Nella cattedrale di Parigi "reinventata" dopo l'incendio del 2019 il presidente Macron e l'arcivescovo Ulrich rinnovano l'alleanza fra trono e altare. Ma l'altare è un'enorme ciotola che in perfetto stile woke soffoca il mistero cristiano e il gotico francese. Di sacro resta solo la laicité.
Lorenza Formicola, 06-12-2024
Cinque anni dopo l’incendio che rischiò di cancellarla durante la Settimana Santa del 2019, la cattedrale di Notre Dame riaprirà le sue porte. La struttura ricostruita e la guglia che ha ripreso il suo posto nel cielo di Parigi: chapeau!
Il 7 dicembre è previsto l’evento di riapertura. Evento? Dalla cerimonia di apertura dei Giochi olimpici, ma anche prima, ci è consentita ogni distanza per celebrazioni di qualsiasi natura: la Francia, negli anni, ci ha insegnato che può dar vita sempre ad uno spettacolo inclusivo, prescrittivo per il politicamente corretto, e volgare. Sono già previsti concerti, cerimonie, mostre, intrattenimento, mercatini di Natale. Si segnala la presenza di star internazionali – Bono e McCartney – politici e grandi personaggi per festeggiare in pompa magna, a cominciare da Macron che voleva concedersi un discorso tra le mura della cattedrale, per poi accettare di parlare solo fuori.
E Dio in tutto questo? È certamente il grande assente. Un accessorio. Ridotto a utile pretesto di uno spettacolo in cui, che si tratti di una cattedrale, nessuno più lo ricorda. Malgrado sia il principale luogo di culto cattolico di Parigi, chiesa madre dell’arcidiocesi, nel cuore della capitale della nazione che fu la "figlia primogenita della Chiesa". E anche il Papa ha fatto sapere che non ci sarà.
Quando Macron promise che Notre Dame sarebbe stata riaperta in «cinque anni, nel 2024, anno delle Olimpiadi», era un’altra epoca: un presidente forte, ma con una marea di sconvolgimenti alle calcagna. Oggi, che la Francia annega in una crisi economica che non ha precedenti, un governo neonato e appena caduto, difficoltà ad espellere gli immigrati clandestini, criminalità dilagante, il terrorismo islamico pervicace e egli stesso con un’impopolarità mai così pronunciata, davvero la riapertura in tempi record di Notre Dame è un indubbio successo a cui aggrapparsi.
Sono 846 i milioni di euro raccolti e utilizzati per la ricostruzione in un atto mondiale di filantropia. Ed è già polemica per la cifra pazzesca se si pensa all’impoverimento gravissimo delle altre cattedrali e chiese francesi. La corsa alle donazioni arrivò con la promessa che la cattedrale sarebbe stata ricreata esattamente com’era, il che non era affatto scontato. Infatti tutto è stato smentito.
Per un presidente ossessionato dalla questione della legittimità e dal rapporto tra la nazione e le sacralità che le ruotano attorno – laica e storica, meno spesso religiosa – , Notre Dame da ricostruire e reinventare è diventata materiale per essere ricordato dai posteri, come Mitterrand con la Piramide al Louvre, e Pompidou con il Centro che porta il suo nome.
Infatti, solo una manciata di giorni dopo, con la cenere ancora calda ed Édouard Philippe ancora primo ministro, si annunciò una cattedrale che sarebbe stata «porta del nostro tempo». Macron e i suoi vennero presi in parola e fu un profluvio di pazze idee: un progetto proponeva di sostituire il tetto con un serra ariosa, un altro con una piscina, un altro ancora prevedeva il tetto sostituito con una serra, e poi la cappella ecologica e le pareti rivestite di canapa.
Una collezione di tentativi per trasformare la cattedrale in uno show-room sperimentale, una cosa che non s’è mai vista prima. Un po’ come se Disney, i profeti wokisti, e i discepoli di Greta dovessero entrare tutti insieme a Notre Dame. Qualcuno è entrato. Qualcun altro è rimasto fuori.
E mentre la controversia sull’opportunità di installare vetrate moderne in sei grandi campate della cattedrale non è ancora finita, nel senso che non conosciamo ancora in cosa consisterà il “tocco di contemporaneità” sposato dall’arcivescovo Ulrich in un progetto che comunque non sarà pronto prima del 2030 – un’insolita alleanza fra trono e altare in una Parigi dove di sacro è rimasta solo la laicité –, sappiamo per certo come è stata riempita la cattedrale restaurata.
L’antico altar maggiore viene "oscurato" da uno nuovo disegnato da Guillaume Bardet: un’enorme ciotola in bronzo di un pauperista radical-chic che ricorda una sala da pranzo eccessivamente contemporanea. Quelle, per intenderci, intraviste nei cartoni animati che immaginavano futuro, e che neanche più le riviste d’arredamento propongono. Calice, patena, pisside, ostensorio, il trono e i relativi seggi e l’ambone tutti sembrano celebrare una strana collezione Ikea degli anni ’70. Niente è rimasto della cristianità medioevale e del gotico francese. Una simbologia che non riporta ad uno scopo legato alla sacralità di Dio, ma è espressione di un potere politico che ha in sé una cultura non cattolica.
Nella nuova Notre Dame, poi, a fare da contrasto al retorico pauperismo moderno c’è qualcosa di eccessivo: la luce. Una luce che non sa di cattedrale cattolica, ma di museo, di catalogo d’arte contemporanea. La Notre Dame di prima dell’incendio del 2019 non aveva tutta questa luce, perché rimandava al Mistero. Tutto è scomparso.
E oggi che proviamo a rileggere Parigi attraverso Notre Dame e l’Europa attraverso Parigi scopriamo che la guglia ingoiata nel rogo è stata davvero un sinistro adattamento di un declino non più metafora. Collasso di una civiltà che si vergogna di sé. Perché Notre Dame è più di una chiesa.
Lo sanno bene i musulmani esaltati quando la videro in fiamme: grasse risa, gioia e festa per l’incendio che la devastò.
La cattedrale nel cuore di Parigi è sempre stata “la parrocchia dello Stato” di Francia: dal re santo, Luigi IX, al voto di Luigi XIII per consacrare la Francia alla Vergine Maria, fino alla Rivoluzione francese che ne fece il tempio dei giacobini e la distrusse accanendosi particolarmente, ben sapendo che infettando la Primogenita della Chiesa, il morbo si sarebbe diffuso in ogni dove. Con la Rivoluzione francese Notre Dame divenne proprietà dello Stato – come da noi per tante chiese con l’Unità d’Italia – e solo nel 1802 Napoleone la restituì alla Chiesa perché si tornasse a celebrare Messa.
Nel 2019, quando i francesi, e con loro tutto il mondo, assistettero inermi alle fiamme che la divoravano un morso dopo l’altro, tra chi piangeva e si copriva il volto, restò la malinconia di un mondo che s’era conosciuto, ma adesso non c’era già più.
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