'arcidiocesi di Filadelfia hanno ospitato nel 2015 l'Incontro mondiale delle famiglie. Nello stesso anno, Chaput è stato delegato al Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia, ed è stato eletto per un mandato nel Consiglio Permanente del Sinodo dei Vescovi in Vaticano.

L'arcivescovo, autore di quattro libri, ha parlato con The Pillar questa settimana della morte di papa Benedetto XVI e del cardinale George Pell, del sinodo sulla sinodalità e del Concilio Vaticano II.


* * *

Arcivescovo, con la morte di Papa Benedetto XVI e del cardinale George Pell questo mese, sembra che due stelle polari per molte persone nella Chiesa siano andate perse.
Quale sarà l’impatto della loro morte sulla Chiesa?

La Chiesa continuerà la sua opera e la sua testimonianza perché non dipende da nessun altro se non da Gesù Cristo. Ma la loro assenza è una perdita molto pesante perché entrambi incarnavano in modo straordinario un’intelligenza cristiana di chiara e fedele espressione. Nessuno, nel novero delle attuali gerarchie autorevoli della Chiesa, ha la capacità di sostituirli. Ciò avverrà col tempo, ma al momento lo scranno dei talenti sembra piuttosto scarso.


Che sia giusto o meno, Papa Benedetto XVI e il Cardinale Pell sono stati rappresentati come figure polarizzanti. Forse la polarizzazione nella Chiesa non è una realtà nuova, ma sembra che negli ultimi anni le varie “correnti” all’interno della Chiesa siano diventate più ostili l’una all’altra. Perché?

Dire la verità è polarizzante. Gesù è stato ucciso. Le persone cattive con idee cattive non amano le persone buone che cercano di fare cose buone. E questo spiega il disprezzo, il risentimento e le vere e proprie menzogne rivolte a entrambi gli uomini nel corso degli anni, anche da parte di persone che si definiscono cristiane; persone all’interno della stessa Chiesa.


Arcivescovo, l’interpretazione e la comprensione del Vaticano II sembrano essere al centro di molte attuali controversie nella Chiesa. A sessant’anni dalla conclusione del Concilio, perché è ancora in questione una lettura autorevole del Vaticano II?
Il Vaticano II è stato uno sviluppo e una riforma organica della vita della Chiesa, oppure una rottura con il passato e un nuovo inizio? Questa è la domanda centrale, le cui risposte conducono su strade molto diverse. La rottura con il passato sembra ignorare qualsiasi nozione di autentico sviluppo della dottrina. Sia Ratzinger che Pell hanno visto il Concilio come un’esperienza di continuità e di riforma. Avevano ragione. Ma le divisioni e i conflitti sono stati comuni all’indomani di molti concili. Devono solo essere affrontati e superati.


Con 60 anni di senno di poi, valuta il Vaticano II come qualcosa di positivo per la Chiesa?

Sì, senza dubbio. Ma il valore di ogni concilio ha dei limiti imposti dai tempi e dalle questioni che deve affrontare. Ecco perché ce ne sono più di uno. Il Vaticano II non ripudia Trento o il Vaticano I, per esempio, ma la Chiesa aveva bisogno di adattare il suo approccio al mondo e di parlare alle nuove condizioni che inquadravano la sua missione. Questo era l’intento di Giovanni XXIII nel convocarlo, di Paolo VI nel concluderlo e di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI nell’applicare i suoi insegnamenti.


Mentre la Chiesa parla di interpretare il Vaticano II, oggi sta riemergendo anche un dibattito su alcune questioni fondamentali di teologia morale. Ad esempio, la Pontificia Accademia per la Vita, sotto la guida dell’arcivescovo Vincenzo Paglia, sta mettendo in discussione i principi morali articolati in Humanae vitae, Veritatis splendor e nel Catechismo della Chiesa Cattolica.
Ora si riaprono questioni apparentemente risolte. Che cosa ne devono fare i fedeli?

Credo che dipenda da come si definisce la parola “fedele”. Penso che alcuni dei cambiamenti avvenuti negli ultimi anni alla Pontificia Accademia per la Vita e all’Istituto Giovanni Paolo II siano stati imprudenti e distruttivi. In effetti, l’intero scopo dell’istituto fondato da San Giovanni Paolo è stato stravolto; un chiaro insulto al suo magistero e alla sua eredità. Non c’è fedeltà nell’annacquare o rompere con la sostanza dei documenti che lei cita.


Per alcuni cattolici, questa rilettura degli insegnamenti morali cattolici è stata vista come un aspetto determinante del pontificato di Francesco. Pensa che questo sia ciò che i cardinali elettori di Papa Francesco si aspettavano quando lo hanno eletto?

Questo pontificato è stato una sorpresa per molte persone.


Che tipo di riforma si aspettavano i cardinali elettori dall’allora cardinale Bergoglio?

Divrebbero dirlo i cardinali elettori. Ma ricordo che il cardinale Francis George, che era un amico, mi disse poco prima di morire che i cardinali al conclave chiedevano al Papa di riformare la Curia romana, non di “riformare” la Chiesa.
Per quanto riguarda il resto di noi, i cattolici seri nella fede rispettano e sostengono istintivamente il Papa – qualsiasi Papa. Ma si aspettano una continuità di fondo nel governare e sono confusi quando c’è ambiguità al vertice.


Pur non essendo un funzionario vaticano, che idea si è fatto della situazione a Roma? C’è sostegno per le riforme del Santo Padre?

Non sono in grado di saperlo. Penso che i discorsi annuali del Santo Padre alla curia, che sono di dominio pubblico, siano stati eccessivamente cupi. Non sono certo che ispirino o motivino qualcuno.


Ma era così anche sotto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI? Se no, cosa c’è di diverso?

Intenzionalmente o meno, Papa Francesco sembra adottare un approccio più duro nei suoi commenti rispetto ai due papi precedenti. A seconda della posizione nel campo teologico, si può essere timorosi in qualsiasi pontificato. I liberali hanno scritto spesso degli indici di paura durante i pontificati del Beato Pio IX e di San Pio X. La teologia fa un’enorme differenza. La posta in gioco è alta.


Quale pensa sarà l’eredità di Papa Francesco?

Le eredità sono chiare solo a posteriori. Penso che sarà ricordato, almeno in parte, per la sua preoccupazione per gli immigrati e i poveri; per la sua enfasi sulla semplicità, l’ascolto e l’accompagnamento, e per aver raggiunto i margini della Chiesa e del mondo. Queste sono tutte cose buone, correttamente intese. Altri ricordi possono essere più problematici.


Arcivescovo, il concetto di sinodalità sembra essere uno dei temi principali del pontificato del Santo Padre. Quale sarà il risultato del triennale “sinodo sulla sinodalità”?

Non ho idea del risultato. Per quanto riguarda il processo, penso che sia imprudente e incline alla manipolazione, e la manipolazione implica sempre disonestà. L’affermazione che il Vaticano II abbia in qualche modo implicato la necessità della sinodalità come caratteristica permanente della vita della Chiesa è semplicemente falsa. Il Concilio non è mai arrivato a suggerire questo. Inoltre, ero un delegato al sinodo del 2018 e il modo in cui la “sinodalità” è stata introdotta nell’ordine del giorno è stato manipolativo e offensivo. Non aveva nulla a che fare con il tema del sinodo, i giovani e la fede. La sinodalità rischia di diventare una sorta di Vaticano III annacquato; un concilio mobile su una scala molto più controllabile e malleabile. Questo non servirebbe ai bisogni della Chiesa e del suo popolo.
Ho fatto parte del Consiglio permanente del Sinodo dei vescovi a partire dal 2015. Ricordo alcune brevi discussioni sulla difficoltà di tenere un altro concilio ecumenico a causa del gran numero di vescovi di oggi. Ma diffiderei molto dall’idea che la sinodalità possa in qualche modo prendere il posto di un concilio ecumenico nella vita della Chiesa. Non esiste una tradizione di vescovi che delegano la loro responsabilità personale per la Chiesa universale a un numero più piccolo di vescovi, quindi qualsiasi sviluppo di questo tipo dovrebbe essere esaminato e discusso molto attentamente prima di qualsiasi tentativo di attuazione. Questo non è lo spirito o la realtà attuale di ciò che sta accadendo.


Un altro aspetto del pontificato di Francesco è il protagonismo dei gesuiti nelle posizioni di leadership della Chiesa. Cosa si può capire del rapporto di Papa Francesco con la Compagnia di Gesù?

Beh, io sono un francescano cappuccino e questo ha plasmato la mia vita in modo profondo. La formazione gesuitica ricevuta da Francesco naturalmente deve aver avuto lo stesso effetto. Ma quando un religioso diventa vescovo, appartiene alla sua diocesi, al suo presbiterio e alla sua gente. Amo i miei fratelli cappuccini, ma sono un sacerdote dell’arcidiocesi di Filadelfia. Questa è la mia fedeltà principale. Francesco è il vescovo di Roma; quel ruolo e i suoi obblighi, sia verso la sua diocesi locale che verso la Chiesa universale, sono la sua lealtà principale – non la Compagnia di Gesù. Fare eccessivo affidamento sulla propria comunità religiosa e sui suoi membri, a meno che non si tratti di un vescovo in servizio nelle missioni, non è una buona idea. E penso che sia chiaro che Francesco governa come un superiore generale gesuita, dall’alto verso il basso, con pochi contributi collaborativi. Sembra anche che ponga molta più enfasi sul suo discernimento personale che sul discernimento dei papi passati e sul discernimento generale della Chiesa attraverso i secoli.


Molti dei vescovi che Papa Francesco ha elevato al Collegio cardinalizio non provengono dall’ordinario “percorso cardinalizio” della Chiesa. Cosa ne pensa? Cosa pensa che significhi per il futuro della Chiesa?

Penso che sia una cosa molto buona, a patto che gli uomini abbiano la sostanza spirituale e intellettuale per svolgere fedelmente e bene i loro compiti.


Un tempo era consuetudine che l’arcivescovo di Filadelfia fosse nominato cardinale. Lei non lo è stato. È deluso di non essere un cardinale?

No, e dormo molto meglio per questo.


In questo momento c’è una voce che riguarda la Conferenza episcopale degli Stati Uniti, secondo cui alcuni vescovi, tra cui il presidente della Conferenza, sono in qualche modo anti-Francesco, o contrari alla leadership di Papa Francesco. Mi sembra che questo comporti il pericolo di trasformare la personalità del Santo Padre in una sorta di “cartina di tornasole” cattolica, invece di concentrarsi sulla continuità e sulla fedeltà alla dottrina cattolica. Perché questa narrazione persiste?

Il rispetto per il Santo Padre è un’esigenza di carità cristiana e di lealtà filiale. Ma non richiede mai servilismo o adulazione. E non posso immaginare che il Santo Padre, in quanto pastore esperto, voglia l’una o l’altra cosa. I vescovi americani sono sempre stati leali – e francamente molto generosi – nei confronti di Roma, e questo è un fatto. Trasformare le serie preoccupazioni dottrinali in un dibattito sulla personalità è solo un modo conveniente per eludere le questioni sostanziali che devono essere affrontate. Inoltre, dimostra una totale ignoranza della storia della Chiesa. I papi vanno e vengono, anche quelli grandi, proprio come i vescovi e i cristiani di tutti i giorni. Ciò che conta, a prescindere dal costo, è la fedeltà all’insegnamento cattolico, e non bisogna trovare scuse nel perseguire questo obiettivo.


Arcivescovo, alcuni dei suoi commenti saranno considerati critici nei confronti di Papa Francesco. Pensa di essere sleale nei suoi confronti esprimendo pubblicamente questi commenti?

Amo il Santo Padre. Sono rimasto molto colpito da lui quando ci siamo incontrati come giovani vescovi all’Assemblea speciale sull’America del 1997 a Roma. La Chiesa ha bisogno che abbia successo nel suo ministero. Vorrei solo fare un’osservazione rispettosa. Ho molti amici con buoni matrimoni che durano da molto tempo. C’è da trarre una lezione da questo. Non si ottiene un matrimonio sano – e certamente non uno durevole – se non si è disposti a dire la verità e ad ascoltarla, onestamente, in cambio. Lo stesso vale per la Chiesa. Chiunque, in qualsiasi tipo di responsabilità di governo, non sia disposto ad ascoltare verità spiacevoli, deve cambiare il suo atteggiamento nei confronti della realtà.


[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]