lunedì 30 settembre 2019

La Consulta rafforza il diritto a morire e l’obbligo di uccidere







di Marco Ferraresi, 30 settembre 2019

Lo aveva promesso un anno fa, con l’ordinanza n. 207/2018, e puntualmente la promessa è stata mantenuta: in assenza di una (sollecitata) modifica legislativa della materia, per la Corte costituzionale il diritto non può punire, sempre e comunque, chi agevola il suicidio altrui. Avrebbe dovuto pensarci il legislatore ma, per il giudice delle leggi, la sua inerzia impone una soluzione tramite sentenza, almeno fino a una regolazione legislativa del problema. Regolazione che, in ogni caso, dovrà osservare i principi contenuti nella sentenza.

Con i comunicati del 25 e 26 settembre la Corte costituzionale, in attesa della pubblicazione della decisione, afferma infatti che, a certe condizioni, non è punibile chi commette il reato di cui all’art. 580 del codice penale, secondo cui si applica la pena della reclusione da cinque a dodici anni a chiunque agevola in qualsiasi modo l’esecuzione del suicidio altrui.

Beninteso, era una promessa fin troppo facile da mantenere.

Essa, in primo luogo, risponde infatti alla cultura dominante, particolarmente al rifiuto del carattere indisponibile del diritto alla vita.

In secondo luogo, è coerente con i precedenti della stessa Corte che dissociano vita e persona: così, l’embrione non sarebbe ancora persona (sentenza n. 27/1975, che ha spalancato le porte al diritto di aborto); il bambino in provetta è l’oggetto di un diritto di chi chiede la fecondazione artificiale (v. ad es. la sentenza n. 162/2014); con questa decisione, si ammette che la vita dei malati, più o meno gravi, potrebbe non essere più degna di essere vissuta e passibile perciò di essere soppressa.

In terzo luogo, la decisione sull’aiuto al suicidio porta alle naturali conseguenze i principi contenuti nella legge n. 219/2017, che ha già sancito il diritto alla eutanasia, omissiva e commissiva, sotto forma di diritto di rifiuto, sospensione o interruzione di terapie anche salvavita, così come di idratazione, alimentazione, ventilazione artificiale, con l’obbligo corrispondente del medico – senza eccezioni – di obbedire alla volontà espressa dal paziente attualmente o remotamente (attraverso le DAT).

Nell’ordinanza resa un anno fa, la Corte aveva però avvertito come la legge n. 219/2017 non garantisse in maniera soddisfacente il diritto a morire, in particolare ogni qual volta il decesso consegua a una lenta agonia, causata dalla privazione dei sostegni vitali. Per la Corte, è irragionevole che il diritto non preveda la possibilità di un esito più rapido e meno doloroso. In definitiva, la pecca della legge n. 219/2017 starebbe nell’impossibilità di ottenere dal medico una soluzione letale, che determini direttamente la morte del paziente.

In attesa di leggere la sentenza, dovrebbe essere proprio questa la novità della pronuncia rispetto alla legislazione vigente. Se così non fosse, il recente intervento della Corte sarebbe persino più garantista, per il diritto alla vita, rispetto alla legge n. 219/2017. Infatti, nel comunicato si afferma che la collaborazione al suicidio non sarà punibile solo in presenza di condizioni che, viceversa, la legge oggi non richiede per soddisfare il diritto alla morte, e cioè: 1) il carattere irreversibile della patologia; 2) l’esistenza di sofferenze fisiche o psichiche che il paziente reputa intollerabili; 3) l’intervento di una struttura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale; 4) l’acquisizione del parere del comitato etico locale.

Ora, poiché l’ordinanza di un anno fa, come detto, aveva denunciato l’insufficiente garanzia, nella legge n. 219/2017, del diritto di morire e del corrispondente obbligo del medico di cooperare alla morte, è evidente che queste speciali condizioni sono poste al fine, non di restringere l’accesso all’eutanasia, ma di poter ottenere qualcosa in più rispetto al passato. E questa novità non può che essere, appunto, il diritto a ricevere e l’obbligo di somministrare un preparato mortale.

Come tutti i commentatori hanno rilevato, non vi è traccia nel comunicato del possibile diritto all’obiezione di coscienza da parte del personale medico, il quale, in tal caso, sarà chiamato a una resistenza eroica per non tradire la missione della professione. In questa prospettiva, è da lodare il coraggio con cui il Presidente della Federazione degli Ordini dei Medici, Filippo Anelli, ha in sostanza ribadito come compito del medico sia di curare, non di assassinare.

Da ultimo, vanno registrati con favore i plurimi interventi critici sulla pronuncia da parte di autorità ecclesiastiche ed esponenti di associazioni cattoliche. Quale socio dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, mi si permetta solo di evidenziare la stonatura di Francesco D’Agostino, ex Presidente nazionale, con l’intervista rilasciata il 26 settembre a Il Sole 24 Ore. Dopo non aver compreso il contenuto eutanasico già della legge n. 219/2017, egli afferma ora che “la risposta del giudice delle leggi, nella situazione costituzionale italiana di oggi, è stata la migliore possibile”. In vero, la soppressione di una persona fragile, e proprio per questo bisognosa, non di un aiuto a farla finita, ma di maggiore sostegno, non è mai una risposta buona, tantomeno la migliore possibile.

Marco Ferraresi

Presidente Unione Giuristi Cattolici di Pavia “Beato Contardo Ferrini”





















domenica 29 settembre 2019

L'Osservatorio di Bioetica di Siena esprime il proprio sgomento sul “suicidio assistito”






29-09-2019

L'Osservatorio di Bioetica di Siena esprime il proprio sgomento di fronte al pronunciamento della Corte Costituzionale sul cosiddetto “suicidio assistito”. Con sentenza storica i giudici costituzionali hanno ritenuto “non punibile a determinate condizioni" l’assistenza al suicidio prevista dell’articolo 580 del codice penale.

Dallo scarno comunicato emesso si evince che la Corte:

  • ha demandato al giudice la responsabilità di applicare o meno il citato articolo 580 del codice penale, introducendo quindi un criterio di discrezionalità in una materia delicatissima e potenzialmente fonte di abusi.
  • fa riferimento alla legge sul consenso informato e sulle palliative, mentre purtroppo la realtà del nostro Paese è che le cure palliative sono ancora largamente non erogate.
  • prevede il ruolo attivo del Servizio Sanitario Nazionale nella fornitura del suicidio assistito ma non cita più l’obiezione di coscienza per i medici.
  • Infine, cosa gravissima, contempla tra le situazioni che rendono non punibile l’assistenza al suicidio, oltre alla sofferenza fisica causata da malattia irreversibile (NB: quindi anche malattie come il diabete) anche quella psicologica.
  • Si confermano quindi i timori espressi alla vigilia della sentenza: da oggi in Italia sarà molto più facile indurre al suicidio le persone deboli, fragili e perché no, quelle che sono “di peso”.
  • La Corte ha intrapreso una strada pericolosissima che segna la fine della civiltà, la fine della tutela del diritto alla vita, fino ad oggi costituzionalmente garantito e protetto.
  • La Corte ha legiferato scavalcando l’accertamento della volontà popolare espressa in Parlamento e tutto questo ci viene fatto passare per libertà e autodeterminazione: la morte è "il best interest”.
  • Spariscono dall’orizzonte improvvisamente temi come le cure palliative, terapia del dolore, sostegno ai pazienti a domicilio, assistenza ai disabili gravi, fondi per le prestazioni minime ai malati cronici. Ma la Corte costituzionale ha in mente un altro Paese, e pensa che il problema da risolvere oggi sia invece come concedere il diritto a farsi uccidere con un farmaco letale dal Servizio Sanitario Nazionale. 
  • Altrettanto grave la responsabilità di chi ha fatto credere a tutti che questa fosse la priorità e che ha portato un Paese per tradizione e cultura solidale e amante della vita a trovarsi in casa il suicidio assistito legale senza neppure accorgersene, privando con abile furto gli italiani dell'elementare diritto democratico a un dibattito pubblico.
Ci auguriamo che:

  • il Parlamento intervenga almeno per evitare derive peggiori. Lo scenario prossimo venturo lo si vede già nelle nazioni dove il suicidio assistito è legalizzato, ossia Olanda, Belgio e Lussemburgo. In Olanda le cause di morte per eutanasia sono al 4,4% e si uccidono anche i bambini.
  • che i medici continuino ad affermare che la loro professione sia svolta per eliminare la malattia e non il malato (secondo il motto "guarire qualche volta, curare spesso, prendersi cura sempre”) e possano almeno esprimere obiezione di coscienza alle pratiche mortifere
  • che la terapia del dolore e le cure palliative siano capillarmente diffuse in tutto il territorio nazionale - che il nostro Paese continui a diffondere la cultura della vita e della solidarietà all'origine dei nostri Ospedali, come testimoniato nella nostra città in maniera mirabile dal Santa Maria della Scala. Da oggi esiste il diritto a morire, chiediamo ora che venga stabilito e protetto ad ogni costo il diritto a vivere!










sabato 28 settembre 2019

Proselitismo? Evangelizzazione? Il vero problema è se si crede o no




Aldo Maria Valli 28-09-2019

Cari amici di Duc in altum, ricevo da Ettore Gotti Tedeschi e volentieri vi propongo il seguente contributo.

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Dopo l’articolo di Aldo Maria Valli pubblicato nel suo blog il 26 settembre, hanno incominciato a girare vignette ironiche, del tipo (mi si perdonerà se lo riporto, con estremo rispetto): “Chissà come sarebbe contento il Santo Padre se qualche imam gli confidasse di aver convertito padre Spadaro all’Islam. O un monaco buddista gli dicesse di aver convertito padre Sosa al buddismo”. Nelle vignette, in entrambi i casi, il Santo Padre risponde: “Perché questo proselitismo? Siete certi che ce ne fosse proprio bisogno?”.

Ora affrontiamo con serietà il tema proselitismo-evangelizzazione.

Proselitismo, nell’accezione negativa in voga oggi, significa fare discepoli mediante indottrinamento forzato e metodi che non rispettano la libertà delle persone (ma ci sono esempi di tal genere negli ultimi tempi?). La prima domanda che mi porrei è dunque se la cosiddetta libertà sia vera libertà e se, per salvare la vita a una persona, si possa o no mancare di rispetto umano.

Le seconda domanda è se oggi la testimonianza silenziosa, senza insegnamento, possa bastare ad annunciare il Vangelo di Gesù, che è diritto di tutti conoscere.

Il problema, secondo me, è che per fare evangelizzazione con gli argomenti e la testimonianza è indispensabile anzitutto credere. Se non si crede, appare evidente che l’espressione proselitismo appare spregevole. Se non si crede o non si è convinti della propria fede, è naturale pensare che voler convincere gli altri sia violazione della loro libertà. Se non si crede, ci si può convincere che si possa essere salvi anche senza conoscere Cristo.

Chi crede ha un movente per evangelizzare, che è proporre e testimoniare la salvezza attraverso Gesù (il Salvatore), fino alla persecuzione, al martiro. Come infatti è possibile “dare le ragioni della propria speranza” (1Pietro3,15) senza annunciare inequivocabilmente il Vangelo? Perché quindi confonderlo con un proselitismo coercitivo e scorretto? Perché un cattolico dovrebbe farlo? Per guadagnare un bonus, una fee di ingresso di un nuovo adepto? E chi la paga?

Quello che temo è che oggi la gnostica relativizzazione della fede cattolica, troppo orientata all’irenismo e al sincretismo ecumenico, sia l’elemento che spiega la dissuasione alla evangelizzazione stessa, quale attentato alla libertà altrui.

Chi ha provato a fare evangelizzazione sa che annunciare il Vangelo a chi non lo conosce o lo disconosce suscita polemica con l’interlocutore, grazie alle obiezioni naturali. Ma pensare di evangelizzare solo con la testimonianza, senza argomentazioni razionali e capacità apologetica, è protestantesimo. Il protestantesimo si limita a diffondere la Bibbia e a contare sullo Spirito Santo, senza la forza della ragione e l’entusiasmo di chi ha fede e la dimostra, come hanno insegnato a fare i santi.

Ma evangelizzare è anche il vero compito dei laici. I laici, che non celebrano la messa e non amministrano i sacramenti, non possono limitarsi a fare i sacrestani. E neppure operano quali evangelizzatori su delega del parroco o del vescovo o del Papa. Operano per delega diretta di Cristo, mediante il Battesimo e la Confermazione. In un momento come questo, di diffusione della gnosi, ci vuole qualcosa di più della semplice testimonianza. Si deve imparare ad affermare la Verità storica della Risurrezione. Questa missione poi la si chiami come si vuole.

Ettore Gotti Tedeschi













venerdì 27 settembre 2019

Se un cardiologo visita Gesù. I miracoli eucaristici visti al microscopio


Un cuore vivo che soffre, visto al microscopio 


Aldo Maria Valli 27-09-2019

Cari amici di Duc in altum, oggi vi propongo una lettura che ho trovato entusiasmante e preziosa. Si tratta del libro Un cardiologo visita Gesù. I miracoli eucaristici alla prova della scienza (Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2018, 240 pagine, 20 euro), nel quale il dottor Franco Serafini prende in esame cinque miracoli eucaristici sotto il profilo medico e scientifico, giungendo a conclusioni che non possono essere ignorate, tanto più che per la scienza tali miracoli, come scrive l’autore, “costituiscono una pietra d’inciampo, un motivo di imbarazzo, un’incursione a gamba tesa, fatta di carne e sangue, nell’asettico e sacro territorio della dea ragione”. Ma anche taluni cattolici sembrano esserne disturbati, al punto che preferiscono sorvolare e non occuparsene.

Il dottor Serafini ha accettato di rispondere ad alcune domande. Buona lettura!


A.M.V.

***


Dottor Serafini, lei è un medico, un cardiologo, e lavora in un ospedale, dove visita e cura tante persone. Quando e perché ha deciso di “visitare” anche Gesù occupandosi dei miracoli eucaristici?


Da qualche anno mi interessavo di un argomento decisamente particolare: l’aspetto medico-scientifico dei miracoli eucaristici. Che cosa si trova, per esempio da un punto di vista istologico o genetico, nei campioni prelevati da ostie consacrate che apparentemente hanno sanguinato? Mi riferisco ovviamente a indagini richieste dalle autorità ecclesiastiche nell’iter di riconoscimento di possibili nuovi prodigi eucaristici. Ebbene, tutto quello che potevo leggere su questo tema, in rete o su carta, non era soddisfacente: era scientificamente carente, impreciso e a volte proprio sbagliato. Eppure mi sembrava un argomento importante, dal potenziale apologetico enorme, e allora ho deciso di interessarmene personalmente. Ho passato in rassegna tutto il materiale esistente, ho preso contatto con gli studiosi coinvolti, i testimoni oculari; quando possibile sono andato di persona a verificare sul posto. Il risultato è racchiuso in questo volume dal titolo imbarazzante (almeno per me!).

Da uomo di scienza, quali sono le conclusioni a cui sono giunte le sue ricerche circa i miracoli eucaristici presi in considerazione, ovvero Lanciano, Buenos Aires, Tixtla, Sokółka e Legnica?


C’è uno schema che si ripete con confortante puntualità. Cinque volte su cinque è presente tessuto miocardico umano. Il cuore, come è evidente per tutti gli uomini, di tutte le culture, non è un organo come un altro, ma è dotato di una profonda e significativa simbologia a cui i miracoli ci vogliono richiamare. Ma quello che più mi sconvolge, e qui è il cardiologo che parla, è che questo cuore è profondamente sofferente. Nelle preparazioni istologiche, infatti, troviamo segni come l’infiltrazione leucocitaria e la frammentazione-segmentazione delle fibre miocardiche che ci descrivono un contesto patologico molto preciso, come quello che si trova nei cuori sofferenti a causa di un intenso stress da rilascio di catecolamine. Si tratta di quel quadro clinico rappresentato dall’infarto da stress, in assenza di una malattia delle coronarie, che colpisce chi è angosciato per una notizia terribile, come un lutto familiare o è colpito da un trauma fisico o morale estremo.

Spesso, nei miracoli eucaristici, è presente sangue. A Buenos Aires sono state documentate alterazioni di questo sangue come la linfocitosi e l’ipogammaglobulinemia compatibili con il quadro delle prime ore di un paziente severamente politraumatizzato.
Di grande interesse è poi il riproporsi dello stesso gruppo sanguigno, il gruppo AB, comune alle tracce di sangue della Sindone e di altri teli della Passione. Anomalo è il comportamento del DNA, che tende a sfuggire ai comuni marcatori, come a voler impedire un eccesso di riconoscimento, un “eccesso di prova” che umilierebbe e renderebbe superflua la fede degli uomini nella Presenza Reale eucaristica.

Lei conclude che, in tutti i casi esaminati, ci troviamo di fronte alla carne e al sangue di Gesù, e fornisce le prove. Come credente, come si sente davanti a queste evidenze?
Io concludo, per dire meglio, che ci troviamo di fronte a carne e sangue di un uomo agonizzante il cui quadro clinico è compatibile con quello di chi è stato torturato e appeso a una croce.

Da credente mi sento confortato da queste evidenze. Infatti in questi tessuti non troviamo reperti incredibili, che ci stupiscono o che costringono i teologi a complesse spiegazioni per giustificarne l’autenticità. Al contrario, trovo che il riproporsi di un cuore e di un sangue sofferenti sia un dato edificante e semplice, intuitivamente comprensibile a tutti, senza bisogno di lauree in medicina o in teologia.

Il microscopio ci dimostra che lì, nei miracoli eucaristici, c’è il sangue e la carne di uomo torturato e morto sulla croce. Ma l’occhio della fede che cosa vede?
Vede infinitamente di più: il più piccolo frammento di pane o la più piccola goccia di vino consacrati, senza bisogno di nessun prodigio visibile, contengono Colui che l’universo non può contenere. In fondo in questi miracoli eucaristici sono presenti solo alcune, limitate, porzioni di tessuto umano. Nell’Eucaristia “normale” (come suona ridicola e inadeguata la parola “normale”!), la dottrina di sempre ci ricorda che è presente niente meno che tutta la sostanza del Corpo, Sangue, Anima e Divinità di nostro Signore Gesù Cristo.

Credo che non risolveremo mai la diatriba se il miracolo eucaristico sia ancora Eucaristia nella sua pienezza da cui traspare per un ulteriore miracolo un’apparenza accidentale di tessuto umano (come insegna Tommaso nella Summa) oppure se il miracolo eucaristico sia diventato “solo” una reliquia del corpo di Gesù.

Tra tutte le vicende esaminate, qual è quella che l’ha appassionata di più?
Difficile scegliere. Forse il più antico, l’outsider tra i cinque eventi di cui mi sono interessato: il miracolo di Lanciano. Non tutti sanno che l’origine di questo fatto, nel lontano profondo medioevo, non è più confortata da nessun documento storico, ma solo dalla tradizione orale, almeno per i primi otto secoli dal prodigio. Per questo nel 1970 i francescani decisero di supportare l’autenticità di questa abbondante e generosa reliquia chiedendo un parere alla scienza. Si rivolsero al professor Linoli di Arezzo che poté confermare, con uno studio impeccabile, l’origine umana del tessuto miocardico e del sangue conservati a Lanciano. Nel mio piccolo mi sono sentito un po’ Indiana Jones quando ho potuto visionare e smascherare un successivo falso ideologico, confezionato nel 1976 e che si era inserito nel corpus della letteratura scientifica accreditandosi come una voluminosa ricerca originale su mandato addirittura dell’Oms e dell’Onu. Bisogna evidentemente difendere i miracoli eucaristici anche dal “fuoco amico” di qualche “scienziato pasticcione”.

Viviamo in tempi in cui un cattolico, se parla, scrive e si comporta da cattolico, rischia facilmente l’emarginazione. Lei ha subito, diciamo così, contraccolpi professionali a causa delle sue ricerche?
Sinceramente no, anche perché il mio libro è ancora relativamente poco conosciuto. Se aumentasse la sua visibilità… chissà!

Nel libro riferisco però delle vere e proprie persecuzioni subite dai due studiosi polacchi che si sono occupati delle indagini istologiche sull’evento di Sokółka, due scienziati di prim’ordine che hanno dovuto subire perfino un richiamo formale da parte della loro università, accusati di non aver saputo separare l’esercizio della scienza dall’“emotività” della loro fede cattolica, oltre a dover subire una vera e propria gogna mediatica a livello nazionale.

Quando lei racconta gli esiti delle sue ricerche ai non credenti, quali reazioni suscita?
La reazione prevalente è l’imbarazzo a cui segue il silenzio. Ancora nessun valido rappresentante del mondo laicista ha provato a controbattere ai fatti che racconto entrando nel dettaglio delle indagini mediche. L’atteggiamento che prevale è quello di mettere in discussione la credibilità a monte di queste indagini cavandosela con la malafede di chi ha simulato o di chi ha studiato i miracoli eucaristici.

Le voglio però raccontare che, a sorpresa, ho trovato uno speculare e più forte imbarazzo anche nel mondo cattolico. A tanti piace avere una fede “pura”, disincarnata, che non ha bisogno di prove così concrete e sanguinolente… Mi dicono: “Ma io ho già la fede! A cosa servono questi studi?”.

L’Eucaristia, all’interno della Chiesa, è sotto attacco. Strane teologie cercano di sminuirla. Pensa che, paradossalmente, una sua difesa possa arrivare proprio dalle risultanze scientifiche relative ai miracoli eucaristici?
Perché no!? In effetti noi siamo la prima generazione a cui l’Eucaristia parla anche utilizzando il linguaggio originale della scienza e della medicina, peraltro un linguaggio a cui l’uomo contemporaneo è particolarmente, e perfino eccessivamente, sensibile. Mi dà comunque serenità la consapevolezza che, anche in questa materia, è Dio che ha saldamente in mano la situazione. Non è l’uomo che “costringe” con i suoi strumenti tecnologici l’Eucaristia a “parlare” e a svelarsi. Al contrario: il miracolo eucaristico si apre alla scienza nei tempi e nei modi che lui ritiene più opportuni, mettendoci al riparo anche da un eccesso di comprensione razionale che renderebbe superflua la fede.

A cura di Aldo Maria Valli













Fine vita, il mondo cattolico si sveglia tra sgomento e urrà




La sentenza della Corte costituzionale sull’assistenza al suicidio è inaccettabile secondo molti esponenti del mondo cattolico a partire dalla stessa CEI. Ma sono reazioni che nascondono valutazioni molto diverse sul da farsi e ricostruzioni molto distanti su cosa si doveva fare. E poi c'è anche chi applaude alla decisione della Corte. Come il giurista D'Agostino e Lucetta Scaraffia, i quali svelano una inquietante deriva eutanasica per via cattolica. 




VITA E BIOETICA
Stefano Fontana 27-09-2019

La sentenza della Corte costituzionale sull’assistenza al suicidio è inaccettabile. Così si sono espressi ieri molti esponenti del mondo cattolico e la stessa Presidenza della CEI. Mauro Ronco, presidente del Centro Studi Livatino, l’ha qualificata “aberrante”. Il Comitato Verità e Vita ha parlato di “prospettiva etica e giuridica che contraddice la ragion d’essere stessa del diritto e della medicina” e Massimo Gandolfini, giudicando “irricevibile” la sentenza, ha usato un’espressione funerea: “deriva mortifera”. Il bioeticista Adriano Pessina ha parlato di “scelta grave eticamente e giuridicamente” e di “implicita istigazione al suicidio” e le sue parole sono state addirittura rilanciate da Famiglia Cristiana. Alfredo Mantovano lamenta che la Corte non sancisce l’illegittimità rispetto alla Costituzione dell’articolo 580 che punisce l’aiuto al suicidio, “ma per molti aspetti fa peggio”. Il consigliere del CSM Paola Braggion parla di “qualcosa che si è sciolto, sgretolato”. Anche Avvenire titola “condizioni di morte”. La Conferenza episcopale italiana ha manifestato “sconcerto e distanza” nei confronti della sentenza della Consulta.

Dietro queste affermazioni però, si nascondono valutazioni anche molto diverse sul da farsi e ricostruzioni molto distanti tra loro su cosa si doveva fare, tuttavia possiamo dire che dal mondo cattolico, ampiamente inteso, siano giunti giudizi di stroncatura dell’operato della Corte Costituzionale.

Con una eccezione, però, anzi con due.

La prima è quella dell’insospettabile Francesco D’Agostino, non nuovo a questi smarcamenti e, bisogna dire, coerente con se stesso dopo la virata rispetto ad anni fa. Del resto si era dichiarato favorevolissimo anche alla legge 219 sul fine vita che tutti dicevano essere eutanasica, suscitando moti di convulsione e rigetto dentro l’Unione Giuristi Cattolici da lui presieduta. Sul Sole 24 Ore di ieri 26 settembre egli ha negato che la sentenza della Corte contenesse una apertura all’eutanasia. A parte il fatto che tra suicidio assistito ed eutanasia non c’è alcuna differenza, come opportunamente precisato dal Cardinale Bassetti nell’incontro dell’11 settembre scorso sul tema, il professore – un tempo ascoltatissimo dai vertici ecclesiastici e probabilmente tuttora – ha affermato che “la risposta dei giudici delle leggi … è stata la migliore possibile. Viene rispettata l’autodeterminazione ma non l’arbitrio del paziente”.

Qual è la differenza tra autodeterminazione e arbitrio? Forse sarebbe la seguente: l’arbitrio indica che si può fare tutto, l’autodeterminazione indica invece che si può fare solo quanto la legge permette di fare. Nel primo non ci sono paletti alla volontà soggettiva, nella seconda ci sono invece dei paletti: si ha diritto ad essere aiutati a suicidarsi e si ha diritto ad aiutare a suicidarsi mediante sospensione dei sostentamenti vitali solo alle seguenti condizioni: 1, 2, 3.

Ma tutti vedono che tale distinzione è solo quantitativa in quanto il principio è lo stesso: l’arbitrio soggettivo pretende la possibile l’uccisione di un innocente, la legge gli dice di sì ma a certe condizioni. L’atto rimane sempre arbitrario in quanto contrario a principi elementari di legge naturale, solo viene circoscritto da un’altra arbitrarietà, quella dello Stato tramite la legge. Siccome né il soggetto che intende agire arbitrariamente, né la legge che vuole limitare questa sua facoltà, fanno riferimento a dei criteri oggettivi di diritto naturale, si tratta del compromesso tra due arbitri. La legge è intesa come la limitazione arbitraria dell’arbitrio e questo viene chiamato da D’Agostino autodeterminazione, ma è arbitrio.

Per D’Agostino la cornice posta dalla sentenza della Corte sarebbe “molto rigorosa”. Ma D’Agostino non ha visto quanto è successo a proposito dei “casi particolari” in cui si prevedeva la possibilità dell’aborto e come si sono talmente dilatati fino a svanire? È la sorte di tutti i paletti quella di essere spiantati e spesso a spiantarli è proprio la Consulta. Le condizioni poste dalla Corte sono molto generiche e diversamente interpretabili. Cosa vuol dire “sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili”. Per valutarle vengono chiamati in causa i medici i quali, secondo il Professore, hanno “il dovere fondamentale di verificare l’esistenza delle condizioni poste dalla Corte”. Ma se la sentenza si appoggia sulla legge 219 sul fine vita, la quale considera terapie gli interventi salvavita come idratazione e alimentazione, la valutazione dei medici è già orientata. Nulla dice D’Agostino sulla mancanza di ogni accenno all’obiezione di coscienza nel comunicato della Corte.

D’Agostino però non è solo. Anche Lucetta Scaraffia si smarca dal coro di condanna e sull’Huffington Post sempre di ieri 26 settembre dice che “non c’è né da festeggiare né da strapparsi i capelli”. La sentenza non parlerebbe di aiuto al suicidio né di eutanasia ma direbbe solo che non è punibile chi aiuta a suicidarsi: … (ma non è la stessa cosa?) Tranquilli, nessuna novità - continua la Scaraffia - già la 219 sul fine vita ammetteva la sospensione delle cure di sostegno vitale. Sì, e per questo – si dimentica di dire – era eutanasica. Per la Scaraffia “non c’è niente di male nella nuova sentenza, perché vi è soltanto stata ribadita la possibilità di rinunciare alle cure vitali già previste dalla legge”.

Rassicuranti il D’Agostino e la Scaraffia. Segno che la situazione è veramente allarmante.










mercoledì 25 settembre 2019

Pisa, la messa non vale l’ambiente….




A Calci, in diocesi di Pisa, domenica prossima verranno soppresse tre Messe. Il motivo? I parrocchiani sono invitati a partecipare all’iniziativa Puliamo il mondo di Legambiente. La carica ideologica di certi preti arriva fino a toccare la Messa che diventa un servizio come un altro, da spostare se ci sono bisogni più impellenti.



di Andrea Zambrano (24-09-2019)

Diceva San Pio da Pietrelcina che «il mondo potrebbe reggersi senza il sole, ma non senza la Messa». A Calci, provincia di Pisa, invece, hanno pensato che per pulirlo, il mondo, la Messa è decisamente di troppo. Meglio sospenderla. Anzi, meglio sospenderle dato che domenica prossima saranno ben tre le Sante Messe che verranno temporaneamente soppresse dall’unità pastorale delle parrocchie della Val Graziosa per far spazio all’iniziativa di Legambiente Puliamo il mondo.

L’annuncio è stato dato domenica durante gli avvisi dopo la Santa Messa: “Le Messe delle 10.15 e delle 11.30 non saranno celebrate per partecipare a questa bella iniziativa che è anche in linea con il Vangelo”. Avete capito bene: a Calci domenica è prevista la giornata di pulizia dei fossi e delle strade secondo il “credo” ecologista e, per non far mancare i fedeli a questo importante appuntamento, il parroco deve aver deciso che alcune Messe fossero di troppo. Che fare dunque? Sopprimerle, chiaro, no?

“Non parlerei di soppressione – ci spiega al telefono il giovane curato don Luca – ma semplicemente di una sospensione solo per la mattina di domenica. Le Messe celebrate saranno comunque quella delle 8 di mattina e quella delle 18”.

Forse c’è qualcosa che non va. O forse è tutto in linea con la nuova concezione che vede la Messa un semplice servizio e poco più. Se arriva un nuovo bisogno, in questo caso girare con ramazze e guanti in lattice per raccogliere mozziconi di sigarette, il servizio può essere sospeso, rimandato, posticipato.

“Guardi che si tratta di un’iniziativa laica – ci spiega don Luca – che invita la cittadinanza a pulire le strade, il paese e i dintorni. Qui sul monte ad esempio abbiamo anche sentieri lungo il torrente Zambra e il parroco, d’accordo con il consiglio pastorale, ha deciso di ridurre il numero di Messe, per aiutare tutti a partecipare”.
don Antonio Cecconi


Il parroco, don Antonio Cecconi, già referente locale della Caritas, deve essere affascinato dal credo ambientalista e anti salviniano, almeno stando a quanto scrive sul sito della parrocchia dove non esita a criticare l’ex ministro degli Interni Matteo Salvini secondo i soliti schemi immigrazionisti.

Non è il solo, del resto. Ma fino ad ora le Messe erano state salvaguardate, anche se magari strumentalizzate. Ora si assiste a un passo avanti: per portare avanti le proprie idee e i propri gusti in materia di ambientalismo, si impone ideologicamente ai fedeli la violenza della privazione di una Messa, rendendoli così ostaggio di un’iniziativa mondana che magari nemmeno condividono, ma rispetto alla quale devono adeguarsi.

Davvero se ne sentiva il bisogno? “Vede – prosegue don Luca – il fatto è che la Messa si può fare anche alle 18 e se c’è buio, il mondo invece va pulito al mattino, quando c’è la luce”. Chiediamo se è davvero in linea col Vangelo. La risposta è tranchant: “Be’, adesso non saprei trovare la citazione, però sicuramente è in linea con ciò che dice Papa Francesco sulla tutela del creato”. Davvero lodevole, dunque. Anche se non riusciamo a immaginarci Maria che abbandona il Golgota per andare a sistemare le strade di Gerusalemme prima che si faccia buio su tutta la terra. Ma anche questo dovrebbe far parte di quella vecchia Chiesa che non è al passo coi tempi e soprattutto non riesce a capire che la cura della casa comune val bene anche un affronto del genere a Chi quella casa comune l’ha creata.

La parrocchia ha fatto passare il messaggio che niente viene sacrificato, è solo una riorganizzazione più funzionale di quella specifica domenica. Invece non è vero: si tratta di due Messe in meno nel mondo, nella storia, nell’economia dell’eternità e se qualcuno ha in mente il valore della Messa non potrebbe non tornare a quanto diceva San Pio: “Se la gente sapesse che cosa accade nella Messa, davanti alle chiese dovrebbero esserci i carabinieri per contenere la folla”.

Il messaggio gravissimo che passa e sul quale sarebbe interessante che un vescovo, quello di Pisa, dicesse la sua, è che è la Messa adesso che deve adattarsi alle esigenze degli uomini. Se gli uomini hanno altre esigenze, come ad esempio raccogliere buste di plastica lungo le rive del fiume, allora la Messa può aspettare. Nostro Signore può aspettare. Insomma, la nostra fede può aspettare, dunque non è poi così importante e viene subordinata sempre a qualche cosa di diverso.

Di questo passo e con questa logica potremo proseguire all’infinito sospendendo centinaia di celebrazioni: passa il Giro d’Italia? E mica possiamo chiedere a Nibali&co di aspettare che finiamo il canto alla comunione? Rimandiamo. Arriva in città il presidente della Repubblica? Messa delle 10 cancellata per permettere a tutti di ascoltarlo; il concerto della rockstar disturba la parrocchia del vicinato? Niente Messa (purtroppo questo è già successo). La Messa diventa così un servizio, da spostare, cancellare e modulare a seconda delle esigenze più o meno degli uomini. E in questo modo la Chiesa passa a servizio non più di Dio, ma della mondanità.

#salviamolamessa






(fonte: lanuovabq.it)








































lunedì 23 settembre 2019

L’Amazzonia impari dalla Cina, dove la Chiesa fioriva con pochissimi missionari. Celibi





*Sandro Magister, 23-09-2019

Il mantra con cui i fautori dei preti sposati motivano la loro pretesa è l’invincibile scarsità di preti celibi in regioni con piccole comunità disperse in luoghi remoti, come l’Amazzonia o le isole del Pacifico. Bisogna assicurare – dicono – che si offra a tutti la celebrazione della messa a cadenza regolare, e non soltanto rare volte all’anno.

Curiosamente, gli stessi che si mostrano così generosi nel voler elargire l’eucaristia sono anche i più avari nel convertire e amministrare il battesimo, evidentemente da loro equiparato al “proselitismo” tanto aborrito da papa Francesco. “Non ho mai battezzato un indio, e neppure lo farò in futuro”, ha detto il vescovo Erwin Kräutler, uomo chiave dell’imminente sinodo amazzonico.

La contraddizione maggiore, però, è con due millenni di storia della Chiesa, che hanno visto innumerevoli casi di scarsità di preti celibi per comunità disperse, senza però che nessuno derivasse da ciò – con ragionamento puramente funzionale, organizzativo – l’obbligo di reclutare come celebranti anche uomini sposati, i cosiddetti “viri probati”.

Non solo. La storia insegna che la scarsità di preti celibi non necessariamente si risolve in un danno per la "cura d'anime". Anzi, in alcuni casi addirittura coincide con una fioritura della vita cristiana.

È stato così, ad esempio, nella Cina del XVII secolo. Ne ha dato conto una fonte insospettabile, "La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti di Roma diretta da Antonio Spadaro che è il numero uno dei confidenti di Jorge Mario Bergoglio, in un dotto articolo di tre anni fa del sinologo gesuita Nicolas Standaert, docente all'Università Cattolica di Lovanio.

Nel XVII secolo in Cina i cristiani erano pochi e dispersi. Scrive Standaert:

"Quando Matteo Ricci morì a Pechino nel 1610, dopo trent’anni di missione, c’erano circa 2.500 cristiani cinesi. Nel 1665 i cristiani cinesi erano diventati probabilmente circa 80.000, e intorno al 1700 erano circa 200.000, il che era ancora poco, se confrontato con l’intera popolazione, tra i 150 e i 200 milioni di abitanti".

E pochissimi erano anche i sacerdoti:

"Alla morte di Matteo Ricci, c’erano soltanto 16 gesuiti in tutta la Cina: otto fratelli cinesi e otto padri europei. Con l’arrivo dei francescani e dei domenicani, intorno al 1630, e con un lieve incremento dei gesuiti nello stesso periodo, il numero dei missionari stranieri arrivò a più di 30, e rimase costante tra i 30 e i 40 nell’arco dei successivi trent’anni. In seguito vi fu un incremento, raggiungendo un picco di circa 140 tra il 1701 e il 1705. Ma poi a causa della controversia sui riti il numero dei missionari si ridusse di circa la metà".

Di conseguenza la gran parte dei cristiani cinesi incontravano il sacerdote non più di "una o due volte l’anno". E nei pochi giorni in cui durava la visita, il sacerdote "conversava con i capi e con i fedeli, riceveva informazioni dalla comunità, si interessava delle persone malate e dei catecumeni. Ascoltava confessioni, celebrava l’eucaristia, predicava, battezzava".

Poi il sacerdote per molti mesi spariva. Eppure le comunità reggevano. Anzi, conclude Standaert: “Si trasformarono in piccoli ma solidi centri di trasmissione di fede e di pratica cristiana".

Ecco qui di seguito i particolari di quella affascinante avventura di Chiesa, come riferiti da "La Civiltà Cattolica".

Senza elucubrazione alcuna sulla necessità di ordinare uomini sposati.

*

“IL MISSIONARIO ARRIVAVA UNA O DUE VOLTE L’ANNO”


di Nicolas Standaert S.I.





(da "La Civiltà Cattolica" n. 3989 del 10 settembre 2016)

Nel XVII secolo i cristiani cinesi non erano organizzati in parrocchie, ovvero in unità geografiche attorno all’edificio di una chiesa, bensì in "associazioni", con a capo dei laici. Alcune di esse erano un misto del tipo di associazioni cinese e di quello delle congregazioni mariane di ispirazione europea.

Pare che tali associazioni cristiane fossero molto diffuse. Ad esempio, intorno al 1665 c’erano circa 140 congregazioni a Shanghai, mentre c’erano più di 400 congregazioni di cristiani nell’intera Cina, sia nelle grandi città sia nei villaggi.

L’insediamento del cristianesimo a questo livello locale ebbe luogo sotto forma di quelle che si possono definire "comunità di rituali efficaci", gruppi di cristiani la cui vita era organizzata attorno a determinati rituali (messa, festività, confessioni ecc.). Esse erano "efficaci" sia nel senso che costruivano un gruppo, sia nel senso che venivano considerate dai membri del gruppo come capaci di recare senso e salvezza.

I rituali efficaci erano strutturati in base al calendario liturgico cristiano, che comprendeva non soltanto le principali feste liturgiche (Natale, Pasqua, Pentecoste ecc.), ma anche celebrazioni dei santi. L’introduzione della domenica e delle feste cristiane fece sì che la gente vivesse secondo un ritmo diverso dal calendario liturgico utilizzato nelle comunità buddiste o taoiste. I rituali più evidenti erano i sacramenti, specialmente la celebrazione dell’eucaristia e la confessione. Ma la preghiera comunitaria – soprattutto la recita del rosario e le litanie – e il digiuno in determinati giorni costituivano i momenti rituali più importanti.

Queste comunità cristiane rivelano anche alcune caratteristiche essenziali della religiosità cinese: comunità che sono molto orientate alla laicità e che hanno capi laici; l’importante ruolo delle donne quali trasmettitrici di rituali e di tradizioni all’interno della famiglia; una concezione del sacerdozio orientato al servizio (preti itineranti, presenti soltanto in occasione di feste e di celebrazioni importanti); una dottrina espressa in modo semplice (preghiere recitate, princìpi morali chiari e semplici); una fede nel potere trasformante dei rituali.

A poco a poco, le comunità giunsero a funzionare in maniera autonoma. Un prete itinerante (inizialmente uno straniero, ma nel XVIII secolo prevalentemente preti cinesi) era solito far loro visita una o due volte l’anno. Di norma i capi delle comunità riunivano i vari membri una volta la settimana e presiedevano alle preghiere, che la maggior parte dei membri della comunità conosceva a memoria. Essi leggevano anche i testi sacri e organizzavano l’istruzione religiosa. Spesso si tenevano incontri a parte per le donne. Inoltre, vi erano catechisti itineranti che istruivano i bambini, i catecumeni e i neofiti. In assenza di un sacerdote, capi locali amministravano il battesimo.

Durante la sua visita annuale di alcuni giorni, il missionario conversava con i capi e con i fedeli, riceveva informazioni dalla comunità, si interessava delle persone malate e dei catecumeni ecc. Ascoltava confessioni, celebrava l’eucaristia, predicava, battezzava e pregava con la comunità. Dopo la sua partenza, la comunità continuava la sua consueta pratica di recitare il rosario e le litanie.

Il cristiano ordinario quindi incontrava il missionario una o due volte l’anno. Il vero centro della vita cristiana non era il missionario, ma la comunità stessa, con i suoi capi e catechisti come principale anello di congiunzione.

Soprattutto nel XVIII e all’inizio del XIX secolo queste comunità si trasformarono in piccoli ma solidi centri di trasmissione di fede e di pratica cristiana. A causa dell’assenza di missionari e di sacerdoti, i membri della comunità – ad esempio, i catechisti, le vergini e altre guide laiche – assumevano il controllo di tutto, dall’amministrazione finanziaria alle pratiche rituali, compresa la guida delle preghiere cantate e l’amministrazione dei battesimi.



















Gotti Tedeschi: “Il vero incendio di cui preoccuparsi è quello che brucia la fede”



Aldo Maria Valli 23-09-2019

Cari amici di Duc in altum, vi propongo una lettera di Ettore Gotti Tedeschi nella quale l’economista e banchiere cattolico, da tempo impegnato sul fronte della difesa della retta dottrina e della fede, spiega con quali intenzioni si unirà in preghiera alle persone che si daranno appuntamento il prossimo 5 ottobre a Roma.


A.M.V.

***


La notizia riferitami da alcuni amici che il 5 ottobre ci sarà a Roma (ore 14:30, in largo Giovanni XXIII) un’iniziativa pubblica di preghiera per la Chiesa mi ha molto rallegrato. In un modo o nell’altro, non potendo fisicamente, sarò spiritualmente con loro per qualcosa che ritengo importante: mostrare, con grande parresìa, che ci sono uomini e donne che tengono ancora molto alla salvezza e alle cose sante, preoccupati che queste vengano loro tolte. Poiché hanno esaurito tutti i tentativi di trovare orecchie umane disposte ad ascoltarli, hanno deciso di ottenere udienza direttamente dal Fondatore, Capo e Padrone, certi (anche se non c’era il registratore) di una garanzia data: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20).

Nella comune preghiera per la salvezza della Chiesa e delle anime sono certo che saranno convogliate molte preghiere particolari. La mia sarà rivolta a preservare la Chiesa da un’antica minaccia, mai sopita e oggi rinvigorita come non mai, quasi apparentemente trionfante: la gnosi. È la lusinga di poter giungere a una conoscenza che rimuove la natura del creato e fa della creatura il creante; un creante più lungimirante e più misericordioso del Creatore della Genesi divina, che sta cercando di sostituire con una genesi gnostica. Questa genesi gnostica vorrebbe ribaltare completamente la volontà del Creatore e modificare tutte le leggi naturali della Creazione. Queste leggi stabilite dal Creatore sembrano oggi venir considerate da molti nella Chiesa troppo rigide e poco misericordiose. Ecco così che alcuni, che hanno iniziato a praticare il loro superamento, si sono ora impegnati per accantonarle ufficialmente e, a meno di un intervento dal Cielo, parrebbe proprio che i loro sforzi siano destinati ad avere successo. L’ utilizzo strumentale del problema ambientale, non affrontato adeguatamente nella necessaria ricerca scientifica delle cause, ma solo negli effetti, sembra voler deporre l’uomo dal piedistallo su cui Dio lo ha posto, per degradarlo a minaccia della “casa comune”, quasi facendolo sentire “cancro della natura”. Il rischio di questa gnosi umanitaria è l’approdo a una nuova formula di fede: “Credo l’uomo, creatore del cielo e della terra, anche se credo che non sappia custodirla, perciò occorre imporre nuovi comandamenti …”. Ma questo è il capolavoro del grande “pensionato “, quel signore che dopo essere caduto dalle stelle del cielo alle stalle degli inferi ha oggi così tanti e solerti collaboratori da non sapere più cosa fare nel cantiere infernale da cui, annoiato, si assenta sempre più spesso. È così che ormai c’è chi, pur lavorando con grande zelo in quell’opificio, lo considera niente più che un simbolo.

Ecco, il 5 ottobre io farò una preghiera ecologista, pregherò perché nella Chiesa venga spento l’incendio che sta distruggendo il polmone che dà respiro al mondo: la fede. E naturalmente pregherò perché il riscaldamento globale, grazie alla ripresa della fede, si riduca conseguentemente . E sono certo che ciò avverrà poiché il riscaldamento globale davvero pericoloso è dovuto al numero elevato, e in crescita esponenziale, di tante povere creature che finiscono a bruciare nell’inferno, elevando così le temperature terrestri, grazie al fatto che non si insegna più la dottrina, ma altro.

Ettore Gotti Tedeschi















domenica 22 settembre 2019

Il raduno mondialista che profana la Basilica di Assisi





Nella città serafica si sta svolgendo la manifestazione
«In_Contro», con l’immigrazionismo e l’ecologismo come ideologie dominanti. Promossa dal cardinal Ravasi, suo primo relatore è stato Jeffrey Sachs, noto per essere pro contraccezione e aborto. La lectio di Sachs si è tenuta in Basilica, che domani sarà teatro della proiezione di foto sull’Amazzonia. L’ennesimo oltraggio a Dio.





ECCLESIA
Ermes Dovico, 21-09-2019

Il titolo scelto per quest’anno è già indicativo: «In_Contro». E così il sottotitolo: «Comunità, popoli, nazioni». Limitandosi poi a leggere il programma e i relatori (più di 70) l’impressione che viene è quella di una grande conferenza dell’Onu, giusto con qualche voce fuori dal coro politicamente corretto e qualche sacerdote - vista la location - come ospite obbligato, nella laica speranza che non parli troppo di Colui che rappresenta. E invece no: l’organizzazione dell’evento, cinque giorni in quel di Assisi, è diretta responsabilità di uomini di Chiesa.

Si tratta infatti della quinta edizione del Cortile di Francesco (18-22 settembre), organizzato dal Sacro Convento di Assisi, dal Pontificio Consiglio della Cultura (Pcc) e dall’associazione Oicos Riflessioni, con la collaborazione della Conferenza episcopale umbra. Grande animatore dell’iniziativa è il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente dello stesso Pcc, che in un’intervista pubblicata il 18 settembre da Vatican News aveva fornito un efficace sunto del programma, il cui filo conduttore, ahinoi, è tutt’altro che Gesù Cristo come nostro unico Salvatore. Troppo fuori moda.

Lo spunto per il tema del Cortile di quest’anno, lo si sarà capito, è la diffusione dei populismi e delle «chiusure nazionaliste sempre più accentuate», come si legge sul portale vaticano nell’introduzione dell’intervista. Da qui il titolo, «In_Contro», con la sottile discettazione linguistica di monsignor Ravasi, il mantra del dialogo e l’antifona socio-politica che può essere compresa da chiunque abbia vissuto sul pianeta Terra negli ultimi tempi. Ma se non fosse ancora chiaro il sottinteso, basta vedere il titolo di uno dei meeting previsti («Le organizzazioni umanitarie tra Mediterraneo e Europa») e constatare chi sono gli invitati: si tratta di rappresentanti di Medici senza frontiere, Mediterranea, Open Arms, Sos Méditerranée, Sea Watch, con incontro condotto nella serata di ieri dal giornalista Corrado Formigli. Una specie di Internazionale delle Ong del mare, dove i punti di vista di chi fa notare che magari la logica immigrazionista è contraria al bene comune (come tra l’altro hanno spiegato in questi anni diversi vescovi africani) finirebbero per essere ‘soffocati’ e forse è per questo che qualche isolata voce contraria, conoscendo il resto del panel, ha finito per declinare l’invito a intervenire.

Altro grande tema dei cinque giorni è l’ecologia, anch’essa trattata non secondo una corretta ottica cristiana che riconosca l’ordine del creato come voluto dalla Sapienza divina, bensì secondo le lenti parziali dell’ecologismo. Ideologia che è legata a doppio filo ai gruppi per il controllo delle nascite, di cui un esponente di spicco è l’economista Jeffrey Sachs, consigliere speciale del segretario generale dell’Onu in tema di sviluppo sostenibile, grande sostenitore dell’enciclica ‘verde’ di papa Francesco (Laudato Si’) e ospite principale della prima giornata del Cortile di quest’anno. Una scelta scandalosa, stante il fatto che Sachs contraddice gravemente molti insegnamenti della Chiesa, promuovendo contraccezione e aborto. Al riguardo, in un libro del 2008, Common Wealth, descriveva l’aborto come «un’opzione a basso rischio e a basso costo» e invocava la sua legalizzazione per far fronte «ai bambini indesiderati», quando i contraccettivi non ottengono i loro effetti (vedi qui).

Tornando all’incontro di Assisi, Sachs ha addirittura tenuto la sua relazione all’interno di uno dei luoghi sacri simbolo della città serafica: la Basilica superiore di San Francesco! Ma non chiamatela profanazione, i cultori dell’«in_contro» non comprenderebbero il perché dell’oltraggio a Dio e nemmeno del dolore che questo causa ai semplici fedeli.

Come detto, il compendio del programma era già tutto contenuto nell’intervista di Ravasi a Vatican News. Sapete quante volte, in 12 minuti di dialogo con la giornalista, si parla di Gesù, della Santissima Trinità o anche del frutto più alto della Sua Creazione, Maria? Zero. Mai una volta che monsignor Ravasi vi accenni anche solo di sfuggita. Anzi, parla del mondo come «creatura vivente» e chiede di non essere ritenuto panteista (excusatio non petita…): e questo subito dopo aver detto che il Cortile vuole essere «proprio una anticipazione» del Sinodo sull’Amazzonia. Rispetto al quale, come i nostri lettori sanno, il cardinale Raymond Burke e il vescovo Athanasius Schneider hanno lanciato una «crociata di preghiera e digiuno» perché non vi si approvino le eresie e gli errori contenuti nell’Instrumentum Laboris, come il paganesimo, il panteismo implicito nell’esaltazione della “Madre Terra”, l’abbandono dell’evangelizzazione, eccetera.

Tutto il contrario della missione data da Cristo alla Chiesa e di quanto insegnava, per rimanere ad Assisi, san Francesco, che Ravasi cita appena per parlarci della «rilettura» del Cantico delle Creature che farà il fotografo Sebastião Salgado proiettando, nella serata conclusiva del Cortile, fotografie sull’Amazzonia. Dove verranno proiettate? Sulla facciata della Basilica superiore, ovviamente… Con altra profanazione, dunque, se sono ancora valide le parole delle Sacre Scritture: «La mia casa sarà chiamata casa di preghiera». E se su “Madre Terra” dovesse cadere la pioggia? Con molta nonchalance, i nostri proietteranno la mostra all’interno, nella navata centrale.

Eppure il cardinal Ravasi ci tiene a dire che non si tratterà di qualcosa come l’oscena proiezione con scimmiette e pinguini sulla facciata della Basilica di San Pietro (che lui definisce un’operazione «sgrammaticata e anche brutta»), bensì appunto di una rilettura «attualizzata» del Cantico. Ora, gli scatti del fotografo brasiliano saranno anche suggestivi e tecnicamente perfetti, ma perché abusare di un luogo sacro visto che quelle di Salgado sono, come le chiama lo stesso Ravasi, «operazioni socio-culturali»? Quegli scatti racconteranno anche le sofferenze delle persone, come ci anticipa al telefono l’ufficio stampa del Sacro Convento, ma come si può pretendere di rispondere a quelle sofferenze se l’evento ha relatori che negano il diritto alla vita dei «più poveri tra i poveri» (come santa Teresa di Calcutta chiamava i bambini nel grembo) e si pretende di guarire quelle sofferenze senza l’aiuto del Medico che l’ha assunte tutte nella sua carne crocifissa, Nostro Signore Gesù Cristo?

Perché il grande assente, nei cinque giorni di programma, è Lui, che è esattamente ciò che fa la differenza tra il «nuovo umanesimo» senza Dio di cui abbiamo sentito parlare quest’estate e il cristianesimo. Ci avrebbero potuto parlare dell'imitazione di Cristo propria dei santi, a cominciare dal “padrone di casa”, san Francesco, che proprio in questi giorni, il 14 settembre del 1224, riceveva le stimmate mentre pregava sul monte della Verna, e invece un principe di Santa Romana Chiesa ci addita come modelli Greta Thunberg e il già citato Salgado, che è «nella Garzantina di Arte».

Ripetiamo, ottima tecnica fotografica e non discutiamo le sue buone intenzioni, ma se parliamo di modelli per l’unica cosa che conta nella nostra vita terrena - guadagnare il Paradiso - ci teniamo san Francesco. La cui carità, l’amore per gli ultimi e tutto il creato, nasceva dalla contemplazione di Dio. Prima di attualizzarlo profanando una basilica e pensando a risposte solo orizzontali ai bisogni dell’uomo, il Cantico delle Creature lo si rilegga bene. Le sue strofe - per «frate sole», «sora luna e le stelle», etc. - iniziano tutte con «Laudato si’, mi’ Signore». Per poi concludersi: «Laudate et benedicete mi’ Signore et ringratiate…».



















sabato 21 settembre 2019

Uccidere con l’eutanasia anche chi vuole vivere è ormai legale in Olanda





L’incredibile sentenza del tribunale dell’Aia sul caso di una donna uccisa contro il suo volere. Per il giudice è una «precauzione non necessaria» verificare la volontà attuale del paziente




Leone Grotti 12 settembre 2019 Esteri

L’incredibile sentenza con cui ieri il tribunale dell’Aia ha assolto un medico per aver ucciso con un’iniezione letale una paziente affetta da demenza potrebbe cambiare radicalmente la somministrazione dell’eutanasia in Olanda. Secondo il giudice Mariette Renckens, la dottoressa Catharina A. ha agito con tutte le precauzioni del caso. La procura che voleva la condanna, riporta il Guardian, potrebbe fare ricorso.

SEDATA DI NASCOSTO E UCCISA

Il caso, il primo a finire davanti a giudici dall’approvazione della legge sull’eutanasia nel 2002, è stato più volte raccontato da tempi.it. Una donna anziana ultrasettantenne affetta da demenza aveva redatto un testamento biologico nel quale dichiarava che avrebbe desiderato l’eutanasia se fosse stata rinchiusa in una casa di riposo, ma solo «su mia richiesta quando riterrò che sia giunto il momento».

Nel 2016 la donna, rinchiusa in una casa di riposo, manifestò diversi segni di insofferenza senza però mai chiedere l’eutanasia. La famiglia decise che era giunto il momento che la donna morisse, senza informarla per non causarle sofferenza. Così, il giorno stabilito, il medico drogò l’anziana versandole un sedativo nel caffè. Dopo la prima delle tre iniezioni necessarie, la donna si svegliò, cercando di divincolarsi. Il medico, aiutato dalla famiglia, immobilizzò la donna e terminò la procedura, uccidendola.

VERIFICARE LA VOLONTÀ «NON È NECESSARIO»

La commissione di controllo dell’eutanasia inviò il fascicolo alla procura, ritenendo che il medico avesse violato la legge, «oltrepassando il limite». Il giudice però ha sentenziato ieri che il medico non ha fatto altro che rispettare il testamento biologico. Secondo il tribunale, la dottoressa A. non doveva verificare la volontà della paziente perché questa «precauzione non necessaria» avrebbe minato il concetto stesso di dichiarazione anticipata di volontà dell’eutanasia.

La procura potrebbe fare ricorso perché, secondo il pubblico ministero, non basta un testamento biologico per uccidere una persona, bisogna prima assicurarsi se quella persona vuole morire nel momento in cui le viene somministrata l’eutanasia. Il ragionamento è semplice: morire dovrebbe essere un diritto, non un dovere.

DOVE SONO DIGNITÀ E AUTODETERMINAZIONE?

La sentenza fa crollare il castello di carte ideologico sul quale si fonda l’eutanasia, e cioè dare il diritto al paziente di decidere della propria vita fino alla fine, facendo trionfare la volontà e l’autodeterminazione del singolo. Può la parola “dignità”, caposaldo delle leggi sull’eutanasia in tutto il mondo, essere spesa quando una donna viene drogata di nascosto e uccisa dopo essersi battuta anche fisicamente per vivere? In Olanda sì.








Mons. Bux: “è diabolico eliminare gli inginocchiatoi dalle chiese”






Il cinque Ottobre a Roma si terrà un importante ed interessante convegno di studio sulla comunione ed in particolare su quella amministrata sulla lingua ed in ginocchio, per evitare il proliferare di abusi. Al simposio romano, che si terrà presso una delle sale conferenze di Santo Spirito in Sassia, a partire dalle ore 18,00, prenderà parte tra i relatori, maggiormente attesi, il noto e qualificato teologo e liturgista barese monsignor Nicola Bux che abbiamo intervistato



*

Come si riceve la comunione e qual è il modo preferibile?
“Attualmente il rito ordinario della S.Messa prescrive che la S.Comunione si riceva in piedi, premettendo un gesto di riverenza, ossia un inchino profondo o la genuflessione, sapendo e pensando che si va a ricevere Colui che ha detto: “Nessuno è asceso al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo che è in cielo”(Gv 3,13). Dinanzi a Gesù Cristo, non si dovrà piegare ogni ginocchio – come dice l’Apostolo – in cielo, in terra e sottoterra? E’ vero che oggi, gli uomini di Chiesa, stanno facendo di tutto per parlare d’altro, invece che di Nostro Signore. Ma le iniziative per un nuovo umanesimo e fratellanze varie, senza Cristo sono destinate a fallire. Di questo si tratterà al Convegno di Roma, sabato 5 ottobre, presso la chiesa di S.Spirito in Sassia”.

Quali i motivi teologici?
“Non ce ne sono. O meglio, taluni liturgisti suppongono che saremmo in realtà già risorti, perciò dovremmo stare in piedi. In verità ci avviciniamo irreversibilmente alla morte, e la risurrezione per la vita è una speranza del tutto sottomessa alla fede in Nostro Signore, che deve tradursi in opere per meritarla.Tra la rinascita battesimale che ci assimila a Cristo risuscitato, e la risurrezione finale, c’è di mezzo il cadere di Pietro alle ginocchia di Gesù: “Allontanati da me peccatore!”. Perciò, prima della Comunione diciamo: “Signore, non sono degno”. Emblematico per noi! O siamo migliori dell’apostolo? Taluni ministri arrivano a eliminare gli inginocchiatoi dalle chiese. Mi auguro che non sappiano quello che fanno, altrimenti sarebbero diabolici. Un padre del deserto dice che solo il diavolo non si inginocchia, perché non ha le ginocchia!”

Che cosa pensa della comunione data nella mano?


“Si tratta di un indulto strappato a Paolo VI, divenuto consuetudine e addirittura regola, giustificato anche dalla supposizione che il Signore, nell’ultima cena, abbia dato la Comunione in mano agli Apostoli. Al contrario, proprio le parole dette da Gesù riferite al traditore: è quello a cui darò il boccone di pane intinto (cfr Gv 13,26-27), descrivono l’uso amichevole semitico di mettere in bocca ciò che era ritenuto prelibato. Lo attesta anche il codice purpureo di Rossano,V secolo, di provenienza siriaca. Come per la Comunione in piedi, ricevendola in mano o, compiendo un abuso, prendendola da sé, si vorrebbe dimostrare che noi siamo adulti davanti a Dio e non neonati bisognosi del latte spirituale, come scrive Pietro, che è massimamente il Sacramento eucaristico”.

In che modo ci si deve accostare al sacramento della comunione?
“Nel 2004, Giovanni Paolo II, che durante la sua malattia, con grande fatica, ha ricevuto la S.Comunione in ginocchio e in bocca, volle che la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti pubblicasse l’Istruzione Redemptionis Sacramentum. Questa al n.90 prescrive che i fedeli possono ricevere la S.Comunione in ginocchio o in piedi, e al 92 che ogni fedele ha sempre il diritto di riceverla in bocca o sulla mano. Il medesimo dicastero aveva precisato che i fedeli hanno il diritto di ricevere in ginocchio il Sacramento, anche quando le Conferenze episcopali prescrivessero la postura in piedi (Lettera Prot.n.1322/02/50). I ministri che impediscono ciò, commettono un grave abuso”.

A suo avviso oggi questo sacramento è stato banalizzato?
“Banalizzare, in italiano, vuol dire privare di importanza qualcosa che è originale. Il Sacramento dell’Eucaristia – che è definito Santissimo – è ritenuto dalla Chiesa, ‘farmaco di immortalità’. Non è un cibo qualsiasi, ma un alimento, anzi un farmaco speciale, che come tale, va assunto con attenzione affinché non si trasformi in veleno. Per questo, Gesù chiede di avere l’abito di grazia per avvicinarsi. E così Paolo ha dato le controindicazioni. E la Chiesa ha posto condizioni interne ed esterne: sapere e pensare Chi si va a ricevere, essere in grazia di Dio e osservare il digiuno prescritto. Oggi il sacramento, più che banalizzato, è profanato dall’assenza di fede nella Presenza reale e dall’eliminazione dei gesti di riverenza e di onore che la Liturgia gli attribuisce, in primis l’adorazione in ginocchio”.

Quali sono le circostanze che escludono dal sacramento della comunione?
“Sono i peccati mortali o gravi, come l’idolatria, l’omicidio e l’adulterio, che escludono sia dalla comunione ecclesiale sia da quella eucaristica, anche se non intaccano l’appartenenza alla Chiesa. Quando questi peccati diventano vizio o condizione stabile, per esempio la pratica della magia, la convivenza more uxorio, il concubinato con partner già sposato, bisogna convertirsi e mutare vita, secondo i comandamenti del Signore. Dopo, si può ricevere l’assoluzione sacramentale della riconciliazione, che consente di accostarsi alla S.Comunione”.

Come detto il 5 ottobre, a partire dalle ore 18, si danno appuntamento a Roma, presso la Sala Conferenze di Santo Spirito in Sassia, i membri del Comitato internazionale ‘Uniti con Gesù Eucaristia per le mani santissime di Maria’, che si battono per una rinascita della devozione eucaristica, cominciata con Benedetto XVI.
Si tratta di un comitato formato in prevalenza da laici che propone una conferenza dal titolo “‘Ogni ginocchio si pieghi’. La maestà e l’amore infinito della Santa Comunione”. La conferenza presenterà una raccolta di circa 11 mila firme, raccolte attraverso una petizione internazionale che chiede alcune cose che riguardano il Santissimo Sacramento:

– che i fedeli possano ancora trovare gli inginocchiatoi nelle varie chiese, così da potere pregare in ginocchio, se lo desiderano, per adorare nostro Signore Gesù Cristo presente nei tabernacoli sotto le specie eucaristiche;

– che sia garantita la possibilità di fare la comunione sulla lingua e in ginocchio che, purtroppo, in diverse diocesi del mondo viene osteggiata;

– che non sia più permessa la distribuzione della Santissima eucaristia ai laici, visti i numerosi abusi che si registrano nel mondo.

Durante la conferenza ci saranno gli indirizzi di saluto di Sua Eccellenza Monsignor ATHANASIUS SCHNEIDER, vescovo di Astana e di Sua Eminenza RAYMOND LEO Cardinal BURKE. Quindi sarà resa nota la benedizione all’iniziativa di Sua Eminenza ALBERT MALCOLM Cardinal RANJITH.

Poi sono previste delle riflessioni e delle conferenze vere e proprie.

Ci saranno delle riflessioni di pochi minuti di: padre TADEUSZ GUZ, Preside della Facoltà di scienze giuridico-economiche dell’Università cattolica di Lublino a Tomaszów Lubelski, sul come ricevere la Santa Comunione (in polacco e italiano), del giornalista italiano MARCO TOSATTI sulle richieste della Conferenza, del dott. JULIO LOREDO, della TFP Italia, sulla Santissima Eucaristia (in spagnolo), del prof. dott. ETTORE GOTTI TEDESCHI, l’ex Presidente IOR, sulla comunione in mano.

Molto più approfondite saranno le “Conferenze” che saranno tenute da: Monsignor NICOLA BUX sui motivi del no alla Comunione in mano e sull’importanza degli inginocchiatoi nelle chiese”, da don FEDERICO BORTOLI sui motivi del no alla distribuzione della Comunione per i laici, dal saggista e ricercatore tedesco MICHAEL HESEMANN, sui “Miracoli eucaristici oggi”.

BRUNO VOLPE
















venerdì 20 settembre 2019

“Il marxismo si è insinuato nella mentalità di tanti uomini di Chiesa così da indurli a modificare la dottrina della Chiesa”









Sabino Paciolla, Settembre 19th, 2019


In questi ultimi giorni sono accaduti alcuni fatti che sono degni di attenzione. Ci riferiamo all’iniziativa di fedeli di incontrarsi a Roma nei pressi di San Pietro per una preghiera pubblica per la Chiesa o all’intervista concessa da Papa Francesco sul volo di ritorno dal viaggio in Africa. Ho voluto approfondire questi temi con mons. Nicola Bux in questa intervista che propongo ai lettori del blog.

Bux è teologo, già consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede e della Congregazione delle cause dei Santi sotto i papati di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, consultore della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti e consultore dell’Ufficio delle celebrazinoi liturgichedel sommo pontefice. E’ stato anche docente a Gerusalemme, Roma e Bari.







Intervista a Mons. Nicola Bux

Sabino Paciolla:
Mons. Nicola Bux, abbiamo appreso di una iniziativa di fedeli che hanno deciso di incontrarsi a Roma il 5 ottobre prossimo nelle vicinanze di Piazza San Pietro (davanti a San Pietro, a fianco a Castel Sant’Angelo, largo Giovanni XXIII, ore 14.30) per recitare, cito alla lettera, una “preghiera pubblica per la Chiesa. E’ un gesto forte che risponde ad un sentire ormai comune: la Chiesa sta vivendo la sua Passione”.

Perché secondo lei i fedeli hanno sentito l’esigenza di un gesto pubblico, senza bandiere, senza insegne e, soprattutto, perché si parla della Chiesa che sta vivendo la “sua Passione”?

Mons. Nicola Bux: Benedetto XVI non nascose che la Chiesa sta attraversando la crisi della fede: in che senso? È presa dal dilemma, tra la fede in Dio e quella nella praxis. Il filosofo polacco Stanislaw Grygiel ha osservato: “Alcuni teologi e pastori, accecati dall’efficacia delle scienze, trattano la teologia e la filosofia come se anch’esse fossero scienze. Sottomettono alla praxis pastorale il Logos, cercando furtivamente almeno di modificarlo, il che finisce con il trattarlo come se la Persona di Cristo fosse una delle opinioni e ipotesi che ieri erano in vigore, oggi invece non più.” E’ conseguenza della penetrazione nella Chiesa del principio marxista – “la praxis precede la verità e decide di essa” – che ha fatto da fondamento per i ragionamenti di tanti professori in America Latina. Si tratta di un “errore metafisico e antropologico” di cui non si sono accorti tanti studenti, sebbene conoscessero gli effetti nei paesi a regime comunista. Grygiel ne parlò con Karol Woityla che commentò: “Lo pagheranno caro, e noi purtroppo pagheremo con loro”. Queste parole si sono avverate. “Il marxismo si è insinuato nella mentalità degli intellettuali occidentali e di tanti uomini di Chiesa così da indurli nella loro prassi a modificare la dottrina della Chiesa, cioè la Persona di Cristo. La confusione che ne consegue costituisce il più grande pericolo per la Chiesa” (cfr K.Wojtyla, Segno di contraddizione, Esercizi spirituali a Paolo VI, 1976). In sintesi, è questa la ragione profonda dell’autoconvocazione di fedeli laici e anche di chierici a Roma, davanti a S. Pietro, il 5 ottobre prossimo. Bisogna supplicare il Signore affinché non faccia andare avanti l’autodemolizione della Chiesa cattolica.



Sabino Paciolla: Uno degli organizzatori scrive che è una “Passione protratta, che non data dal 2013, ma da ben prima, come dichiarato più volte dallo stesso Benedetto XVI. (…) Eppure Benedetto fungeva in qualche modo da diga (forse lo fa, in qualche maniera, ancora oggi): dopo le sue dimissioni, però, è arrivato il diluvio.”

Mons. Bux, secondo lei, di quale “diluvio” si tratterebbe?

Mons. Nicola Bux:
Il diluvio del relativismo dottrinale e morale. Cosa dobbiamo fare? Proclamare sempre la verità, perché “La verità vi farà liberi”. Se non sei in grado, non devi mentire, che non significa tacere vilmente. Anche il silenzio è una testimonianza alla verità. Però, tacere quando si deve parlare e altrettanto vile menzogna, come lo è parlare quando si deve tacere (cfr Gregorio Magno, Omelie sui vangeli 17,3; PL 76 1139). Giovanni Paolo II non adoperava mai parole di compromesso quando difendeva la verità della persona. Dunque, l’errore a cui stiamo assistendo nella Chiesa, permette di staccare l’uomo dalla verità e incatenarlo alla praxis, la quale decide come l’uomo e le cose debbano essere. Ogni praxis che produce la verità si riduce alla politica. Nei documenti di papa Francesco si insiste sul cambio di paradigma. Che vuol dire? La verità è una relazione, non è il criterio della relazione, è dunque – in senso pieno – relativa; così, l’ottica prevalente è politica: si tratti di questioni politiche o ecclesiastiche, del Venezuela, dell’Ucraina o della Cina.

Dunque, non dovremmo mai opporre la fede alla ragione, né recidere il legame tra la dottrina e la vita. La pastorale non può essere in nessun caso sganciata dalla dogmatica. “Richiamare la connessione della fede con la verità è oggi più che mai necessario, proprio per la crisi di verità in cui viviamo” (Lumen Fidei, 25). Impariamo da san Tommaso, che possedette al massimo grado il coraggio della verità (cfr Fides et ratio 57-59).



Sabino Paciolla:
Molti osservatori ritengono che questo “diluvio” sia dovuto ad una mancanza di chiarezza, alcuni parlano di una certa ambiguità, con un conseguente profluvio di confusione che suscita notevoli critiche provenienti soprattutto dal mondo anglosassone ma non solo. Arrivano anche, ad esempio, da alcuni alti e autorevoli prelati tedeschi come il card. Mueller o il card. Brandmueller. Lo stesso Jason Drew Horowitz, vaticanista del New York Times, nella conferenza stampa di ritorno dal viaggio in Africa di Papa Francesco, nel porgli la sua domanda ha parlato addirittura di “complotto contro di lei” da parte “di un settore della Chiesa americana”. Papa Francesco però, nel rispondergli, ha detto che per lui “Fare una critica senza voler sentire la risposta e senza fare il dialogo è non voler bene alla Chiesa”. Ma molti hanno osservato che proprio ad una “critica” molto rispettosa come i Dubia posti dai quattro cardinali al Papa non è mai arrivata una risposta. Cosa ne pensa della questione “dialogo” nella Chiesa odierna?

Mons. Nicola Bux:
Non pochi hanno osservato ciò. Altri hanno evidenziato commissariamenti di Congregazioni religiose e ribaltamenti di Istituti teologici e accademici, tanto che alcune autorevoli personalità hanno parlato di “atti arbitrari delle autorità ecclesiastiche” e di un “abuso della libertà accademica”. Invece di favorire l’unità nel rispetto della pluralità dei carismi, si impone una linea di subalternità al pensiero modernista, ora al potere nelle strutture ecclesiastiche. Questo trasforma la Chiesa in un partito e non la fa vivere come corpo nella diversità delle sue membra, o come popolo nella varietà delle sensibilità spirituali e teologiche. Giovanni Paolo II – annota Grygiel – non ha mai fatto la politica: “Per lui essere sacerdote, vescovo e poi Pietro, significava incatenare ogni giorno la propria persona e quelle affidate al suo lavoro alla verità dell’uomo rivelata nella Persona di Cristo.” In tal modo “egli è stato uno dei più grandi politici cui sia stata data la capacità di cambiare il mondo”. Perché, “la verità antica e sempre nuova” è “che a dividere gli uomini non è la verità ma la menzogna […] Il timor Dei lo teneva al riparo dall’aggiungere (alla Parola del Maestro), qualcosa di sé. Cristo è da adorare non da modificare. Giovanni Paolo II non adeguava Cristo al mondo”. Le persone e le comunità – le famiglie, le nazioni e la Chiesa – “non sono da riformare. Queste realtà o rinascono o muoiono. Rinascono ritornando al Principio con cui Dio crea l’universo e l’uomo nella Parola che è suo Figlio”. Questo avviene con la conversione a questo primordiale atto di amore. Solo così si riapre il dialogo – parola altrimenti abusata, che porta a credere nella diplomazia, non nella fede, basato sulla compiacenza, sui compromessi e sulla doppiezza – il dialogo fra Cristo e il cuore dell’uomo, annichilito ma non distrutto. Questo avvia il processo della fede, intesa come immedesimazione nella presenza del Signore, sequela di Lui, esperienza viva del cambiamento dell’intelligenza e del cuore. Questa è la missione fondamentale della Chiesa – ha scritto Giovanni Paolo II – la sua identità profonda: “di tutte le epoche e, in modo particolare, della nostra, è di dirigere lo sguardo dell’uomo, di indirizzare la coscienza e l’esperienza di tutta l’umanità verso il mistero di Cristo, di aiutare tutti gli uomini ad avere familiarità con la profondità della redenzione, che avviene in Cristo Gesù” (Redemptoris Missio, 10). Altrimenti la Chiesa, come un mero organismo umano, si riduce ad una azienda burocratica, e non attualizza la santificazione del mondo.



Sabino Paciolla:
Sempre il vaticanista Horowitz, nel porre la sua domanda ha chiesto a Papa Francesco: “Lei ha paura di uno scisma nella Chiesa americana? E se sì, c’è qualcosa che lei potrebbe fare – un dialogo – per evitarlo?”. Il pontefice ha risposto: “Io non ho paura degli scismi, prego perché non ce ne siano”. Molti però si sono chiesti se un pontefice possa “non aver paura” della sola ipotesi di uno scisma, cioè di uno degli eventi più traumatici della vita della Chiesa. Lei cosa ne pensa?

Mons. Nicola Bux:
La Chiesa ha ricevuto dal Signore il mandato di evangelizzare tutte le genti: il vangelo è costituito dal deposito della fede e della verità rivelata, da custodire, approfondire ed esporre fedelmente. La Chiesa ha ricevuto pure dal Signore il compito di annunciare sempre e dovunque i principi morali anche circa l’ordine sociale, e il giudizio su qualsiasi realtà umana, perché lo esigono i diritti fondamentali della persona umana e ancor più la salvezza delle anime. Il Romano Pontefice o i Vescovi evangelizzano anche mediante costituzioni e decreti, con i quali devono esporre la dottrina e proscrivere gli errori (cfr CJC 754, cioè Codice di Diritto Canonico) – questo oggi non si fa ed è male – così tutti i membri della Chiesa, pastori e fedeli, non vengono aiutati – cosa a cui sono tenuti – ad evitare qualsiasi dottrina contraria all’unico deposito della fede. Infatti, il deposito della fede racchiude le verità divinamente rivelate, proposte sia dal magistero solenne della Chiesa – definizioni dogmatiche e concili – sia da quello ordinario e universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la guida del sacro magistero.

Non può esistere quindi un magistero vivente del papa e dei vescovi che sia in contrasto con quello dei papi e dei vescovi predecessori; né un insegnamento di vescovi di una regione ecclesiastica che contraddica quello di altri in altre regioni (cfr CJC 750). Ciò premesso, i fedeli devono prestare alla dottrina non ancora definita circa la fede e i costumi, non un assenso di fede, ma un religioso assenso dell’intelletto e della volontà. Altrimenti si produce lo scisma, termine greco che sta a indicare la lacerazione del corpo ecclesiale di Gesù Cristo: è un delitto, un gravissimo peccato. Lo scisma è propriamente il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti (cfr CJC 751), presupponendo che il papa abbia esercitato il primato petrino di confermare nella fede e di evangelizzare le verità di Gesù Cristo.

Quando accade lo scisma? Quando i pastori o i fedeli hanno lasciato diffondere, o qualcuno di essi ha diffuso, l’eresia – termine greco che indica la scelta o l’assolutizzazione di una verità o di un suo aspetto, in contrasto con altre – che si deve credere per fede divina e cattolica, oppure il dubbio ostinato su di essa. Ma può accadere anche l’apostasia, altro termine greco che indica l’allontanamento e il ripudio totale della fede cristiana. Scisma, eresia, apostasia, termini greci perché documentano quanto avvenuto alle origini del cristianesimo nel mondo greco-romano. Ai Padri tremavano le vene ai polsi, al solo pensiero che si producesse uno scisma.

Come può un pastore non avere paura? Va ricordato quanto afferma Giovanni Paolo II: “L’unità della Chiesa è ferita non solo dai cristiani che rifiutano o stravolgono le verità della fede, ma anche da quelli che misconoscono gli obblighi morali a cui li chiama il Vangelo” (Veritatis Splendor 26). Sebbene il papa possieda la plenitudo potestatis, neppure lui può dispensare dai comandamenti divini. Non possono esistere cose come un omicidio legittimo, un santo adulterio, un furto consentito o una pia menzogna. Nemmeno una intenzione buona è in grado di tirar fuori un’opera buona da un’azione cattiva. Qualcosa di cattivo non può diventare buono grazie ad una buona intenzione o a dei buoni mezzi.