mercoledì 30 giugno 2021

I blog e i siti tradizionalisti: un ottimo (e in alcuni casi l'unico) veicolo dell'apostolato tridentino e strumento della buona battaglia









I blog e siti tradizionalisti, si sa, visto il clero riottoso, sono il moderno mezzo, utilissimo a diffondere (e a difendere) testi, documenti, rituali, usanze, calendari, foto, notizie, suggerimenti, e quant'altro riguardi il rito antico e a rendere sempre più fecondo l'apostolato tridentino (che in taluni casi diventa evangelizzazione cui seguono vere e proprie 'conversioni').
Vi presentiamo un'interessante analisi di Paix Liturgique (nostra traduzione) sull'importanza e sugli effetti della blogosfera tradizionale negli USA, che, mutatis mutandis, ci fa ben sperare nel corrispettivo italiano (in cui, umilmente, è inserito anche MiL), e ci sprona a continuare a.m.D.g. nella buona battaglia. Deus vult!
(I link nel testo, sono stati inseriti da noi ad utilità del lettore).
Bonum certamen certavi, cursum consummavi, fidem servavi

Roberto [MiL]







Lettera n. 788 del 15.03.2021

Paix Liturgique - Caro Daniele, continuiamo la nostra indagine. Di cosa vuole trattare?


Daniel Hamiche
- Innanzitutto vorrei sottolineare il fatto che dall'inizio del nostro terzo millennio molte cose sono cambiate nel mondo... e una delle più importanti è l'esplosione del
fenomeno Internet. È una rivoluzione che cambia tutti gli equilibri di potere nel mondo della comunicazione, ma va detto nel mondo del potere. Tanto che ricordo di aver lanciato sul sito Americatho nel 2010, rivolto a episcopati maliziosi in Francia e altrove: "Tu hai il potere, ma noi abbiamo Internet!" Dirlo più di dieci anni fa era uno scherzo, ma oggi è una realtà.


Questo è, soprattutto in Francia, una certezza poiché l'universo cattolico tradizionale è onnipresente su Internet mentre i media ufficiali (cattolici) stanno scomparendo nel dimenticatoio. Chi legge ancora La Croix o cosa resta di una stampa cattolica che vede scomparire ogni anno nuove testate? Mentre mai come ora il pubblico di Le Salon Beige o di Riposte Catholique è stato così importante, per non parlare anche di Le Forum Catholique, di Paix Liturgique, di La Porte Latine [FSSPX, n.d.r.] o di Renaissance Catholique.


Che rapporto con il potere dirà? Ebbene, finché coloro che comandano sono gli unici padroni dei media, hanno tutte le possibilità, soprattutto quella di mascherare la verità senza il rischio di essere contraddetti o peggio - ed è quello che un buon numero dei nostri vescovi ha fatto senza imbarazzo per mezzo secolo - di comportarsi come se i loro avversari (fossero anche un gran numero di loro fedeli - come ad esempio, durante il sondaggio effettuato da Le Progrès de Lyon nel 1976) non esistesse. Di Essere cioè, negazionisti. in un certo senso!

Tuttavia, questo atteggiamento oggi semplicemente non è più sostenibile con lo sviluppo di Internet, che finisce per relativizzare il potere dei piccoli marescialli oppressivi. E bene: immaginate che negli Stati Uniti il ​​fenomeno, sebbene più recente che in Europa in termini di tradizione cattolica, è ormai simile al nostro, con l'aggiunta di quel carattere di terribile efficienza proprio dei nostri cugini americani!




Paix Liturgique - Allora chi sono?


Daniel Hamiche
- È difficile stabilire una gerarchia. Cominciamo, se vuole, con uno dei giocatori più anziani su Internet americano, Rorate Coeli.




Paix Liturgique - Che ha più volte rilanciato gli appelli che gli sono stati comunicati dai responsabili del pellegrinaggio Summorum Pontificum a Roma e che ha di recente, inoltre, pubblicato un corposo dossier su Paix liturgique.


Daniel Hamiche
- Sì, questo è un sito che è stato per molto tempo il riferimento essenziale per la presenza della Tradizione in internet, e che continua ad esserlo. Il suo fondatore e direttore dal 2005, l'enigmatico "New Catholic" (che a volte parla altrove su Forum Catholique in Francia), porta le notizie di tutti gli istituti tradizionali, siano essi Ecclesia Dei o non. Interessante anche in quanto pubblica articoli di Roberto de Mattei in inglese, riprendendo così la cronaca italiana. E le notizie inglesi trovano eco anche attraverso i contributi ad hoc di Joseph Shaw, presidente della Latin Mass Society of England and Wales, su cui torneremo.

In questa terza parte della nostra indagine, uno schizzo della tipologia del cattolicesimo americano e una panoramica della storia della reazione della Tradizione alla tempesta seguita all'ultimo concilio, parleremo della presenza della Tradizione su Internet.




Paix LIturgique - E OnePeterFive?

Daniel Hamiche
- OnePeterFive, molto apprezzato da S. E. il Cardinale Burke, si situa nel movimento del "restauro della cultura cattolica" da una prospettiva tradizionalista. Di tutti i blog favorevoli all'usus antiquior, questo è probabilmente il più aggiornato. Anche qui troviamo un intero team di contributori, mediamente più giovani del New Liturgical Movement di cui parlerò un po' più avanti, che opera sotto la direzione di Steve Kojek, fondatore del sito nel 2014. Vi troveremo analisi teologiche e liturgiche , ma anche analisi mistiche o morali; alcune testimonianze di conversione a Cristo sono addirittura commoventi e aprono altrettante prospettive su quanto i giovani adulti dicono di aver guadagnato passando alla tradizione secolare della Chiesa.




Paix Liturgique - Certo, c'è anche il famoso Padre Z che è intervenuto brillantemente due anni fa durante il nostro incontro romano Summorum Pontificum

Daniel Hamiche
- So che le piace il blog di Padre Zuhlsdorf, più comunemente noto come Father Z (la "z" si pronuncia in stile americano, "zi"). Questo blog, uno dei più letti tra biformalisti e tradì, presenta due o tre articoli al giorno sulle cronache liturgiche o cattoliche in genere, sull'attualità politica e... sulla cucina del Padre (chi sa tanto farla che apprezzarla) così come nei suoi viaggi (parte spesso per Roma e regala ai suoi fan foto di chiese e piatti degustati nei ristoranti della Città Eterna). Padre Z non è allergico alle polemiche, e castiga i rappresentanti delle forze del progresso liturgico e teologico quando lo ritiene necessario, e sempre con umorismo.

Abbiamo anche cercato scoprire alcune notizie: se padre Z è domiciliato nella diocesi di Madison nel Wisconsin, è un sacerdote incardinato canonicamente in una diocesi italiana, in cui un fedele in mala fede lo aveva denunciato per aver pronunciato un esorcismo sugli aspetti fraudolenti delle recentissime elezioni presidenziali o per proporre buone ricette sul suo blog. Il tutto riportato con malcelata gioia dal National Catholic Reporter (la cui linea editoriale è più o meno quella di La Croix) (1). È meglio solo ridere.

Padre Z è stato anche una grande fonte di incoraggiamento per i seminaristi diocesani, offrendo loro molti consigli sulla discrezione e organizzando per loro, ad esempio, campagne per l'acquisto di… mollette... a cui i suoi lettori hanno risposto con generosità tutta americana.




Paix Liturgique - Chi c'è accanto a Father Z?

Daniel Hamiche
- Vicini a Father Z, ma con una vera e propria scuderia di collaboratori, abbiamo il sito New liturgical Movement, fondato da Shawn Tribe nel 2005 e attualmente sotto la guida di Gregory DiPippo, americano espatriato a Roma, buon latinista, conoscitore di tradizioni liturgiche, sia romane sia milanesi (cioè del cosiddetto rito ambrosiano) ed altre. Questo sito è strettamente liturgico ei suoi archivi costituiscono un vero e proprio scrigno di articoli (di qualità ineguale ma mediamente buoni o molto buoni) su tutti gli aspetti della liturgia tradizionale. È anche su questo sito che vengono annunciati e segnalati colloqui, Messe solenni e altri eventi di interesse per "coloro che sono legati alla forma straordinaria". I resoconti sulla Messe solenne di tale o tal altro rito tradizionale, con numerose foto a corredo, costituiscono tanti argomenti a favore della tradizione liturgica senza che occorra fare un paragone con la Messa di Paolo VI. (si veda anche sulla “riforma della riforma” (2).




Paix Liturgique - Altri siti?

Daniel Hamiche
- Le ho presentato i siti web più visitati negli Stati Uniti. Ce ne sono alcuni altri che meritano il massimo dei voti: la versione elettronica di Latin Mass Magazine e l'eccellente risorsa di volantini per i propri della Messa (sia del Tempo sia dei Santi), che è Maternal Heart of Mary.

C'è anche un sito che non è abbastanza frequentato, è quello di Stuart Chessmann che è l'ospite del blog Saint Hugh of Cluny. Questo blog trasmette principalmente gli orari delle messe a New York e nelle zone limitrofe. È troppo poco conosciuto, forse troppo regionale, per essere visibile nell'orizzonte Tradizionale di Internet, ma gli viene attribuita una buona responsabilità sulla storia della resistenza negli Stati Uniti di eccezionale qualità, che non esiste più. Stati.




Paix Liturgique - Ci sono anche siti pro-vita che a volte sono interessati a questioni liturgiche...

Daniel Hamiche
- Abbastanza giusto. Un sito, il cui interesse principale è l'impegno contro l'aborto, ma la cui gamma di argomenti, molto variegata, ricorda Le Salone beige francofono, è Lifesite news, che si occupa anche della liturgia in senso biformalista.




Paix Liturgique - È ricchissima...

Daniel Hamiche
- E anche più di quanto si possa pensare, perché perché l'inglese nulla impedisce agli americani di consultare l'inglese... Siti web in lingua inglese, i più popolari dei quali sono, da un lato, la Latin Mass Society of England and Wales i cui Position paper, hanno portato dall'ottimo presidente di questa società, il professore di logica ossoniana Joseph Shaw, danno spunti di riflessione sulla questione liturgica, e dall'altro il sito molto inglese di padre Hunwicke dell'Ordinariato anglicano. La sua erudizione latino-greca, la sua flemma, la sua sottile ironia, il suo umorismo britannico lo rendono una delizia.




Paix Liturgique - Possiamo avere un'idea del pubblico di questi blog e siti?

Daniel Hamiche
- Su questo punto non sono in grado di darti una risposta precisa perché l'universo di Internet è immenso negli USA. Posso dire che questo pubblico è davvero molto importante. Quello che posso anche dire è che, con l'aiuto della nuova lingua franca inglese, il pubblico di questi siti è davvero universale. Mi sembra addirittura di aver letto nelle rubriche della Paix Liturgique che il vostro inviato speciale Joao Silveira si è sorpreso spesso di trovare negli angoli più isolati del pianeta gli appassionati di Father Z...




Paix Liturgique
- Ha perfettamente ragione Caro Daniel, come in Corea, come in Angola… al punto che questi siti e blog nazionali ora hanno un'influenza universale ancora maggiore nelle regioni dell'Africa, dell'America o dell'Asia o i fedeli perplessi non trovano le risposte alla loro ricerca della verità sul posto ed è quindi via Internet che si fa questa scoperta e spesso i primi passi verso la tradizione di tanti cattolici isolati. E come ha sottolineato all'inizio di questa intervista, i nostri cugini dall'America hanno questo talento per l'efficienza che consente alle loro reti di avere davvero un pubblico internazionale.



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(1) Christopher White, "Il controverso tradizionalista padre Zuhlsdorf lascerà la diocesi di Madison", National Catholic Reporter, 16 gennaio 2021.

(2) "Riformare l'irreformabile?" http://www.newliturgicalmovement.org/2014/02/reforming-irreformable.html#.XnUrjohKjIV










Viaggio nella bellezza della fede e della liturgia. Introduzione alla Messa tridentina





30GIU21
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by Aldo Maria Valli

Il libro di don Marino Neri Meum ac vestrum sacrificium. Introduzione alla Messa tridentina, con prefazione di monsignor Athanasisu Schneider) intende essere un vademecum , essenziale nei contenuti e di facile lettura, per aiutare il fedele a orientarsi nell’universo simbolico della cosiddetta Messa tridentina (o Messa tradizionale), la cui ultima revisione è contenuta nel Missale Romanum edito per volontà di papa Giovanni XXIII nel 1962.



Dall’analisi delle diverse parti della celebrazione emergono i tesori di spiritualità e di dottrina che la contraddistinguono, con un’attenzione particolare al dato storico che li ha integrati nel rito del supremo atto di culto della Chiesa, nella convinzione che, usando le parole di Benedetto XVI, «nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande […] Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa».


Queste lezioni sono state presentate in forma ridotta nel canale You Tube Ritorno a Itaca in dieci video che possono anche essere consultati in rete.

Ne parlano il 30 giugno alle 19 l’autore don Marino Neri, don Claudio Crescimanno, don Roberto Spataro e Aurelio Porfiri.


Il programma è trasmesso in live streaming sul canale You Tube Ritorno a Itaca, su Twitter e sulla fanpage in Facebook di Aurelio Porfiri.













martedì 29 giugno 2021

Vuoto mortale: i tedeschi costruiscono "chiesa esperienza"







Niente organo, niente panche, un tavolo in cemento con un soffitto sospeso. Ecco la nuova chiesa di San Giovanni a Francoforte (Germania). I proprietari la chiamano con un eufemismo: "Chiesa esperienza".

Il vescovo di Limburg, Georg Bätzing, ha benedetto la struttura, vuota e noiosa, il 27 giugno, dicendo di volere che la Chiesa "si allontani" dall'idea classica del culto, verso una "maggiore vicinanza alla vita," anche se tutti interpretano qualcosa di diverso con questo termine, cioè che il culto e la liturgia devono dare "maggiore vicinanza a Dio".

La nuova sala esperienza vuole ricercare "nuovi formati". Per questo c'è un impianto audio al posto dell'organo, come se non potessero fare tutti la stessa esperienza con un telefonino. La chiesa precedente era stata demolita cinque anni fa.

Il costo dell'edificio è più che raddoppiato in fase di costruzione, arrivando a € 5,6 milioni. Senza dubbio un segno di "maggiore vicinanza alla vita". I lettori di Gloria.tv discutono se l'edificio somigli più a uno silo o a un bunker per ripararsi dagli attacchi aerei.

#newsYipqzjpztp








Papa, la contraddizione fatta sistema





La lettera di sostegno del Papa a padre James Martin, impegnato sostenitore dei diritti LGBT, pone tra l'altro un problema di metodo, ovvero la contraddizione vissuta come regola del proprio ministero. Così pochi giorni dopo la Nota della Segreteria di Stato che contesta il ddl Zan, arriva un gesto di segno opposto.




DIETRO LA LETTERA A PADRE MARTIN
EDITORIALI
Stefano Fontana, 29-06-2021

I problemi posti dalla lettera di papa Francesco a padre James Martin, impegnato sostenitore dei diritti LGBT, sono di diverso tipo. Tra tutti, però, uno si impone come principale e ci chiede di considerare a fondo una situazione inedita della Chiesa: in essa la contraddizione è considerata la regola del proprio lavoro. Vediamo prima di tutto come il tema della contraddizione emerga dalla lettera a padre Martin per poi analizzare la portata di questo fatto.

Come si sa, padre Martin è un gesuita che non solo si occupa della pastorale delle persone LGBT, ma che sostiene il riconoscimento dei loro diritti da parte della pubblica autorità. Egli sarebbe quindi a favore di leggi come la Cirinnà e come il ddl Zan. Come altrettanto bene si sa, gli insegnamenti della Chiesa negano questa possibilità. Fatta questa premessa vediamo la contraddizione. Qualche giorno fa, la Segreteria di Stato ha consegnato allo Stato italiano una Nota in cui si paventa l’infrazione del Concordato in quanto il ddl Zan, se approvato, limiterebbe la libertà della Chiesa di esporre in pubblico la propria dottrina sull’omosessualità, compreso il divieto del suo riconoscimento giuridico da parte della pubblica autorità.
Solo qualche giorno dopo, la lettera di papa Francesco a padre Martin contraddice l’intervento della Segreteria di Stato nei confronti dell’Italia, invitando con calore padre Martin a continuare con il suo impegno pastorale che, come si diceva, comprende il riconoscimento dei diritti LGBT. In cosa consiste la contraddizione? In questo: da un lato la Chiesa pretende di poter dire pubblicamente che secondo la propria dottrina le “nuove” relazioni sessuali non possono essere giuridicamente e politicamente riconosciute; dall’altro dice che intende continuare ad impegnarsi perché questo riconoscimento diventi possibile e reale.

Contraddizioni di questo genere sono diventate abituali in questo pontificato e lo stanno caratterizzando in modo molto evidente. Se l’ideologia gender è uno “sbaglio della mente umana”, perché invitare padre Martin a continuare a lavorare per i diritti LGBT? Se la Congregazione per la Dottrina della Fede ha posto precisi paletti al sinodo tedesco sulla benedizione delle coppie gay, perché papa Francesco invita il presidente dei vescovi della Germania a proseguire nel cammino sinodale? Altra contraddizione: le conferenze episcopali hanno o non hanno competenza dottrinale? E come mai quando vengono poste a Santa Marta o al Sant’Uffizio alcune contraddizioni da dirimere definitivamente la risposta è di discuterne?

L’introduzione della contraddizione come prassi della Chiesa è una delle principali novità dirompenti di questo pontificato ed anche una semplice lettera ad un Padre gesuita la mettono in evidenza. La questione potrebbe essere risolta con la teoria della lotta interna tra dicasteri pontifici e tra questi e il papa. Ci sarebbero delle contese, dei “bracci di ferro” legati a questioni di potere per cui alla fine escono posizioni diverse e spesso contrapposte. La Chiesa sarebbe incapace di parlare con una voce sola per intoppi nelle relazioni interne. Questa spiegazione sarebbe però una scappatoia. Queste eventuali contese sono evidentemente la conseguenza di modi diversi di pensare, di teologie in contraddizione tra loro. È qui allora che bisogna risalire.

L’uso da parte di papa Francesco del metodo “stop and go”, conosciuto anche volgarmente come il metodo di un colpo al cerchio e uno alla botte, riconosce alla contraddizione una funzione positiva di apertura verso nuovi processi guidati (secondo lui) dallo Spirito. La “rigidità” – lo ha dichiarato molte volte – sarebbe una patologia della fede, la quale invece vivrebbe di dubbio e di contraddizione. Tra dottrina e pastorale oppure tra Chiesa universale e Chiesa locale c’è contraddizione e bisogna, secondo lui, tenere aperto il rapporto con tutti e due i poli della contraddizione stessa. Non è quindi contraddittorio tenere aperta la contraddizione e vedere dove ci porta. I termini della contraddizione sono contraddittori ma la contraddizione no. La vita della Chiesa è contraddittoria.

Alcuni interpreti del pensiero di papa Francesco e delle sue fonti, sostengono che in questo egli si rifà alla “Contrapposizione polare” di Romano Guardini, il pensiero del quale Bergoglio poté avvicinare durante il suo soggiorno giovanile in Germania. Egli intenderebbe quindi la contraddizione come contrapposizione tra due elementi ugualmente positivi, anche se in tensione tra loro. Ma qui sta il punto. Come scriveva Joseph Ratzinger – che quanto a conoscere Guardini non era secondo a nessuno - tra il vero e il falso o tra il bene e il male non può esserci contrapposizione ma solo contraddizione. In questi casi bisogna essere “rigidi” e scegliere per la verità e il bene.

L’assunzione nella vita e nella prassi della Chiesa della contraddizione vista come una negatività positiva sembra avere il proprio padre in Hegel più che in Guardini. Per essa ogni situazione di vita che si presenta nell’esistenza storica è sia positiva che negativa, perché in essa si scontrano due polarità contraddittorie. Lo scontro non deve essere evitato ma bisogna passarci in mezzo affinché si possa arrivare ad una composizione superiore. Un qualsiasi professore di liceo spiegherebbe così la dialettica hegeliana.








lunedì 28 giugno 2021

La matematica non è un’opinione….o, forse, sì? Sull’omofobia si danno i numeri.







 Di Don Lillo D’Ugo, 28 giugno 2021

Ogni volta che si organizza una manifestazione pubblica: marcia, sciopero, raduno…ecc., si assiste al balletto dei numeri. La questura pubblica i suoi, i giornali i propri, gli organizzatori, a loro volta, le loro cifre sempre più alte delle precedenti. Perché nell’epoca della likecratia chi comanda sono i numeri. Un evento non si giudica in base alla bontà dei contenuti, ma sulla quantità di chi ne è interessato. E’ un segno del materialismo pratico e dell’idolatria del successo in cui siamo immersi.

La stessa logica si riscontra presso i sostenitori ad oltranza del DDL Zan e di leggi similari che sono già vigenti in altri Stati. Le cifre alte vogliono fare passare l’idea che le persone LGBT ogni giorno subiscono aggressioni verbali e fisiche. E’ un’urgenza impellente fare qualcosa che, secondo questa narrazione, richiama alla memoria le tristi immagini dei rastrellamenti nazisti.

Alla luce di quanto detto, sorge spontanea la domanda: quali sono le cifre sui reati di odio contro gli orientamenti sessuali? La ricerca delle fonti non è facile per diversi motivi, ma fondamentalmente perché il problema non esiste. Comunque proveremo a scoprire qualche cifra.

Partiamo dai dati dell’Osservatorio per la sicurezza Contro gli atti Discriminatori (OSCAD) attivato dal nostro Ministero degli Interni. Al suo indirizzo di posta elettronica (oscadcpc.interno.it) possono essere fatte segnalazioni da parte d’istituzioni, associazioni e privati cittadini. Tali segnalazioni passano agli uffici competenti della Polizia di Stato e dei Carabinieri. Tra le diverse fattispecie di atti discriminatori, ci sono le seguenti: segnalazioni relative a crimini o discorsi d’odio per orientamento sessuale e per identità di genere. Da dati ministeriali risulta che dal 2010 al 2019 sono state fatte 319, cioè la media di 31,9 segnalazioni all’anno. Si tratta di segnalazioni che non sono ancora dimostrate in un confronto giudiziario come reati acclarati!

Omofobia org. che è un’organizzazione legata alla comunità LGBT, per quanto riguarda l’Italia, pubblica dati più alti: dal 2012 al 2020, 876 episodi , la media di circa 109 all’anno. Anche per questi dati si tratta di segnalazioni e non di reati giudiziariamente dimostrati.

L’Agenzia dei diritti fondamentali dell’Unione Europea per i crimini motivati dall’odio e la discriminazione contro persone LGBT, afferma, per l’anno 2019, che l’Italia ha una media inferiore agli altri stati europei.

Altre agenzie si muovono su questa tendenza numerica che, come si nota, riporta cifre molto basse che non rivelano nessuna emergenza sociale. I reati d’ingiusta discriminazione, in rapporto ad altri che si commettono ogni anno, sono una minima percentuale.

Dal punto di vista statistico non sembra che ci sia necessità di una legislazione speciale. La pochezza di casi, dal punto di vista morale, non giustifica un solo atto violento, di qualsiasi genere e contro qualsiasi persona. Ogni gesto violento, sia verbale sia fisico, non è accettabile dal consorzio umano e civile. Cosa che dovrebbero ricordare i paladini infuriati del DDL Zan quando si rivolgono a chi non la pensa come loro!

Tornando ai numeri, bisogna considerare che alcuni casi di discriminazione siano stati inventati a tavolino. Fake news che complicano la comprensione serena del fenomeno. Se ne potrebbero riferire parecchi, ma ne citiamo solo qualcuno. Il primo è avvenuto nell’estate del 2020. L’influencer milanese, Marco Ferraro, gay dichiarato, ha affermato sui social di essere stato vittima di un’aggressione omofoba. Dopo qualche giorno, roso dal rimorso per la bugia detta, ha dichiarato di essersi inventato tutto.

L’altro falso è di questi giorni: una tredicenne aggredita perché portava una borsa con i colori arcobaleno. La ragazzina avrebbe dichiarato che degli omofobi l’hanno picchiata e apostrofata con queste parole: “Cagna…lesbica…”. Qualche giorno dopo, la stessa ragazzina ha dichiarato che si è solamente trattato di un litigio con alcune coetanee a cause di precedenti rancori.

Episodi inventati ad hoc per sostenere la necessità di una legge che freni l’emergenza omofoba che esiste solo nella fantasia di alcuni progressisti. Si pensi alla dichiarazione del sindaco Orlando, dopo la riprovevole aggressione a due giovani gay che si sbaciucchiavano per strada a Palermo. “E’ urgente l’approvazione della legge contro l’omofobia!”.

Se in Italia non esiste un dilagare di violenza discriminatoria contro le persone LGBT, perché alcuni lottano strenuamente per l’approvazione della legge Zan? Forse c’è non vuoto normativo? Neanche questo è vero, perché già esistono leggi che puniscono l’aggressione contro ogni cittadino. E allora? La risposta è stata data da una militante lesbica alla manifestazione di Milano del maggio scorso. La legge Zan è il primo passo per farne altri: modificare la Legge 40 che consente solo la fecondazione artificiale alla coppia e non al single (così una lesbica può andarsi a fare inseminare liberamente e privare il figlio del padre); permettere che la pratica dell’utero in affitto sia legalizzata; entrare nelle scuole per fare educazione gender che distrugga l’identità sessuale naturale confondendo i bambini che devono ancora maturare la loro sessualità; accelerare i percorsi di transizione sessuale che la legge 164 disciplina (rendere più facile e veloce il cambiamento di genere); chiedere il matrimonio ugualitario tra persone dello stesso sesso , qualcosa di più delle convivenze civili; ecc.

In poche parole si vuole mettere il bavaglio a ogni opposizione su questioni eticamente complesse e divisive. Un tentativo maldestro di avere mani libere per compiere ogni tipo di aberrazioni senza la palla al piede di chi non la pensa come loro. Fare diventare criminale chi esercita ancora il buon senso e pensa che un bambino debba avere un padre e una madre biologicamente tali; chi pensa che l’utero in affitto sia un crimine contro la dignità del concepito e della donna; chi ritiene sia ingiusto che donne povere o senza scrupoli vengano trasformati da ricchi omosessualisti in incubatrici viventi; chi si oppone a una scuola che indottrini ideologicamente i nostri figli e nipoti; chi afferma l’esistenza di un ordine nella creazione e che l’ homo tecnologicus non ha il diritto di manomettere la natura con le sue leggi. A tale proposito, mi chiedo dove sono andati a finire gli ecologisti che s’indignano per la manomissione degli ecosistemi? Ricordiamoci che esiste anche un’ecologia umana con sue leggi radicate nella natura profonda dell’uomo e il manometterle è pericoloso.

Da recente, alcuni Stati europei stanno facendo retromarcia innanzi ai danni che l’educazione gender, consentita in precedenza, sta facendo sulle coscienze di tanti adolescenti. Che l’Italia impari dagli errori degli altri e finiamola col mantra: In tutta l’Europa già esistono e noi dobbiamo adeguarci. Questo mantra è la formulazione del principio progressista: il novum per se stesso è verum, bonum, pulchrum . Il criterio non è l’Europa, ma la Verità e la Giustizia….

Don Lillo D’Ugo

http://www.societadomani.it











Si giudica l’errore, ma non l’errante? No. Va giudicato anche l’errante







di Corrado Gnerre, 15-06-2021

Spesso si dice che non bisogna giudicare il prossimo. Ma cosa veramente significa e cosa davvero comporta una simile affermazione?

Gesù dice di non giudicare (Matteo 7,1), ma giudicare (in senso evangelico) non vuol dire “giudicare” in quanto “esprimere un giudizio”, bensì non condannare definitivamente.

Facciamo un esempio: se Mario Rossi vive una vita di peccato non debbo condannarlo definitivamente, pensando che non possa più redimersi. Anzi, devo pregare per lui, e far di tutto affinché possa emendarsi. E forse -chissà- potrà anche divenire un grande santo. Di esempi a riguardo -grazie a Dio- se ne potrebbero fare tanti.

Ma -continuando nell’esempio- ciò non significa che Mario Rossi non debba essere giudicato nel momento in cui è peccatore e si comporta come tale. Qui, infatti, c’è un’ambiguità che va chiarita. Spesso si dice che vada giudicato l’errore ma non l’errante. No: va giudicato l’errore ed anche l’errante, nel senso che bisogna riconoscere che l’errante sta errando, e in tal senso (come impongono le opere di misericordia spirituale) l’errante deve essere ammonito. Se non si giudica l’errante come errante, non lo si può aiutare. Se il medico non riconosce che il malato è ammalato, non si attiverà a curarlo con la speranza di guarirlo.

Una piccola riflessione, questa, ma utile, per evitare certi stereotipi che possono condurci verso convinzioni che non sono affatto cattoliche, ma che invece possono aprire la strada ad un subdolo relativismo.

Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri










In ginocchio, lontano dalle chiese, per la causa sbagliata




I calciatori che si inginocchiano compiono un gesto tutt’altro che rivoluzionario, in realtà di acquiescenza ai diktat della mentalità dominante. L'atto dell'inginocchiarsi è significativo che torni alla ribalta in queste circostanze dopo essere stato espulso, al motto di "Gesù è mio amico", dalle chiese, l’unico luogo dove è necessario quale segno di un atteggiamento di umiltà dinanzi a Dio e di adorazione a Lui. E non sorprende che sia divenuto ora un gesto politico: dove si cessa di inginocchiarsi davanti a Dio, si finirà per farlo davanti agli uomini.






UN ATTO POLITICO
EDITORIALI
Guido Villa, 28-06-2021

Un po’ ovunque nelle ultime settimane sono divampate roventi polemiche a proposito del gesto dei calciatori di molte nazionali di calcio che prima dell’inizio delle partite dei Campionati Europei si sono inginocchiati per qualche secondo quale (presunto) gesto di protesta contro il razzismo. Un gesto tutt’altro che rivoluzionario, in realtà di acquiescenza ai diktat della mentalità dominante.

Anche a proposito di questo gesto l’Europa ha mostrato di essere spaccata in due, infatti non si inginocchiano i giocatori delle Nazionali dell’Europa dell’Est e slave (Ungheria, Croazia, Russia, Macedonia del Nord, Ucraina, Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia, Turchia) più la Svezia, la Spagna e, sorprendentemente, la Francia e l’Olanda, composta per la maggior parte da giocatori di origine africana la prima e del Suriname la seconda. Si inginocchiano sempre i giocatori di Inghilterra, Galles e Belgio, mentre hanno comportamenti diversi a seconda delle circostanze i giocatori delle altre nazionali.

Tra i giocatori della Nazionale italiana c’è chi si è inginocchiato e chi no, e dopo la decisione di non inginocchiarsi prima della partita degli ottavi di finale contro l’Austria, non pochi tifosi, generalmente di sinistra, hanno annunciato di non volere più supportare la nostra Nazionale.

È interessante notare come questo gesto torni alla ribalta in queste circostanze dopo essere stato espulso dalle chiese, forse l’unico luogo dove l’inginocchiarsi è necessario quale segno di un atteggiamento di umiltà dinanzi a Dio e di adorazione a Lui.

Al di là, infatti, del divieto di inginocchiarsi durante le Sante Messe imposto dai vescovi italiani durante l’attuale pandemia per presunti pericoli di contagio poiché tale gesto ridurrebbe il distanziamento tra i fedeli, esso ha subito un sempre più generale ridimensionamento a partire dalla riforma liturgica del 1969, che ha visto una riduzione dei momenti in cui il fedele si deve inginocchiare durante la Santa Messa, postura che in precedenza era predominante (dall’inizio della Messa fino al Gloria, dalla Preghiera Eucaristica fino al Padre Nostro, all’Agnus Dei, e al momento di ricevere la benedizione).

Già verso la fine degli anni sessanta, infatti, in Germania c’era lo slogan: «Christus ist mein Bruder, vor Ihm knie ich nicht» (trad.: Gesù è mio fratello, davanti a lui non mi inginocchio). Tale modo di pensare fece breccia in tutta la Chiesa cattolica, e un po’ ovunque furono eliminati i banchi dove in precedenza i fedeli si erano inginocchiati per ricevere la Comunione. Considerando in modo predominante Gesù un fratello, e non più Dio, il passaggio alla Comunione sulla mano è stato breve.

Il passo successivo è stato quello di eliminare del tutto da moltissime chiese (da alcuni anni anche nella basilica di Santa Maria Maggiore e nella cappella di Casa santa Marta, residenza di Papa Francesco) i banchi dove sedersi con gli inginocchiatoi per fare posto a semplici sedie, tipo Aula Magna di un'università.

Del resto, in generale, la volontà di rendere la Santa Messa e i sacramenti "vicini" e con un "linguaggio corrente e comprensibile" ha portato a eliminare segni di carattere spirituale per portarla a un livello umano.

Oggi in moltissimi confessionali si offre una sedia, non c'è più l'inginocchiatoio. Escludendo ovviamente chi ha problemi di salute, il cambiamento è lo stesso: lo stare in ginocchio aiuta a mettersi nella disposizione d'animo di umiltà necessaria per confessare i peccati, il sedersi è tipico di due persone che parlano, annacquando in questo modo il significato penitenziale di questo Sacramento.

Questo sviluppo è stato meno accelerato nei Paesi dell’Est europeo un tempo governati da sistemi politici comunisti, dove la fede, messa a dura prova dal regime, al di là del passaggio al nuovo Rito della Messa non è stata subito intaccata dalla mentalità postconciliare. Se si guardano infatti le immagini delle Sante Messe celebrate da san Giovanni Paolo II a Zagabria nel 1994 e nel 1997 a Sarajevo si nota infatti come quasi tutti i fedeli scelti per ricevere la Comunione direttamente dalle mani del Papa si siano genuflessi, per poi rialzarsi, prima di comunicarsi.

Papa Benedetto XVI ha cercato di porre un argine a questa deriva, comunicando i fedeli durante le Sante Messe pubbliche esclusivamente in ginocchio e sulla lingua, tuttavia è stato seguito da pochissimi, e anche durante il suo pontificato i fedeli che desideravano ricevere la Comunione in ginocchio e sulla lingua hanno continuato a essere oggetto anche da parte dei sacerdoti di pubblici rimproveri e di velenosi giudizi in quanto considerati fedeli pieni di presunzione che ‘volevano farsi vedere’.

Non sorprende che il gesto dello stare in ginocchio sia divenuto ora un gesto politico - dove si cessa di inginocchiarsi davanti a Dio, si finirà per farlo davanti agli uomini.

È necessario riscoprire questa postura in chiesa, durante la Santa Messa e più in generale quando si prega. Essa aiuta il fedele a comprendere la propria povertà e piccolezza dinanzi a Dio, che è il totalmente Altro, il Trascendente, e che per la Sua infinita Misericordia scende dal Trono del Cielo, si fa uno di noi, ci nutre di Lui e ci riempie del Suo Amore. Tuttavia, se non siamo coscienti di questa totale Alterità di Dio, e lo stare in ginocchio sta a ricordarcelo, con maggiore difficoltà potremo avere un atteggiamento spirituale pronto ad accogliere Dio e le Sue grazie.











domenica 27 giugno 2021

Lettera dall’Austria / Noi genitori cattolici, in preda all’ideologia Lgbtq, e senza veri Pastori




27GIU
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by Aldo Maria Valli

Cari amici di Duc in altum, in seguito alla pubblicazione dell’articolo del Giovane Prete sull’offensiva omosessualista, ho ricevuto una lettera, che qui vi propongo, da parte di due genitori cattolici italiani che vivono e lavorano in Austria, dove la situazione, anche della Chiesa, è ancora più disperata, e disperante, che qui da noi. E dove ancora di più si avverte la mancanza di autentici Pastori. Un lucido grido di dolore che attende risposte.






***

Carissimo Aldo Maria Valli, innanzitutto grazie infinite per il lavoro che svolgi a servizio della Verità. Mio marito ed io, insieme a un gruppetto di amici, leggiamo sempre volentieri gli articoli di Duc in altum.

Viviamo a Innsbruck, in Austria, siamo un gruppo di famiglie cattoliche italiane e leggendo la lettera del Giovane Prete (che hai postato qui), abbiamo pensato di raccontare tramite il tuo blog com’è la situazione da queste parti, dove la Chiesa istituzionale da tempo ormai appoggia l’ideologia Lgbtq.


Per fare alcuni esempi: abbiamo da anni le panchine arcobaleno davanti alle chiese e nei parchi giochi, con tanto di targhetta a sostegno della comunità Lgbtq; le strisce pedonali sono arcobaleno; fuori e dentro le chiese sventolano bandiere arcobaleno; sui banchi delle chiese (compreso il duomo) si possono trovare svariati foglietti che pubblicizzano eventi pastorali diocesani per promuovere l’ideologia gender. Tra le varie iniziative ci sono le benedizioni alle coppie non etero (elencare le varie opzioni risulterebbe troppo lungo), conferenze organizzate dalla famosa università di teologia per promuovere “la bellezza dell’essere stati creati ibridi” (han detto davvero così, citando la Genesi), nonché preghiere per i giovani intitolate “kreuz und queer – pride prayer". Il volantino di questa iniziativa con marchio diocesano si trova proprio nel duomo e recita: “L’arcobaleno non sta solo per l’alleanza tra Dio e gli uomini (Gen 9,13), ma è anche un simbolo importante per la comunità Lgbtq e in quanto tale può essere visto come un segno della varietà e della bellezza della creazione di Dio. Questi giorni di preghiera kreuz und qeer hanno l’obiettivo di mettere a confronto il credo e l’insegnamento della Chiesa con le diverse realtà di vita relazionali possibili. Durante questo evento, organizzato dagli studenti di teologia e pedagogia cattolica (cioè i futuri insegnanti di religione e assistenti pastorali, ndr) ci saranno momenti di preghiera Pride nella Spitalskirche.


Sul sito ufficiale della diocesi ci sono poi diverse altre iniziative, e poi ancora abbiamo le proposte dell’università: non vogliamo neppure tradurle, tanto sono ridicole e illogiche.

Come se non bastasse, a nostro figlio di dieci anni, che frequenta una scuola cattolica (delle Orsoline) è stata impartita più volte una lezione sul tema omosex-transgender, con tanto di pagine da studiare e commento aggressivo nei confronti di chi, come noi, la pensa diversamente.


Nostro figlio ne è rimasto sconvolto: è tornato a casa pieno di rabbia, ma inizialmente aveva paura a dirci il perché. Ne ha parlato con il fratello di quattordici anni e alla fine ci ha detto: “Che cosa mi interessa del sesso tra due uomini o due donne; mi sento a disagio nel sentir parlare di sesso in generale e non capisco nemmeno quello tra un uomo ed una donna! Che cosa vogliono da noi?”.

Ti puoi immaginare come stiamo noi genitori…

Ma non è finita. Ogni giorno qui se ne inventano una nuova. Due giorni fa i responsabili della biblioteca comunale (molto frequentata) hanno iniziato a pubblicizzare a grandi lettere e in pompa magna il fatto che loro sono “Lgbtq friendly”. Come? Con volantini in cui sono esposti libri per bambini che parlano di maschietti che diventano femmine, di due papà pinguini, di principesse che si chiamano Hannibal. Il tutto intitolato Storie di tolleranza e apertura. Libri per bambini sui diritti umani (con tanti cuoricini dai colori arcobaleno).

Ovunque ti giri trovi una propaganda aggressiva rivolta soprattutto ai bambini. Non ti nascondiamo che temiamo che tutto questo possa sfociare nella pedofilia. Anzi, siamo certi che finirà così.


Questa ideologia è come la “statua enorme, di straordinario splendore… con i piedi in parte di ferro e in parte di creta” di cui parla il libro di Daniele. È necessario invocare Dio perché “una pietra si stacchi dal monte e frantumi quei piedi”!

Ma il vescovo Herman Glettler vede questa “statua dalla testa di oro puro” come una benedizione! Abbiamo provato a parlare, a scrivergli: nulla, nessuna risposta. Noi siamo gente dal cuore duro, che “non coglie la novità dello spirito”. Mentre il succo di quanto vanno predicando i sacerdoti di qui è il seguente: “La Chiesa di Innsbruck è tollerante, misericordiosa e orientata al futuro: finalmente una Chiesa che capisce i giovani, li ascolta, li segue (non li dirige), li accetta così come sono. Finalmente, dopo due secoli, abbiamo capito il messaggio di Cristo”.


Come il salmista, ci sentiamo di dire: “Se mi avesse insultato un nemico, l’avrei sopportato; se fosse insorto contro di me un avversario, da lui mi sarei nascosto. Ma tu, mio compagno, mio intimo amico, legato a me da dolce confidenza!” (Sal 54, 12-13). Sono gli amici nella fede che oggi insultano il Corpo di Cristo, e lo fanno con tanta rabbia e presunzione.

Non sanno quel che fanno! Tutto ciò è distruttivo. Ci stanno conducendo alla disperazione, alla divisione, alla schiavitù, alla morte dell’anima e del corpo.

A loro non basta peccare. Chiedono con insistenza di essere autorizzati da Cristo a peccare. Per loro la salvezza non serve più: si ritengono già salvi così.

Ecco, quindi, la domanda al giovane prete: che cosa possiamo fare (oltre a pregare) noi genitori cristiani bombardati ed esausti, noi che, se protestiamo, rischiamo di perdere la tutela dei nostri figli?


Vorremmo che i Pastori uscissero allo scoperto, con le loro facce, nelle piazze, come fece sant’Antonio da Padova, e tornassero a combattere le eresie con la forza della Parola di Cristo, fiduciosi in Lui, senza paura. Con la Croce in una mano e la spada a doppio taglio nell’altra. Questa è la loro missione! Vorremmo che avessero il coraggio di tenere omelie concrete su ciò che oggi ci manda davvero all’inferno. Se finiranno in prigione, avranno san Paolo come compagno di cella. Abbiamo bisogno di Pastori santi! Abbiamo bisogno di udire la loro voce, come quella ormai unica di monsignor Viganò. Abbiamo anche bisogno di “toccare le loro vesti”.

Noi famiglie siamo disposte a ospitarli nelle nostre case, anche a nasconderli, se necessario. Abbiamo bisogno delle loro mani benedicenti posate sulle nostre teste!

Siamo un gruppo di cinque famiglie italiane sparpagliate per l’Austria. Preghiamo insieme, recitiamo il Rosario (unica arma efficace per combattere), offriamo sacrifici insieme ai nostri figli (anche il più piccolo, di cinque anni, ci ha detto: “Offro il mio male alla spalla per questo”), facciamo catechismo in casa. Lavoriamo in ambienti Lgbtq friendly, lottiamo per rimanere a galla, combattiamo contro l’ideologia vaccinista (anche in quanto medici).


Nella persecuzione il popolo di Dio ha bisogno più che mai di Pastori coraggiosi che guidino il gregge anche da vicino. Fino ad ora, nessun sacerdote (e ne conosciamo tantissimi) ci ha detto: “Vi aiuto, mettendoci la faccia, venendo a pregare con voi, parlando col vescovo insieme a voi”. Anche i sacerdoti più fedeli e colmi di buona volontà hanno paura e preferiscono delegare tutto a noi laici. Ma almeno ci aiutassero a pregare!

Le nostre non sono lamentele, come spesso vengono interpretate dai tanti sacerdoti ai quali abbiamo chiesto inutilmente aiuto. Le nostre sono forti preoccupazioni per le anime (compresi le nostre), che vengono strattonate (spesso divorate) da un numero crescente di ideologie di morte. Fra cinquant’anni sarà inutile piangere e battersi il petto per tutti i bambini mai nati e per quelli usati per fare farmaci, cosmetici e vaccini, per quelli che saranno nati ma non avranno una madre o un padre e non sapranno nemmeno dove cercarlo, per tutti quelli che non potranno nutrirsi dell’amore tra un uomo e una donna, di un papà e di una mamma, per tutte quelle persone ferite, che si erano illuse di poter seguire i loro capricci senza conseguenze, per gli anziani sempre più soli, perché in gioventù hanno detto no alla vita, per i giovani ingannati dalle ideologie Lgbtq, per coloro che avranno sofferto a causa di una Chiesa che non libera dal peccato, ma invita a rimanerci, e infine per tutti coloro che per placare la sete di infinito, non trovando più l’acqua zampillante di vita eterna, adoreranno idoli che non salvano. Inutile piangere davanti ai film strazianti sui genocidi e sulle follie del passato e del presente se quel pianto non va oltre. Saremo come le figlie di Gerusalemme che Gesù ammonisce: “Non piangete su di me, ma su voi stesse e sui vostri figli”.


È vero, le porte degli inferi non prevarranno, come molti sacerdoti ci ripetono con un sorriso e un’alzata di spalle. Ma quale sarà il prezzo che pagheremo per la mancanza di una guida e di una vera vigilanza?

Come distinguere in questa confusione la voce del Buon Pastore? Come riconoscere i mercenari? Come non piangere per i fratelli che nel gregge sono attirati dai lupi? Come resistere se siamo così soli?

Se tutto si riduce a un “tranquilli, le porte degli inferi non prevarranno”, perché pregare i Martiri e la stessa Croce di Cristo?

“Dio non ha avuto bisogno di noi per crearci, ma ha bisogno di noi per salvarci”. Come madre e padre, potremmo dire la stessa cosa. Davanti ai pericoli, non possiamo liquidare i nostri figli con un “tranquilli, tutto passerà”, senza insegnare loro come comportarsi in caso di incendio, terremoto, o altro disastro. Certo, tutto passerà, e magari la casa resterà in piedi, ma noi abbiamo il dovere di dire loro come difendersi, dove rifugiarsi, come rimanere in vita. E qui la vita in gioco è quella eterna.

Cristo è morto per la salvezza delle anime e chiede a coloro che ha scelto di aiutarlo in questa missione salvifica che non finirà fino alla fine dei tempi.

Il fatto che le porte degli inferi non prevarranno non giustifica una inerme attesa. Anzi, proprio questa speranza deve spingere all’azione (in preghiere e opere). È questa luce che ci spinge a gridare a tutti: credete nel Signore Gesù, Figlio di Dio! Rimanete in Lui! Solo in Lui le porte degli inferi non prevarranno nei nostri cuori!

Può sembrare una battaglia impari, e umanamente lo è. Non dimentichiamo però la storia di Golia e Davide: “Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con l’asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti” (1 Sam 17, 45). Non dimentichiamo la logica di Dio! Non dimentichiamoci mai dell’incoraggiamento della Sacra Scrittura: “Lotta sino alla morte per la verità, il Signore Dio combatterà per te” (Sir 4, 28).

Sacerdoti coraggiosi, sappiamo che ci siete. Noi vogliamo adottarvi con la preghiera e le opere! Non dovete temere nulla. Il Signore stesso ha detto che lo Spirito rivelerà loro cosa dire ed è dalla Croce che attirerà tutti a sé.

Un fortissimo abbraccio e tante preghiere per te e la tua famiglia dalle catacombe austriache (ancora senza Pastore)

Elena ed Enrico (con quattro figli che Dio ha voluto donarci)

Innsbruck


* * * * *





Ora è necessaria una contro-riforma liturgica




Vi proponiamo un interessante contributo di Angelo Pellicioli, coordinatore del Comitato permanente per il Rinnovamento liturgico nella Fede, sulla tanto discussa nuova «riforma» – o contro-riforma – della Santa Messa.

L.V. [MiL]



27-06-2021
Ora è necessaria una contro-riforma liturgica


In questi giorni il tema di una riforma dell’attuale status della sacra liturgia – così come scaturito da «libere interpretazioni» dei dettami del Concilio Ecumenico Vaticano II – si presenta più che mai necessario ed indifferibile.

I recenti spunti «innovativi», provenienti, direttamente o indirettamente, dal Magistero ecclesiale, quali: la modifica del cerimoniale liturgico delle investiture dei Cavalieri del Santo Sepolcro (cerimoniale avente storia millenaria), l’introduzione delle figure femminili nel servizio di accolitato nella Santa Messa nonché la propensione, da parte di taluni Sinodi vescovili, volta ad autorizzare cerimonie liturgiche, o benedizioni di sorta, in presenza di coppie omosessuali ecc., inducono a credere che si sia veramente toccato il fondo.

Per fortuna c’è ancora qualche voce, sempre meno solitaria, che grida nel deserto e si batte affinché la Chiesa fornisca, finalmente, un tangibile segnale di cambio di passo in campo liturgico, al fine di restituire la giusta sacralità e spiritualità che spetta alla liturgia, la quale rimane oggi ostaggio di quella riforma conciliare che, dopo ben cinquant’anni, ha mostrato tutte le sue falle ed i suoi limiti.

Il card. Robert Sarah, Prefetto emerito della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, a proposito della vigente liturgia, ha avuto modo di scrivere che «in questo momento critico della vita della Chiesa dobbiamo riflettere attentamente su tutto ciò con cui dobbiamo confrontarci ed è necessario discernere ciò che è vero, buono e bello, da ciò che è cattivo». Parole giuste e sacrosante che, in ogni caso, dovrebbero essere tradotte in azioni concrete da parte di coloro che sono preposti alla tutela della fede e del culto divino.

Essendo in effetti venuto meno, con la decentralizzazione, un uniforme indirizzo su importanti tematiche religiose, ivi compresa la liturgia, la responsabilità cade quindi principalmente sui vescovi delle singole nazioni, raccolti oggi in sinodi sparsi per il mondo che, istituiti come tematici e temporanei, sono ormai divenuti generali e permanenti.

Mons. Athanasius Schneider O.R.C., Vescovo ausiliare di Maria Santissima in Astana, nel suo libro Christus vincit - Il trionfo di Cristo, a proposito di sacra liturgia e più specificamente con riferimento alla santa Messa, scrive: «Credo che nel futuro il nuovo rito della Messa dovrà essere riformato in modo da assomigliare, più da vicino, alla forma costante o più antica del rito romano della Messa, attualmente detta “straordinaria”. In questo modo, rifletterà più fedelmente il senso perenne dello spirito liturgico della Chiesa, che era la vera intenzione dei Padri del Concilio Vaticano II».

Invocare una controriforma della riforma liturgica oggi in vigore (la quale racchiude in sé problemi e difetti che non possono più passare inosservati) vuol dire verificare, nei minimi dettagli, come dovrebbero essere celebrati i sacri riti, chi possa rivestire i ruoli propri dei ministranti ed ancora chi vi possa accedere e chi no. Ed ancora: declarare specificamente quali sono le forme inderogabili, necessarie per accostarsi al sacramento della Santissima Eucaristia.

Occorre tener presente che tutte le celebrazioni liturgiche tendono al soprannaturale, perdendo il senso del quale si giunge, inevitabilmente, ad un volgersi dell’uomo verso se stesso; insomma ad un concentrarsi solo su di sé. Tutto ciò risulta essere il fulcro del naturalismo.

La sacra liturgia – così come oggi viene celebrata – si rivolge essenzialmente all’uomo e porta inevitabilmente la Chiesa verso l’antropocentrismo. È quindi necessario che un’auspicata quanto solerte controriforma liturgica riporti oggi l’uomo a rivolgersi, di nuovo, verso il Signore. Così come viene testualmente riportato nel versetto del Salmo (84, 7) che si recitava all’inizio della Messa vetus ordo: «Deus, tu convérsus vivificábis nos» (o Dio rivolgiti verso di noi e Tu ci vivificherai) «Et plebs tua lætábitur in te» (ed il Tuo popolo si rallegrerà in Te).

A questo punto sorge spontanea la domanda: può una nuova riforma liturgica essere davvero efficace senza tener conto di quanto contemplato nel rito della Santa Messa tridentina, detta anche di san Pio V? Stentiamo a crederlo.

Guarda caso, però, proprio in questi giorni si dibatte sul tema di una eventuale restrizione del motu proprio «Summorum Pontificum» di S.S. Benedetto XVI.

Si vorrebbe, in buona sostanza, passare dall’attuale disposizione «certificativa» dello svolgimento del rito liturgico della Santa Messa, cosiddetta «in latino», ad una disposizione «autorizzativa» del medesimo. Se questa impostazione passasse, non basterebbe più l’esistenza di un congruo numero di fedeli richiedenti al Vescovo diocesano (ordinario) la dovuta approvazione dello svolgimento nella forma oggi definita «straordinaria» (che il medesimo oggi deve concedere), bensì qualsiasi rito vetus ordo dovrebbe – nelle intenzioni dei riformatori – essere autorizzato, a priori, dall’Ordinario, a suo insindacabile giudizio.

Risulta ovvio una simile proposta finirebbe per impedire – di fatto – quell’agognata controriforma liturgica, tendente veramente al sacro, oggi più che mai necessaria ed indifferibile.

Angelo Pellicioli











sabato 26 giugno 2021

“Francesco, un papa da aperitivo”. Una grande inchiesta sull’incerta fede degli italiani






di Sandro Magister
22 giu 21

*

È passato un quarto di secolo e si sono avvicendati tre papi dall’ultima grande indagine sulla religiosità in Italia, del 1995. E ora che di una nuova indagine sono stati forniti tutti i dati, si sa che la fede cattolica s’è affievolita di molto, a dispetto del vasto consenso che avvolge l’attuale papa e primate d’Italia, Francesco.

Gente di poca fede” è il titolo del primo libro che ha dato conto della nuova inchiesta, di Franco Garelli dell’Università di Torino, per i tipi dell’editrice il Mulino.

L’incerta fede” è il titolo del secondo, di Roberto Cipriani dell’Università di Roma Tre, con prefazione di Enzo Pace, edito da Franco Angeli.

Il primo libro poggia sui numeri di un imponente sondaggio, il secondo su libere interviste – libere, cioè non pilotate – a un campione rappresentativo dell’intera popolazione. Ed è questo secondo libro che coglie meglio il “sentimento” religioso degli italiani, più mosso e variegato di quello dato dalle risposte obbligate e secche a un questionario.

Il capitolo su Jorge Mario Bergoglio è esemplare. A cominciare dal titolo: “Francesco, un papa da aperitivo”, che riprende testualmente le parole di una intervistata: “Papa Francesco, secondo me, è da aperitivo, il classico amico con cui prenderesti un caffè al bar, l’amico di tutti…”.

Le interviste sono state raccolte nel 2017, quattro anni dopo l’elezione di Bergoglio a papa, e registrano un consenso piuttosto ampio per lui. Con molti segnali, però, che mostrano di che tipo è questo consenso, acutamente analizzati dal professor Cipriani.

Per cominciare, mentre le risposte secche al questionario davano un 82 per cento di giudizi positivi sul papa, un 5,4 per cento di giudizi negativi e un 12 per cento di incerti, nelle interviste i positivi calano al 70 per cento, i negativi salgono all’8 e gli incerti al 22.

Ma è soprattutto quando Cipriani adotta i criteri della “sentiment analysis” che le proporzioni variano, e di molto. “Nei riguardi di Francesco – scrive – i sentimenti di tipo positivo sono il 33,2 per cento, i negativi il 20,3 e i neutri il 46,4”.

E queste sono alcune indicazioni che lo studioso ricava dalle interviste:

- “i giudizi su papa Francesco riguardano aspetti quasi sempre esterni rispetto al mondo ecclesiale e non toccano le reali dinamiche interne alla Chiesa”;

- “le azioni di Francesco sono valutate più in chiave di interventismo socio-politico che non di natura spirituale”;

- “la comunicazione intraecclesiale ed extraecclesiale mostra problematicità evidenti: per un verso, dei documenti ufficiali del papa, comprese le encicliche, non si ricordano neppure i titoli, ancor meno i contenuti; per un altro verso alcuni fatti anche primari vengono riferiti con molta approssimazione e perfino con fraintendimenti e capovolgimenti macroscopici”;

- “coglie invece nel segno la serie di affermazioni e di gesti papali concernenti i migranti, i poveri, i sofferenti”;

- “una conferenza stampa del papa a bordo di un aereo riesce a ottenere un riverbero quasi universale, per cui una semplice frase può divenire di largo dominio pubblico”;

- “quel che è certo è il forte influsso dei mezzi di comunicazione di massa nel formulare i giudizi su Francesco”;

- “rimane comunque una buona dose di incertezza nel giudicare l’operato del papa, tacciato ora di conservatorismo mascherato, ora di riformismo eccessivo, con punti di vista contrastanti anche all’interno di una stessa intervista”.

Tutto questo nel 2017, l’anno in cui la popolarità di Francesco ha toccato il culmine e ha iniziato – a giudizio anche di Cipriani – la parabola discendente. In un parallelo sondaggio di Demos del 2017 il 77 per cento degli italiani considerava Francesco “affidabile”. Due anni dopo, nel 2019, la fiducia nel papa è scesa al 66 per cento.

Ma il cuore dell’inchiesta è soprattutto il raffronto tra questi giudizi su papa Francesco e l’affievolimento generale della fede cattolica in Italia.

Che anche in Italia, come in tanti altri paesi, la fede cattolica sia sempre più “dubbiosa” e meno “certa” è ormai un dato inconfutabile, che l’inchiesta ben documenta. E tutti gli indicatori danno questo declino in continuazione anche nei prossimi anni.

Ma appunto, nelle interviste i giudizi su Francesco neppure sfiorano questa crisi generale di fede. Parlano di lui come ignorandola. E anche nel questionario, alla domanda precisa se il papa sia capace di riavvicinare alla fede religiosa, la metà ha risposto di no.

Un indicatore impressionante dell’indebolimento della fede cattolica in Italia è nei giudizi sulla vita oltre la morte. Rispetto all’indagine del 1995, coloro che credono in un’altra vita sono diminuiti di molto: erano il 41 per cento e ora sono il 28,6, mentre sono raddoppiati quelli che negano ogni vita futura, dal 10,4 al 19,5 per cento.

Ebbene, a fronte di questo crollo di fede nella risurrezione, colpisce che nessuno degli intervistati, arrivando a parlare di papa Francesco, parli di lui come di un annunciatore della vita eterna.










venerdì 25 giugno 2021

Intervista a mons. Nicola Bux: «Messa in latino, contributo all’unità dei cristiani»





Tra continue ed autorevoli conferme e timide (e poco convincenti) smentite, il motu proprio «Summorum Pontificum» continua ad essere terreno di scontro tra le mura leonine che non accenna a placarsi.
Eppure la sua applicazione in questi tredici anni e mezzo sta portando frutti molto positivi e non sempre sufficientemente noti: ne parla mons. Nicola Bux in una intervista a Simone Ortolani pubblicata, in estratto, questa mattina anche sul quotidiano La Nuova Bussola Quotidiana e che noi - con il consenso dell’autore, che ringraziamo - vi proponiamo integralmente.


L.V.




Summorum Pontificum ed ecumenismo con gli Ortodossi, mons. Nicola Bux: «La diffusione della forma straordinaria inarrestabile come il mare, segno di rinascita del Sacro nei cuori»



La valenza ecumenica del motu proprio fu sottolineata dal Patriarca ortodosso di Mosca Alessio II.


Mons. Bux, cosa pensa dei rumors – non smentiti dalla Santa Sede – sulla volontà di Papa Francesco di introdurre restrizioni alla libertà di celebrare la Messa tridentina?



In un saggio del 1959, Joseph Ratzinger osservava: «L’immagine della Chiesa moderna è caratterizzata essenzialmente dal fatto di essere diventata e di diventare sempre di più una Chiesa di pagani in modo completamente nuovo: non più, come una volta, Chiesa di pagani che sono diventati cristiani, ma piuttosto Chiesa di pagani, che chiamano ancora sé stessi cristiani ma che in realtà sono diventati da tempo dei pagani. Il paganesimo risiede oggi nella Chiesa stessa e proprio questa è la caratteristica della Chiesa dei nostri giorni come anche del nuovo paganesimo: si tratta di un paganesimo nella Chiesa e di una Chiesa nel cui cuore abita il paganesimo».
Forse anche per questo, da Papa, indisse l’Anno della fede. Dunque, la crisi di fede in cui si trova la Chiesa è il contesto dell’avversione al rito romano antico. Immagini che succederebbe se un Patriarca ortodosso ricusasse il rito bizantino. Il paradosso è che questo accade mentre il Papa postula un regime “sinodale”, come si usa dire, nel quale l’intera Chiesa dovrebbe avventurarsi, cominciando dalle “periferie”. Egli spesso si appella addirittura al sensus fidelium che è infallibile in credendo, come afferma il documento della Commissione Teologica Internazionale, Il sensus fidei nella vita della Chiesa, pubblicato durante il suo pontificato (10 giugno 2014). Conviene attingere ad esso, per capire meglio che cosa è in gioco. Da una parte, il sensus fidei fa riferimento alla personale attitudine che il credente possiede, all’interno della comunione ecclesiale, di discernere la verità della fede. Dall’altra, il sensus fidei fa riferimento all’istinto di fede della Chiesa stessa, per mezzo del quale essa riconosce il suo Signore e proclama la sua Parola. Questa convergenza (consensus fidelium) riveste un ruolo vitale nella Chiesa: è un criterio sicuro per determinare se una particolare dottrina o una prassi particolare appartengono alla fede apostolica. La sacra liturgia è materia di dottrina da cui dipende la fede, pertanto nemmeno il papa può modificarla, ma solo custodirla. Su ciò Benedetto XVI è stato chiaro.


Papa Francesco si scaglia spesso contro i «cristiani rigidi»: la rigidità soffocherebbe la libertà dello Spirito, un certo legalismo nei confronti della Legge scritta ci renderebbe incapaci di ascoltare le mozioni del Paraclito. Paradossalmente, l’atteggiamento recente di una parte del Vaticano nei confronti dei cattolici tradizionalisti non tradisce una certa eccessiva rigidità contro di loro?



Cosa si deve intendere per rigidità: fermezza di adesione alla dottrina della fede e della morale? Sappiamo che a lui non piace l’identità in genere e quella cattolica in specie. Ha scritto che preferisce il pensiero incompleto, ovvero fluido, quindi debole. Così va a farsi benedire la virtù della fortezza, quindi la fermezza; e il sensus fidei è il nocciolo duro, fortemente sottolineato dal Concilio Vaticano II. Lo si può abbandonare proprio nel mezzo della tremenda confusione dottrinale e pastorale? La fede, dei laici in particolare, ha ricoperto un ruolo cruciale nel IV secolo, con la celebre controversia con gli ariani, che furono condannati al Concilio di Nicea (325), ove fu definita la divinità di Gesù Cristo. Invece, fra i vescovi continuò a esservi incertezza fino a quello di Costantinopoli (381). Ricorda Newman che in questo periodo, «la tradizione divina affidata alla Chiesa infallibile fu proclamata e conservata molto più dai fedeli che dall’episcopato». Quando più tardi scrisse On Consulting the Faithful in Matters of Doctrine (1859), mostrò che i fedeli (in quanto distinti dai loro pastori) hanno un ruolo proprio e attivo da svolgere nella custodia e nella trasmissione della fede. La Tradizione, egli afferma, «si manifesta in modo diverso nelle diverse epoche: talvolta per voce degli episcopati, talvolta dei dottori, talvolta del popolo, talvolta di liturgie, riti, cerimonie e costumi, di avvenimenti, controversie, movimenti e di tutti gli altri fenomeni che sono compresi sotto il nome di storia». E siamo arrivati all’oggetto del nostro discorso: la Santa Messa nella forma straordinaria: se la Chiesa è un soggetto unico, perché introdurre discontinuità e rottura tra la liturgia precedente e quella seguente il Concilio Vaticano II?


Quando Papa Benedetto XVI promulgò il documento, il Patriarca di Mosca Alessio II si congratulò con il Pontefice. In un’intervista rilasciata all’allora vaticanista del Giornale Andrea Tornielli il 29 agosto 2007, il capo supremo dell’ortodossia russa affermò che «il recupero e la valorizzazione dell’antica tradizione liturgica è un fatto che noi salutiamo positivamente. Noi teniamo moltissimo alla tradizione. Senza la custodia fedele della tradizione liturgica, la Chiesa ortodossa russa non sarebbe stata in grado di resistere all’epoca delle persecuzioni, negli anni Venti e Trenta del Novecento».



Si deve premettere: se la Chiesa intera, per l’opera dello Spirito Santo, è il soggetto o «l’organo» della Tradizione, i laici hanno un ruolo attivo nella trasmissione della fede apostolica. Il documento in oggetto aggiunge: «Il sensus fidei fidelis è una sorta di istinto spirituale che permette al credente di giudicare in maniera spontanea se uno specifico insegnamento o una prassi particolare sono o meno conformi al Vangelo e alla fede apostolica. È intrinsecamente legato alla virtù della fede stessa; deriva dalla fede e ne costituisce una proprietà. Lo si paragona a un istinto perché non è in primo luogo il risultato di una deliberazione razionale, ma prende piuttosto la forma di una conoscenza spontanea e naturale, una sorta di percezione (aisthêsis)». Ancora: «Si possono segnalare tre manifestazioni principali del sensus fidei fidelis nella vita personale del credente. Il sensus fidei fidelis permette a ogni credente: 1) di discernere se un insegnamento particolare o una prassi specifica che incontra nella Chiesa sono coerenti o meno con la vera fede per la quale egli vive nella comunione ecclesiale (cf. nn. 61-63); 2) di distinguere nella predicazione l’essenziale dal secondario (n. 64); e 3) di determinare e mettere in pratica la testimonianza da rendere a Gesù Cristo nel contesto storico e culturale particolare nel quale egli vive». Le Chiese ortodosse conservano questo senso della Tradizione, che la Chiesa cattolica arricchisce col Magistero. Infatti, il Patriarca russo riteneva l’atto di Papa Benedetto XVI un contributo all’unità dei Cristiani, che riceve linfa proprio dalla tradizione custodita: l’effetto è la resistenza alle persecuzioni, grazie alla fermezza della fede, che si alimenta proprio alla liturgia. Le storia delle Chiese orientali, impedite dal Comunismo ad esercitare la missione, hanno resistito grazie alla liturgia tradizionale assiduamente celebrata. Una liturgia di ferro e non di caucciù – come scrisse Civiltà Cattolica nel 2000 – è quella che può resistere e trasmettere la fede. Lo abbiamo visto anche durante il contagio da Covid19. Ben venga dunque la “rigidità”, ovvero la fortezza per l’attuale resistenza dentro e fuori la Chiesa.




L’antico rito romano e le liturgie di tradizione bizantina hanno caratteri comuni?



Avendo studiato, insegnato e celebrato il rito bizantino, posso dire che gli studenti ortodossi si ritrovavano più nel rito romano antico che in quello nuovo post-conciliare, proprio perché hanno non pochi caratteri comuni: per esempio la preparazione del sacerdote e l’offertorio, in una parola il senso del sacro. Il punto è che pochi conoscono la liturgia bizantina: per esempio, non hanno mai visto la preparazione e la vestizione del sacerdote, o anche il suggestivo rito dell’offertorio. Chi invece conosce queste due fasi nel rito romano antico, e poi accede al bizantino, subito s’accorge delle somiglianze e capisce le ragioni del compiacimento del patriarca.


L’eventuale abolizione del motu proprio Summorum Pontificum avrà ripercussioni sul dialogo ecumenico con le Chiese orientali separate della comunione con Roma?


Da uno sguardo all’ecumenismo attuale, non sembra che si muova qualcosa, al di là degli abbracci e dei sorrisi. Quello che Lei ricorda è vero, ma proprio la Chiesa russa mostra “rigidità” dottrinale e morale, almeno in alcuni aspetti. Papa Francesco, in un briefing giornalistico ad alta quota, ebbe a lodare la tradizione liturgica degli Orientali; poco tempo dopo, indicò tra le tentazioni «il ripiegamento che va a cercare nelle forme del passato le sicurezze perdute; e la pretesa di quanti vorrebbero difendere l’unità negando le diversità, umiliando così i doni con cui Dio continua a rendere giovane e bella la sua Chiesa» (Discorso alla 66 Assemblea generale della CEI, 19 maggio 2014). Non so a chi si riferisse, visto che il target di coloro che frequentano la Messa nella forma straordinaria è composto prevalentemente da giovani, e che l’unità e la diversità sono costituite da tradizione e innovazione: dunque si contraddisse. Il nucleo dello spirito della liturgia è la fede cattolica trasmessa dagli Apostoli, che è teocentrico; pensa che la tradizione non vada custodita perché sarebbe cenere: in verità codesta è la deludente liturgia antropocentrica, cenere sotto cui cova la brace di quella autentica che riprende vigore, perché ha un ruolo fondamentale nella conversione di tanti giovani e adulti, che emergono dalle ceneri del secolarismo occidentale, dagli Stati Uniti all’Europa. La stessa cosa sta avvenendo nei paesi ex comunisti e persino in Cina. I convertiti sono attratti dall’antica liturgia; e che dire delle numerose vocazioni sacerdotali e religiose che ne scaturiscono?





L’arcivescovo Marcel Lefebvre, fondatore della Fraternità Sacerdotale San Pio X, nutriva una profonda diffidenza nei confronti di non pochi uomini del Vaticano, che riteneva totalmente condizionati dall’ideologia progressista che aveva plasmato la loro formazione oltreché moralmente incapaci di mantenere gli impegni presi. Egli era profondamento persuaso che un eventuale riconoscimento canonico della sua Congregazione avrebbe creato il presupposto della sua successiva distruzione da parte della Santa Sede.
Recentemente alcuni istituti legati al Rito antico sono stati soppressi, come nel caso di Familia Christi, o commissariati, come in quello dei Frati Francescani dell’Immacolata; la stessa Pontificia Commissione Ecclesia Dei – istituita da San Giovanni Paolo II come dicastero autonomo, fondato per proteggere le aspirazioni dei fedeli tradizionalisti e dialogare con la Fraternità San Pio X – è stata a sua volta abolita da Papa Francesco e le sue funzioni attribuite ad una sezione della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Nel caso della abolizione del motu proprio Summorum Pontificum, il Vaticano non rischierebbe di squalificare la sua immagine pubblica dando un’impressione di inaffidabilità, di poca stabilità, di contraddittorietà, di incapacità di legiferare in modo serio e coerente?



Bisogna ammettere che, anche in regime di motu proprio Summorum Pontificum dal 2007 ad oggi, non è stato facile per i fedeli dei gruppi stabili, ottenere la Messa in forma straordinaria, nonostante i ricorsi alla Commissione Ecclesia Dei. A mio avviso, a causa della perdita di autorità dei Dicasteri rispetto ai Vescovi, oltre che dell’elefantiasi delle prerogative delle Conferenze episcopali, nonostante i limiti ricordati da San Giovanni Paolo II nel motu proprio Apostolos Suos, rispetto ai primi e alle seconde. La revisione o accorpamento della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, mi pare fosse in progetto già di Papa Benedetto XVI. Qui però conviene capire il comportamento da adottare nel caso di restrizioni del motu proprio Summorum Pontificum. Il documento della Commissione Teologica Internazionale recita: «Avvertiti dal proprio sensus fidei, i singoli credenti possono giungere a rifiutare l’assenso a un insegnamento dei propri legittimi pastori se non riconoscono in tale insegnamento la voce di Cristo, il buon Pastore». «Le pecore lo seguono [il buon Pastore] perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei» (Gv 10,4-5). Per san Tommaso un credente, anche privo di competenza teologica, può e anzi deve resistere in virtù del sensus fidei al suo Vescovo se questo predica cose eterodosse. Ma che succede se questa autorità superiore, cioè il vescovo – quella suprema è il Papa – promuove tutto ciò? «I fedeli in generale, i pastori e i teologi hanno ciascuno il proprio ruolo da giocare; occorre che diano prova di pazienza e di rispetto nei rapporti reciproci se vogliono giungere a un chiarimento del sensus fidei e realizzare un vero consensus fidelium, una conspiratio pastorum et fidelium». Di fronte a una predicazione o ad una celebrazione materialmente «autorizzata» ma che lo turba, senza che ne possa spiegare esattamente la ragione, il fedele prende le distanze, sospende il proprio assenso e si appella interiormente all’autorità superiore della Tradizione della Chiesa. Come avviene tra coniugi, ci si separa, pur restando in piedi il vincolo, e si attende il kairòs.


Il motu proprio del 2007 era intervenuto dopo che fu constatato che il precedente indulto del 1984 – che consentiva la celebrazione del Sacrificio eucaristico secondo le rubriche del Messale romano del 1962 con l’autorizzazione del Vescovo locale – era stato applicato in modo insufficiente nelle diocesi, nonostante lo stesso San Giovanni Paolo II avesse invitato i presuli ad una larga generosità, in documenti e discorsi ufficiali, troppo spesso inascoltati.
Il documento di Papa Benedetto XVI ha prodotto una certa riconciliazione liturgica, consentendo di coesistere pacificamente ecclesiastici e laici che pregano secondo la tradizione liturgica più remota ed ecclesiastici e fedeli che seguono i riti riformati dopo il Concilio Vaticano II.
Perché interrompere questa pace liturgica?



Si ricordi che «la fede di cui il magistero è al servizio è la fede della Chiesa vivente in tutti i fedeli. È dunque sempre nella vita di comunione della Chiesa che il magistero esercita il suo fondamentale ministero di vigilanza». Il legame tra il sensus fidelium e il magistero si trova in maniera particolare nella liturgia. L’espressione spesso ripetuta da Papa Francesco sentire cum Ecclesia: sentire, provare e percepire in armonia con la Chiesa, ha bisogno di un’aggiunta: di tutti i tempi. Papa Benedetto XVI disse in Francia, che aveva inteso favorire la comunione e la pace nella liturgia, col motu proprio Summorum Pontificum. Se oggi si proibisce quanto fino a ieri era considerato sacro, chi assicura, che ciò che oggi insegna la Chiesa rimanga vero anche domani? Nella sacra liturgia è in gioco la fede, e «in materia di fede i battezzati non possono essere passivi […] così che il magistero deve prestare attenzione al sensus fidelium, che è la viva voce del popolo di Dio. I battezzati non solo hanno il diritto di essere ascoltati, ma le loro reazioni a ciò che viene proposto come appartenente alla fede degli apostoli devono essere considerate con la più grande attenzione, poiché è per mezzo della Chiesa intera che la fede apostolica è sostenuta nella potenza dello Spirito».


Padre Gabriele Amorth aveva sottolineato l’importanza dell’uso del rito degli esorcismi previsto dal Rituale romanum promulgato dopo il Concilio di Trento nel 1614.
Intervenendo a Radio Maria, il celebre esorcista aveva anche elogiato la possibilità di amministrare il battesimo con il vecchio rito, esprimendo apprezzamento per questa possibilità offerta da Papa Benedetto XVI. Perché?


Mi sembra che quelle riflessioni fossero legate specialmente all’uso della lingua latina nell’esorcismo e nel battesimo. I Padri conciliari non immaginavano che la lingua sacra della Chiesa occidentale sarebbe stata rimpiazzata dal vernacolo. L’istruzione della Santa Sede Liturgiam authenticam del 2001 ricorda che è necessario preservare il carattere sacro della lingua liturgica nella traduzione vernacola. Ma che dire, infine, a chi obbietta che la lingua latina non permette la comunicazione e la partecipazione alla liturgia? Che il latino, quale lingua ‘sacra’ ha una potenza comunicativa, in quanto è adoperata all’interno di un atto sacro; inoltre, le caratteristiche di eredità della tradizione, universalità e immutabilità – che sono parallele a quelle del nucleo della fede – la rendono particolarmente adatta alla liturgia, che tratta delle res sacrae aeternae: così, il latino risponde alla missione della Chiesa di Roma. Di qui l’efficacia degli antichi Rituali degli esorcismi e del battesimo. Potremmo parlare di un “potenziale sacro”, che con l’uso si è accumulato nel tempo, simile a quello insito nelle reliquie dei santi: chi le tocca, dice san Basilio, riceve la sostanza di santificazione che in esse si trova. Per capire questo bisogna avere la fede e sapere cos’è il sacro. Come è noto, le lingue volgari si evolvono, e questo non è senza conseguenze sul significato dei termini, che col mutare della lingua scivola verso altri. Bisogna interrogarsi seriamente, circa la disobbedienza verso il Concilio ecumenico Vaticano II, per aver abolito, di fatto e del tutto, il latino nella liturgia e nei sacramenti, fraintendendo il senso della “participatio actuosa” e riducendo al livello locale la portata cosmica della liturgia. Inoltre, rispetto a cinquant’anni fa, la situazione è molto più grave: “è in questione la fede” e “l’unità del rito romano” che la esprime (cfr SC 37-38).



Il motu proprio Summorum Pontificum viene universalmente considerato come uno dei principali atti di governo di Papa Benedetto XVI.
Abolire questo suo documento giuridico – che egli ha voluto promulgare con la volontà di servire l’unità della Chiesa – non rappresenterebbe una violenza morale contro un anziano così illustre e – almeno a parole – così stimato anche da tanti presuli e porporati?


Il motu proprio Summorum Pontificum sottintende il fatto che i soggetti del sensus fidei sono i membri della Chiesa che celebrano un «culto razionale» e che accettano il ruolo della ragione illuminata dalla fede nelle loro convinzioni e nelle loro pratiche. Nella Chiesa odierna, invece, c’è chi intende il culto divino un intrattenimento umano, a sfondo sociologico. Siamo davanti a un culto irrazionale. Ecco il dissenso sulla liturgia. Poi, prescindendo dalle inchieste che dimostrano il continuo inesorabile sviluppo della forma straordinaria del rito romano, non si deve dimenticare che nella storia della Chiesa spesso non è stata la maggioranza, ma piuttosto una minoranza a vivere autenticamente la fede a renderle testimonianza; si pensi ai movimenti francescano e domenicano, agli stessi gesuiti, cominciati come piccoli gruppi guardati con sospetto da taluni vescovi e teologi. Ricorda ancora il documento sul sensus fidei, «che l’esperienza della Chiesa dimostra come alle volte la verità della fede sia stata conservata non dagli sforzi dei teologi né dall’insegnamento della maggioranza dei vescovi, ma nel cuore dei credenti». Perciò tutti i fedeli «in modo proporzionato alla scienza e al prestigio di cui godono» hanno dunque «il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli». Occorre di conseguenza che i fedeli, e particolarmente i laici, siano trattati con rispetto e considerazione dai pastori della Chiesa, e che siano adeguatamente consultati in vista del bene della Chiesa. Dunque, giustamente, il Concilio Vaticano II ha posto in una nuova luce l’idea della Tradizione, secondo la quale tutti i battezzati sono provvisti di un sensus fidei e tale sensus fidei è una risorsa fra le più importanti per la nuova evangelizzazione. Il pericolo odierno è che la Messa, la spiritualità, diventino antropocentriche e finiscano per farci celebrare noi stessi, come è avvenuto tra i protestanti. La diffusione della forma straordinaria, come ogni vera riforma, è inarrestabile come il mare, è il segno della rinascita del sacro nei cuori. In questo Papa Benedetto XVI è stato preveggente. La “riforma della riforma” è la ripresa di quella brace che covava sotto le ceneri di una liturgia antropocentrica. E questo fa bene al Novus Ordo, lo arricchisce affinché torni ad essere teocentrico. È lo spirito della liturgia: stare davanti a Lui, centro del cosmo e della storia, come afferma San Giovanni Paolo II nella enciclica Redemptor hominis: questo si dovrebbe estendere alla Chiesa universale. Restituendo il sacro alla liturgia, si mette al centro la presenza di Cristo Signore, la sua regalità.














Dilaga la nuova ideologia ufficiale. Imposta dalla UE.







Maurizio Blondet 24 Giugno 2021

Prima relegata ad ambienti universitari marginali, arriva dall’America – e quindi da noi – la nuova virulenta infezione ideologica: la “teoria critica delle razze”. Sostiene che bisogna rigettare l’idea stessa che esistano razze in natura: sono un “costrutto” portato dalla cultura, e precisamente dalla cultura dell’oppressione instaurata dai bianchi contro i negri.

E’ l’estensione della teoria del “gender”. Avere un sesso, essere nati maschi e femmine, è qualcosa che ti inchioda ad un destino, che non ti sei scelto tu; limita la tua libertà in modo decisivo, ti porta ad ammettere che non ti sei fatto tu, che Qualcun altro ha deciso per te. Perciò la parola “sesso”, biologica, è stata vietata e sostituita dal “genere”: termine grammaticale. Articoli e nomi hanno infatti un “genere”, maschile, femminile e neutro. Così, per diffondere e imporre questa teoria, i transessuali non sono più malati che hanno bisogno di aiuto (ti denunciano se lo dici, e un giudice ti condanna) ma avanguardie ideologiche della nuova libertà di darsi il ”gender” che si preferisce; hanno il compito esaltante di insegnare ai bambini nelle scuole cattoliche, che anche loro possono essere trans: l’ultima liberazione.

La teoria critica delle razze sta attualmente devastando l’America come una tempesta ideologica:

L’idea centrale infatti essendo che “il razzismo è un costrutto sociale e che non è semplicemente il prodotto di prevenzioni o pregiudizi individuali, ma anche qualcosa di incorporato nei sistemi legali e nelle politiche”, si sta procedendo a smantellare le leggi, anzi tutte le istituzioni che – a giudizio insindacabile di negri e femministe militanti – incorporano il pregiudizio anti-negro. Da qui il rigetto delle opere d’arte classiche: incorporano il costrutto che i bianchi sono migliori dei negri, più intelligenti e più colti; di qui la lettura della storia intera in termini di “razzismo oppressivo”.

“La teoria critica della razza”, riporta la conservatrice Heritage Foundation, “fa della razza il prisma attraverso il quale i suoi sostenitori analizzano tutti gli aspetti della vita americana, classificando gli individui in gruppi di oppressori e vittime. È una filosofia che sta infettando tutto, dalla politica all’istruzione, al posto di lavoro e all’esercito”.

Christopher F. Rufo sul New York Post nel luglio 2020 e nel maggio scorso) elenca alcuni fatti:
il Dipartmento di Homeland Security dice ai dipendenti bianchi che commettono “microiniquità” e che si sono stabilmente “socializzati” nel ruolo di “oppressori”;
il Dipartimento del Tesoro tiene una sessione di formazione in cui dice ai membri dello staff che “praticamente tutti i bianchi contribuiscono al razzismo” e che devono convertire tutti, nel governo federale, all’ideologia dell’antirazzismo;
i Sandia National Laboratories, che progettano l’arsenale nucleare americano, inviano i dirigenti maschi bianchi in un campo di rieducazione di tre giorni dove si dice loro che la “cultura maschile bianca” è analoga al KKK, ai suprematisti bianchi e, udite udite, alle uccisioni di massa (i dirigenti sono pertanto costretti a rinunciare al loro “privilegio maschile bianco” e a scrivere lettere di scuse a donne fittizie e persone di colore);
A Cupertino, in California, una scuola elementare ha costretto i bambini di prima elementare a decostruire le loro identità razziali e sessuali e a classificarsi in base al loro “potere e privilegio”;
a Springfield, Montana, una scuola media ha pensato bene di costringere gli insegnanti a collocarsi in una “matrice di oppressione” basata sull’idea che i maschi etero, bianchi, cristiani e di lingua inglese, sono membri della classe degli oppressori e devono espiare”.

L’infezione sta già venendo imposta dal potere europeista. Lo dimostra la reazione feroce della Ursula alla legge ungherese che regolamenta l’educazione sessuale dei minori a scuola, escludendo porno e insegnamenti “inappropriati” (subito ribattezzata dai media “Legge anti-LGBTQ”) . “La legge ungherese è una vergogna, discrimina persone sulla base dell’orientamento sessuale e va contro i valori fondamentali della Ue. Noi non faremo compromessi su questi principi”, e David Sassoli ordina di colorare arcobaleno la sede dell’europarlamento. Lo suggerisce l’ordine di Enrico Letta ai calciatori: “Inginocchiatevi tutti”, che significa: “Chiedete perdono di avere il privilegio di essere bianchi, che non è un fatto naturale ma il portato di una cultura di oppressione razziale di cui voi godete gli indebiti frutti”. E’ solo l’inizio, e già dilaga. Sul piano italiano, è facile vederne l’applicazione: solo gli immigrati di colore hanno diritti , noi nati in Italia dobbiamo solo chiedere perdono ed espiare. Cedendo a loro case, soldi e cibo…. Fra poco qualche giudice comincerà ad applicare questo principio, anzi già lo applicano alcuni. Si veda la sentenza per cui il negro che spaccia non può essere punito perché non ha mezzi di sussistenza.

Inutile sottolineare che questa teoria è la più radicalmente anticristiana che sia apparsa nella storia: il rifiuto di riconoscere che siamo nati con caratteri fissi, è il rifiuto di sapersi come “creature”; che un Altro ha fissato-deciso per noi (maschi-femmine, bianchi-negri, ma anche italiani e “immigrati”) e queste sono “condizioni” inamovibili, che determinano il nostro destino personale; che la “liberazione” da questi condizionamenti può avvenire sì, ma dall’alto – per esempio trascendendo la sessualità e il suo destino accettando la castità, e lottando per conseguirla.