lunedì 31 luglio 2023

Wokismo e cancel culture: dove ci portano?







di Roberto de Mattei, 26 Luglio 2023 

Fin dai tempi della Rivoluzione francese, la distruzione della memoria storica fa parte della guerra scatenata contro la civiltà cristiana. Basti pensare non solo alla devastazione di chiese e di monumenti avvenuta tra il 1789 e il 1795, ma alla profanazione della basilica di Saint-Denis quando le tombe dei sovrani francesi vennero aperte e i loro resti mortali riesumati e dispersi, con un evidente significato simbolico: ogni traccia del passato doveva essere fisicamente cancellata, in ottemperanza al decreto della Convenzione del 1° agosto 1793. La damnatio memoriae ha caratterizzato da allora la storia della sinistra europea, fino alla “cancel culture” e alla ideologia “woke” dei nostri giorni.

La “cancel culture” è la cultura della cancellazione della memoria: una visione ideologica, secondo cui l’Occidente non ha valori universali da proporre al mondo ma solo crimini da espiare per il suo passato. Il termine woke, è un aggettivo della lingua inglese, che significa “stare svegli”, per epurare la società di ogni ingiustizia razziale o sociale ereditata dal passato. L’utopia dell’“uomo nuovo” presuppone infatti di fare tabula rasa del passato: la specie umana deve diventare “materia prima” informe per poter essere rimodellata, rifusa come cera molle. Il passaggio successivo è quello al “transumanesimo”, la rigenerazione dell’umanità attraverso gli strumenti della scienza e della tecnologia.

Questo processo distruttivo, nel suo incontrollabile dinamismo, rischia però di travolgere la stessa sinistra politica. Conchita De Gregorio, una giornalista italiana che a quel mondo appartiene, in un articolo pubblicato su La Stampa del 7 luglio, racconta tre episodi significativi, avvenuti in Francia che hanno suscitato il suo allarme.

Il primo episodio è questo: «In una celebre e dalle famiglie ambitissima scuola di danza del Marais, quartiere roccaforte delle élite progressiste parigine, i genitori dei piccoli danzatori hanno fatto richiesta al dirigente scolastico che gli insegnanti non istruiscano bambini e adolescenti ai giusti movimenti toccandoli con le mani, ma con un bastone». La ragione, è che qualunque contatto tra corpi, compreso la mano che indirizza il busto o accompagna in un passo provato per la prima volta, è potenzialmente una molestia sessuale.

Il secondo episodio riguarda alcune lezioni di teatro in un Istituto superiore di Belle Arti di Parigi. Al momento della foto di gruppo, l’insegnante chiede a una ragazza di legarsi i capelli in una coda «dal momento che la sua magnifica sontuosa chioma afro espandendosi in orizzontale copriva completamente i volti dei compagni alla sua destra e sinistra». L’intera classe si rivolta, denunciando la manifestazione di razzismo. La preside obbliga l’insegnante a scrivere una lettera di dimissioni o a licenziarsi.

Il terzo episodio riguarda una famosa femminista che «sostiene la libertà delle donne islamiche di non portare il velo. Attenzione: non. Di portarlo, liberissime, e di non portarlo, altrettanto libere». La sinistra la accusa di islamofobia, di essere di destra, di essersi venduta. e la polemica che ne scaturisce provoca l’assegnazione di una scorta alla femminista. Tra il femminismo e l’islamofilia la sinistra sceglie l’islamismo, perché caratterizzato da un maggiore odio verso l’Occidente.

Un quadro più ampio e approfondito di quanto sta accadendo in Francia, ce lo offre un libro appena pubblicato da Avenir de la Culture, sotto la direzione di Atilio Faoro (La Révolution Woke débarque en France, Paris 2023, pp. 86). Gli autori spiegano che il wokismo, erede del Terrore e delle Grandi Purghe sovietiche, è un’ideologia globale che vuole trasformare la società in un vasto campo di rieducazione. Per i fanatici di quest’ideologia, «la gastronomia francese è razzista», «la letteratura classica è sessista», «un uomo può essere incinto», i 4.600 comuni che portano il nome di un santo devono essere «sbattezzati», la basilica di Notre Dame è un simbolo di oppressione e dovrebbe essere ridefinita «Notre Dame dei sopravvissuti alla pedocriminalità». La stessa lingua francese dovrebbe essere decostruita, sostituendo per esempio il termine “hommage”, che rimanda a un linguaggio feudale, con quello di “femmage”, così come al posto di “patrimonio” bisognerebbe usare il termine “matrimonio”, per non concedere al maschilismo neppure un pur minimo vantaggio semantico.

Non si tratta di follie ma di conseguenze coerenti con una visione del mondo che rifiuta la memoria storica dell’Occidente, e in particolare le sue radici cristiane.

Eppure la cultura, che è l’esercizio delle facoltà spirituali e intellettuali dell’uomo, ha bisogno, per svilupparsi, di una memoria che conservi e tramandi quanto l’uomo ha già prodotto nella storia. La memoria è la coscienza delle proprie radici e dei frutti che queste radici hanno prodotto. «La fedeltà della memoria – ha osservato il filosofo tedesco Josef Pieper – significa invero che essa “serba” in sé le cose reali e gli avvenimenti come realmente sono e sono stati. La falsificazione del ricordo, contraria alla realtà, attuata dal “si” o dal “no” del volere, è la rovina vera e propria della memoria; giacché contraddice alla sua natura intima che è quella di “contenere” la verità delle cose reali» (La prudenza, Morcelliana, Brescia 1999, p. 38).

La menzogna per imporsi ha bisogno di distruggere la verità, che è contenuta dalla memoria. Per questo la cancellazione della memoria, che contiene la verità della storia, è un crimine contro l’umanità e la rivoluzione woke ne è espressione. Il wokismo si sviluppa in Occidente per distruggere l’Occidente, ma non ha nulla a che fare con la storia e con l’identità della nostra civiltà, di cui costituisce un’antitesi radicale. I detrattori dell’Occidente che si lasciano sedurre da ricette come l’Eurabia islamica, la Terza Roma moscovita o il neo-comunismo cinese abbracciano un itinerario suicida. L’ideologia woke è l’ultimo stadio di una malattia che viene da lontano e che non può essere curata sopprimendo il malato. Wokismo e cancel culture non sono l’atto di morte dell’Occidente, ma le cellule tumorali di un organismo che fu sano e che può ancora guarire, se ci sarà, come speriamo, l’intervento radicale del Divino Chirurgo.








domenica 30 luglio 2023

Cosa penserebbe Henri de Lubac del Sinodo sulla sinodalità


Sinodo dell’Amazzonia

Di Sabino Paciolla, 30 luglio 2023

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Robert P. Imbelli e pubblicato su First Things. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella mia traduzione.



Robert P. Imbelli

Henri de Lubac, S.J., uno dei più grandi teologi cattolici del XX secolo, è stato tra le figure di spicco del movimento di rinnovamento che ha preparato la strada al Vaticano II. Infatti, molti dei suoi scritti hanno influenzato i termini stessi utilizzati dal Concilio, specialmente nelle costituzioni sulla Chiesa (Lumen Gentium) e sulla rivelazione (Dei Verbum). Durante il suo lungo ministero teologico, che si estende dai primi anni ’30 ai primi anni ’80, non solo ha insistito sull’intimo legame tra teologia e spiritualità, ma ha anche testimoniato l’inseparabilità tra dogmatica e pastorale nella sua coraggiosa opposizione al nazismo e all’antisemitismo. La sua ultima grande opera teologica, completata nonostante il declino delle forze fisiche, fu il volume di quasi mille pagine La posterité spirituelle de Joachim de Flore (La posterità spirituale di Gioacchino da Fiore). Purtroppo non è ancora disponibile in inglese. Ma le sue riflessioni sono di grande aiuto oggi che consideriamo il Sinodo sulla sinodalità in corso nella Chiesa e il suo Instrumentum Laboris (documento di lavoro) recentemente pubblicato.

De Lubac aveva trattato a lungo il mistico del XII secolo nel terzo volume della sua Exégèse Médiévale. Egli si concentrava sull’approccio distintivo di Gioacchino alle Scritture, in particolare sulla sua opinione che ci sarebbe stata una “terza età” dello Spirito che avrebbe sostituito le età del Padre e del Figlio (rappresentate rispettivamente dall’Antico e dal Nuovo Testamento). Secondo la lettura di de Lubac, il senso della visione profetica di Gioacchino era quello di mettere in discussione la finalità salvifica di Gesù Cristo. Nella “terza età” di Gioacchino, lo “Spirito” diventa di fatto separato da Cristo e alimenta movimenti pseudo-mistici e utopici. Infatti, senza il referente e la misura cristologica oggettiva, l’appello allo Spirito cade facilmente in preda a ideologie e fantasie soggettive.

Già qui, de Lubac intravede la lunga e problematica “vita ultraterrena” del gioachimismo, comprese le sue propensioni scismatiche. Cominciò a esplorare la varietà di movimenti, sia laici che quasi religiosi, che, proprio come Gioacchino, immaginavano l’arco del progresso piegato verso un compimento della “Terza Età”, sia in forme hegeliane, marxiste o nietzschiane. In tutti questi movimenti Gesù Cristo era considerato, nel migliore dei casi, una parola penultima e la Chiesa era considerata solo una reliquia di un’epoca non illuminata.

De Lubac si è assunto l’enorme compito di scrivere il suo libro sulla posterità di Gioacchino perché ha percepito che il periodo successivo al Concilio è stato segnato in molti ambienti in Francia e altrove da una recrudescenza di sensibilità e progetti gioachimiti. Queste tendenze gioachimite tracciano una strada che va oltre il campanilismo della “Chiesa istituzionale”, verso la celebrazione di un’umanità universale, liberata dalle costrizioni della legge e dell’ordine gerarchico.

Nel suo toccante libro di memorie, Al servizio della Chiesa, de Lubac commenta le “circostanze che hanno dato origine ai suoi scritti”. Chiarisce che il suo libro sulla posterità di Gioacchino non era animato da interessi meramente accademici, ma dal senso di un pericolo presente: il pericolo di tradire il Vangelo trasformando la ricerca del regno di Dio in una ricerca di utopie sociali secolari.

Scrisse un migliaio di pagine prima che la sua salute cagionevole gli impedisse di dare all’opera la conclusione dottrinale che aveva inizialmente previsto. Ma si rese conto di aver già offerto una conclusione nel suo libro precedente, Méditation sur l’Église. Egli indirizza il lettore al capitolo sei di quell’opera, “Il sacramento di Gesù Cristo”.

Il capitolo inizia notoriamente con: “La Chiesa è un mistero” – parole che, dieci anni dopo, costituiranno il titolo del primo capitolo della Costituzione sulla Chiesa del Vaticano II, Lumen Gentium. De Lubac precisa subito il contenuto di questo mistero: “la Chiesa sulla terra è il sacramento di Gesù Cristo”. Anche in questo caso la Lumen Gentium segue l’esempio di de Lubac, dichiarando nel suo primo paragrafo che: “la Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutta l’umanità”.

Questa prospettiva cristologica e sacramentale fornisce l’orientamento per la visione e la proclamazione ecclesiale del Vaticano II. L’Instrumentum laboris per il Sinodo sulla sinodalità, recentemente pubblicato, cita due volte queste parole della Lumen Gentium. È significativo, tuttavia, che entrambe le volte ometta le parole importantissime “in Cristo”. Questa omissione non può essere attribuita alla fretta o alla sciatteria e solleva legittime preoccupazioni riguardo alla carenza cristologica del documento.

Dall’insistenza di de Lubac sul mistero della Chiesa come sacramento di Gesù Cristo (un approccio ripreso e sanzionato dal Concilio), egli trae conseguenze dottrinali e pastorali cruciali. Scrive: “Lo scopo della Chiesa è di mostrarci Cristo, di condurci a lui, di comunicarci la sua grazia. In sintesi, essa esiste solo per metterci in relazione con Cristo”.

Quindi, qualsiasi stratagemma per sostituire l’attuale regno di Cristo con un futuro regno nebuloso dello Spirito significa introdurre “separazioni mortali” nella vita della Chiesa. “Così, in nessun senso aspettiamo l’età dello Spirito, perché essa coincide esattamente con l’età di Cristo”.

Attingendo a questo capitolo di Méditation sur l’Église (un libro spesso esaltato da Papa Francesco), ho una modesta proposta per il Sinodo ispirata da de Lubac. Un salutare esercizio spirituale per i gruppi, riuniti ogni giorno per condividere le loro “conversazioni nello Spirito”, sarebbe quello di riflettere sul decisivo paragrafo finale della prima parte della Gaudium et Spes. Ciò fornirebbe ai partecipanti una vivida anamnesi su quale sia lo Spirito che essi invocano e cercano fedelmente di servire.

Ecco la magnifica professione dogmatica di fede cristologica della Gaudium et Spes:

Il Verbo di Dio, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, si è fatto egli stesso carne perché, come uomo perfetto, salvasse tutti gli uomini e riassumesse in sé tutte le cose. Il Signore è la meta della storia umana, il punto focale degli aneliti della storia e della civiltà, il centro del genere umano, la gioia di ogni cuore e la risposta a tutti i suoi aneliti. È colui che il Padre ha risuscitato dai morti, innalzato in alto e posto alla sua destra, facendolo giudice dei vivi e dei morti. Animati e uniti nel suo Spirito, ci incamminiamo verso il compimento della storia umana, che si accorda pienamente con il consiglio dell’amore di Dio: “ristabilire in Cristo tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra” (Ef 11,10).

Non c’è nemmeno un accenno alla posterità di Gioacchino!






Emergenza Climatica, l’ennesima mossa del cavallo (di Troia)







di Leonardo Guerra, 30 luglio 2023

“…Che ci sia un’emergenza climatica è una bufala. I cambiamenti climatici ci sono, ci sono sempre stati, ed hanno cause astrofisiche, astronomiche e dipendenti dalla composizione dei componenti dell’atmosfera (che possono essere naturali o anche antropici)……senza la CO2 non avremmo le foglie verdi e la fotosintesi clorofilliana, che è un miracolo della natura.”…. Prof Franco Prodi, Ficulle (TR), Giugno 2023.

“….. il terrorismo climatico e ambientale, orchestrato dalle élite poc’anzi citate con la complicità dei soliti circuiti accademici, politici e mediatici, costituisce la nuova tappa di quella strategia della tensione avviata dal COVID e intesa a strumentalizzare situazioni di crisi – reali o fittizie – per giustificare e legittimare, sul piano etico-giuridico, l’introduzione di meccanismi di soggiogamento di intere popolazioni, in tutto simili al green pass vaccinale.” Prof Luca Marini, Renovatio21 25 Luglio 2023

Già ai tempi dell’Emergenza Covid avevamo intuito come sarebbe stato portato avanti e attuato il loro piano di dominio sulle masse attraverso il mantenimento di un costante e progressivo terrore, caratterizzato da due componenti principali, quella sanitaria e quella climatica. Che il clima nel tempo cambi non è certo una novità, ma una certezza. Attribuirne tutte le colpe all’uomo serve soltanto a far sentire in colpa le persone e condizionarle mentalmente. Vi ricordate il martellamento attuato col covid, e prima ancora, col debito pubblico? Stesso schema, ormai scontato e banale.

Il terrore viene alimentato e governato grazie ad un’unica e controllata fonte d’informazione talmente organizzata da poter indurre una univoca percezione nella maggioranza delle persone dipendenti dal mainstream media (MSM) e così controllarne i comportamenti preventivamente.

Il Giornalista indipendente Mazzucco qualche settimana fa ha dimostrato, portando in evidenza fatti inconfutabili, come il tutto sia orchestrato da poche holding che controllano il 90% dei MSM e propagato globalmente con operazioni di “flat bombing” (video qui https://youtu.be/Ul5h5AGjbFM).

Grazie al monopolio e al controllo assoluto delle informazioni (vere e/o false, non ha importanza) i giornalisti dei vari canali o testate del MSM (mainstream media) riversano a valanga il “messaggio” di terrore dall’élite generando un martellamento costante sulle menti delle popolazioni loro utenti/ascoltatori. Il risultato è una reazione emotiva di paura delle masse e una richiesta impellente di soluzioni, qualunque esse siano (ovviamente già confezionate pronte perché sono già pronti ad incassare montagne di soldi). Questa modalità è ormai collaudata per far accettare qualsiasi cosa alla gente, come dichiarato da un famoso senatore a vita ex presidente di un governo tecnico che iniziò le operazioni di distruzione controllata del nostro paese nel 2012.

Con l’emergenza Covid si è arrivati a modificare profondamente, inoltre, la cultura democratica del nostro paese e a far accettare un obbligo vaccinale insensato, il “fascismo”, gli arresti domiciliari, la censura, le divisioni, il green pass, le esclusioni dalla vita sociale e l’odio sociale verso chi non era conforme alla religione dello scientismo. Tutto questo è stato sdoganato come “nuova morale”. Siamo tornati allo standard di: “mors tua vita mea”.

Quindi, l’emergenza climatica di origine umana, smentita da scienziati di caratura mondiale, climatologi di tutto il mondo, non ultimi il Prof F. Prodi, il Prof C. Rubbia, il Prof A. Zichichi, in questa fase costituisce il diversivo tattico (cavallo di troia) per continuare a terrorizzare e quindi a distrarre le masse come successe esattamente con il Sars-CoV-2 dipinto dai telegiornali del mondo occidentale come l’equivalente moderno della peste bubbonica.

L’unica vera emergenza climatica è quella della geo-ingegneria utilizzata per generare condizioni climatiche a sostegno del loro programma. L’accordo fu sottoscritto dal Governo Berlusconi con G.W Bush nel 2002 (https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Sindisp&leg=17&id=757330). Peccato che il Cavaliere non possa più rilasciare interviste verità. Così come quella dei piromani che agiscono a comando per dare sostegno alla loro narrazione strumentale del nostro governo.

Non si sono fatti attendere i soliti “megafoni” del pensiero unico by Governo Meloni, Ue, OMS e ONU: il Papa, gli attori dello spettacolo, che dopo essersi improvvisati virologi adesso sono pure accreditati climatologi, le virostar pure loro riconvertite e infine i telegiornali del MSM a reti unificate.

Il risultato mediatico è un piano di comunicazione del terrore articolato, multi piano, probabilmente perfezionato e gestito grazie all’Intelligenza Artificiale che ne controlla l’attuazione, l’andamento e lo adatta al cambiare delle condizioni generali.

Ma la domanda vera è la seguente, da cosa ci vogliono distrarre trattenendo la nostra attenzione e la nostra volontà (sottraendole, quindi, ad un uso consapevole e responsabile delle persone) costantemente legate alla crisi climatica?

L’ipotesi più probabile è che ci vogliano distrarre ancora una volta da un passaggio fondamentale del loro piano che stanno portando avanti sottotraccia per agire indisturbati senza problemi, ovvero l’attuazione dell’Identità Digitale e del Portafoglio Digitale Europeo da cui dipende il completamento e il successo o meno del Great Reset. In altre parole, la possibilità di attuare una sorveglianza e controllo sistemici sulla popolazione. La stazione d’arrivo del loro “treno tossico” è l’attuazione delle “Città dei 15 minuti” entro il 2030, veri ghetti umani in cui segregare i 2/3 della popolazione limitandone gli spostamenti, e dettando i comportamenti e i consumi. Si tratta di un’utopia socialista dei primi del ‘900, fallita ma inesorabilmente riproposta, sintetizzata magistralmente dal Prof Giorgio Agamben nel suo ultimo scritto: “Le anime morte”. Tutto il loro Great Reset poggia sul pilastro portante dell’adesione all’ID digitale, incluso il denaro elettronico, ennesima tagliola.

Con il caos dell’emergenza climatica, che probabilmente andrà avanti per i prossimi anni, alternata magari con nuove emergenze sanitarie, sperano di riuscire a confondere e rendere impermeabile alla verità la mente delle persone trattenute, assorbite, sovraeccitate e preoccupate costantemente delle false emergenze. Per far adottare loro d’impulso, passivamente senza ragionare, l’ID digitale e il Portafoglio Digitale Europeo promossi come qualcosa di salvifico.

Tuttavia, noi Italiani non possiamo non aver compreso e imparato la lezione della crisi Covid 19. Come ragionano questi “signori del male”, qual è il loro schema di gioco e il loro teatrino, ormai sinceramente penoso.

Importante ritengo sia il contributo del prof Marini, riportato qui sotto:
“L’impegno politico, anche in funzione dissidente, è davvero relativo, perché la politica – esattamente come la violenza – è solo una scorciatoia rispetto alla conoscenza e all’approfondimento dei problemi. Ciò che occorre non è politica, almeno per come funziona in Italia, né tantomeno violenza, ma formazione, cultura e senso critico: proprio ciò che non vogliono le élites finanziarie, i governi liberisti e i media transumanisti. Ognuno tragga le sue conclusioni.” Prof Luca Marini, Renovatio21 25 Luglio 2023
Dobbiamo ricostruire una civiltà. Per poterlo fare è bene dire di no subito in modo deciso e definitivo all’ID Digitale (che è diversa dallo spid e dalla Carta d’Identità Elettronica/CIE) e al Portafoglio Digitale Europeo. Facciamo capire a questi signori che ci governano che il loro teatrino non funziona più e che noi, invece, abbiamo deciso e scelto di rimanere umani e spiritualmente vivi nel senso e nel rispetto delle nostre tradizioni millenarie e delle nostre radici Greco-Romane/Cristiane.

Nell’arco dei prossimi 24 mesi, l’attivazione della ID Digitale ci verrà proposta a ritmo serrato o al rinnovo del documento di identità o, se già in possesso di una CIE, riceveremo dal comune le sue chiavi della sua attivazione (PIN e PUK da inserire sul portale che ci indicheranno). Useranno anche altri espedienti, cambiando e camuffando i termini. Bene, diciamo, quindi, un bel NO convinto e se per caso l’abbiamo già attivata, ignari delle conseguenze possibili, attiviamo subito la procedura di recesso.

Se almeno 20 milioni di Italiani diranno no entro i prossimi 18 mesi, il loro piano di dominio e sfruttamento delle masse salterà in modo definitivo.

Coraggio, quindi, agiamo decisi e uniti per il nostro bene e il bene dei nostri figli e delle future generazioni.






La virilità: uno sguardo cattolico su un commento molto opportuno





di John Horvat

Molti uomini vivono la loro vita evitando le responsabilità, il lavoro e gli sforzi. Molti non hanno idea dello scopo della loro vita e di dove vogliono andare. Altri indietreggiano di fronte a una cultura che interpreta come odioso e oppressivo qualsiasi movimento di sviluppo di carattere o di leadership maschile. A tutte queste figure maschili manca un ingrediente vitale: la virilità. Ne hanno urgentemente bisogno.


Finalmente qualcuno parla


La virilità non è solo avere i cromosomi giusti. Il senatore Josh Hawley (Repubblicano-Missouri) ne delinea le caratteristiche nel suo nuovo libro, Manhood: The Masculine Virtues America Needs (Le virtù virili di cui l’America ha bisogno). Leggendo questo libro si tira un sospiro di sollievo perché finalmente qualcuno dice ciò che va detto: la virilità è buona, necessaria e realizzabile.

Il libro del senatore Hawley mescola diversi stili per far capire il suo punto di vista. In parte è un libro di memorie con racconti di come i membri della sua famiglia e i suoi antenati hanno vissuto la loro virilità. In parte è uno studio biblico che intreccia storie, lezioni e passi delle Scritture che indicano lo scopo della virilità dato da Dio. Infine, è un commento sociale sul desiderio della postmodernità di annientare la virilità e su ciò che occorre fare per recuperarla.

Da una prospettiva cattolica, c'è molto da apprezzare nella sua presentazione e anche molto da aggiungere. Un cattolico può concordare sul fatto che gli uomini abbracciano "la vocazione" di essere mariti e padri. L'anziano senatore del Missouri sostiene che ogni uomo deve assumere i doveri che lo rendono allo stesso tempo "guerriero, costruttore, sacerdote e re", accettando "la missione di Adamo" di espandere e proteggere il giardino del Signore. Insiste sul fatto che l'impegno e il coraggio sono punti di partenza non negoziabili.


Un commento non del tutto soddisfacente


Queste osservazioni costituiscono un fondamento della virilità. Tuttavia, l'immensità della crisi odierna della virilità sembra richiedere qualcosa di più. Questo non vuol dire che il libro sia sbagliato, ma solo che è insufficiente.

Scritto da una prospettiva protestante, l'autore si limita a evocare archetipi di forte carattere cristiano e virtù naturali in una cultura cristiana di sostegno, che purtroppo non esiste più per molti giovani uomini.

Presenta eccellenti modelli di virtù ordinarie e oneste in momenti che richiedono un valore straordinario e non comune. Il suo personalissimo appello all'autodisciplina virile è rivolto alle generazioni indebolite da una cultura della gratificazione. La sua proposta non contiene una controcultura organizzata per affrontare una cultura prepotentemente ostile (e organizzata). Pertanto, ci vuole una prospettiva cattolica aggiuntiva per affrontare queste carenze e costruire sulle fondamenta poste del senatore americano.


Una prospettiva cattolica necessaria

Un richiamo alla Chiesa consentirebbe agli uomini di accedere a maggiori risorse spirituali per combattere il nemico e fornirebbe maggiori approfondimenti sul funzionamento dell'anima quando gli uomini si confrontano con un mondo avverso. La natura universale della Chiesa darebbe agli uomini il cameratismo e l'unità necessari per mettere insieme una controrivoluzione.

Può attingere agli archetipi maschili per tempi straordinari, spesso presenti nei santi, nel clero e negli eroi della Chiesa nel corso della storia. La vera virilità cattolica offre "qualcosa di più", il nobile ideale che farà la differenza.


Il ruolo della grazia


Un elemento che cambia le carte in tavola è la nozione cattolica di grazia in questa controrivoluzione. L'attuale crisi della mascolinità non sarà risolta solo dall'autodisciplina, ma anche dalle trasformazioni operate dalla grazia di Dio.

L'autore lo riconoscerebbe. Tuttavia, non esprime la grazia nei termini tradizionali di "partecipazione creata alla vita increata di Dio", che agisce all'interno degli individui e dei popoli. Quando la grazia opera all’interno delle anime illumina l'intelletto, rafforza la volontà e tempera i sensi. La grazia permette agli uomini di fare cose che sono al di là della portata della natura umana e toccano l'eroismo e il sublime.

La comprensione della grazia da parte del senatore Hawley è come la "notte di fuoco" descritta dal filosofo francese e giansenista Blaise Pascal (1623-1662), secondo il quale l'esperienza di Dio avviene attraverso il cuore piuttosto che attraverso la ragione. Tali accadimenti soggettivi sono limitati a intense esperienze personali. Spesso sono di breve durata e non hanno la stabilità o il dinamismo necessari per causare grandi trasformazioni sociali.


Necessità di una grazia sostenuta


Le grandi conversioni nella storia sono sempre state il frutto di una grazia sovrabbondante, poi mantenuta. Ciò presuppone una vita sacramentale in cui l'anima riceve la grazia santificante per rimanere in uno stato abituale di amicizia con Dio. Richiede una vita liturgica in cui gli uomini possano attingere alla forza dell'Eucaristia.

Questo stato di grazia apre un'enorme gamma di possibilità di azione e santificazione che si trovano nelle virtù cardinali e teologali, nei doni dello Spirito Santo e in altri benefici spirituali. Molti di questi concetti sono estranei a chi non fa parte della Chiesa.

Ad esempio, questa mancanza di ricorso alla grazia santificante ha conseguenze pratiche nel confronto con la cultura attuale, che aggredisce costantemente l'uomo cristiano. Ciò è particolarmente evidente quando si tratta di una virtù maschile che il senatore Hawley, purtroppo, non menziona: la purezza. Il mondo ipersessualizzato di oggi sta distruggendo la virilità americana. Senza la grazia costante per combattere gli attacchi dell'impurità, amando e obbedendo al sesto e al nono comandamento di Dio, lo sforzo di ripristinare la virilità è irrimediabilmente condannato.


La virilità e la croce


La grazia richiesta e sostenuta aiuterebbe anche gli uomini americani a comprendere il concetto di Croce. Nostro Signore insegna che ogni cristiano deve portare la croce delle persecuzioni, delle disgrazie e delle sconfitte. Il senatore riconosce il ruolo del sacrificio, dello sforzo e del lavoro nella vita di un cristiano. Tuttavia, questi atti hanno la loro ricompensa, fornendo una vita più prospera e onesta.

La grazia va oltre e aiuta gli uomini a comprendere la sofferenza causata da tragedie, ingiustizie e persecuzioni che non hanno una ricompensa immediata. Comprendendo e amando la Croce, gli uomini imparano a soffrire come Cristo e con Lui. La Chiesa insegna il valore redentivo di queste sofferenze che aiutano a formare il carattere e a plasmare uomini capaci di grande eroismo.

Tutta la società trae beneficio dall'accettazione della sofferenza, che implica la disponibilità a sacrificarsi per gli altri. Quando la Croce segna tutta la società, il profumo sublime dello spirito di abnegazione permea le famiglie, le comunità, l'economia, l'arte e il pensiero, dando così valore, significato e bellezza a tutte le cose umane.


Una cornice individualista


L'elemento finale per ripristinare la virilità è l'unità cattolica. Le soluzioni del senatore Hawley si concentrano sulla necessità imperativa per gli uomini di disciplinare sé stessi e quindi di incidere sulla vita degli altri attraverso il buon esempio. Queste opinioni riflettono una visione teologica basata sulla salvezza e sulla giustificazione individuale. Ognuno lavora al proprio percorso verso Dio, sperando che gli altri ne siano edificati.

Così, le sue designazioni dell'uomo come guerriero, costruttore, sacerdote e re tendono tutte a essere inquadrate in un contesto individuale. Il ruolo dell'uomo come sacerdote è quello di essere una scintilla individuale del divino che illumina le tenebre. L’uomo costruisce in modo da evitare la dipendenza dal governo e raggiungere così la libertà. All’uomo guerriero viene detto di affrontare "i mali della sua vita", soprattutto l'orgoglio. Il ruolo di re dell'uomo è incentrato sul controllo personale delle passioni, una manifestazione di autogoverno.



Fonte: Tfp.org, 17 Luglio 2023. 
Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.




sabato 29 luglio 2023

Sinodo sulla sinodalità: Una Chiesa radicalmente inclusiva è una Chiesa che si dirige verso l’autodistruzione


L’opera d’arte sinodale 2021-2023 
(Immagine: Sinodo.va Instagram); I presuli al Sinodo 2018 (Immagine al centro: CNA)





Di Redazione Blog di Sabino Paciolla, 29 Luglio 2023

Il Sinodo 2021-24 sta, a quanto pare, costruendo il ponte di padre James Martin.

Gli autori dell’Instrumentum Laboris (IL) per l’incontro vaticano di quest’autunno hanno inserito – in modo piuttosto insincero – un acronimo che deriva e abbraccia la rivoluzione sessuale: LGBTQ+. Sebbene sostenga di essere una “testimonianza profetica per un mondo frammentato e polarizzato”, il sinodo collabora con la cultura dominante.

Poiché i “cattolici LGBTQ+”, ci viene detto, sono tra coloro che non “si sentono” accettati o inclusi nella Chiesa, il sinodo “creerà spazi” in cui le “persone LGBTQ+” e altri “che si sentono feriti dalla Chiesa” non si “sentiranno” più invisibili e non graditi.

LGBTQ+ si riferisce agli “infiniti orientamenti sessuali e identità di genere utilizzati dai membri della nostra comunità“, come spiega il gruppo di difesa politica Human Rights Campaign. Incompatibile con la ragione e la fede, l’acronimo indica la convinzione della cultura che le persone – come gli dei – abbiano il completo dominio sul proprio corpo e sulle proprie facoltà sessuali.

Abituati come siamo alla separazione degli americani in gruppi identitari, il fatto che un sinodo della Chiesa cattolica si riferisca a esseri umani battezzati in questo modo è un grosso problema.

Una designazione priva di qualsiasi principio limitante infonde nel percorso sinodale l’instabilità e l’autoindulgenza di una cultura nella morsa invasiva delle teorie queer e gender. Nessuno sceglie LGBTQ+ per modificare i cattolici, a meno che non ci siano secondi fini – e ce ne sono.


L’inclusione radicale delle persone LGBTQ+ nel discorso della Chiesa

“Rispetto”, dice padre Martin in Un ponte da costruire, “significa chiamare un gruppo come chiede di essere chiamato”. La voce collettiva sentita da padre Martin ha origine nella politica e “ciò che chiede di essere chiamato” è, come spiega Carl Trueman, fondamentalmente incoerente.

Differenziare i cattolici in base al desiderio sessuale e all’identità di genere posiziona intenzionalmente queste caratteristiche come parte integrante della nostra natura di persone create a immagine e somiglianza di Dio. Questo “queering” dell’imago Dei mira, nel tempo, ad “allargare” i confini del discorso della Chiesa, “facendo spazio” nella tenda cattolica a quei tipi di sfumature che hanno destabilizzato le norme fin dall’Eden.

Lo stesso IL punta in questa direzione quando chiede un “rinnovamento del linguaggio” usato dalla Chiesa, affinché la “ricchezza” della sua tradizione diventi più “accessibile e attraente per gli uomini e le donne del nostro tempo, piuttosto che un ostacolo che li tiene a distanza”.

Come è fin troppo comune oggi, le affermazioni – in questo caso sulla tradizione e sull’insegnamento cattolico – sono trattate come fatti. Nel sinodo (come nella cultura) i sentimenti, piuttosto che le virtù, sono autorevoli. Quando un prelato radicalmente inclusivo (si riferisce al card. McElroy, ndr) dichiara che “la comunità cattolica contiene strutture e culture di esclusione che allontanano troppi dalla Chiesa o rendono il loro cammino nella fede cattolica tremendamente pesante”, cede la sovranità ai sentimenti. [corsivo mio]

La Chiesa è effettivamente oppressiva per “troppi”, o “troppi” vogliono che la Chiesa assecondi comportamenti personali in cui scelgono liberamente di impegnarsi?

Sono un figlio di Dio che è stato battezzato come cattolico. Il fatto che io sia un uomo sessualmente attratto da altri uomini non toglie né aggiunge nulla alla verità di cui la Chiesa deve sempre essere testimone. Sostenere che il discorso della Chiesa è un “ostacolo” che mi tiene a distanza o che le sue dottrine rendono il mio cammino di fede “tremendamente pesante” significa imitare una cultura che alimenta la debolezza.

Come cristiani, siamo chiamati a vivere, per quanto imperfettamente, una vita veramente radicale: rinnegare l’io, prendere la croce e seguire Gesù Cristo. Come cattolici, abbiamo bisogno di sacerdoti che illuminino con amore e fiducia la Parola e rafforzino così la nostra determinazione, che il mondo mina troppo abilmente.

Non sono una vittima, né una pedina dei sacerdoti cattolici che vogliono una Chiesa diversa.


Il prossimo passo è la normalizzazione del disordine?

LGBTQ+ incarna un disordine oggettivo, il suo Q+ una costante di confusione in cui cade una chiesa che lo incorpora.

Di conseguenza, ogni volta che il sinodo si riferisce ai nostri “fratelli e sorelle”, non aggiunge “e altri fratelli in Cristo”, un’espansione “compassionevole” della comunità dei battezzati – già utilizzata dal teologo radicalmente inclusivo, padre Dan Horan, OFM – che riconosce i nostri cattolici non-binari, genderqueer e pangender.

L’ansia del Sinodo di promuovere la dignità battesimale delle donne si scontra con il desiderio di una maggiore inclusione delle persone LGBTQ+, alcune delle quali ritengono di essere donne nonostante il “sesso assegnato alla nascita”, una frase mendace integrata per definizione nell’acronimo di cattolici modificatori.

La considerazione dell'”inclusione delle donne nel diaconato” comprende ora le donne trans – maschi biologici che si identificano come donne. Il sacerdozio deve aprirsi alle femmine biologiche che si identificano come maschi – uomini trans.

Fare altrimenti nega la dignità battesimale dei cattolici LGBTQ+.

Una Chiesa radicalmente inclusiva non può mai dire chiaramente cosa sia un uomo o una donna per non offendere, e sicuramente si sentirà costretta a rinnovare il discorso che “emargina” l’attività omosessuale.

Una Chiesa di questo tipo, come la cultura, ha bisogno di lettori sensibili. Il linguaggio delle sezioni 2357-59 del Catechismo è, ne sono certo, dannoso e un disservizio per quelli di noi che sono gay. Siamo percepiti come uomini senza petto, troppo sopraffatti dai nostri desideri per afferrare razionalmente la verità che l’inclinazione allo stesso sesso è “oggettivamente disordinata” e gli atti omosessuali sono “intrinsecamente disordinati” e “contrari alla legge naturale”.

Qualsiasi cambiamento nel discorso della Chiesa in questo caso porterà a revisioni altrove. La successiva sezione 2360, ad esempio, riguarda l'”Amore del marito e della moglie”, che dichiara – in modo esclusivo e senza apologia – che “la sessualità è ordinata all’amore coniugale dell’uomo e della donna”.

Man mano che la teologia gnostica queer sposata e attualmente insegnata in alcune istituzioni cattoliche prende piede, la nostra concezione di “ordinato” si amplierà. La sodomia sarà riconosciuta all’interno della totalità del disegno di Dio.

Infatti, la tradizione cattolica secondo cui “tutti gli atti sessuali al di fuori del matrimonio costituiscono un peccato oggettivamente grave” diventa irragionevole in una Chiesa radicalmente inclusiva, perché “concentra in modo sproporzionato” la vita morale cristiana sull’attività sessuale. Rendere la castità – la padronanza di sé – più “accessibile e attraente per gli uomini e le donne del nostro tempo” non sembra affatto necessario.

L’ultimo decennio di trasformazioni queer all’interno delle chiese protestanti tradizionali dimostra chiaramente che nessuna chiesa che abbraccia la cultura rimane la stessa. La comunione anglicana mondiale ha superato il punto di rottura. Dal clero transgender ai vescovi non binari, in una chiesa radicalmente inclusiva, il centro non può reggere.

E il mondo reale?

Siamo da sei decenni in una rivoluzione sessuale che ha devastato le istituzioni del matrimonio e della famiglia. Il percorso sinodale non solo si tiene alla larga dal disastro sociale e culturale immediatamente evidente, ma evita la verità – compresa la profetica Humanae Vitae – nel suo abbraccio al disordine oggettivo.

Il trionfo dell’agenda LGBTQ+ ha creato una cultura del pifferaio magico, allettantemente confezionata con i colori dell’arcobaleno, che informa i bambini che i mariti sposano i mariti, le mogli sposano le mogli; che afferma le fantasie dei bambini che sostengono di essere stati “assegnati” al sesso sbagliato; che chiede alle ragazze di condividere i loro spazi un tempo privati con i ragazzi; che obbliga a lezioni sull’orientamento sessuale e l’identità di genere già all’asilo, e aggiunge la “queerness” ovunque i bambini possano essere raggiunti.

Come può un sinodo che promuove specificamente la corresponsabilità all’interno della Chiesa ignorare il ruolo sociale cruciale della madre e del padre, che insieme hanno l’unico compito corresponsabile essenziale della società: far nascere una nuova vita, proteggere la prole, crescerla come cristiana?

Il Sinodo ha visto la partecipazione di un’alta percentuale di laici, uomini e donne. Tuttavia, una lettura dei documenti sinodali indica che i partecipanti laici hanno incluso pochi genitori con esperienza diretta recente nel cambiare pannolini, fasciare tagli e graffi, leggere storie alle teste addormentate, preparare i bambini per la scuola e monitorare gli sforzi della cultura finalizzati a bypassare mamma e papà attraverso la televisione, internet e i social media.

Invece, “sentiamo” l’esperienza autoriale delle università, i suoi accademici che percepiscono la chiesa istituzionale come una sorta di governo secolare, le sue leggi e le sue strutture onerose, i suoi discorsi catechetici scatenanti.

C’è qualcosa che non va. Nel documento nordamericano, ad esempio, i cattolici sono incoraggiati a “imitare Maria”. Perché? Perché, ci dicono gli autori, Maria “ha continuamente detto ‘sì’ all’invito a contribuire alla costruzione del Regno di Dio”.

Non viene detto il contributo indispensabile di Maria, il suo sì alla maternità.

In quel documento – dove il ruolo di leadership delle donne nella Chiesa è di primaria importanza – il ruolo di madre e moglie nella Chiesa domestica non viene mai menzionato. E nemmeno il ruolo di padre e marito. Allo stesso modo, nell’Instrumentum Laboris del Vaticano.

In queste omissioni risiede la radicale irrilevanza del percorso sinodale nel terzo decennio del XXI secolo. Dov’è la Chiesa cattolica, che difende il matrimonio e la famiglia, in questo momento di collasso sociale e culturale dell’Occidente?

In gran parte, quella Chiesa si troverà in Africa, dove risiede circa il 20% dell’attuale popolazione cattolica mondiale, dove le chiese sono piene la domenica e dove i bambini vengono messi al mondo maschi e femmine, come Dio li ha creati.

Il sinodo africano ha scelto di rinunciare al tema suggerito dal Vaticano – “Allarga lo spazio della tua tenda” di Isaia – a causa dell’associazione della tenda con il caos della guerra, della fuga e dello sfollamento. La Chiesa in Africa ha invece scelto come tema La famiglia di Dio. “La famiglia”, si legge nel documento, “è una struttura importante nella promozione della Chiesa sinodale e richiede una cura pastorale che si concentri sul matrimonio e sulla famiglia e sulle loro sfide nell’Africa di oggi”.

Su invito di Papa Francesco, padre Martin parteciperà al sinodo vaticano di quest’autunno, insieme ai quattro cardinali americani che hanno contribuito con dei trafiletti affermativi a Costruire un ponte.

Mi rincuora il fatto che il sinodo ascolterà anche molte voci individuali provenienti dall’Africa, dove la famiglia rimane preziosa, la gravità delle sue sfide apprezzata e la Chiesa cattolica un segno di contraddizione.





venerdì 28 luglio 2023

Il cattolicesimo è "inadeguato"?







Roberto Reale,  24 LUGLIO 2023

C'è una vecchia distinzione filosofica sulle condizioni che sono necessarie, ma non sufficienti per rendere vero qualcosa. Si potrebbe affermare, ad esempio, che la Chiesa è un “ospedale da campo”, e quindi è necessario che Lei abbia intenzione di prendersi cura dei feriti e dei moribondi. Ma senza anche le necessarie conoscenze mediche - e in questo scenario una comprensione completa e accurata di cosa sia la battaglia, e come e perché si stanno verificando vittime - non avrai un adeguato corso di trattamento.

Questa distinzione mi è venuta in mente leggendo una recente intervista con l'Arcivescovo (prossimamente Cardinale e capo del Dicastero per la Dottrina della Fede) Víctor Manuel Fernández, al quale è stato chiesto direttamente cosa ne pensasse dell'enciclica Veritatis splendor di San Giovanni Paolo II , “ Lo splendore della verità ”. Come saprà chiunque segua le questioni cattoliche, quell'enciclica cercò con grande raffinatezza e forza di mostrare come le verità trasmesseci attraverso la ragione e la rivelazione siano alla base della libertà umana e degli atti morali. Nessuna verità solida, nessuna vera dignità umana.

La risposta dell'arcivescovo Fernández merita molta attenzione su più fronti poiché ora dirigerà l'ufficio dottrinale del Vaticano:

Veritatis splendor
è un grande documento, potentemente solido. Ovviamente denota una preoccupazione particolare: porre dei limiti. Per questo motivo non è il testo più adeguato per incoraggiare lo sviluppo della teologia . Dimmi, infatti, negli ultimi decenni, quanti teologi possiamo nominare con la statura di Rahner, Ratzinger, Congar o Von Balthasar? Nemmeno quella che chiamano “teologia della liberazione” ha teologi al livello di Gustavo Gutiérrez. Qualcosa è andato storto. [Enfasi aggiunta.]

Fatta eccezione per l'iniziale inchino superficiale a un grande papa e santo recente, il resto del suo commento è così sbagliato, ovviamente e profondamente sbagliato in modi che sarebbero evidenti a qualsiasi studente di teologia - anzi, a qualsiasi lettore competente del testo - che è difficile credere che il papa abbia nominato un uomo con una prospettiva così distorta.

In primo luogo, come sopra indicato, la preoccupazione principale di Veritatis splendor (d'ora in poi VS) non è quella di porre dei limiti – una funzione legittima, del resto – ma di mostrare la necessità della pienezza della verità per alcune cose umane cruciali. A tal fine, stabilisce dei principi. Altrimenti, come l'incoerenza del nostro materialismo culturale attualmente dominante, la Chiesa si limiterà a rivendicare la libertà e la dignità umana senza alcun fondamento per esse.

E anche prima di tuffarti in profondità nei principi filosofici, teologici e morali della VS, la visione di Fernández della storia recente della teologia è, per essere caritatevoli, "inadeguata". È proprio a causa delle inadeguatezze di VS che negli ultimi decenni non sono sorti grandi teologi?

L'implicazione è che i "limiti" fissati da VS hanno in qualche modo intimidito menti teologiche altrimenti audaci. Ma come mai? I dipartimenti di teologia nei college e nelle università cattoliche non sono esattamente noti per l'ortodossia servile, le pressioni dei pari per adottare una rigida linea papale o per soccombere alle presunte minacce di Roma. In effetti, organizzazioni come la Catholic Theological Society of America (CTSA) sono promotori affidabili dell'"accoglienza" delle persone LGBT+, dell'ordinazione delle donne e del tipo di condivisione del potere ricercato dai progressisti cattolici.

Se lo trovi difficile da credere, guarda il "tema del convegno" - Salvezza sociale - per il prossimo convegno CTSA ( qui ), che tra alcuni accenni ad alcuni concetti tradizionali si concentra più in particolare su questo:

Attualmente, una sfida efficace al peccato sociale del nostro tempo – sia esso sotto forma di razzismo, sessismo, eterosessismo, abilismo, classismo, antropocentrismo, colonialismo e così via – richiede un resoconto della salvezza sociale secondo la sollecitudine di Dio per l'ordine sociale del mondo. In questo senso, la salvezza sociale si rivolge allo sforzo umano in corso per riconoscere e resistere al peccato sociale, in altre parole, per sovvertire il male strutturale nell'interesse dell'ascesa e della visibilità del bene.

Se aveste voglia e tempo da perdere, potreste facilmente confermare che Veritatis splendor , Rottweiler di Dio (Benedetto XVI), e la Congregazione per la Dottrina della Fede hanno fatto poco per “limitare” questo genere di cose nell'ultimo mezzo secolo . Anzi, la corporazione teologica ufficiale si è limitata ad abbracciare la solita stanca litania di panacee secolari.

Il cardinale Mueller ha confermato che, mentre dirigeva la CDF, c'era un dossier sullo stesso Fernández. E sulla base del punto di vista dell'argentino sulla recente storia cattolica, non c'è da meravigliarsi.

Verità come quelle dello splendore di Veritatis hanno aiutato a sconfiggere mostri della vita reale come l'ex Unione Sovietica.

Questo è il passato. E il futuro?

Alla domanda sul suo approccio alla moralità e di Papa Francesco, Fernández ha affermato:


1) Il primato assoluto della grazia e della carità nella teologia morale cattolica.


2) La dignità inalienabile di ogni persona umana e le sue conseguenze.


3) L'opzione preferenziale per i poveri, gli ultimi e gli abbandonati dalla società.


4) Gli approcci individualistici, edonistici ed egocentrici alla vita che rendono difficile l'opzione per il matrimonio, la famiglia e il bene comune.

Ma partiremmo male se separassimo la morale dalla teologia.

C'è del buono qui, correttamente inteso, che lo stesso VS affermerebbe. Ma sappiamo che molte posizioni eterodosse e “eterodosse-adiacenti” si sono fatte strada nelle prese di posizione pubbliche della Chiesa sotto l'egida della carità e della dignità umana. E ha permesso il distruttivo cattolicesimo pubblico di figure come i Biden e i Pelosi del mondo.

Come abbiamo visto anche nella corsa al Sinodo sulla sinodalità, le applicazioni “pastorali” della carità e della dignità umana vengono spesso utilizzate per correggere le “inadeguatezze” del precedente cattolicesimo sulle persone LGBT e l'intera panoplia delle preoccupazioni progressiste.

E questo suggerisce che sentiremo molto di più nei prossimi giorni su come le precedenti formulazioni di fede e morale non siano tanto sbagliate (parola dura) quanto "inadeguate". Questo "sviluppo" teologico (usando in modo improprio St. John Henry Newman) richiede dei veri e propri capovolgimenti. Che la Fede dei secoli non è, oggi, sufficiente per noi.

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*Immagine: foto CNS/Joe Rimkus Jr./Catholic World Report






Utero in affitto reato universale, un buon primo sì




Approvato a Montecitorio il testo che qualifica come reato la maternità surrogata, anche se commesso all’estero. Ora passa al Senato. Il Ddl è raggirabile ma la sua ratio è positiva. E ricorda che gli esseri umani non sono cose.



ALLA CAMERA

EDITORIALI 

Tommaso Scandroglio, 28-07-2023

Il testo che qualifica la pratica della maternità surrogata come reato universale è passato due giorni fa alla Camera. Ora l’attende l’esame da parte del Senato. Già oggi, ex lege 40/2004, la pratica dell’utero in affitto è reato se compiuta sul suolo italiano. Se passasse la legge, qualsiasi cittadino italiano che all’estero affittasse l’utero di una donna, per portarsi a casa un bebè, potrebbe finire dietro le sbarre. Già a suo tempo avevamo commentato il testo di legge. Qui vogliamo aggiungere qualche altra riflessione.

La ratio della bozza è da giudicarsi sicuramente in modo positivo, però, come si dice, fatta la legge trovato l’inganno. Uno dei possibili raggiri al dispositivo della legge si potrebbe realizzare in questo modo. La donna che affitta l’utero potrebbe comparire agli occhi dello Stato italiano come la compagna straniera di chi in realtà e lontano dagli occhi dei giudici italiani ha affittato l’utero, compagna che è rimasta incinta a seguito di fecondazione artificiale e che avrebbe poi deciso di non riconoscere il figlio, una volta nato, perché in rotta con il (falso) compagno. Niente utero in affitto quindi, ma solo una storia di amore da cui è nato un figlio e che poi è naufragata. In tal modo il committente-falso compagno potrebbe tornare in Italia figurando legittimamente come unico genitore. Il quale unico genitore poi potrebbe trovare una “nuova” compagna (o “nuovo” compagno, se gay), la quale non sarebbe altro che la vera partner del committente maschio, pronta ad adottare il bambino. Un giochino che si può fare anche se quest’ultima fosse la moglie (il diritto non vieta di avere amanti ingravidate).

Altro escamotage valido solo per i conviventi, etero o omo che siano. La legge che verrà punisce unicamente i cittadini italiani. Basta quindi che uno dei membri della coppia sia straniero e il gioco è fatto: quest’ultimo/a si reca in un Paese dove è legale la maternità surrogata per i single oppure non è vietata per i single (seppur in quest’ultimo caso le garanzie per diventare padre o madre siano assai più fragili). Il/la finto/a single, avuto il bambino, torna in Italia con il neonato che potrà essere adottato dal vero partner (a patto che non sia il marito o la moglie) rimasto sul suolo patrio. Trucchi forse non esperibili in tutti gli Stati dove è legale o meramente tollerata la maternità surrogata, ma che in qualche nazione un po’ più permissiva possono dare i loro frutti. Insomma, con un po’ di impegno è possibile farla franca.

Nessuna legge è perfetta, soprattutto sul piano dell’efficacia, ossia sul piano della produzione concreta degli effetti previsti dal testo di legge. Ciò detto, questo Ddl da una parte restringe di molto il raggio d’azione di chi voleva diventare genitore affittando la cavità uterina delle donne all’estero e, su altro fronte, lancia un messaggio chiaro di carattere antropologico: le persone non sono cose. Non lo è innanzitutto il nascituro, nemmeno quando – caso più teorico che reale – il bambino fosse donato e non venduto. Perché i bambini non si vendono né si regalano. I bambini non sono pacchi, nemmeno pacchi-dono.

Nella maternità surrogata il bambino è un prodotto che, prima del processo di filiazione per conto terzi, può essere selezionato in base alle caratteristiche somatiche e caratteriali, scegliendo la donna che venderà l’ovocita; può essere eliminato con l’aborto se è difettoso; può essere sostituito entro due anni dalla nascita se muore; può essere ritirato in deposito se i committenti tardano a recuperarlo causa guerre, epidemie o per problemi di lavoro.

Non è una cosa la donna che affitta le sue viscere, spesso spinta dalla disperazione. Perché la donna gestante diviene un oggetto quando le si attacca un transponder per sapere dove si trova, quando le si impone un certo regime alimentare e un certo stile di vita, vietandole addirittura di avere rapporti sessuali durante la gravidanza, quando non le viene permesso di sapere alcunché sul bambino che porta in grembo. È una cosa che, in alcuni contratti, deve essere mantenuta in vita qualora fosse in coma fino a quando il bimbo non vedrà la luce (cosa assai giusta), per poi staccarle la spina perché non più utile (cosa assai ingiusta).

Sono cose anche gli stessi committenti che, scegliendo di pagare per diventare genitori, non potranno mai diventarlo, perché scadranno al rango di acquirenti, degradando la paternità e la maternità, nonché la stessa filiazione, ad un affare economico, con contratti, terze parti gestanti, intermediari e avvocati.

Il Ddl che è passato mercoledì alla Camera ricorda a ciascuno di noi tutto questo. E non è poco.






Il previsto fallimento del motu proprio Traditionis custodes: riflessioni nel suo secondo anniversario




La lettera numero 948 pubblicata da Paix Liturgique il 24 luglio 2023 fa il bilancio – positivo, rispetto ai timori per l'applicazione – del motu proprio Traditionis custodes a due anni dalla sua pubblicazione. Riprendo si seguito, in forma narrativa, nella nostra traduzione, il testo dell'intervista ad un amico legato alla Tradizione.
Ma siamo davvero sicuri che TC sia fallito? In molte diocesi in cui soprattutto i sacerdoti non hanno opposto resistenza, la Messa tradizionale, di fatto, non c'è più. In diverse diocesi statunitensi, ad esempio, scadrà nel 2024 il termine del prolungamento di due anni a suo tempo concesso da diversi vescovi, con l'intento di assuefare i fedeli al NO. Il fallimento – nel senso che il documento è stato reso inefficace, ammesso che il Vaticano non intervenga – riguarda alcune sacche di ferma resistenza di sacerdoti e fedeli. Il dato positivo è che lo scalpore suscitato da un provvedimento così drastico e insolitamente duro, ma soprattutto discriminante in un contesto di inclusione ad oltranza, ha favorito un più diffuso interesse o anche curiosità nei confronti della messa antica non conosciuta dai più, specialmente dalle nuove generazioni; il che alla fine, in diversi casi, si è inaspettatamente tradotto in convinta frequentazione... Resta solo da continuare a resistere, pregare e sperare. Qui l'indice degli articoli su
Traditionis custodes e successive restrizioni.






27 luglio 2023

In occasione del secondo anniversario dell’iniquo motu proprio Traditionis custodes, pubblicato il 18 luglio 2021, Paix Liturgique ha intervistato un vecchio conoscente: Louis Renaudin, ritenendo che le sue riflessioni ci aiutino a guardare a giorni migliori.


Louis Renaudin parla subito del fallimento del motu proprio Traditionis custodes sotto diversi aspetti. Ma innanzitutto sottolinea il vizio di fondo di questa impresa: com'è potuto accadere che coloro che l’hanno lanciata con la motivazione di «promuovere la concordia e l'unità nella Chiesa» abbiano deliberatamente riacceso la guerra civile che il motu proprio Summorum Pontificum aveva parzialmente spento?
Nel testo stesso del motu proprio Traditionis custodes (e nella lettera che lo accompagna), papa Francesco afferma che, per giustificare la sua decisione, si basa sui risultati del sondaggio [qui - qui] condotto nel 2020 tra i Vescovi della Chiesa latina, il cui scopo era quello di verificare la loro valutazione degli effetti nelle rispettive Diocesi del motu proprio Summorum Pontificum promulgato da Papa Benedetto XVI nel 2007 (1). Ora, i risultati di questo sondaggio sono l’opposto di quello che dicono.

Lo abbiamo appreso dal fatto che il sondaggio dei Vescovi del mondo è stato oggetto di una sintesi, il cui contenuto è stato ampiamente divulgato. Lungi dall’essere negativa sull’applicazione del motu proprio Summorum Pontificum, questa sintesi era ampiamente positiva. In particolare, sottolineava la pacificazione e l'arricchimento che questa decisione aveva apportato. I Vescovi pakistani, ad esempio, si sono rammaricati che il motu proprio Summorum Pontificum non sia stato applicato nelle loro Diocesi. In realtà, le critiche sono state poche rispetto al gran numero di risposte. [qui - qui - qui]


Ci si chiede dunque come abbia fatto papa Francesco a basarsi su questo sondaggio per promulgare il motu proprio Traditionis custodes. Al che sarebbe azzardato dire che egli non abbia preso atto di questa sintesi perché, soprattutto in questo campo, ama vedere tutto di persona. Ma non si può ignorare che all’epoca circolavano diversi documenti presentati come sintesi nazionali, in gran parte negative al contrario, insistendo sul fatto che l’applicazione del motu proprio Summorum Pontificum rischiava addirittura di minare l’unità della Chiesa. In breve, ci fu una guerra di sintesi. È una procedura convenzionale.

Ad esempio, nelle lettere 780 e 782, Paix Liturgique riferiva di una sintesi, presentata come quella della Conferenza episcopale francese, che non era altro che spazzatura caricaturale e fuorviante. Per maggiori dettagli, su questo tentativo di manipolazione (vedi qui e qui).


In definitiva la decisione papale si basava su una valutazione falsificata della situazione. Ufficialmente falsificata, ma in realtà molto nota.
Le autorità romane che discutevano di questo argomento (la Segreteria di Stato, la Congregazione per i Vescovi, all’epoca presieduta dal card. Marc Armand Ouellet P.S.S., e la Congregazione per il Clero, all’epoca presieduta del card. Beniamino Stella) erano ben consapevoli del progresso della liturgia tradizionale e ritenevano che fosse necessario fermarla finché si era in tempo. Per loro, la Santa Messa tradizionale stava mettendo in pericolo lo spirito del Concilio Vaticano II. E il testo del motu proprio Traditionis custodes è ben chiaro a questo proposito (1): l’applicazione e la sopravvivenza del motu proprio Summorum Pontificum stava quindi mettendo in pericolo l’unità della Chiesa, con gruppi che si allontanavano pericolosamente da questa unità nello spirito del Concilio Vaticano II.
Ma ditemi, dove sono questi gruppi? Di chi sta parlando papa Francesco? Degli Americani, a quanto pare, fedeli e Vescovi che sono molto «restauratori» e che sono stati stimolati dal motu proprio Summorum Pontificum. Papa Francesco era solito ricevere sulla sua scrivania foto di celebrazioni tradizionali di Vescovi americani, che lo facevano infuriare.
Mons. Michel Christian Alain Aupetit, allora Arcivescovo metropolita di Parigi, che non poteva essere considerato un amico della tradizione, disse ai fedeli della Église Notre-Dame-du-Travail di Parigi, che lo avevano incontrato nella Parrocchia di Saint-Dominique nel XIV arrondissement, a proposito di questa accusa di essere considerati un pericolo per l’unità: «Tutto questo non è per voi, ma è stato scritto per gli Americani…».

Ci si chiede se non sia stata presa di mira anche la Fraternità sacerdotale San Pio X, senza dubbio radicalmente critica nei confronti del Concilio Vaticano II. Da questo punto di vista dobbiamo riconoscerne la coerenza e la costanza, mentre le comunità ex Ecclesia Dei sono sostanzialmente intrappolate a questo riguardo dalla loro istituzionalizzazione. Ma la Fraternità sacerdotale San Pio X non sembra presa di mira dal motu proprio Traditionis custodes, perché a Roma è considerata «esterna».
Ciò a cui mira il motu proprio Traditionis custodes e stigmatizzano i documenti successivi è la diffusione «interna» della liturgia tradizionale, nelle Parrocchie ordinarie e nelle Diocesi. La cosa peggiore per i nemici della pace liturgica è il crescente successo della celebrazione della liturgia tradizionale in tutto il mondo, con un ampio sostegno episcopale in alcuni luoghi, come l’America. Hanno dovuto costruire una diga contro la marea montante.


Una marea che l’associazione Paix Liturgique ha rilevato nella sua rassegna annuale della liturgia di transizione nel mondo, come espresso nella lettera 732 del 5 febbraio 2020 (qui), che faceva il punto sulla crescita della Santa Messa tradizionale nel mondo. Il motu proprio Traditions custodes è stato promulgato per paura di veder crescere l’ondata tradizionalista, non solo in Francia o negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo, e anche nel timore di veder spezzata «l’unità della Chiesa», che per i responsabili di Roma può essere raggiunta solo mediante la nuova liturgia e ciò che essa rappresenta.

Il che significa che lo spirito del motu proprio Summorum Pontificum era in piena realizzazione e che, per i nemici della Tradizione, il tempo stava per scadere: bisognava prendere urgentemente misure severe e drastiche per fermare quello che vedevano come un contagio dell’usus antiquior.


Questo spiegherebbe il fallimento del motu proprio Traditionis custodes e di tutti i testi successivi perché era troppo tardi, perché la Santa Messa tradizionale si era ormai affermata. Anzi, era già troppo tardi sotto San Paolo VI, quando infuriava la grande persecuzione, perché la Santa Messa tradizionale, che rappresenta la purissima dottrina di Roma, non poteva morire. I processi ai sacerdoti perseguitati per la Messa che celebravano sono stati il seme della sua diffusione.
Alla fine, quindi, la realtà prevarrà e renderà inefficace una decisione basata su una valutazione radicalmente errata: la liturgia tradizionale non è un elemento di divisione nella Chiesa, ma al contrario un lievito di pace e di comunione. È come se un padrone accusasse il suo bravo cane da guardia, che protegge la casa del padrone e i suoi beni più preziosi, di essere un cane rabbioso. È il carattere di questo padrone pazzo che la gestione di papa Francesco e di molti Vescovi sta ora mettendo in campo con il motu proprio Traditionis custodes.

Si parla di molti Vescovi, trattandosi soprattutto di quelli che nel corso degli anni avevano stabilito ottime relazioni ecclesiali con le loro comunità tradizionali, e che ora si trovano costretti ad accusarle di qualcosa che non sono… anche se di fatto non tutti i Vescovi hanno avuto buoni rapporti con la Tradizione. Ma anche questi Vescovi ostili sanno che i loro fedeli tradizionalisti esistono, che stanno crescendo, che hanno aperto scuole, creato un apostolato giovanile, attirando sempre più giovani – mentre i fedeli «classici» che sono gli ultimi a partecipare alla Messa nelle Parrocchie si stanno estinguendo – e che quindi non è facile sradicarli…


Prendiamo l’esempio dell’Arcidiocesi di Parigi: a mons. Michel Christian Alain Aupetit è stato abbastanza facile eliminare due Sante Messe tradizionali parrocchiali domenicali celebrate nei quartieri popolari, dove sapeva di non rischiare di suscitare troppo clamore, ma si è guardato bene dal toccare le grandi comunità dove non poteva fare nulla senza suscitare scalpore.


Egli comunque è riuscito ad abolire le Sante Messe feriali per cui il rischio per lui era minore. Il caso della soppressione della Santa Messa tradizionale degli studenti a Saint-Francois-Xavier è più interessante perché, alla fine, mons. Laurent Bernard Marie Ulrich fu costretto a revocare parzialmente questa decisione assurda (Messa nello spazio più piccolo della Chapelle Notte Dame du Lys) per paura del clamore che questa misura aveva suscitato… Ricordiamo i Rosari che radunarono centinaia di studenti a Saint-Francois-Xavier per diverse settimane…

Di fatto anche i Vescovi non hanno fatto il gioco del motu proprio Traditionis custodes. Per alcuni nel farlo si è creato un altro problema. Molti lo hanno fatto solo a metà. E la maggioranza non ha cambiato nulla. Bisogna dire che le comunità dei Vescovi stanno scomparendo; essi non hanno più le truppe per opporsi all’onda della tradizione e semplicemente non hanno più i mezzi, né in termini di materiale umano né organizzativo, con in più il timore di essere accusati di autoritarismo e clericalismo dai media «classici» (si vedano gli articoli di Jean-Marie Guénois sul quotidiano Le Figaro) e sui social network.


Quanto ai sacerdoti diocesani bisogna continuare a ripeterlo: essi sono le principali vittime del motu proprio Traditionis custodes, e nel contesto di questa analisi ciò è abbastanza normale perché sono quelli particolarmente bersagliati dalla paura di un contagio diffuso. È quindi logico che siano loro i destinatari delle misure più vessatorie, mentre i sacerdoti della Fraternità sacerdotale San Pio X, «esterni», non lo sono, e i sacerdoti delle comunità ex Ecclesia Dei, situati in una zona intermedia, nel limbo, non lo sono affatto. Roma e i Vescovi preferiscono tenere i sostenitori della Santa Messa tradizionale nei ghetti, piuttosto che vederli «inquinare» la Chiesa…
Ma potete stare certi che i giovani sacerdoti diocesani vittime di questo andazzo e che hanno felicemente approfittato delle aperture offerte da Papa Benedetto XVI non capiscono né approvano il significato del motu proprio Traditionis custodes e stanno imparando a resistere come i loro predecessori di mezzo secolo fa, a lasciarsi scivolare le cose alle spalle, a lasciar passare la tempesta e ad aspettare giorni migliori, che non mancheranno di arrivare. In Francia, dopo il covid, il rapporto della Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa, il motu proprio Traditionis custodes, mai l’autorità dei Vescovi è stata così svalutata dal loro buon clero, che li vede non più padri ma servili ripetitori di decisioni ostili.

C’è anche una ragione molto più importante per il fallimento di Traditionis custodes. Si tratta del ruolo che i laici stanno svolgendo e svolgeranno in questa vicenda, come fin dalla promulgazione della Nuova Messa. Il paradosso è che è stato il Concilio Vaticano II a dichiarare che i laici sono la forza trainante della Chiesa [esiste il sensus fidelium -ndT]. Ebbene, sì, lo sono, ma non nel modo in cui avrebbero voluto i Padri più progressisti del Vaticano II, che pensavano a cattolici laici impegnati e clericalizzati.
Erano convinti che questi laici sarebbero diventati la punta di diamante delle innovazioni più selvagge, mentre temevano che una buona parte del clero sarebbe stata più difficile da manipolare.
I chierici, molto segnati da un conformismo corporativo, distaccato dalla realtà, si sono in gran parte immersi nella nebbia delle novità; quanto ai laici «impegnati», sono gradualmente scomparsi nel nulla; sono rimasti quelli che hanno continuato ad andare a Messa la domenica e che si sono dimostrati padri e madri prudenti. Nel senso di «buoni padri», come dicono gli avvocati, per descrivere coloro che conservano e amministrano con prudenza i loro beni. Si tratta di quei padri e quelle madri che si sono preoccupati di trasmettere la loro fede ai figli, che li vogliono nutrire con cose buone e non con veleno o cibo contaminato. Sono stati questi bravi padri e madri a dare per primi l’allarme sugli eccessi ecclesiastici e teologici che non capivano e non capiscono tuttora, a cercare buoni Catechismi e buone Messe.

Lo si spiega come appena detto, perché hanno la responsabilità di famiglie da proteggere, ma anche perché essi vivono nel mondo reale e non in quello virtuale dei chierici dal linguaggio conformista. Vivere nel mondo reale significa essere obbligati a capire le cose e le situazioni, e ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni.


Tutto ciò è sorto da un’opinione cattolica «conservatrice» nel senso migliore del termine. Paix Liturgique ha citato più volte nelle sue lettere gli incredibili risultati dei sondaggi pubblicati nel 1976 dal quotidiano Le Progrès, il giornale di Lione (lettere 698, 699 e 701) che mostrano la prima prova certa di ciò che pensavano realmente i laici cattolici francesi in quel momento terribile in cui lo spirito del Concilio Vaticano II era dilagante.


Ecco alcuni dati del sondaggio: il 52 per cento dei Cattolici praticanti si è detto «preoccupato»; il 48 per cento dei Cattolici praticanti pensava (nel 1976!!!) che la Chiesa si fosse spinta troppo oltre nelle sue riforme – cosa penserebbero oggi!!! –, il 42 per cento dei Cattolici praticanti pensava che le riforme avessero avuto l’effetto di allontanare la Chiesa dalla sua dottrina originaria; e infine, al culmine del caso Lefebvre (ricordiamo che siamo nel 1976), il 26 per cento dei Cattolici praticanti approvava le posizioni di mons. Marcel François Lefebvre sull’applicazione delle decisioni del Concilio Vaticano II… La cosa straordinaria era l’autismo della Chiesa di Francia, che non cercava di capire e continuava a distruggere e sradicare.

È davvero impressionante! E le chiese si sono svuotate dal 1965 in poi. Masse di laici hanno smesso di praticare e di seguire i loro Parroci, perché si sentivano trascinati da un vento di follia. Inoltre, nel grande vento di «libertà religiosa» che soffiava da Roma, i figli dei praticanti smisero di praticare e a loro volta diedero vita a non praticanti. È così che siamo passati dalla maggioranza della popolazione francese praticante prima del Concilio Vaticano II a meno del 2 per cento di oggi.


Si tratta di una valutazione del fallimento… Come tutti i sociologi della religione, che osservano, con molto compiacimento, che la religione è morta in Francia. Allo stesso tempo, i sondaggi commissionati dall’associazione Paix Liturgique tra il 2000 e il 2019 in Francia e nel mondo hanno sempre dimostrato che la maggioranza dei fedeli cattolici rimasti nella chiesa non condivide le idee della rivoluzione clericale e, per dirla in poche parole, diffida dei preti.

Diffida. Infatti i Vescovi sono stati svalutati nella mente dei loro giovani chierici, ma lo stesso vale per i chierici che sono svalutati nella mente dei laici che vogliono conservare la fede. Questi chierici devono capire che i laici di oggi diffidano di orientamenti incomprensibili e talvolta blasfemi e che, d’ora in poi, prima di seguire i venti di follia che soffiano nella Chiesa da mezzo secolo, vogliono capire. Tutte le sciocchezze che si dicono oggi sulla sinodalità a cui la Chiesa si è impegnata non aiutano! [vedi]


Altre indicazioni su questa situazione: oltre al calo della pratica religiosa, c'è il vertiginoso calo della partecipazione finanziaria dei laici alla vita della Chiesa. Niente più culto (buono), niente più contributo volontario dei fedeli per la Chiesa…


È per questo che molti di loro si avvicinano alle cappelle tradizionali. Le famiglie con bambini vogliono dare loro il meglio, non il dubbio, l’incomprensibile o il cattivo. Inoltre, queste cappelle sono cresciute notevolmente dopo il covid, quando, per ordine dei Vescovi, le Parrocchie ordinarie non fornivano più il culto e i sacramenti.

Si potrebbe pensare che in generale, non vogliano obbedire alle nuove regole ma la situazione è più complessa: prima di tutto, vogliono capire cosa significano veramente queste novità prima di aderirvi, e se non ritengono che esse siano buone, non le seguiranno né con i piedi né… con il portafoglio!
Si deve essere coerenti! Non si può pretendere che i laici riflettano, che li si consideri protagonisti della Chiesa di domani, e poi costringerli a sottomettersi a ogni legge iniqua.


Strana situazione… in cui, secondo i principi della sinodalità, tutti i laici hanno gli stessi diritti dei chierici, che ormai non esercitano altro che una semplice «diaconia», ma allo stesso tempo non possono avere opinioni diverse da quelle degli apparatčiki [burocrati sovietici assoggettati al partito - ndT.], il tutto in un sistema sempre più centralizzato. In teoria, le pratiche sinodali dovrebbero permettere ai laici di esprimersi, ma sappiamo per esperienza che i sistemi sinodali, dal Concilio Vaticano II in poi, sono stati quasi esclusivamente sistemi di manipolazione dei gruppi. Insomma, siamo sempre più favorevoli a dare importanza ai laici… alla sola condizione che questi siano d’accordo con i commissari dei soviet!
Ma la realtà ci raggiungerà, soprattutto perché è la realtà della Chiesa, che ha parole di vita eterna. I Vescovi «buoni» non resteranno sempre in silenzio e verranno in aiuto delle pecore senza pastori, sacerdoti e laici, che custodiscono il Catechismo e la Santa Messa cattolica.

Per tornare al motu proprio Traditionis custodes… «Quale padre tra voi, se il figlio […] gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe?» chiede Cristo (Lc 11, 11). Il Papa di ieri ha dato loro il pane che chiedevano. Aspetteranno pazientemente che il Papa di domani dia loro il pane, e non come un’elemosina, ma come ciò a cui hanno diritto in tutta libertà come figli di Dio. Nel frattempo, pregano, aspettano e fanno tutto il possibile per aiutare i sacerdoti, i religiosi e le religiose che soffrono.


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(1) «Intendo accompagnare il motu proprio Traditionis custodes con una lettera, per illustrare i motivi che mi hanno spinto a questa decisione […] A distanza di tredici anni ho incaricato la Congregazione per la Dottrina della Fede di inviarVi un questionario sull’applicazione del motu proprio Summorum Pontificum. Le risposte pervenute hanno rivelato una situazione che mi addolora e mi preoccupa, confermandomi nella necessità di intervenire» (lettera ai Vescovi di tutto il mondo per presentare il motu proprio «Traditionis custodes» sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma del 1970).


[Redazione e traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]





giovedì 27 luglio 2023

La Dhimmitudine come sottomissione all’Islam: un tributo in cambio di “protezione”




Un articolo di Silvana De mari, che spiega alcune cose sull'Islam, cose che tutti dovremmo sapere, ma o non le ricordiamo o non vogliamo tenerne conto; finché non andremo a sbatterci la testa

 
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Silvana De Mari

Come per prima ha spiegato la scrittrice di origine egiziana Bat Ye’Or nei suoi libri Eurabia e Dhimmitudine, con il termine Dhimmitudine si intende la situazione di sottomissione all’Islam, dove i sottomessi pagano un tributo, pizu, in cambio di “protezione” cioè clemenza. Nella Sicilia che è stata araba continua la tradizione della mafia, dove il sottomesso paga il pizzo in cambio di protezione, cioè di clemenza. Il jihad o guerra santa si basa su uno schema preciso e intoccabile, che divide il mondo in tre parti:

Il dar al islam o territorio dell’islam: il luogo dove l’islam regna, dove l’umanità ha accettato il suo ruolo di sottomessa. Una volta che una terra è dar al islam lo è per sempre. È chiaro? No? Chiariamo. La terra di Israele è stata occupata dall’Islam, quindi quando gli ebrei se la sono ripresa, sono stati considerati invasori. La stessa cosa vale per la Sicilia, per la Spagna, per parte del Portogallo e per Roma che, in quanto città santa dell’islam è dar al islam anche lei.

Il dar al harb o terra di guerra è la parte del mondo popolata degli infedeli. La terra degli infedeli è il luogo nella quale la guerra è obbligatoria finché essi rifiuteranno di riconoscere la sovranità islamica. Questo siamo noi.

Il dar al suhul è il nome delle regioni dove agli infedeli è concesso di vivere, purché paghino un tributo in denaro e in sottomissione, cioè accettino di essere Dhimmi e paghino il puzu. La superiorità dell’islam deve essere riconosciuta. ottengono, in cambio del pagamento, del tributo. Il tributo può essere costituito solo da denaro ma può anche essere costituito da figli. In Albania alle famiglie cristiane venivano sottratti i bambini più forti per trasformarli in giannizzeri. I giannizzeri erano soldati schiavi, come i mamelucchi in Egitto, sottratti bambini a famiglie cristiane, venivano addestrati in condizioni durissime. Quelli che sopravvivevano diventavano soldati disperati. Non potevano sposarsi, non potevano avere figli, nel caso fossero stati presi prigionieri nessuno avrebbe pagato un riscatto per loro. Erano carne da macello. 

La cessazione delle ostilità è sempre da considerarsi provvisoria e deve essere immediatamente revocata non appena si abbia l’impressione o compaia il pericolo che questa popolazione possa opporsi in qualche maniera all’islam. Agli Armeni era concesso vivere, visto che pagavano un tributo: le loro tasse erano il doppio di quelle di un turco di pari reddito. Non appena la I guerra mondiale ha fatto presagire la possibilità che truppe cristiane arrivassero a liberare gli Armeni dal giogo, la tolleranza alla sopravvivenza armena è stata revocata. Lo stesso vale per i Cristiani massacrati in Iraq: la presenza angloamericana e quindi cristiana rende la loro posizione problematica, non era più legalmente possibile chiedere un tributo maggiore e quindi è cominciato la mattanza. (Il fatto che nessuna delle vittime, Armeni in Turchia, Cristiani in Iraq si fosse anche solo sognato di brandire un’arma, anche solo di possedere un arma, non dico sparare un missile qassam, non ha avuto nessuna importanza). 

Chiunque si opponga all’espansione dell’Islam merita la guerra fino alla morte. Sua. Ovviamente. Il Jihad è il primo (anche il secondo, il terzo e il quarto) dovere di ogni islamico ed è una guerra permanente che può arrestarsi solo con la conquista del mondo: ne consegue che a un musulmano sono concessi con il mondo infedele solo trattati di tregua, non di pace. Una tregua può essere dovuta solo a un fattore: i musulmani sono in stato di inferiorità e necessitano di tempo per riorganizzare le proprie fila. Hamas, come l’Olp sono disposti ad accordarsi su tregue, mai sulla pace. Tutto il mondo è terra dell’Islam. Dio non permetterà agli increduli di prevalere sui credenti (Corano IV 141), da cui si evince il hadìth, cioè verità racchiusa in un detto L’Islam domina e non è dominato

Il 20 dicembre 1999 il tribunale della Sharia del Regno Unito ha emanato una Fatwa che proibiva ai musulmani di partecipare alle celebrazioni natalizie e per Capodanno. “È proibito ai credenti imitare i non musulmani (Noi, i non musulmani, siamo chiamati Kuffar, che non è un complimento, tipo i babbani di Harry Potter) nelle loro celebrazioni rituali o religiose, come la solennità del Natale o altre feste del calendario cristiano. Esistono numerose tradizioni attribuite al profeta Maometto che vietano ai musulmani di imitare i miscredenti”. I sindaci di sinistra si sono precipitati a vietare i presepi, mentre a tutta la burocrazia inglese e francese, oltre che ovviamente belga, è vietato l’uso delle parole "buon Natale", bisogna dire "buone feste". 

L’Islam non si adatta a nulla. Se si adattasse, se si integrasse tradirebbe il volere di Allah e la parola del Profeta. L’Islam non si integra mai. È il mondo non islamico che deve integrarsi. L’Islam è aggressione al mondo non islamico, per sua stessa ammissione. I Paesi europei si sono impegnati in una serie di concessioni, le quali hanno garantito loro una discreta pace. Questo impasto di avidità e paura con la sua infinita serie di cedimenti prende il nome ben preciso di Dhimmitudine. Ci parlano di rabbia delle periferie francesi. Per quale incredibile motivo questa rabbia non coinvolge gli induisti? Qual è il livello di concessioni che bisogna fare perché la rabbia si cheti? C’è una sola concessione da fare: riconoscere la superiorità giuridica dell’Islam.

La rabbia delle periferie ha quindi due origini. La prima l’ho appena spiegata: un islamico può vivere serenamente solo in una nazione dove la superiorità giuridica dell’Islam sia riconosciuta. Seconda origine invece nasce dalla percezione della superiorità culturale di cristianesimo ed ebraismo. Nella Francia in fiamme sono bruciate le biblioteche. L’odio per la parola, l’odio per la filologia, l’odio per la scienza comincia con il rogo della biblioteca di Alessandria, l’unico libro che vale è il Corano, gli altri sono inutili, quindi dannosi, le narrazioni sono menzogna quindi da vietare. Continua con il divieto della stampa. Quando Gutenberg inventò la stampa, in Europa il costo dei libri crollò e il loro numero si moltiplicò, creando la base dell’ingresso del libro in ogni casa. La stampa fu vietata nel mondo islamico, in quanto l’unico libro che vale qualcosa è il Corano. Fu poi introdotta in Egitto dalle truppe napoleoniche, in Medio Oriente dall’impero Britannico, in Turchia alla fine dell’800, ma ormai il danno era incalcolabile, il divario tra cristianità e islam, tra filologia e mancanza di filologia era incolmabile. La stampa fu vietata in terra islamica agli islamici, ma non ai non islamici. Ebrei e Cristiani poterono usarla, quindi vale per gli Armeni la stessa regola che vale per i Copti e, benché minoranza e quindi dhimmi sono più colti, quindi più ricchi. Tutto qui. Stesso discorso vale per gli ebrei: gli analfabeti non guadagnano denaro, gli alfabetizzati sì. Un analfabeta non è in grado nemmeno di usare i numeri, di calcolare che se risparmia 500 euro al mese in venti mesi può comprare un campo da 10000. Un analfabeta non è in grado di prendere un prestito in una banca. Questa è una delle cause dell’odio per gli Armeni, già cancellati, e cristiani Copti che resistono, oltre che per gli Ebrei che dal 1967 non esistono più in nessuna nazione islamica. 

Una delle teorie più in voga, soprattutto tra i cosiddetti "progressisti", parola di origine etimologica ignota visto che si tratta di gente che il progresso lo odia, è che i musulmani siano arretrati e “quindi” arrabbiati perché a loro sono toccate le terre più arretrate e quando finalmente hanno messo le mani su terre migliori (Spagna e Sicilia) ne sono stati cacciati dalla “cattiveria” europea. Le terre su cui i musulmani hanno messo le mani, Egitto, Libia, Marocco, Giordania (città carovaniera di Petra, siti romani tanto per dirne qualcuna), Impero Romano d’oriente, Costantinopoli, Mesopotamia, Impero persiano, fiorentissima civiltà hazara in Afghanistan, Siria con Damasco, erano fiorenti al punto tale da essere le più ricche della loro epoca, e dopo che i musulmani ci sono arrivati, tempo qualche secolo, sono diventate miserabili. 

Il Bangladesh è una delle culle dell’induismo. Era una delle culle dell’induismo. Diventato islamico con una spaventosa pulizia etnica che ha messo in fuga 10 milioni di induisti negli anni 70. Non è buffo che la maggioranza delle persone non ne abbia mai sentito parlare? La polizia francese, così eroica quando si trattava di manganellate in faccia gli attivisti della "Manif pour tous" ed i Gilet gialli, adesso sembra in una situazione di virginale timidezza. È ovviamente paralizzata dal terrore di poter fare un altro danno a uno degli appartenenti all’ Islam. Questa virginale timidezza ci spiega che siamo già stati conquistati.





dal blog di Marco Tosatti (06/07/2023)




L’aborto e la questione del sesso. L’elefante nella stanza che nessuno vuol vedere





27 LUG 2023


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by Aldo Maria Valli



di Christopher Wolfe

Il dibattito pubblico – se così si può chiamare – sull’aborto ha raggiunto livelli di isterismo dopo il ribaltamento della sentenza Roe contro Wade l’anno scorso da parte della Corte Suprema, ed è diventato centrale nella politica nazionale americana, soprattutto a sinistra. Ma il dibattito si ferma sempre a un certo punto. Qui intendo esaminare come procede la discussione e mostrare dove si ferma, proprio là dove invece dovrebbero emergere le ipotesi di fondo. Tutto ciò rivelerà l’arduo compito a cui è atteso il movimento pro-life, nel tentativo di cambiare la cultura.

Gli argomenti riguardanti l’aborto sono familiari a tutti noi. Da “giù le mani dal mio corpo” a “no, è un corpo autonomo”, passando per “il feto è troppo dipendente per essere separato”, “il feto non è davvero una persona” e “il feto ha il suo DNA e il suo sviluppo”, e così via.



Alcuni sostenitori pro-choice arrivano a dire che l’embrione o il feto è un parassita o un aggressore ingiusto contro la madre, al che i sostenitori pro-life chiedono: “Beh, come ha fatto l’embrione, o il feto, ad arrivare lì, nell’utero della madre?”. La risposta di solito è “contraccezione fallita” e l’affermazione che, anche se una persona sa che concepire un bambino è possibile, una donna non deve accettare ciò che non voleva.



A un certo punto, il sostenitore pro-vita può chiedere: “Se non vuoi trovarti nella posizione di dover interrompere la gravidanza, perché non hai semplicemente evitato di fare sesso?”.

Ed ecco che il silenzio riempie la stanza, forse a causa dell’incredulità suscitata dal fatto che qualcuno oggi possa sollevare un’obiezione così strana e persino oltraggiosa. Un silenzio che potrebbe essere rapidamente seguito da scherno e derisione. Non fare sesso? Senza l’aborto come alternativa a una contraccezione fallita, il “prezzo” del sesso sale alle stelle: è il prezzo della possibilità di avere un figlio.



Oggi per l’americano tipo l’idea che si debba fare sesso solo se si è disposti ad accettare un bambino che ne derivi (nonostante gli sforzi per evitarlo) suona semplicemente strampalata. Ma perché?

La risposta è che la gente pensa che il sesso sia davvero fantastico (può esserlo, in effetti), qualcosa che regala una sensazione molto bella. La gente pensa che il sesso favorisca quell’intimità interpersonale, di lunga o breve durata, che gli esseri umani desiderano fortemente. Un bisogno umano fondamentale, si dice, imperativo e quasi universale. Dunque, negare alle persone la possibilità di avere rapporti sessuali sulla base del fatto che dal sesso potrebbe nascere un essere umano allo stadio iniziale significherebbe imporre pastoie distruttive del benessere e della felicità umana.



Ma non è necessariamente così: in passato, molti milioni di esseri umani in passato hanno limitato il sesso al matrimonio e sono stati abbastanza felici. Non è che forse abbiamo costruito una società – profondamente contraccettiva – in cui le persone pensano che sia impossibile essere felici senza un pronto accesso al sesso?

Stando così le cose, la scelta è tra a) permettere l’aborto come soluzione al fallimento della contraccezione, per proteggere il diritto delle persone a fare sesso quando lo desiderano, e b) proibire l’aborto, per proteggere la vita umana allo stadio iniziale. Una scelta, quest’ultima, che equivarrebbe a confinare il sesso a situazioni in cui siamo disposti ad accettare il bambino che potrebbe nascere.

Ma questa seconda scelta appare sbagliata e assolutamente impensabile per molti (credo la maggior parte) degli americani di oggi, perché sono profondamente convinti che il sesso sia qualcosa di cui la maggior parte degli esseri umani non può fare a meno.



Ci vorrebbe una lunga discussione per esaminare i pro e i contro di questa visione. Per ora, vorrei solo porre tre domande.

In primo luogo, se il sesso è un bisogno imperativo – piuttosto che un atto libero di auto-donazione alla persona amata – che cosa dice dell’umanità del sesso? È davvero un atto umano libero o è fondamentalmente un atto istintivo, un bisogno, qualcosa che “bisogna avere”?

Se la risposta alla prima domanda è che il sesso è qualcosa che si deve avere e non qualcosa di cui si può fare a meno, nasce una seconda domanda: la nostra società non ha forse, in modo molto profondo, banalizzato il sesso? Shakespeare, Donne o altri poeti avrebbero potuto scrivere bei sonetti sull’amore sessuale per esprimere l’idea che il sesso è qualcosa che devo semplicemente avere? Se fare sesso è fondamentalmente una risposta inevitabile a un impulso biopsicologico irresistibile, quanto seriamente una persona può prendere l’invito al sesso come un segno sicuro di amore reale e impegnato?



Premarital Sex in America. How Young Americans Meet, Mate, and Think about Marrying
(Il sesso prematrimoniale in America. Come i giovani americani si incontrano, si accoppiano e pensano di sposarsi), il più importante studio sociologico sull’argomento condotto da Mark Regnerus e Jeremy Uecker, sottolinea che il sesso prematrimoniale lascia molte donne danneggiate e infelici. Quante donne hanno pensato che il sesso fosse una tappa sulla strada verso un amore duraturo e impegnato, quando invece si è rivelato solo un pit stop per il divertimento e il piacere? Anni fa, ho letto un libro (scritto da un accademico completamente pro choice) che descriveva l’atteggiamento verso il sesso dei sostenitori della scelta in questo modo: “Il sesso è come la pallavolo, solo che è più divertente”. L’idea è che il sesso sia uno svago piacevole, anche se alcune persone possono, ovviamente, scegliere di investirlo di un significato maggiore, se lo desiderano. Ma nell’atto sessuale non ci sarebbe un significato profondo al di là del semplice bisogno. Il sesso non è un “sacramento” dell’amore: qualcosa che rappresenta l’amore impegnato e lo rende presente.

La terza domanda è la seguente: se si dice che il sesso è davvero un impulso irresistibile, e che l’aborto è necessario per rendere possibile l’esercizio di tale impulso, non dovremmo chiederci se l’argomentazione secondo cui “un embrione o un feto non è umano” non sia semplicemente una razionalizzazione? Il suo scopo è quello di rendere più facile ciò che deve essere fatto, cioè eliminare gli ostacoli dal percorso del sesso, come le remore di coscienza che nascono se si ritiene che l’embrione o il feto siano davvero esseri umani.



Abbiamo un chiaro esempio storico di questo tipo di argomentazione. All’inizio della nostra nazione americana, la maggior parte dei fondatori riconosceva che gli schiavi erano esseri umani e credeva sinceramente che la schiavitù fosse sbagliata. Ma molti di loro non riuscivano a vedere un modo per abolire la schiavitù che non scuotesse le fondamenta economiche e sociali della società del Sud, e così uomini come Jefferson tentennarono. Ma per gli esseri umani questa “dissonanza cognitiva” è difficile da sostenere. È difficile credere che la schiavitù sia profondamente sbagliata e continuare a mantenerla.

Non sorprende che, una generazione dopo, questa dissonanza cognitiva sia stata risolta da un nuovo tipo di leader del Sud che sosteneva che la schiavitù non era sbagliata, ma anzi era giusta e buona secondo la legge naturale e il cristianesimo.

Si trattava di argomentazioni che oggi riteniamo ridicole. Ma molti di coloro che oggi criticano aspramente i fondatori per aver tollerato la schiavitù, perché ignoravano l’umanità dello schiavo, tollerano invece l’aborto, ignorando il fatto ovvio che lì nel grembo materno c’è un essere umano allo stadio iniziale. Adducono argomenti risibili, insostenibili alla luce della scienza e del buon senso, e lo fanno, in genere (e sinceramente), in nome della “parità per le donne”.



I cambiamenti nella nostra società dimostrano, a mio avviso, che abbiamo la capacità di garantire l’uguaglianza delle donne anche senza porre fine alla vita di esseri umani non ancora nati, se abbiamo la volontà di farlo. Quindi i sostenitori dell’aborto dovrebbero essere onesti su ciò che stanno facendo: difendere l’uccisione di quella che è chiaramente una vita umana nelle sue prime fasi. E dire che lo fanno perché, proprio come gli schiavisti non potevano immaginare una vita senza schiavitù, i sostenitori dei diritti dell’aborto non possono immaginare una vita senza libero accesso al sesso. E quindi devono rifiutarsi di riconoscere le responsabilità che comporta la nascita di una nuova vita umana, anche se non intenzionalmente, ma con l’inevitabile consapevolezza della possibilità.

Tuttavia, nessuna delle due parti ha un forte interesse a rendere chiaro questo assunto nel dibattito. I sostenitori del diritto all’aborto non hanno interesse a enfatizzare questo argomento implicito perché rende la loro posizione (porre fine a vite umane in fase iniziale per mantenere il diritto al libero esercizio del sesso) meno attraente e, cosa più importante, solleva interrogativi sulla reale motivazione della loro negazione che la vita prenatale sia umana. I difensori della vita umana prenatale hanno interesse a non enfatizzare questo argomento perché potrebbe far apparire la loro prospettiva meno promettente. Occasionalmente, alcuni accettano questa sfida, ma spesso, comprensibilmente, sono riluttanti ad affrontarla pubblicamente.

Se è purtroppo vero che la maggioranza degli americani sostiene la libera disponibilità del sesso, indipendentemente dai suoi esiti (cioè vite umane indesiderate), qual è la probabilità che il movimento pro-life sia in grado di cambiare questa visione? Cosa ci vorrà per cambiarlo? E quanto tempo ci vorrà, soprattutto in una società che si dedica in modo preponderante alla contraccezione?

Fonte: crisismagazine.com