sabato 30 settembre 2023

Dal sinodo alla sinodalità, così la prassi diventa dottrina




I precedenti di questo pontificato lasciano pensare che le conclusioni del Sinodo diventeranno esse stesse Magistero senza bisogno dell'intervento del Papa con una Esortazione post-sinodale. Un altro segno di rottura con la tradizione.


CHIESA

ECCLESIA 


Stefano Fontana, 30-09-2023

A proposito del Sinodo sulla sinodalità che si aprirà il prossimo 4 ottobre è lecito farsi una domanda apparentemente strana: a questo Sinodo seguirà una Esortazione apostolica post-sinodale del Papa, oppure le conclusioni del Sinodo saranno da considerarsi pieno magistero di per sé? La domanda non è oziosa e ha a che fare con il nuovo concetto di Sinodalità intesa come processo e come assunzione di decisioni dopo l’ascolto reciproco, considerato questo come ascolto della voce dello Spirito Santo. Per comprendere il problema facciamo un rapido passo indietro al Sinodo sulla famiglia del 2014 e 2015 e all’Esortazione Amoris Laetitia.

Ricordiamo tutti molto bene che in quella Esortazione Francesco non ha voluto dire nulla di diverso da quanto affermato dal Sinodo, soprattutto nel suo documento finale. Nel paragrafo 5 si legge: «Ho ritenuto opportuno redigere un’Esortazione Apostolica post-sinodale che raccolga i contributi dei due recenti Sinodi sulla famiglia, unendo altre considerazioni che possano orientare la riflessione, il dialogo e la prassi pastorale, e al tempo stesso arrechino coraggio, stimolo e aiuto alle famiglie nel loro impegno e nelle loro difficoltà».

Da questo passo sembra che il Papa abbia semplicemente voluto recepire le conclusioni del sinodo, aggiungendo qualche consiglio pastorale e parenetico. È vero che così le ha fatte diventare magistero, tuttavia sembra alludere ad una diminuzione del proprio ruolo, limitato a recepire e non a interpretare e sviluppare. Amoris Laetitia non si eleva granché al di sopra delle conclusioni del Sinodo. Formalmente rimane una Esortazione apostolica post-sinodale, ma materialmente rimanda alle conclusioni dei padri sinodali. Nel Motu Proprio Episcopalis communio del 15 settembre 2018 sulla nuova costituzione dei sinodi, si legge infatti che il Papa potrà anche non scrivere più una Esortazione apostolica post-sinodale ma semplicemente confermare le conclusioni del sinodo che automaticamente diventerebbero con ciò magistero.

La questione si complica se ricordiamo due aspetti decisamente nuovi. Il primo riguarda il fatto che nel documento finale del Sinodo sulla famiglia il Papa ha voluto che fossero presenti due articoli bocciati a maggioranza dall’assemblea e, quindi, formalmente respinti e che, però potrebbero essere considerati magistero. Il secondo riguarda quanto accaduto nel Sinodo sui giovani del 2018 dove è addirittura successo che il documento finale dica di dover essere letto alla luce del documento preparatorio, con la qual cosa è diventato magistero anche quest’ultimo.

Per questi motivi in un mio libretto sul Sinodo sulla famiglia e su Amoris laetitia mi ero chiesto se questa sarebbe stata l’ultima Esortazione apostolica. In questo indebolimento magisteriale dei testi sinodali e della stessa Esortazione post-sinodale, che contrasta con la sua diffusa interpretazione dogmatica come se si dovesse reinterpretare l’intera tradizione nella sua luce, emergeva già allora l’idea della sinodalità come processo che avrebbe prodotto prassi e non dottrina. Certo: prassi che avrebbero richiesto una nuova dottrina … ma col tempo e nel tempo. Ricordiamo anche che in nessun luogo di Amoris laetitia si dice espressamente che i divorziati risposati possono accedere alla Comunione. Poi i vescovi della regione di Buenos Aires hanno detto: noi facciamo così, li ammettiamo alla Comunione. Hanno cioè attuato una prassi, che il Papa ha confermato con una lettera finita poi negli Acta Apostolicae Sedis. Una prassi… e la dottrina? Ci penserà il tempo…

La nostra domanda iniziale ha quindi un fondamento e tocca un punto centrale nell’evoluzione dal sinodo alla sinodalità. Il teologo Giacomo Canobbio ha scritto sulle due riviste teologiche di punta dell’Italia settentrionale, quella di Milano e quella di Padova, che, passando il sinodo da consultivo a deliberativo, bisognerà prendere delle decisioni e queste richiederanno senza ombra di dubbio l’uso del voto democratico. Anche prima si votavano gli articoli dei documenti del sinodo, poi però il tutto finiva nelle mani del Papa e ne nasceva una Esortazione apostolica post-sinodale. (Ricordo tra parentesi che anche Francesco ha beneficiato di questo metodo, scrivendo la Evangelii gaudium, Esortazione apostolica postsinodale relativa al Sinodo sull’evangelizzazione che era stato indetto da Benedetto XVI. La Evangelii gaudium non tiene conto dei lavori di quel sinodo dato che Francesco ne ha fatto il manifesto del suo pontificato, a prova della centralità di Pietro nei processi sinodali almeno fino ad allora).

Ora, invece, il passaggio al Papa potrebbe non esserci più, oppure essere solo formale, sicché l’uso del metodo democratico riguarderebbe direttamente questioni dottrinali, diventando immediatamente magistero. Canobbio procede il suo ragionamento aggiungendo che, se, dopo il Sinodo sulla sinodalità, l’ultima parola fosse ancora quella del Papa, beh, allora tutto sarebbe stato inutile e si tornerebbe al punto di partenza, regredendo dalla sinodalità al sinodo.

Come si vede, la questione se ci sarà ancora una Esortazione apostolica post-sinodale nel senso tradizionale del termine è fondamentale per stabilire se la nuova sinodalità rompa definitivamente con la tradizione. Amoris laetitia costituisce un precedente importante in questo senso e tutto fa pensare che così avverrà anche questa volta, e a maggior ragione data la nuova definizione della sinodalità come processo, che richiama una prassi in atto non necessariamente guidata dalla dottrina ma essa stessa fonte (fattuale) di dottrina.







giovedì 28 settembre 2023

Vescovo Strickland: Dio non benedice e non può benedire il peccato






Di Mons. Joseph E. Strickland, 28 SET 2023



Miei cari figli e figlie in Cristo:

Vi scrivo oggi per approfondire la quarta verità fondamentale di cui ho parlato nella mia prima lettera pastorale pubblicata il 22 agosto 2023, e per chiederci di riflettere più profondamente su questa importante verità della nostra fede: «Ogni persona umana è creati a immagine e somiglianza di Dio, maschio o femmina, e tutte le persone dovrebbero essere aiutate a scoprire la loro vera identità di figli di Dio, e non sostenute in un tentativo disordinato di rifiutare la loro innegabile identità biologica e data da Dio”.

l fatto che la comunità umana stia perdendo questo filo di verità è una delle tendenze più sorprendenti e devastanti del nostro tempo. La confusione e il danno che derivano dall’abbandonare la nostra identità biologica e dataci da Dio sono radicati nella tendenza moderna a negare la sovranità di Dio e, per molti, a negare persino la Sua stessa esistenza, trasformandoci così in “dei” nel nostro proprio mondo. Questa negazione del vero Dio è dimostrata in modo drammatico quando iniziamo a perdere il filo di chi siamo. Per rispondere alla domanda fondamentale sulla nostra identità, dobbiamo rivolgerci a Dio e alla verità che Egli ci ha rivelato. Quando proviamo a rispondere alla domanda su chi siamo senza prima cercare una risposta in Dio, troviamo noi stessi immersi nel caos che vediamo oggi intorno a noi. Per fortuna, Dio ha rivelato una bella immagine di chi siamo, e le Sacre Scritture e la Sacra Tradizione della nostra fede cattolica offrono molto per aiutarci a dipingere la meravigliosa immagine della persona umana. “Dunque Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò”. (Gen 1,27).

La verità che Dio ci ha creato a Sua immagine e somiglianza ci porta oltre il livello naturale verso il destino soprannaturale che tutti condividiamo. Come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica, «Il corpo umano partecipa della dignità dell’immagine di Dio: è corpo umano proprio perché animato da un’anima spirituale, ed è tutta la persona umana che è destinata a diventare, nel corpo di Cristo, tempio dello Spirito”. (CCC 364-365).

Nella sua Esortazione Apostolica Christifideles Laici, San Giovanni Paolo II ha scritto di un “fondamento antropologico della mascolinità e della femminilità”. Si tratta, ha affermato, di un progetto che «fin dal principio» è rimasto indelebilmente impresso nell’essere stesso della persona umana – uomo e donna – e, quindi, nella costituzione, nel significato e nel funzionamento più profondo dell’individuo”. (Christifideles Laici, 30 dicembre 1988, par. 50).

Nella cultura odierna c’è una preoccupazione per la propria identità, che parla di un desiderio profondo, radicato nel cuore e nell’anima di ogni persona, di trovare un significato alla propria vita. Cerchiamo di esprimere in qualche modo, attraverso la realtà fisica della nostra vita, i fremiti che sentiamo nella nostra anima. Sebbene esista un’ampia diversità di esperienze umane, e sebbene ogni vita offra qualcosa di unico e irripetibile, tutti condividiamo una verità semplice, chiara e tuttavia inconcepibilmente profonda: noi siamo l’Amato, il che significa che siamo in relazione con Colui che Gli amori. Questa verità fondamentale è ciò che realmente dà alla nostra vita il significato che stiamo veramente cercando, se solo abbracciassimo la nostra vera identità in Dio ed entrassimo in relazione con Lui. Non possiamo e non creiamo il nostropropria identità: la nostra identità viene solo dal nostro Creatore. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci offre una bella citazione di Santa Caterina da Siena che ci fa intravedere la nostra identità agli occhi di Dio. Scrive Santa Caterina: «Che cosa ti ha spinto a costituire l’uomo in una dignità così grande? Certamente l’ amore incalcolabile con cui hai guardato la creatura che è in te! Sei preso d’amore per lei; perché per amore infatti l’hai creata, per amore le hai dato un essere capace di gustare il tuo eterno Bene”. (CCC 356).

Oggi nel mondo vediamo molti programmi che riguardano l’identità umana, in particolare l’“identità sessuale”. Uno che è molto davanti ai nostri occhi in questo periodo è l’agenda LGBTQ. Come ho affermato nella mia lettera pastorale del 12 settembre 2023: “La Chiesa insegna che coloro che provano sentimenti di attrazione per lo stesso sesso o disforia di genere non peccano semplicemente perché provano tali sentimenti, ma agire liberamente in base a questi sentimenti è peccaminoso e non secondo il disegno di Dio per i Suoi figli”.

Prima della sua elezione a Papa Benedetto XVI, il cardinale Joseph Ratzinger scrisse: “In Genesi 3, troviamo che questa verità riguardo alle persone che sono immagine di Dio è stata oscurata dal peccato originale. Ne consegue inevitabilmente una perdita di consapevolezza del carattere di alleanza dell’unione che queste persone avevano con Dio e tra loro. Il corpo umano conserva il suo “significato sponsale”, ma questo è ormai offuscato dal peccato. Così, in Genesi 19,1-11, il deterioramento dovuto al peccato continua nel racconto degli uomini di Sodoma. Non vi può essere dubbio sul giudizio morale espresso lì contro le relazioni omosessuali”. (Cardinale Joseph Ratzinger, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla pastorale della Persone omosessuali , ottobre 1986, par. 6).

Il cardinale Ratzinger ha proseguito: “Scegliere qualcuno dello stesso sesso per la propria attività sessuale significa annullare il ricco simbolismo e significato, per non parlare degli obiettivi, del disegno sessuale del Creatore. L’attività omosessuale non è un’unione complementare, capace di trasmettere vita, e quindi ostacola la chiamata ad una vita di quella forma di donazione che il Vangelo dice essere l’essenza della vita cristiana. Ciò non significa che le persone omosessuali spesso non siano generose e generose; ma quando praticano attività omosessuali, confermano in sé un’inclinazione sessuale disordinata che è essenzialmente autoindulgente”. (Card. Joseph Ratzinger, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla pastorale delle persone omosessuali, ottobre 1986, par. 7).

Dobbiamo essere amorevoli ma chiari, quindi, che coloro che portano il peso dell’attrazione per lo stesso sesso non devono agire in base a queste inclinazioni perché tali attività sono contrarie all’identità biologica e data da Dio all’individuo, e quindi contrarie alla volontà di Dio in tutti i casi. Noi, come loro clero, famiglia e amici, dobbiamo circondare queste persone con amore e sostegno in modo che possano abbracciare le loro croci e vivere la loro autentica identità donata da Dio.

Il movimento transgender è un altro volto dell’agenda LGBTQ, ed è anche in contrasto con la concezione cattolica dell’essere umano. Questo movimento cerca di alterare radicalmente il modo in cui il nostro mondo vede l’identità biologica e data da Dio di ogni persona. In questi tempi, un numero in rapido aumento di giovani viene coinvolto nel movimento transgender piuttosto che sentirsi dire la verità su chi stanno vivendo.sono come un amato figlio di Dio. Possiamo certamente riconoscere che ci sono ragioni complesse per cui una persona può provare sentimenti di disforia di genere, ma è importante che ogni persona comprenda che, indipendentemente dai sentimenti, l’identità biologica di una persona è data da Dio ed è immutabile dall’uomo. I genitori non dovrebbero aver paura di affrontare la falsità dell’ideologia di genere con i loro figli in modo adeguato all’età, e i genitori dovrebbero anche rafforzare il fatto che, sebbene gli ormoni e gli interventi chirurgici possano cambiare l’aspetto di una persona, tali procedure mediche non possono cambiare il sesso nemmeno di una cellula. del corpo.

Molti di coloro che sostengono l’agenda del “transgenderismo” affermerebbero che quando un maschio biologico si identifica come una femmina e ha una “riassegnazione di genere”, questa è in realtà una “conferma di genere” poiché la sua anatomia ora riflette il suo “vero genere”. Il Catechismo afferma però che: «L’ unità dell’anima e del corpo è così profonda che bisogna considerare l’ anima come la ‘ forma’ del corpo : è cioè a causa della sua anima spirituale che il corpo fatto di materia diventa un corpo vivo, umano; spirito e materia, nell’uomo, non sono due nature unite, ma la loro unione forma una sola natura”. (CCC 365). E ancora: «L’uomo e la donna sono stati creati, cioè voluti da Dio : da un lato , in perfetta uguaglianza come persone umane; dall’altro , nel loro rispettivo essere di uomo e di donna. ‘Essere uomo’ o ‘essere donna’ lo è una realtà buona e voluta da Dio» (CCC 369). Pertanto, gli interventi chirurgici di transizione o i trattamenti medici elettivi forniti allo scopo di tentare di “transire” una persona verso un genere diverso dal sesso biologico dato da Dio sono gravemente malvagi. (Nota: ci sono rari casi medici di individui intersessuali che sono nati con un sesso biologico o con caratteristiche sia maschili che femminili poco chiare. Questi casi vanno oltre lo scopo di questa lettera pastorale e dovrebbero essere affrontati con il vostro pastore e il vostro team medico.)

È importante notare qui che dobbiamo SEMPRE, SEMPRE trattare tutte le persone con rispetto, compassione e riconoscimento della loro dignità intrinseca. Pertanto, uomini e donne con tendenze omosessuali o con disforia di genere devono essere trattati con amore e compassione e dovrebbero essere sempre rispettati come i preziosi figli di Dio che sono. Ciò include dire loro la verità in carità.

Tutto ciò ci porta al prossimo Sinodo sulla sinodalità che sta emergendo come un tentativo da parte di alcuni di cambiare il focus del cattolicesimo dalla salvezza eterna delle anime in Cristo, al far sentire ogni persona affermata indipendentemente dalle scelte che ha fatto o farà in vita. Uno dei temi che, secondo quanto riferito, saranno discussi durante il Sinodo è la benedizione delle relazioni omosessuali. Mons. Victor Manuel Fernandez, Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, ha dichiarato nel luglio 2023, quando gli è stato chiesto delle benedizioni per le coppie omosessuali: “Se una benedizione è data in modo tale da non causare quella confusione, avrà da analizzare e confermare”. Dobbiamo però guardare a ciò che è perenne e immutabile insegnamento della Chiesa – una tale benedizione non sarebbe lecita e, pertanto, creerebbe indubbiamente confusione. Infatti, lo stesso ufficio, la Congregazione (ora Dicastero) per la Dottrina della Fede, ha rilasciato un comunicato il 15 marzo 2021, intitolato Responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede a un dubium riguardante la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso. In questo Responsum, il precedente Prefetto della Congregazione, il Cardinale Luis Ladaria, affermava che Dio “non benedice e non può benedire il peccato” e che, “Per le ragioni sopra menzionate, la Chiesa non ha e non può avere il potere di benedire unioni di persone dello stesso sesso nel senso sopra inteso”. Poiché la verità non può cambiare, dobbiamo riconoscere che il Dicastero non può giungere ora a una conclusione diversa che ribalterebbe l’originaria dichiarazione di verità dello stesso ufficio. La verità si basa sulla Parola Divina di Dio rivelata nella Sacra Scrittura e nella Sacra Tradizione e custodita dal Magistero della Chiesa. Pertanto, qualsiasi tentativo di consentire la benedizione delle unioni tra persone dello stesso sesso costituirebbe un attacco al Sacro Deposito della Fede.

Inoltre, il Responsum affermava anche quanto segue: «Le benedizioni appartengono alla categoria dei sacramentali, per cui la Chiesa ‘ci chiama a lodare Dio, ci incoraggia a implorare la sua protezione e ci esorta a cercare la sua misericordia con la santità della nostra vita’. Inoltre, «sono state istituite come una sorta di imitazione dei sacramenti, le benedizioni sono segni soprattutto di effetti spirituali che si ottengono attraverso l’ intercessione della Chiesa ». Pertanto, per conformarsi alla natura dei sacramentali, quando si invoca la benedizione su particolari rapporti umani,oltre alla retta intenzione di chi partecipa, è necessario che ciò che è beato sia oggettivamente e positivamente ordinato a ricevere ed esprimere la grazia, secondo i disegni di Dio iscritti nella creazione, e pienamente rivelati da Cristo Signore. Pertanto, solo le realtà che sono di per sé ordinate al servizio di tali fini sono congruenti con l’essenza della benedizione impartita dalla Chiesa. Per questo motivo non è lecito impartire una benedizione alle relazioni, o alle unioni, anche stabili, che implicano l’attività sessuale al di fuori del matrimonio (cioè al di fuori dell’unione indissolubile di un uomo e di una donna aperta in sé alla trasmissione della vita). , come nel caso delle unioni tra persone dello stesso sesso. La presenza in tali rapporti di elementi positivi, di per sé da valorizzare e apprezzare,non ordinato al disegno del Creatore.” ( Responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede a un dubium riguardante la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso , 15 marzo 2021).

Voglio ribadire che questo non è un tentativo di discriminare in alcun modo chi porta il peso dell’attrazione per lo stesso sesso, ma piuttosto è un richiamo alla verità del rito liturgico e alla natura dei sacramentali. Non possiamo onorare Dio che è la verità tentando di offrire benedizioni che vanno contro la Sua verità.

In chiusura, vorrei dire a chi soffre di attrazione per lo stesso sesso o disforia di genere: Cristo vi ama e la Chiesa cattolica vi accoglie. Stiamo tutti lottando per crescere nella santità. Vi invito a venire e sedervi con noi, pregare con noi, adorare con noi e sperimentare con noi il potere travolgente dell’amore e della misericordia di Dio . La verità è che al centro della nostra esistenza c’è l’Amore, e non c’è potere in Cielo o sulla Terra che possa impedire al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo di amarci pienamente e completamente. Siamo invitati in ogni momento ad abbracciare l’amore che Dio ci offre, ma nella Sua infinita saggezza e bontà non si impone a noi. L’amore è una scelta, ed è sempre un sacrificio, ma è un sacrificio che Egli ha fatto per primo per noi, ed è una scelta che ci chiama a fare per Lui. Lasciamo che le squame cadano dai nostri occhi affinché possiamo intravedere quanto Nostro Padre ci ama come Suoi Amati e corriamo sempre a Lui come fonte della nostra massima realizzazione. “Non temere, perché io ti ho redento; Ti ho chiamato per nome, sei mio”. (Isaia 43:1).

Possa il Signore benedirvi e possiate voi trovare la vera identità nell’abbondanza del Suo sconfinato amore.

Il vostro umile padre e servitore,

Mons. Joseph E. Strickland

Vescovo di Tyler, Texas





«Il divorzio usa i traumi dei figli per la felicità dei genitori»



«La separazione indolore per il bene dei figli è sempre un inganno». Il caso Esselunga rompe un tabù: «Mamma e papà esemplari, ma la bimba non è felice: lo spot svela la coda di paglia degli addetti ai lavori nella fabbrica dei divorzi, che usano il trauma dei minori per la felicità dei genitori». Intervista all'avvocato familiarista Fiorin.



CASO ESSELUNGA/L'INTERVISTA

FAMIGLIA


Andrea Zambrano, 28-09-2023

Lo spot di Esselunga è diventato il caso politico del momento e ieri anche il premier Giorgia Meloni lo ha commentato (positivamente) meritando addirittura per qualche ora l’apertura di Repubblica.it. Si attendono a questo punto le reazioni degli altri partiti. È evidente che le strumentalizzazioni e i commenti sulla storia di Emma e della pesca regalata al papà separato dalla sua mamma va ben al di là delle squisite esigenze di marketing della catena di casa Caprotti.

Se tutti ne parlano, significa che quello spot apre uno squarcio insolito e rompe il muro dei tabù e del politicamente corretto in tema di divorzio.

La Bussola ne ha parlato con Massimiliano Fiorin, avvocato familiarista, come ama definirsi lui (né divorzista e nemmeno matrimonialista), che dal suo osservatorio professionale ha all’attivo diversi libri sul divorzio tra cui “La Fabbrica dei Divorzi – Il Diritto contro la Famiglia” (ed. San Paolo, 2008), "Finché la legge non vi separi" (San Paolo, 2012), "L'Amore non si arrende" (ed. Ares, 2017), "Il Diritto e il Desiderio - Ritrovare sé stessi attraverso le crisi familiari" (Ares, 2021). Nel 2023 ha pubblicato anche il suo primo romanzo "Il Sogno del Padre", nel quale riprende in chiave narrativa i temi consueti della crisi delle relazioni di coppia e familiari.

Avvocato, tutti ne parlano. Davvero questo spot è così sconvolgente?

Sì, perché rompe un tabù, oltre ad essere fatto tecnicamente molto bene. Ho visto che dietro c’è una regia francese e una produzione internazionale di creativi statunitensi, segno che forse dovremmo sganciarci dalle nostre letture provinciali attraverso cui guardare questa storia dallo spioncino delle polemiche “fascio-meloniane”. Il tema del divorzio è sentito e all’estero evidentemente c’è più libertà nel trattarlo.

In Italia la lettura è di tipo esclusivamente ideologica…

La lettura ideologica è solo il primo dei livelli di lettura di questo spot. Le note lobby che sono contrarie alla famiglia naturale non aspettavano altro. Ho visto che qualche organo di stampa ha ritirato fuori la vicenda dello scontro di Esselunga con Coop, raccontata dal celebre libro Falce & Carrello. Evidentemente, per un certo mondo Esselunga è ancora un’azienda “eretica”, deviante rispetto al mainstream.

Perché?

Inutile nasconderlo: c’è una lobby che ha promosso spot pubblicitari in cui ha ribadito fino allo sfinimento che l’unica famiglia che va bene è quella multietnica o omogenitoriale. Quello spot ha rotto questo stereotipo di “famiglia” che spesso in tante reclame è propagandata. Ma c’è un secondo livello di lettura che mi sta a cuore particolarmente.

Quale?
Quello di noi addetti ai lavori che si occupano di separazioni. Qui si dice una verità indicibile e cioè che i figli non vorrebbero mai la separazione dei loro genitori, nemmeno quando i loro genitori litigano, nemmeno quando le famiglie sono disfunzionali o hanno una conflittualità.

È quello che vede anche nelle aule di giustizia?

Il sistema delle separazioni e dei divorzi si dovrebbe fondare sul principio del “preminente interesse del minore”, invece accuratamente si nasconde un fatto che è sotto gli occhi di tutti: il preminente interesse del minore è che i genitori non si separino. È un dato elementare e lo spot rompe il tabù perché ce lo mostra.

Di solito però si dice che se i genitori non vanno più d’accordo, separarsi è l’unica strada per fare del bene al figlio…

Siamo sicuri? Io dico di no. Non a caso tutti gli psicologi che fanno consulenze per i tribunali hanno due approcci: o la buttano sul politicamente corretto, dicendo che il dolore dei figli non si può rappresentare perché si rinfocola il trauma dei bambini, ma in questo modo ammettono che il trauma c’è, oppure sostengono ciò che è contro la realtà e cioè che il problema non è nella separazione in sé, ma nell’eccessiva conflittualità dei genitori.

Potrebbe essere anche così, o no?

Mi segua nel ragionamento. La pubblicità rappresenta due figure genitoriali ideali per tutti gli addetti ai lavori, che siano magistrati o avvocati, mediatori famigliari o psicologi, i quali girano intorno alle separazioni da cui traggono fatturato. La mamma com’è?

Premurosa?

Esatto. Non è disfunzionale, sgrida Emma, ma con dolcezza, gioca con lei, la riporta a casa, la fa ridere e quando arriva il padre a prenderla non dice una parola, non commenta. E il papà?

Non so… sta al suo posto?

Esatto. Quando arriva non sale, non si impone, nonostante si possa presupporre che quella casa dalla quale è stato allontanato, sia anche sua. Abbraccia la bambina con affetto, la fa salire con serenità sulla macchina - e di grazia che gli è rimasta un’auto, questo non è affatto scontato - e quando lei gli consegna la pesca, il padre riesce a comprendere la situazione e dice che telefonerà alla mamma. Si comporta come un perfetto genitore separato.

Quindi, se siamo di fronte a due perfetti genitori separati il problema dov’è?

Visto che si comportano da genitori separati, perché tutti si stanno contorcendo?

Già, perché?

La risposta è nella coda di paglia enorme che c’è anche tra gli addetti ai lavori: tutti si comportano bene, ma la separazione rimane un trauma che i figli non vogliono. Quindi la separazione indolore per il bene dei figli non esiste, è un gigantesco inganno.

Però così si colpevolizzano i genitori…

No, invece si dà loro un bel messaggio di speranza, c’è un popolo di persone che hanno subito sulla pelle le conseguenze della disgregazione famigliare e sanno quanta sofferenza arrechi il divorzio, sia dalla posizione di figli che da quella genitori separati.

Ma lei è un avvocato, che cosa dice ai suoi clienti?

Dico sempre che la separazione è un male per i figli. Noi vediamo tutti i giorni quello che lo spot rappresenta. Vediamo ragazzi che dicono «io non mi sposerò mai» perché non vogliono rischiare di essere cacciati fuori di casa, hanno già la percezione che sposarsi comporti il rischio di trovarsi in mezzo a una strada e questo è indice di come ormai la situazione anche legale abbia comportato un disfacimento nella società.

Ma se la società è orientata al divorzio perché prendersela con i genitori?

Non è questo il punto. Bisogna ammettere che il “divorzismo” ha portato a una inversione del senso comune: oggi il divorzio è normale, il sistema lo suggerisce e soprattutto, la cosa più odiosa: si dice che separarsi è anche nell’interesse dei figli. Tutti raccontano la favola distopica sulla quale si costruiscono enormi sofferenze e cioè che sarebbe meglio che i genitori si separassero e trovassero serenità, ma questa è una bugia, è l’egoismo di chi vuole rifarsi una vita sulla pelle dei propri figli. È un’alterazione del senso comune che mi fa dire che una volta i genitori si preoccupavano che i figli fossero felici, oggi sono i figli che devono preoccuparsi che i genitori siano felici.

D’accordo, ma che cosa c’entrano queste ferite con un’operazione di marketing pubblicitario?

Se fossi un esperto di scienza della comunicazione mi metterei a studiare questo fenomeno, Esselunga sta facendo involontariamente la parte del generale Vannacci, dice a tutti una verità che è sotto gli occhi di tutti.

Nel video non abbiamo elementi per dire che i due genitori fossero sposati, magari erano conviventi. Perché siamo portati a pensare che fossero sposati?

È un fattore culturale. A volte mi capitano clienti che sono preoccupati di commettere l’abbandono del tetto coniugale quando questo non esiste più come reato. È evidente come il modello naturale di famiglia continui a sussistere nella convinzione delle persone. Tante volte mi capita di vedere negli occhi dei miei clienti lo stupore nel realizzare che quello su cui loro fondavano i loro progetti di vita, in realtà per la legge non ha più nessun valore. La gente prova ancora una nostalgia per il modello naturale di famiglia, ciononostante i giovani sanno che se si dovessero sposare, non avranno nessuna possibilità di pretendere che l’altro rimanga fedele alle promesse inziali e questo, senza essere romantici, è un problema non da poco perché è un dramma esistenziale.






mercoledì 27 settembre 2023

Esselunga, che spot! Ma resista alla rieducazione



Uno spot di Esselunga affronta il tema del divorzio in chiave negativa. Ed è polemica. Ma ora il difficile sarà resistere alla rieducazione stile "metodo Barilla".


LA CAMPAGNA

EDITORIALI 


Andrea Zambrano, 27-09-2023

Bisogna riconoscere che nel bombardamento ideologico di casa nostra, la vera rivoluzione è dire la verità. Onore, dunque, a Esselunga che con uno spot che ci riporta ai tempi delle narrazioni da Carosello, ha presentato il suo prodotto, cioè i suoi supermercati, dando anche un messaggio dirompente sul dolore che provano i figli dei genitori divorziati. Che cosa c’entra una ferita sociale con il carrello della spesa? C’entra e la nuova campagna del marchio di casa Caprotti lo mette ben in evidenza nel film La pesca, in onda dal 25 settembre.

La trama è questa: la bimba fa la spesa con la mamma in un supermercato Esselunga e le chiede di mettere nel carrello una pesca, poi quando la piccola deve andare dal papà, da cui la mamma è separata, si porta con sé il frutto e dice: «Papà, questa te la regala mamma». Una bugia, ma che riaccende nel padre una scintilla: «A me piacciono le pesche, vorrà dire che stasera telefonerò alla mamma per ringraziarla». Conclusione dello spot: «Non c’è una spesa che non sia importante», a rimarcare che anche l’acquisto di un insignificante frutto può ridare valore a una vita e risollevarla.

E non poteva non esplodere il caso, con conseguente strascico di polemiche, dato che se c’è un dogma intoccabile è che il diritto al divorzio non si tocca. La Sinistra fa sempre così: tutte le volte che vede una presentazione della realtà che non combacia con la sua ideologia deve sempre ricorrere allo strepito e al livore censorio nella terribile paura che qualcuno metta in discussione quelle che lei ha deciso debbano essere conquiste sociali, quando semmai sono miserie umane o poco più.

Infatti, sui social qualcuno ha storto il naso con messaggi di questo tipo: «Non fatevi fuorviare; qui il divorzio è raccontato come strumento che dà infelicità ai bambini responsabilizzandoli per far riunire i genitori, il divorzio rimane un diritto e sta ai genitori non farlo apparire come mostro. Idem vale per il matrimonio».

Il caso è scoppiato però quando i giornali mainstream si sono buttati a capofitto sulla notizia. I giornali con il solito taglio hanno dato valore a qualche protesta sui social, facendola diventare una notizia di questo tenore: Esselunga fa campagna per le famiglie tradizionali della perfida destra. Orrore, scandalo.

Per la cronaca: la pubblicità fa parte di un lancio che al momento contempla solo questo spot, quindi, da quanto abbiamo potuto apprendere dall’azienda, non è prevista all’orizzonte una sorta di campagna multi-target per provare a intercettare i clienti dai valori più disparati. Quindi si può dire che tra tutti i target, Esselunga abbia deciso di puntare non tanto sulle famiglie in crisi, ma sul bene famiglia in generale. Rappresentare il dolore di un figlio per vendere un prodotto commerciale è una scelta che può essere discutibile, ma che sicuramente è coraggiosa. Il risultato finale è gradevole, realistico, vero.

Adesso però, per il colosso leader indiscusso nella grande distribuzione, una necessità si profila all’orizzonte: quella di tenere il punto e non lasciarsi intimidire dalle polemiche che stanno montando. Che so, ritirando lo spot oppure – Dio ce ne scampi - creando una pubblicità riparatrice per i gay, ripetendo così il copione di quel metodo Barilla inaugurato nel 2013 quando l’industria fece una clamorosa marcia indietro sul tema omosessuali dopo un’intervista del suo presidente.

Parola d’ordine: resistere alle sollecitazioni a riparare questo affronto al buonismo perbenista. Questa volta, infatti, la pubblicità non presenta una famiglia modello, contro la quale si sarebbero potuti lanciare gli strali di un certo milieu progressista, ma una famiglia ferita, rotta da una dolorosa separazione. Che però è anch’essa una minoranza, anche se sempre più crescente.

Ma è una minoranza che non viene tutelata e che qui è vista con gli occhi della figlia dei due. Insomma, c’è del politicamente scorretto in questa rappresentazione perché non c’è niente di più scorretto oggi che rimarcare che il divorzio, prim’ancora che un diritto, è un dolore immenso, per i figli e per gli ex sposi. Inserirlo in un contesto di marketing è un pugno in faccia al nuovo perbenismo che da sinistra reclama che di certe cose non si deve parlare perché sconveniente, ma è anche una scelta coraggiosa perché la pubblicità funziona quando è in grado di essere un pugno nell’occhio.

Se oggi il pugno nell’occhio è rappresentato dalla famiglia vista come bene tanto meglio, significa che c’è qualcuno che ha visto nella crisi della famiglia un problema da risolvere.

Chissà come mai le polemiche non hanno scalfito in questi anni i tanti marchi che hanno affidato i loro claim e la loro immagine alla promozione dei nuovi diritti e alla costruzione del nuovo stereotipo intoccabile: quello dell’omosessualismo. Per anni ci siamo sorbiti in tv spot, reclame, campagne all’insegna della diversity, dell’inclusività, della gender equality: Lavazza, McDonalds, Findus, Vodafone. E poi Ikea, con la celebre campagna Fatelo a casa vostra. Al di là di qualche protesta marginale o dei soliti pro-family, niente e nessuno ha fermato l’invasione di messaggi volti a promuovere nelle coscienze l’omosessualismo, la diversity, l’inclusività.

Oggi questo spot invece ci mostra una bambina che non è di colore, che è nata da un papà e da una mamma, non da una maternità surrogata, ma da un atto di amore tra due genitori etero. E questa bambina ha un’ansia che però non è “eco”. È un tarlo che le rode e che non è certo quale sia veramente il suo sesso, ma riavvicinare due persone che le hanno dato la vita. Questo è lo scandalo, questo non si deve dire.

Perciò, adesso per Esselunga comincia la parte più difficile: resistere e difendere lo spot La pesca, senza cedere alle pressioni della dittatura del mainstream.






martedì 26 settembre 2023

Confessioni di un cattolico radicalmente escluso



By Sailko - Own work, CC BY 3.0, Wikimedia.





di John Horvat

Un aspetto che caratterizza il prossimo Sinodo sulla Sinodalità è costituito dall'enfasi posta sulla necessità di ascoltare altre voci. Tutte le voci.

Ai cattolici viene detto che "lo spirito" parla attraverso tutti coloro che sono emarginati ed esclusi. È quindi necessario ascoltare la più ampia varietà di voci. Diventando una Chiesa che ascolta, il "popolo di Dio" può "camminare insieme" sul cammino sinodale verso una nuova evangelizzazione.

Gli organizzatori del Sinodo insistono su quella che chiamano "inclusione radicale". Nessuno è escluso. "Tutti, tutti, tutti" è il modo in cui, a Lisbona, Papa Francesco ha espresso il suo desiderio di vedere la Chiesa espandere lo spazio all'interno della sua tenda.

Tutti significa ogni singola persona. I documenti del Sinodo dichiarano la necessità di ascoltare coloro che non sono d'accordo con la Chiesa, come gli atei, coloro che hanno lasciato la fede o le persone di altre religioni. Includono anche coloro che non vivono secondo la morale cattolica, come i divorziati "risposati", le persone LGBTQ in unioni omosessuali e i conviventi. Tutti.

L'inclusione radicale deve quindi abbracciare tutti. Nel momento in cui qualcuno viene escluso, il processo si interrompe. Quando le persone smettono di ascoltare, lo spirito non può agire. Il Sinodo è tutto incentrato sull'accoglienza e qualsiasi rifiuto, soprattutto da parte dei funzionari della Chiesa, rappresenta un fallimento nell'essere una chiesa sinodale.

Questa logica interna al Sinodo sulla sinodalità viene ripresa, sottolineata e ripetuta nei documenti e nelle sessioni a cui si partecipa. Tutti devono essere inclusi.

Tutti, cioè, tranne i cattolici preoccupati come me.

Confesso di essere preoccupato che questo processo sinodale possa essere un vaso di Pandora che potrebbe portare a confusione, errori e divisioni. Non sono solo. Un numero crescente di cardinali, vescovi, sacerdoti e laici condivide le mie preoccupazioni. Nonostante queste perplessità, mi aspetto che, per correttezza, questi cattolici siano trattati almeno come i molti altri che sono stati inclusi. Mi auguro che i promotori del Sinodo ascoltino e diano valore alla voce della tradizione. È questo il senso della sinodalità.

Invece, coloro che esprimono le loro preoccupazioni vengono esclusi. I loro punti di vista vengono respinti con una veemenza che posso solo qualificare come esclusione radicale. Quando si sollevano questi problemi in pubblico, c'è un rifiuto quasi rabbioso anche a prendere in considerazione la prospettiva tradizionale. La tradizione viene giudicata e impiccata senza essere considerata... o ascoltata.

A questi cattolici esclusi non viene presentato un processo di ascolto, ma di etichettatura.

Siamo liquidati con l'etichetta di essere arretrati o addirittura " retrogradi". Ci viene detto che il processo sinodale deve sempre andare avanti e mai tornare indietro. Tuttavia, mentre l'arretratezza è usata come epiteto per chi critica il Sinodo, lo stesso concetto è usato favorevolmente da P. James Martin, S.J., uno dei 364 membri votanti al Sinodo. Egli sostiene che il Sinodo è un ritorno a "una forma di raduno ecclesiale che è esistita fin dai tempi della Chiesa primitiva, ma che è caduta in disuso". Ai cattolici viene quindi detto contemporaneamente di tornare indietro e di non tornare mai più. Evidentemente, ci sono dei criteri non rivelati per stabilire quali pratiche arretrate sono accettabili e quali no.

Un'altra etichetta che viene lanciata è quella della non meglio definita "ideologia". Chiunque sostenga un insieme di certezze e dottrine può essere definito ideologico. Tuttavia, coloro che esprimono le loro preoccupazioni non hanno nulla di diverso da ciò che la Chiesa ha sempre professato. Per citare San Vincenzo di Lerins, i fedeli cattolici sostengono ciò che "è sempre stato creduto ovunque e da tutti" (quod semper, quod ubique, quod ab omnibus). Affinché l'etichetta di "ideologia" si applichi correttamente a questi fedeli cattolici, i loro detrattori devono prima dimostrare che essi stanno introducendo qualcosa di nuovo che non è mai stato insegnato prima. Tuttavia, l'introduzione di nuove dottrine e di modifiche alla morale non sono proposte dai fedeli cattolici, ma dai promotori del Sinodo.

La ragione principale di questa esclusione radicale è quella di eliminare qualsiasi opposizione all'interno o all'esterno del Sinodo. I furiosi attacchi a coloro che hanno delle preoccupazioni possono ridursi a mettere a tacere tutti coloro che non sono d'accordo. Così, l'ascolto è limitato a coloro che sono d'accordo con il programma generale del Sinodo.

Per i promotori del Sinodo, lo spirito parla attraverso coloro che sono fuori dalla Chiesa e decaduti dalla grazia, ma non parla attraverso coloro che si oppongono alle novità proposte. Chi non è d'accordo deve essere radicalmente escluso per non rovinare il processo. Come conclude il giornalista Michael Sean Winters nella sua recente rubrica sul National Catholic Reporter, i critici del Sinodo "non vanno ascoltati, ma compatiti".

Questa politica di antiascolto del Sinodo dovrebbe essere denunciata a gran voce. I promotori del Sinodo non sono sinceri. Affermano che la loro è una politica di inclusione radicale, ma i loro discorsi non corrispondono alle loro azioni radicalmente escludenti.

È difficile sostenere che lo spirito determinerà spontaneamente l'agenda del Sinodo quando, escludendo in anticipo la voce dei fedeli cattolici, gli organizzatori del Sinodo e i loro facilitatori appositamente addestrati determineranno ciò che sarà permesso nelle sessioni di discussione a porte chiuse e nei documenti sinodali finali. Un'assemblea che pretende di promuovere il dialogo, ma in cui tutti devono essere d'accordo con la linea del partito, non è un forum per la libera discussione, ma un motivo di legittima preoccupazione.

Anche se all'evento saranno discusse molte questioni morali di scottante attualità, questo processo sinodale radicalmente escludente sarà l'obiettivo principale. Ecco perché i cattolici preoccupati devono far sentire la loro voce. Il fatto che questo nuovo processo diventi parte del modo in cui la Chiesa è governata deve essere contestato in quanto contrario alla gerarchia divina stabilita da Nostro Signore Gesù Cristo.



Fonte: Tfp.org, 20 Settembre 2023. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.






lunedì 25 settembre 2023

Invasione migratoria: l’unico “negazionismo” ammesso dai poteri vigenti.


Nella foto, “Angels Unawares”, di Timothy Schmalz, in piazza San Pietro







DinGuido Vignelli, 25 SET 2023

Venite, abbiamo bisogno di voi, è l’appello che Mons. Francesco Montenegro rivolge ai migranti: “le frontiere chiuse non servono, senza figli fra qualche anno saremo noi a cercarli” dichiara a la Repubblica. Nella edizione di Palermo gli fa eco Mons. Corrado Lorefice che con tono perentorio rimprovera gli eventuali dissenzienti : “non c’è nessuna invasione o emergenza… basta menzogne sui migranti“.

Sull’onda della drammatica crescita degli sbarchi d’immigrati irregolari recentemente avvenuti sulle coste siciliane e calabresi, alcune personalità politiche – e purtroppo anche ecclesiastiche – sono tornate a disinformare e disorientare l’opinione pubblica sul fenomeno migratorio. Esse hanno semplicemente negato ch’esso costituisca una emergenza crescente che sta mettendo in pericolo la tenuta politica, sociale ed economica della nostra nazione già così indebolita.

A quanto pare, il “politicamente (ed ecclesialmente) corretto”, mentre condanna ogni forma di “negazionismo”, per contro impone di negare l’esistenza del pericolo migratorio. Inoltre, mentre pretende di ridimensionare l’attività economica fino al livello “ecologicamente sostenibile”, vuole impedire che gli ingressi irregolari vengano ridotti fino al livello socialmente sostenibile per la società accogliente.

Eppure, fino a pochi anni fa, perfino il quotidiano della C.E.I. ammetteva che i Governi hanno diritto di limitare e selezionare l’ingresso delle folle che pretendono d’immigrare per i più svariati motivi, spesso non tali da giustificare l’accoglienza come rifugiati (cfr. P. Lambruschi, C’è una via sensata, su “Avvenire”, 27-9-2019).

Oggi si preferisce attribuire i problemi causati dalla invasione migratoria al comportamento del popolo italiano, accusandolo di considerare gl’immigrati non come “graditi ospiti”, o almeno come una “utile risorsa”, ma come invasori che mettono in crisi l’ordine pubblico e il mercato del lavoro, a tutto vantaggio dei mestatori politici e della criminalità organizzata. Il che è proprio ciò che sta accadendo da decenni.

Se si cercano responsabilità pregresse – non solo economiche ma anche politiche – della crisi attuale, bisogna trovarle soprattutto a livello internazionale, attribuendole a istituzioni che da decenni si occupano del fenomeno migratorio: ossia le commissioni dell’Unione Europea e gli uffici dell’O.N.U. come la F.A.O., la I.O.M. (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) e l’U.N.H.C.R. (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati). Costoro prima hanno preparato le condizioni geopolitiche per spingere asiatici e africani a rifugiarsi in Europa, poi hanno fatto propaganda da noi sostenendo che l’accoglienza indiscriminata era necessaria o almeno inevitabile.

Le Organizzazioni Non-Governative e le “agenzie caritatevoli” che favoriscono e difendono i criminali “traghettatori di uomini”, non fanno che eseguire i piani da decenni progettati da quelle istituzioni internazionali per trasformare l’Italia in una società globalizzata e “multicolore”. E così, il vecchio motto anticolonialista “ciascuno resti padrone a casa sua!” è stato rovesciato nel motto immigrazionista “tutti vengano a casa nostra!”

Le autorità politiche e religiose devono ricordarsi che la legge morale e il “diritto delle genti” non ammettono un supposto dovere assoluto di accogliere sempre, comunque e chiunque; l’accoglienza degl’immigrati dev’essere limitata e selezionata, al fine di renderla compatibile col bene comune (anche religioso) del popolo ospitante e quindi proporzionata alle sue concrete possibilità di una vera integrazione.

Esortiamo quindi giornalisti, politici ed ecclesiastici a evitare che l’Italia segua il cattivo esempio dato da nazioni – come Francia, Belgio, Olanda, Germania e Inghilterra – che hanno commesso l’imprudenza di accogliere tutti e hanno perfino cambiato il concetto di “Stato di diritto”, pur di permettere alle associazioni immigrate di vivere secondo la loro cultura e la loro legge etica e giuridica. L’attuale grave situazione di quelle nazioni ci sia di monito, se non per ragioni religiose e morali, almeno per ragioni economiche e di pubblica sicurezza.

Guido Vignelli

http://www.societadomani.it






domenica 24 settembre 2023

LA VIRILITA' PERDUTA: BARBA, TATUAGGI E PALESTRA



Tre indizi di un disperato tentativo di mascherare gli imbarazzanti esiti del calo di testosterone nelle giovani generazioni



BastaBugie n.839 del 20 settembre 2023


di Roberto Marchesini

Ci sono tre caratteristiche che, negli ultimi anni, caratterizzano l'uomo moderno: barba, tatuaggi e palestra. Rappresentano il minimo comune denominatore della virilità attuale. Moda? Certamente. Ma forse c'è di più.

Ormai è risaputo: insieme al quoziente intellettivo, negli uomini abitanti l'anglosfera (il cosiddetto «Occidente») sta calando progressivamente anche il livello di testosterone. Le cause, dicono gli esperti, sono parecchie. Sicuramente l'alimentazione moderna favorisce l'obesità, la quale riduce la presenza di questo ormone nel corpo. Ma l'alimentazione è solo uno degli aspetti di un intero stile di vita, quello moderno, che inibisce la produzione di testosterone, fin dalla pubertà. Fin da bambini, infatti, i maschietti fanno una vita sedentaria, sempre meno all'aria aperta e sempre meno ricca di relazioni; non corrono, non si arrampicano, non fanno a botte, non vivono avventure «pericolose», sfide, non affrontano fallimenti. Gli sport competitivi, di squadra, con contatto fisico sono in declino. Tutte queste cose, che - magari al prezzo di qualche sbucciatura - aiutavano uno sviluppo fisico sano e livelli di testosterone adeguati durante pubertà e adolescenza, sono passate di moda a causa di cambiamenti culturali importanti. L'assenza del padre che, anche quando è presente, è un «mammo»; la negazione della competizione e della lotta nel nostro mondo moderno; infine l'educazione gender-free, che vede di malocchio (come prodromi di virilità tossica) l'attrattiva che i maschietti provano verso certi giochi e attività fin dai primi mesi.

IL TESTOSTERONE CAMBIA L'ASPETTO FISICO DEGLI UOMINI

Non solo: la plastica che il capitalismo mondiale ci obbliga a ingerire perché contenitore di tutto ciò che mangiamo o beviamo, dall'acqua al pane, è uno dei principali IE (Interferenti Endocrini), ossia una sostanza che altera il nostro equilibrio ormonale ed è uno dei principali nemici del testosterone. Fosse finita qui: ormoni antagonisti del testosterone sono presenti dovunque, nel nostro ambiente, dall'acqua che beviamo al cibo che mangiamo. Sapete che, ormai da anni, i pesci del Lambro stanno cambiando sesso? No, non sono pesci-trans: sono femminilizzati dall'enorme quantità di ormoni antagonisti del testosterone che finiscono nei nostri fiumi attraverso gli scarichi. Significa che qualcuno versa tonnellate di ormoni femminilizzanti nelle nostre acque? E i milioni di pillole anticoncezionali (cioè estrogeni e progestinici) che le donne prendono fin dall'adolescenza dove pensate che finiscono? Che scompaiano nel nulla? Ma la scienza non ci ha detto che gli anticoncezionali sono «sicuri ed efficaci»? Vabbeh, questo è un altro discorso...

Insomma, il risultato è un calo progressivo di testosterone negli uomini «occidentali», con gravi conseguenze sul loro benessere psicologico, sulla loro salute, capacità riproduttiva eccetera. Non c'è bisogno di studi scientifici: questo è un cambiamento che si vede anche a occhio nudo. Infatti, il testosterone cambia l'aspetto fisico degli uomini: la loro postura (spalle arretrate, petto aperto, schiena dritta), la conformazione fisica (gambe dritte, evidente massa muscolare, torace ampio) e del volto (mascella squadrata, mento prominente, lineamenti squadrati).


TEST FACILE

Per rendersene conto, è sufficiente aprire qualche vecchio album di famiglia e confrontare l'aspetto fisico degli uomini degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso con quelli che compaiono sul nostro cellulare. Oppure, basta confrontare gli attori del secolo scorso con le star attuali. Ma guardiamo anche i calciatori: pensiamo all'esordio di Giuseppe Bergomi in nazionale, ai mondiali del 1982, a diciotto anni. Quello era l'aspetto di un diciottenne del secolo scorso; il confronto con un diciottenne attuale (anche calciatore) è impietoso. Da una parte abbiamo uno sguardo serio, concentrato, lineamenti «tagliati con l'accetta»; dall'altra un orsacchiotto «carino», dai lineamenti morbidi e, immancabilmente, sorridente. Il primo comunica, se non paura, rispetto, tutto di lui dice «pericolo»; il secondo appare completamente innocuo, anche sessualmente.

Ok, ma che c'entrano barba, tatuaggi e palestra? C'entrano, c'entrano. Sono un tentativo di mascherare gli imbarazzanti esiti del calo di testosterone nelle giovani generazioni. La barba dà importanza a un mento sempre più sfuggente, quando ancora esiste. I tatuaggi vorrebbero comunicare un esemplare dedito alla «vita spericolata». Un tempo, i tatuaggi erano il segno visibile di altri segni che la vita aveva lasciato nell'anima dell'uomo: la vita di mare, il carcere, l'appartenenza a un corpo militare d'élite... Ora hanno l'effetto di un cartello «Attenti al cane» con la foto di un chihuahua. E poi la palestra, ossia il tentativo di gonfiare artificialmente dei muscoli che, un tempo, erano la naturale conseguenza di una vita attiva e all'aria aperta, del lavoro manuale e una certa sfrontatezza di fronte al pericolo. Ecco quindi che, anche le mode, ci parlano del declino dell'uomo e, con lui, di tutta la nostra civiltà.





sabato 23 settembre 2023

Pellegrinaggio Toscano a Montenero

 






Scuola / il mito dell’inclusione e l’eclisse della verità




23 SET


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by Aldo Maria Valli

di Marco Radaelli

Caro Valli,

la parola inclusione, affiancata dalle sue inseparabili ancelle discernimento, accompagnamento e accoglienza, è oggi il grimaldello buonista per permettere a chiunque qualsiasi cosa. Oggi si discerne su qualsiasi cosa, si accompagna tutti e ovunque, si accoglie tutto e il contrario di tutto. Si è arrivati così a discernere sull’aborto, ad accompagnare Rocco Siffredi nelle scuole per parlare di educazione sessuale, ad accogliere Michela Murgia nella comunità dei perfetti credenti. Tutto questo, si intende, in nome dell’inclusione. Il cristiano deve includere, ci viene continuamente ripetuto. Che di per sé sarebbe anche vero, se questa espressione non si traducesse in un maldestro invito, in sostanza, a farsi i fatti propri e a lasciare che ognuno faccia quel che vuole e si senta ciò che vuole. Trovo tutto questo insopportabile.

A me pare che accanto a tutte queste parole manchi l’unica che darebbe a ciascuna il suo vero senso: verità. Si fa discernimento per comprendere la verità, si accompagna verso la verità, si accoglie nella verità. Altrimenti sono tutte parole vuote: si discerne che cosa? Cosa vuol dire accompagnare se non c’è una meta? E si accoglie dove?


Vedo oggi una grande incapacità (e una grande paura) di dire la verità, e mi sembra proprio questo il segno più evidente di un cedimento pressoché completo di fronte ad uno dei compiti più alti che gli uomini possano assumersi nei confronti degli altri fratelli uomini, e cioè l’educazione. Io credo fermamente che quello riguardante la verità sia infatti, innanzitutto, un problema educativo. Alla verità si può e si deve essere educati fin da piccoli, affinché si possa acquisire familiarità con essa, imparando a riconoscerla e costruendo man mano uno sguardo critico e capace di comprendere dove essa si trovi e dove invece no. La famiglia e (poi) la scuola sono dunque, a mio parere, i due luoghi fondamentali, quando si parla di verità.


E invece la scuola, oggi, è diventato un luogo in cui la parola verità è divenuta rarissima. Si parla sempre di scuola dell’inclusione, ma non sento mai parlare di scuola della verità. Sembra che non possa esserci inclusione in presenza della verità, quasi che la verità escluda l’inclusione. Io invece credo esattamente il contrario, e sono convinto che non esista vera inclusione senza verità.

Oggi si intende come inclusiva la scuola che non lascia indietro nessuno. E con questo si portano avanti tutti, indipendentemente da ciò che fanno (o non fanno) e da ciò che sanno (o non sanno). Ma è davvero inclusivo fare questo? È inclusivo promuovere quando si dovrebbe bocciare, trascinando avanti chi dovrebbe essere fermato e dando voti che non corrispondono alla situazione reale? In altre parole: è inclusivo mentire ai ragazzi, facendo credere loro cose che non esistono, illudendoli di essere ciò che non sono e di avere predisposizioni o capacità che magari non hanno? Non credo proprio. Al contrario, io penso che sia veramente esclusivo fare questo, perché alla fine i ragazzi vengono esclusi dalla possibilità di conoscersi e quindi dalla possibilità di crescere. E così, in nome dell’inclusione si fa esattamente l’opposto, escludendo i ragazzi dalla consapevolezza di sé. Al massimo li ho inclusi nella comunità degli esseri non coscienti. Non proprio il migliore dei risultati.


Io penso che l’insegnante veramente buono e inclusivo non sia quello che, alla fine, garantisce a tutti di raggiungere il risultato, ma quello che, dicendo le cose come stanno davvero, è in grado di accompagnare gli alunni in quella grande avventura che è la scoperta di sé.

O la scuola conduce ogni alunno alla scoperta di questo, o ha fallito nel suo compito. Inclusiva è la scuola che ferma chi va fermato e premia chi va premiato, che dice «no» quando è «no» e «sì» quando è «sì», «quattro» quando è «quattro» e «otto» quando è «otto», non quella che dice «sì» a tutti i costi, che porta avanti tutti indipendentemente, facendo credere che è possibile fare tutto nonostante tutto. Che inclusione è quella che include tutti nell’incoscienza? L’inclusione, quella vera, è possibile soltanto in presenza della verità e nella verità. È troppo importante che la scuola torni a dire la verità: di mezzo ci sono la coscienza, la crescita e la realizzazione dei ragazzi che ci vengono affidati, e quindi del mondo che essi andranno a costruire. O l’inclusione è orientata a questo, oppure non so davvero a cosa serva.


È una democrazia della verità quella di cui c’è bisogno, all’interno della scuola come ovunque. Questa sì che sarebbe una vera rivoluzione in grado di cambiare le cose. Sono convinto che tanto di quello che vediamo in giro dipenda da un sistema educativo che si è negli anni appiattito sul sentire comune della società e del mondo, puntando su un significato di inclusività davvero povero e distorto. Sono però persuaso che il cambiamento possa ancora accadere e che debba essere affidato da insegnanti rinnovati, cioè consapevoli della grandezza e dell’importanza del proprio compito. Lavorando nella scuola, mi conforta vedere quotidianamente che, nonostante tutto, insegnanti così esistono ancora. Basterebbe lasciarli lavorare in pace, e seguirli anziché ostacolarli.





venerdì 22 settembre 2023

Cosa Padre Pio diceva del Concilio e della Nuova Messa?





 22 SETTEMBRE 2023

Il sito lafedecattolicacristiana.blogspot.it riporta alcune notizie in merito a cosa san Pio da Pietrelcina pensò a proposito del Concilio e di alcune riforme legato a questo evento. Il sito, a sua volta, ha ripreso da Lettre aux Amis de Saint François del Monastero di Morgon, di Fr. Jean, OFM Cap., febbraio 1999, fasc. n. 17.

Leggiamo con attenzione.




Padre Pio era un modello di rispetto e di sottomissione verso i suoi superiori religiosi ed ecclesiastici, specialmente quando era perseguitato. Malgrado ciò, non poté restare silenzioso davanti alle deviazioni che erano funeste alla Chiesa.

Prima della fine del Concilio, nel febbraio 1965, qualcuno gli annunciò che presto si sarebbe celebrata la Messa secondo il nuovo rito, ad experimentum, in lingua volgare, rito che era stato composto da una commissione liturgica conciliare al fine di rispondere alle ispirazioni dell’uomo moderno. 

Padre Pio scrisse immediatamente a Paolo VI, prima ancora di avere visto il testo, per chiedergli di essere dispensato da questa esperienza liturgica e di potere continuare a celebrare la Messa di San Pio V.

Quando il Cardinale Bacci venne a visitarlo per portargli l’autorizzazione richiesta, Padre Pio si lasciò sfuggire un lamento in presenza del messaggero del papa: «Per pietà, mettete fine rapidamente al Concilio». Quello stesso anno, in mezzo all’euforia conciliare che prometteva una nuova primavera della Chiesa, egli confidò ad uno dei suoi figli spirituali: «In questo tempo di tenebre, preghiamo. Facciamo penitenza per gli eletti».

Altre scene della vita del Padre sono molto significative; ad esempio, la sua reazione all’aggiornamento degli ordini religiosi voluta dal Vaticano II. Le seguenti citazioni provengono da un libro che ha avuto l’imprimatur: «Nel 1966, il Padre Generale dei Francescani venne a Roma un po’ prima del capitolo speciale che doveva trattare delle costituzioni, al fine di chiedere preghiere e benedizioni a Padre Pio.

Incontrò Padre Pio nel chiostro. “Padre, sono venuto per raccomandare alle vostre preghiere il capitolo speciale per le nuove costituzioni….”. Aveva appena pronunciato le parole “capitolo speciale” e “nuovi costituzioni”, che Padre Pio fece un gesto violento ed esclamò: “Tutto ciò è solamente un non-senso distruttore”. “Ma, Padre, dopo tutto, bisogna tenere conto delle giovani generazioni… i giovani si evolvono secondo le loro mode… ci sono dei bisogni, delle nuove richieste….”. “La sola cosa che manca, disse il Padre, sono l’anima e il cuore, sono tutto, intelligenza e amore”. E partì per la sua cella, si rigirò e disse, puntando il suo dito: “Non dobbiamo snaturarci, non dobbiamo snaturarci! Al giudizio del Signore, San Francesco non ci riceverà come suoi figli”! Un anno dopo, la stessa scena si ripeté all’epoca dell’aggiornamento dei cappuccini.

Un giorno, alcuni colleghi discutevano col definitore generale, il consigliere vicino al provinciale o al generale di un ordine religioso, quando Padre Pio, assumendo un atteggiamento scandalizzato, esclamò, con un sguardo severo nei suoi occhi: «Che cosa volete a Roma? Che cosa intrallazzate? Volete cambiare anche la regola di San Francesco»? Il definitore replicò: «Padre, si vorrebbero proporre dei cambiamenti perché i giovani non vogliono più saperne della tonsura, dell’abito, dei piedi scalzi…». «Cacciateli! Cacciateli! Che cosa bisogna dire? Forse che fanno un favore a San Francesco prendendo l’abito e seguendo la sua regola di vita, o non è piuttosto San Francesco che offre loro questo grande dono?».

giovedì 21 settembre 2023

Il Credo postmoderno che ha sostituito quello della Chiesa




Anche la contemporaneità ha i suoi dogmi (umanisti, ambientalisti, ecc.) così intangibili che li si può elencare come una professione di fede. Perché anche il laicismo, in fin dei conti, è una religione.



POLITICALLY CORRECT

EDITORIALI 



Il Credo della Chiesa cattolica è stato sostituito da tempo da un credo postmoderno tutto fatto di umanesimo, ambientalismo e teoria del gender. I nostri contemporanei odiano il politicamente corretto, ma alla fine si conformano ad esso. Senza intenti blasfemi è facile allora tradurre il Credo della Chiesa nel Credo modernista professato da molti.


Credo solo nell’Uomo
,
essere onnipotente,
creatore del bene e del male,
di tutte le cose condivisibili e non condivisibili.

Credo in un solo Signore, l’Ambiente,

unigenito figlio del Creato,
nato dal Nulla prima di tutti i secoli:
pazzia da pazzia, paura da paura, bugia da bugia,
generato e non creato dalla stessa sostanza dell’ideologia;
per mezzo di lui tutte le cose sono state venerate.

Per noi uomini e per le nostra salvezza l’ecologia discese dal cielo,

e per opera dello Spirito del Concilio
si è incarnato nel seno della Chiesa
e si fece enciclica.

Fu inquinato sotto il biossido di carbonio,

non morì e fu esaltato.
Nel terzo millennio resuscitò,
secondo il mainstream, è salito all’ONU,
siede alla destra della Thunberg.

E di nuovo verrà, nella menzogna,

per giudicare chi ragiona e chi ha buon senso,
e il suo regno animale e vegetale non avrà fine.

Credo nella teoria del gender,

che è Tutto e dà senso a tutto,
e procede dal gay e dal trans.
Con il gay e il trans è adorata e glorificata,
e ha parlato per mezzo dei discriminati.

Credo la Chiesa,

molteplice, fragile, multireligiosa, fai da te.
Professo un solo Sinodo,
per il condono dei peccati.
Aspetto la risurrezione del paganesimo,
e l’intelligenza artificiale che verrà.
Amen.






Il Sinodo sulla Sinodalità: un “vaso di Pandora” dalle conseguenze imprevedibili




CHIESA CATTOLICA | CR 1813

20 Settembre 2023



di Roberto de Mattei

Non sappiamo se i dieci anni che intercorrono tra l’inizio del 2013 e la fine del 2023 saranno ricordati tra i più intensi del XXI secolo, ma certo sono stati i più imprevedibili della nostra vita.

Il decennio si apre infatti con una “bomba”, le dimissioni di Benedetto XVI, l’11 febbraio 2013, e si avvia alla conclusione con un’altra “bomba”, o meglio un “Vaso di Pandora”, come è stato efficacemente definito in un recente libro di Julio Loredo e José Antonio Ureta (Associazione Tradizione Famiglia Proprietà, Roma 2023): il Sinodo sulla Sinodalità del prossimo ottobre. Ma, a ben vedere, il primo “vaso di Pandora” fu la rinuncia al pontificato di Benedetto XVI, «un fulmine a ciel sereno», come affermò il cardinale Angelo Sodano, da cui tutto è cominciato.

La possibilità della rinuncia al pontificato è prevista dal diritto canonico (can. 332, § 2) ma era stata messa in atto rarissime volte. Inoltre le ragioni e le modalità dell’abdicazione apparvero singolari. Fino all’ultimo giorno della sua vita, Benedetto XVI ha ripetuto che la sua scelta non aveva altro motivo che le sue fragili condizioni psico-fisiche, una «stanchezza, fisica e mentale», come ha spiegato mons. George Gänswein nelle pagine del suo volume dedicate alla «storica rinuncia» (Nient’altro che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI, Piemme, Casale Monferrato 2023, pp. 191-230). In una lettera inviata il 28 ottobre 2022, poche settimane prima della morte, al suo biografo Peter Seewald, Benedetto ha spiegato che il “motivo centrale” della sua rinuncia fu «l’insonnia che mi ha accompagnato ininterrottamente dalle giornate mondiali della gioventù a Colonia» fin dall’agosto 2005. Ma le sue inequivoche dichiarazioni non sono riuscite a porre fine alle più stravaganti speculazioni, fino a teorizzare che in realtà queste dimissioni non erano mai avvenute e che Benedetto XVI continuava a regnare contro l’“usurpatore” Francesco.

Certamente papa Ratzinger non immaginava di dover assistere, nel suo decennale post-pontificato, allo sfacelo provocato dall’elezione di Francesco, anche perché era certo che il suo successore sarebbe stato il cardinale Angelo Scola. Quando uscì la prima fumata bianca dal comignolo di San Pietro, un comunicato della Conferenza episcopale italiana, alle 20.24 del 13 marzo 2013, esprimeva «i sentimenti dell’intera nazione italiana nell’accogliere la notizia del Card. Angelo Scola a successore di Pietro». Nel conclave del 2013, Scola stando ad attendibili ricostruzioni, fu alla testa nel primo scrutinio, prima di essere scavalcato da Bergoglio, che fu eletto al quinto (Gerard O’Connel, The election of Pope Francis. An Inside Account of the Conclave that Changed History, Ed. Orbis Books, 2021).

I pronostici furono sovvertiti dal voto dei cardinali americani, convinti che fosse necessaria un’opera di profonda pulizia interna della Chiesa e che nessun cardinale italiano ne sarebbe stato capace. Fu grazie al loro voto determinante che venne eletto Jorge Mario Bergoglio. Chi avrebbe mai detto che proprio nell’episcopato americano, dieci anni dopo, si sarebbe manifestata la più decisa opposizione a papa Francesco?

Le riforme interne alla Chiesa erano volute sia dai conservatori che dai progressisti e Bergoglio si presentava come un candidato “spirituale”, capace di implementare questa riforma. Chi avrebbe immaginato che papa Francesco, sarebbe stato il più “politico” dei Papi dell’ultimo secolo, (si veda Jean-Pierre Moreau La conquête du pouvoir, Contretemps, Paris 2023) e che le sue riforme sarebbero clamorosamente fallite?

La nomina del cardinale George Pell come primo prefetto della Segreteria per l’Economia, il 24 febbraio 2014, sembrò una garanzia ai conservatori, che però si resero conto che le riforme tardavano e gli equivoci dottrinali e pastorali si moltiplicavano, soprattutto dopo l’esortazione apostolica Amoris laetitia del 19 marzo 2016. Quattro eminenti cardinali (Walter Brandmüller, Raymond Leo Burke, Carlo Caffarra, Joachim Meisner) presentarono il 16 settembre 2016, cinque Dubia alla Congregazione per la Dottrina della Fede: forse era prevedibile che la risposta non sarebbe mai venuta, ma ciò che giunse inattesa fu la scomparsa di due dei quattro porporati: Joachim Meisner il 5 luglio 2017 e Carlo Caffarra il 6 settembre dello stesso anno, rendendo impervia l’azione pubblica degli altri due cardinali.

Il 29 giugno 2017 la polizia australiana aveva intanto confermato lo stato d’accusa contro il cardinale Pell per “gravi reati sessuali” su minori. Pell venne giudicato colpevole dalla giuria dello Stato di Victoria in Australia e il 13 marzo 2019 fu condannato a una pena detentiva di 6 anni. Bisognò attendere il 7 aprile 2020 perché fosse prosciolto all’unanimità dalla stessa Corte e rilasciato dopo più di un anno d’incarcerazione. Il cardinale australiano, il più attivo e dotato di senso pratico dei cardinali di Curia, tornò a Roma e iniziò a organizzare le fila anti-bergogliane per il prossimo conclave, ma inopinatamente venne a mancare il 10 gennaio 2023. Mentre venivano celebrati i suoi funerali si svolgeva a pochi passi, in Vaticano, un’infuocata udienza del processo al cardinale Angelo Becciu, una vicenda giudiziaria ancora aperta e gravida di incognite, in cui papa Francesco è coinvolto.

Chi avrebbe potuto immaginare, inoltre, la delusione verso papa Francesco di quegli stessi progressisti che avevano accolto con entusiasmo la sua elezione? Lo storico Alberto Melloni, nell’aprile del 2013, definì l’annuncio della riforma della curia di papa Francesco come «il passo più importante nella storia della Chiesa degli ultimi dieci secoli e nella cinquantennale vicenda della ricezione del Vaticano II» (Corriere della Sera, 14 aprile 2013). Dieci anni dopo, lo stesso Melloni, ha definito il principio su cui si fonda la Costituzione apostolica del 19 marzo 2022, Praedicate evangelium, sulla riorganizzazione della Curia romana, «una tesi che colpisce al cuore il Concilio Vaticano II, e che costituisce un punto dirimente per il futuro della Chiesa» (la Repubblica, 24 agosto 2022). L’accusa è quella di aver rinnegato il primato dell’ordine sacramentale su quello giuridico che aveva costituito uno dei capisaldi della nuova dottrina conciliare.

«L’irruzione di François ha prodotto uno shock. Uno scontro di culture. È stato vissuto, a seconda della sensibilità, come un incubo, uno shock terrestre o un’autentica liberazione», ha scritto Jean-Marie Guénois, nel suo ultimo libro (Pape François. La Révolution, Gallimard, Paris 2023) in cui cerca disciogliere quello che un altro vaticanista, Massimo Franco, ha chiamato L’enigma Bergoglio (Edizioni Solferino, Milano 2020). Tra i pochi punti chiari c’è una radicale continuità, sul piano della prassi, con il Concilio Vaticano II. In questo senso ha ragione l’abbé Claude Barthe quando definisce l’attuale pontificato come «un’apocalisse in senso letterale, vale a dire una rivelazione, nello specifico una rivelazione della grande svolta che avevano operato volens nolens i Padri del Vaticano II. Papa Francesco sta portando al massimo grado questo evento assolutamente unico o, in tutti i casi, ne sta rendendo la natura molto più tangibile» (ResNovae, 1° settembre 2023). Ma il “vaso di Pandora” delle dimissioni di Benedetto XVI, con la conseguente elezione di Francesco, ha forse prodotto le sue più imprevedibili conseguenze nel campo dei cattolici fedeli alla Tradizione. La Correctio filialis dell’11 agosto 2017, firmata da oltre 200 teologi e studiosi di varie discipline, sembrava aver trovato unità dottrinale e di intenti in quel mondo. La pandemia di Coronavirus, la guerra russo-ucraina, e l’atteggiamento ondivago di Francesco hanno però contribuito a destabilizzarlo. Il mondo tradizionale non è più un’“Acies ordinata”, come poteva apparire fino al gennaio 2020, ma uno schieramento confuso e litigioso, che oggi si trova di fonte ad un evento definito dal cardinale Pell come «un incubo tossico»: il Sinodo di ottobre, un nuovo “vaso di Pandora” da cui tutto ci si può aspettare, anche per quanto riguarda le reazioni che inevitabilmente provocherà.





mercoledì 20 settembre 2023

Intorno a questo altare. Le insidie della concelebrazione diffusa. Hauke.




Marco Tosatti, 19 settembre 2023

Carissimi StilumCuriali, offriamo alla vostra attenzione questo messaggio inviatoci dal maestro Aurelio Porfiri. Buona lettura e diffusione.
Buongiorno da Hong Kong!
Vi segnalo questo nuovo controverso libro del teologo Manfred Hauke della Facoltà di Teologia di Lugano (Svizzera) sul tema della concelebrazione.


***

La concelebrazione dello stesso Sacrificio eucaristico da parte di diversi sacerdoti fu introdotta dal Vaticano II come eccezione per situazioni particolari, ad esempio per incontri con un numero stragrande di sacerdoti e per il Giovedì Santo. Nel frattempo la concelebrazione è diventata una prassi molto diffusa che porta con sé spesso una pressione sui sacerdoti di rinunciare alla celebrazione individuale. La diminuzione delle Sante Messe porta anche ad una possibilità minore dei fedeli di partecipare al Sacrificio eucaristico. La diffusione oltre misura della concelebrazione è avvenuta senza l’approfondimento dottrinale sistematico che avrebbe dovuto accompagnare la riforma liturgica. Già nella fase preparatoria del Concilio, l’arcivescovo francese Paul-Pierre Philippe OP (nominato poi nel 1967 segretario del S. Ufficio e Cardinale nel 1973), aveva osservato criticamente: «Il frutto oggettivo del Sacrificio della Messa, i.e., dell’espiazione e della supplica per i vivi e per i morti, è il frutto principale che in una Messa concelebrata non esiste allo stesso modo che in varie Messe celebrate da vari sacerdoti. Se l’uso della concelebrazione si diffonderà con maggiore frequenza, c’è da temere che l’autentica dottrina sarà oscurata sicché i fedeli non si cureranno più del fatto che molte Messe siano celebrate per i vivi e per i morti».

Questo libro presenta in una maniera sintetica la discussione dogmatica sulla concelebrazione dal Vaticano II al presente, tenendo conto anche dello sviluppo storico e delle discussioni precedenti. In particolare si tratta dei frutti sacramentali della celebrazione: c’è una differenza tra la Santa Messa concelebrata da un sacerdote e quella celebrata individualmente? Poi c’è anche la domanda: C’è differenza tra un sacerdote che concelebra e uno che partecipa alla celebrazione eucaristica allo stesso modo dei laici?



L’introduzione menziona i chiarimenti dottrinali di Pio XII: l’importanza delle parole del Signore e la differenza tra una Messa celebrata o soltanto assistita da un sacerdote. Segue una parte storica sullo sviluppo della concelebrazione dai suoi inizi fino alla soglia del Vaticano II. È analizzato il tema della concelebrazione nel Concilio Vaticano II, anche con i suoi nodi irrisolti, e nel magistero postconciliare fino ad oggi. La parte principale dello studio presenta la discussione sistematica sui frutti sacramentali della concelebrazione dopo l’ultimo Concilio. Troviamo tre correnti: 1) la scuola di Karl Rahner nega la differenza tra celebrazione, concelebrazione e assistenza per quanto riguarda i frutti sacramentali; 2) la spiegazione tomista di Joseph de Sainte Marie OCD e altri sottolinea che la Messa concelebrata è un unico sacrificio; perciò c’è una differenza tra celebrazione e concelebrazione; 3) secondo la posizione di Paul Tirot OSB e altri non c’è alcuna differenza nei frutti sacramentali tra celebrazione e concelebrazione perché la Messa concelebrata porterebbe in sé una pluralità di Messe. Dopo questa rassegna critica, l’autore offre una valutazione sistematica: nella concelebrazione vi è un unico sacrificio; quando la causa è moltiplicata (la ripresentazione del Sacrificio di Cristo), anche l’effetto è moltiplicato; la questione dello stipendio da sola non basta per risolvere la discussione sistematica.

Alcune cose che troverete in questo libro:

Che cosa è “concelebrazione”?
A che cosa si riferisce la frase di Pio XII del 1954: “nell’offerta del Sacrificio eucaristico ‘ci sono tante azioni di Cristo Sommo sacerdote quanti sono i sacerdoti celebranti’”?
Qual è la differenza tra concelebrazione “cerimoniale” e “sacramentale”?
Quando avveniva una concelebrazione eucaristica prima del Vaticano II?
Già Pio VI (1794) condanna la deriva teologica dello pseudo-Sinodo di Pistoia a proposito della concelebrazione.
C’è qualche errore storico sulla Chiesa antica che ha favorito il desiderio di estendere la pratica della concelebrazione.
Contro la teoria che nella concelebrazione ci sono tanti sacrifici quanti sono i sacerdoti, la Congregazione dei Riti nel suo decreto sulla concelebrazione del 1965 sottolinea l’unicità del sacrificio eucaristico.
Quali sono i vizi della teoria soggettivista di Karl Rahner?
Come si presenta la differenza tra celebrazione e concelebrazione in un’ottica tomista?
È vero che la concelebrazione è “attualmente unica e virtualmente multipla”?
Quali sono le disposizioni ufficiali al tempo di Benedetto XVI e di Francesco per limitare una deriva delle concelebrazioni?
Come disporre la prassi della celebrazione individuale e della concelebrazione in un monastero?



Avendo analizzato le diverse posizioni sistematiche, Manfred Hauke sostiene la differenza tra il frutto sacramentale delle Messe individuali e delle Messe concelebrate. Nelle Messe concelebrate vi è, comunque, un’attualizzazione del sacerdozio ministeriale che supera una semplice assistenza. Ogni Messa ha un valore infinito, ma vi è un’applicazione dell’evento redentivo durante la storia in cui conta ogni ripresentazione sacramentale della Croce. Non si può fare un conteggio “matematico” della grazia, ma vi una differenza nella “grazia creata” comunicata nell’evento sacramentale. La conseguenza pratica delle considerazioni è la preferenza, nella maggior parte dei casi, della celebrazione individuale raccomandata dal Vaticano II per tutti i giorni, anche quando non ci fosse partecipazione dei fedeli.

Manfred Hauke, nato nel 1956 a Hannover (Germania), sin dal 1993 è Professore di Dogmatica presso la Facoltà di Teologia di Lugano (Svizzera), affiliata adesso all’Università della Svizzera Italiana. Un Curriculum vitae più dettagliato e una presentazione delle sue pubblicazioni scientifiche si trova nei siti www.manfred-hauke.de e www.teologialugano.ch.



Manfred Hauke, Intorno a questo altare. Le insidie della concelebrazione diffusa (Chorabooks 2023)





martedì 19 settembre 2023

Il sinodo di Francesco non ha imparato nulla dai sinodi delle Chiese orientali. Le obiezioni di un vescovo greco-cattolico




Settimo Cielo
di Sandro Magister

19 set 23

*

Con parole quasi identiche, prima conversando con i gesuiti del Portogallo e poi sul volo di ritorno dalla Mongolia, papa Francesco ha detto che “questa del Sinodo non è un’invenzione mia. È stato Paolo VI, alla fine del Concilio, ad accorgersi che la Chiesa occidentale ha smarrito la sinodalità, mentre quella orientale ce l’ha”.

E l’11 settembre, ricevendo Baselios Marthoma Mathews III, Catholicos della Chiesa Ortodossa siro-malankarese, ha ribadito che “noi possiamo imparare molto dalla secolare esperienza sinodale della vostra Chiesa”.

Ma è proprio così? A giudicare dal fallimento, nel 2016, della convocazione di un Concilio di tutte le Chiese Ortodosse, dopo sessant’anni di preparazione, semplicemente per la mancata unanimità nell’approvazione di uno dei documenti preliminari, il modello orientale di sinodalità non sembrerebbe affatto il più adatto ad accelerare, in Occidente, quel “processo” di cambiamento della Chiesa che tanto piace al papa e ai suoi:

> O tutti o nessuno. La sinodalità che fa naufragare il Concilio panortodosso

“Se l’Occidente, infatti, intende la sinodalità come un luogo o un momento in cui tutti, laici e clero, agiscono insieme per arrivare a qualche decisione ecclesiastica, dottrinale, canonica, disciplinare, qualunque essa sia, è chiaro che tale sinodalità non esiste in Oriente”.

A richiamare l’attenzione sul colossale equivoco, con queste testuali parole, è un vescovo che l’Oriente lo conosce bene.

Il suo nome è Manuel Nin. Catalano, 67 anni, monaco benedettino nell’abbazia di Montserrat, professore di teologia e specialista dei Padri della Chiesa, poi rettore a Roma del Pontificio Collegio Greco, è dal 2016 vescovo titolare di Carcabia ed esarca apostolico per i cattolici di rito bizantino in Grecia, con sede ad Atene.

Prenderà parte, in ottobre, alla prossima sessione del Sinodo sulla sinodalità ed è tra coloro che il papa ha personalmente aggiunto alla lista dei partecipanti. Ma non fa mistero di criticare a fondo il “malinteso” su cui Francesco tanto insiste:

“Quando si afferma che: ‘Voi in Oriente avete sempre avuto la sinodalità’, semplicemente si confonde la sinodalità con il collegio episcopale”.

Nin ha condensato le sue obiezioni in una nota pubblicata in agosto nel sito web del suo esarcato.

In Oriente, scrive, è vero che viene chiamato “Sinodo” il collegio dei vescovi retto da un patriarca, un arcivescovo maggiore o un metropolita, quando si riunisce per esercitare l’autorità sulla rispettiva Chiesa (come ad esempio quello della Chiesa greco-cattolica ucraina tenuto a Roma dal 3 al 13 settembre).

Ma questa sinodalità non ha nulla a che vedere col modello di “una moderna repubblica parlamentare, dove tutti possono dire qualsiasi cosa e parlare di tutto. La vita delle Chiese cristiane non è mai stata una forma di democrazia in cui tutti decidono tutto in base alle regole della maggioranza”.

Certo, anche papa Francesco ha insistito più volte nel dire che “il Sinodo non è un parlamento”, né tanto meno “un programma televisivo in cui si parla di tutto”.

Nello stesso tempo, però, ha esteso la partecipazione al Sinodo non solo a chi è rivestito di autorità episcopale, ma a sacerdoti, religiosi e laici, uomini e donne, in obbedienza a un’interpretazione prevalentemente orizzontale della parola greca “Sinodo”, intesa come “camminare insieme”.

Insieme con chi? Con gli altri, con tutti. Sia pure con l’avvertenza di lasciare il ruolo del protagonista allo Spirito Santo.

Quando invece – scrive Nin, ed è la sua obiezione maggiore – il vero significato della parola “Sinodo” non è “camminare insieme con tutti”, ma “camminare tutti insieme con Cristo”.

Nin cita il padre del monachesimo: “Quelle impronte nella sabbia del deserto che Antonio credeva sue, a un certo punto scopre, lui e noi con lui, che non appartengono a lui ma a Colui che cammina accanto ad Antonio e lo sostiene nei momenti di debolezza. A Colui che è sempre al nostro fianco, al Signore risorto e vivente che è in mezzo a noi. La vocazione monastica può aiutarci a comprendere una realtà fondamentale nella vita cristiana”.

È interessante notare come questa obiezione di Nin concordi con quella pubblicata in luglio su Settimo Cielo dal teologo di New York Robert P. Imbelli, che ravvisava anche lui nell’”Instrumentum laboris” del prossimo Sinodo un ruolo tanto smisurato quanto vago e fumoso assegnato allo Spirito Santo, e invece un riferimento debolissimo a Cristo, alla croce, al mistero pasquale, cioè all’unica guida affidabile per poter davvero “conversare nello Spirito”.

“Propongo quindi di guardare la sinodalità – scrive ancora Nin – come il cammino di tutti noi che siamo stati battezzati in Cristo, ascoltando il suo Vangelo, celebrando la nostra fede, ricevendo la sua grazia nei sacramenti. Un cammino sicuramente da compiere insieme, guidati e accompagnati per mano, o anche portati sulle spalle dai nostri pastori, ma seguendo le orme di Colui che è la via, la verità e la vita”.

Verso la conclusione della sua nota, Nin fa un richiamo inatteso a un protagonista della Chiesa di alcuni decenni fa, a cui si associa::

“Ricordo la bella riflessione del cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna dal 1984 al 2003, pubblicata negli anni del grande Giubileo del 2000 col titolo: ‘Identikit del Festeggiato’. Già allora il grande cardinale italiano metteva in guardia dal pericolo di mettere in secondo piano o addirittura dimenticare Colui che era l’unico motivo del Giubileo, la causa principale, l’unico destinatario, il Celebrato”.

Ieri il Giubileo, oggi il Sinodo. Con la stessa dimenticanza?







lunedì 18 settembre 2023

Equivoci del neo-prefetto Fernández sul rinnovamento della morale







Di Silvio Brachetta, 18 SET 2023

L’arcivescovo Víctor Manuel Fernández, prossimo prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, ha rilasciato intervista al gesuita Antonio Spadaro, in cui – tra vari temi – ha riproposto il «primato della carità» in teologia e il «rinnovamento della morale». Argomenti tutto sommato deboli, già trattati dall’Osservatorio, che sono un po’ l’approdo del progressismo teologico novecentesco.

Quanto al primato della carità, Fernández cerca la dimostrazione direttamente nell’«inno alla carità» di san Paolo (1Cor 13, 1-13). L’arcivescovo fa bene a valutare il primato della carità rispetto alla scienza umana, alla conoscenza e persino rispetto ai doni di grazia di Dio. Non solo ma, seppure Fernández non ne parli nell’intervista, la carità ha il primato anche rispetto alla fede e alla speranza, secondo san Paolo, che chiude l’inno con queste parole: «Queste, dunque, le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!».

Tutto questo, però, non significa che la carità abbia un primato assoluto, perché l’arcivescovo dimentica di considerare la verità, pur presente nell’inno di san Paolo. La carità ha il primato sulle virtù cardinali, intellettuali e sulle due altre teologali (fede e speranza), ma non sulla verità, nei confronti della quale sembra avere, nell’inno paolino, un rapporto di parità. La carità infatti – scrive san Paolo – «si compiace della verità» («congaudet autem veritati»). Congaude, ovvero «gioisce insieme».

La parità tra carità e verità la si comprende meglio se riferita al mistero della Ss. Trinità, dove il Figlio è la verità (per appropriazione) e lo Spirito Santo è la carità (sempre per appropriazione). Pur essendo, tuttavia, della medesima sostanza (Dio), lo Spirito Santo procede dal Figlio (oltre a procedere dal Padre) e non viceversa: questo non può non avere rilevanza in merito al rapporto tra verità e carità.

La prima carità, secondo il beato Giacomo Alberione, è nei confronti della verità: «Fate a tutti la carità della verità», diceva. È ancora san Paolo che esorta a vivere nella «veritas in caritate», «secondo la verità nella carità» (Ef 4, 15). Vivere nella carità, certamente, ma secondo verità, che in quest’altra lettera paolina sembra avere il primato.

Antonio Spadaro pone poi una domanda strana: «Insomma, una morale ridotta al compimento dei comandamenti non risponderebbe a questa dinamica [della carità, ndr]?». E Fernández risponde sibillino: «Assolutamente no».

La stranezza è data dal fatto che la morale cristiana non è mai stata una «morale ridotta al compimento dei comandamenti». Si è sempre tenuto conto – nella teologia e nel magistero – del Decalogo, del bene e del male, del premio, della punizione, delle virtù, del giudizio, del merito, del demerito, del perdono e della misericordia. In cosa mai dovrebbe consistere esattamente questo rinnovamento della morale, richiesto – ultimo in ordine temporale – da Fernández?

Consiste forse non già nel proporre un primato della carità, ma una mortificazione dei comandamenti? Fernández difatti, nell’intervista, difende in modo chiarissimo il capitolo VIII di Amoris laetitia (esortazione apostolica di Papa Francesco) nell’interpretazione che ne danno i vescovi argentini: è lecito, a certe condizioni, dare i sacramenti ai divorziati risposati. E afferma, assieme al Papa, che «non ci sono altre interpretazioni».

L’impianto concettuale dell’arcivescovo non sta in piedi, specialmente nel descrivere la natura della misericordia. Fernández cita in modo opportuno san Tommaso d’Aquino, che sostiene la peculiarità della misericordia come «vertice delle virtù» (S.Th. II-II, q. 30, a. 4). E, in effetti, la misericordia è la virtù più grande in Dio (fermo restando che Dio non ha virtù, ma è la virtù), secondo l’Aquinate. Nell’uomo può essere la più grande, se riferita all’inferiore, ma può anche non esserlo se riferita al superiore: se è il riferimento dell’uomo è Dio, è la carità ad essere maggiore della misericordia.

A parte questo, però, Fernández ha ragione: scrive san Tommaso che, «tra tutte le virtù che riguardano il prossimo, la prima è la misericordia, e il suo atto è quello più eccellente» (ibid.). Ma la questione è un’altra: la verità non è una virtù; non può essere comparata alla misericordia come lo sono le virtù. La sincerità può essere una virtù, ma non la verità in quanto tale. La verità, in sé e per sé, è il discrimine di tutto e, dunque, anche delle virtù.

In altre parole, è conforme al vero sostenere la superiorità della misericordia rispetto alle altre virtù (giustizia compresa), ma nei confronti della verità non può esserci comparazione. È infatti la verità a descrivere cosa sia o non sia virtù. La verità è fontale rispetto alle virtù. Questo aspetto è del tutto ignorato da Fernández e dai teologi a lui affini.

Da qua l’equivoco della teologia moderna e contemporanea: si confonde la giustizia con la verità che è nella giustizia e si pone la misericordia a capo di tutto, verità compresa. Questo modo di procedere, anche con ottime intenzioni, porta a credere che la misericordia sovrasti e cancelli la giustizia, come in effetti avviene nel caso dei divorziati risposati. Benché forse in modo involontario, si assume il depotenziamento della Legge e dei comandamenti, pur riconoscendone la validità a parole.

Se la verità non fosse primaria, si mortificherebbe il diritto della giustizia, sovrastata dalla misericordia. Ed è sì sovrastata, ma in quanto virtù, non di fronte alla verità. San Bonaventura da Bagnoregio, che pure Fernández pone tra i suoi autori preferiti, pone Gesù Cristo – il Logos – come medium tra il Padre e lo Spirito Santo, cioè come discrimine. È poi vero che i concetti di verità, carità, via, vita o potenza sono applicabili ad ognuna delle tre Persone divine ma, in quanto appropriazione, la verità è propria solo del Figlio, che sta al centro (medium).

La teologia progressista, inoltre, non considera che, pur essendo le tre Persone uguali nella divinità, la seconda (il Figlio) precede la terza (lo Spirito Santo) quanto alla processione per spirazione (non in senso temporale), così come la prima (il Padre) è fontale quanto alla generazione e alla spirazione. Queste verità non possono essere confutate perché sono dogma della Chiesa.

Ma anche solo trattando della misericordia, c’è un ulteriore elemento di equivoco. Tra le opere della misericordia spirituale, ve ne sono tre attinenti alla verità, che vengono citate per prime: «consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori». Poi ci sono tutte le altre opere: perdonare, sopportare, pregare, nutrire, dissetare, vestire, alloggiare, visitare e seppellire. Ma le prime tre – è bene ripeterlo – attengono alla verità.

Silvio Brachetta