venerdì 30 giugno 2023

La tolleranza che non tollera. “La mamma è la mamma” e i manifesti vengono subito strappati.





Martedì 26 giugno sono stati affissi a Parma alcuni manifesti firmati dal “Comitato Liberi in Veritate” in collaborazione con “Provita e Famiglia”. Non sono passate che poche ore dall’esposizione e la gran parte dei manifesti sono stati strappati o imbrattati di scritte come si può vedere dalle foto. I manifesti sono stati affissi a pochi giorni dalle celebrazioni del gay “pride” di Parma.

Il contenuto dei manifesti, che riporta alcune ovvietà, ha evidentemente innervosito gli attivisti della “tolleranza” a senso unico, paladini dei nuovi “valori” LGBTQ+, assuefatti ad essere incensati da tutti i media e reduci dalle marce arcobaleno super-sponsorizzate da aziende (per lo più multinazionali), istituzioni e con ampia ed entusiastica copertura mediatica e social.

Molte associazioni, del mondo cattolico ma non solo, hanno promosso anche veglie di preghiera, incontri e rosari in riparazione a questo marketing tambureggiante; iniziative accuratamente taciute dai media, possibilmente ostacolate dalle istituzioni e perfino snobbate dal clero cattolico locale, troppo impegnato invece a fare veglie “contro l’omofobia” e affetto da evidenti amnesie a riguardo della morale di sempre della Chiesa di cui fanno parte.

Questa volta però due associazioni in prima linea nella difesa della famiglia e dell’identità popolare quali “Comitato Liberi In Veritate” e “Provita e Famiglia” hanno deciso di lanciare un messaggio di dissenso più esplicito e lo hanno fatto esponendo delle affermazioni non solo condivisibili ma assolutamente ovvie. Chi può negare che “un bambino è un bambino” o “una mamma è una mamma”!

E qui che sono allora intervenuti con prontezza incredibile i difensori dei “diritti” e della “tolleranza” che evidentemente non riescono a tollerare cioè che è evidente, ciò che è ovvio, e in nome dei “diritti” hanno imbrattato i manifesti di scritte tolleranti del tipo “morite appesi come i vostri padri” e roba anche peggiore. Non solo ma si sono presi la briga di girare per tutta la città e strappare tutti i manifesti che hanno trovato.












Attualità dell’attimo presente e vecchiume della modernità







Di Silvio Brachetta, 30 GIU 2023

Giovanni Zenone, direttore editoriale di Fede & Cultura, ha centrato bene la questione dell’«attualità»:

«Io sono dell’idea che non si debba sempre inseguire la novità, che non si debba sempre inseguire l’aggiornamento, i fatti del giorno, l’ultimo fatto del momento, le notizie dell’ultimo secondo, perché quella non è la vera attualità. Uno pensa di essere aggiornato e di conoscere l’attualità perché legge i giornali. Innanzi tutto i giornali, quanto meno, sono vecchi del giorno precedente.

E poi, soprattutto, i giornali di che cosa parlano? Parlano delle amanti dell’attore tal dei tali, delle sciocchezzuole politiche che passano. Tutti si riempiono le bocche di parole altisonanti, soprattutto nel campo della politica o dello spettacolo: il nulla assoluto, il vuoto pneumatico.

Io sono arrivato alla conclusione che, per conoscere l’attualità, si debba leggere roba che abbia almeno duemila o più anni. Che so? Leggendo Platone io scopro veramente l’attualità. Cosa vuol dire attualità? Ciò che è in atto, che non passa. Che continua ad esserci.

Quello che leggiamo sui giornali non è attualità: è vecchiume, è ciarpame, è il nulla. Quello che guardiamo in TV è la stessa cosa. Per questo, il rischio in un mondo che vive di cose effimere è anche quello nella Chiesa d’inseguire l’attualità, nel senso deleterio del termine. […]».

L’«atto» dell’attualità è, secondo Aristotele, entelécheia – dal greco en télei echein, «essere compiuto, essere in atto». Quello che è compiuto non passa, ma rimane. Essere attuali significa, pertanto, cogliere l’eterno nel nuovo e nel vecchio, cioè cogliere una verità stabile al di là di ogni storicità e a fondamento delle cose che passano.

La nostra vocazione è di vivere sulla «capocchia di spillo» dell’attimo presente, come diceva Santa Caterina da Siena. La presunzione dei moderni, al contrario, è di fuggire l’attimo presente, poiché sgradevole, e cercare invano l’attimo futuro: invano, perché è un attimo in potenza, non in atto. L’attimo futuro è inattuale, l’attimo passato è consumato – e perciò già vissuto ma, in quanto compiuto, può essere attuale se vi è del vero e del buono.

Il discrimine è il vero e il falso, il buono e il cattivo. Il vecchiume si trova laddove non c’è una verità stabile e un bene. Il vecchiume è spesso nella cronaca. La cronaca, tanto cara alla quasi totalità del giornalismo, è la ricerca fanatica di news, di novità, che decadono immediatamente, per l’assenza di un fondamento, di un logos. La cronaca è divenuta un’appendice del kronos, del tempo in fuga, del transeunte. La cronaca è comunque necessaria, se a monte vi è una lettura della storia extratemporale, cioè nell’orizzonte dell’eternità, di Dio, del kairos. Ma oggi è quasi sempre dannosa, perché l’attualità, come fa intendere Zenone, è stata rimpiazzata dalla corsa maniacale alla novità.

La novità differisce dall’attualità per l’assenza di una prospettiva metastorica: la novità, essendo ritenuta figlia del tempo, diventa immediatamente vecchiume, non appena l’attimo passa. Eppure, quasi per statuto, è diffusa la convinzione di possedere l’attualità per mezzo della rincorsa al nuovo, al cambiamento ininterrotto e inconcludente. Ma nelle mani resta sempre l’inattuale. È imprudente scavalcare l’attimo presente, o rincorrendo quello futuro, o esiliandolo nel passato.

Il giorno successivo all’intervento di Zenone, anche Ernesto Galli della Loggia ha detto qualcosa circa l’attualità, sul Corriere della Sera. Della Loggia non sa bene cosa sia l’attualità, ma sa bene cosa non sia. L’attualità non è quella degli strilloni, che invocano «L’attualità! L’attualità!» nelle scuole. L’attualità non è la guerra in Ucraina: quella è cronaca da gazzetta. Ma è «forse addentrarsi nella bibliografia sui rapporti tra la Russia di Kiyv e la Moscovia».

L’attualità non è l’intelligenza artificiale, ma è forse «esaminare il funzionamento dei complessissimi algoritmi con cui funziona l’AI». Nemmeno l’utero in affitto è attualità. Sarebbe invece forse attuale familiarizzare «con l’azione degli ormoni necessari a facilitare l’annidamento di un feto in un utero o con i problemi giuridici implicati nella gravidanza per altri».

Per l’attualità serve insomma qualcosa di più profondo di un gazzettino (per il quale, peraltro, Della Loggia lavora). Ma i ragazzi che ne sanno degli approfondimenti? – si chiede il professore. Appunto. Introdurre «a scuola l’attualità – scrive – alla fine significa una sola cosa: più o meno ripetere nelle aule scolastiche quello che scrivono i giornali, scimmiottare i dibattiti dei talk televisivi».

I fanatici dell’attualità, nell’incoerenza estrema, non abbandonano le tracce di matura relative a Dante, a Marx o alla rivoluzione francese – che secondo loro sono «inattuali». Perché? Ma perché – scrive Della Loggia – «la scuola si fonda sull’idea che nel complesso la loro conoscenza serva più di ogni altra cosa anche a questo: a capire l’attualità, a orientarsi in essa a farsene un’opinione propria. Si chiama cultura, casomai lo avessimo dimenticato».

Silvio Brachetta







giovedì 29 giugno 2023

Lo spirito di Hegel domina in Vaticano







Stefano Fontana






NUOVE TENDENZE



Dal Sinodo sulla sinodalità all'happening sulla fratellanza universale, fino alla Settimana sociale dei cattolici italiani, tutto nella Chiesa è ormai affrontato con le categorie di Hegel: è vero ed espressione dello Spirito quanto è attuale.





Stefano Fontana, 29-06-2023

Un tempo mai si sarebbe detto che il filosofo idealista Georg Wilhelm Friederich Hegel (1770-1831) potesse farla da padrone nella teologia cattolica, tantomeno che i documenti del magistero della Chiesa vi si potessero ispirare. In casa cattolica, l’idealismo hegeliano era visto come la coerente versione filosofica del protestantesimo e come la forma più matura della negazione moderna della trascendenza. Però da molto tempo ormai non la pensano più così i teologi di grido e anche il magistero usa abitualmente un linguaggio hegeliano.

Garrigou-Lagrange aveva denunciato la nuova tendenza a considerare attendibile solo la teologia che avesse la caratteristica dell’attualità. Formule teologiche non più attuali sarebbero quindi da considerarsi sbagliate. Questo principio è hegeliano, perché è nella storia, quindi nell’attualità, che lo Spirito si manifesta. Da qui il lungo percorso che considera vero ed espressione dello Spirito quanto è attuale.

Il Sinodo sulla sinodalità di prossima apertura viene inteso come un processo, una storia e quindi un aggiornamento all’attualità. Sembra postulare una “conversione” all’attualità. La verità del Sinodo sarà attestata dal suo percorso, dalla sua attualizzazione, dalla sua effettualità. Ciò che accadrà durante il Sinodo esprimerà anche la verità del Sinodo, incarnandola senza residui. Non si tratterà di una applicazione di alcuni principi, ma di un cammino di attualizzazione, durante il quale i principi saranno attuati nel senso di resi attuali, posti in atto dentro gli accadimenti e coincidenti con essi.

Come Hegel vedeva in ogni momento del processo la presenza incarnata del senso ultimo di tutto il processo stesso (lo Spirito), così il prossimo Sinodo pretende di conoscere la voce dello Spirito Santo oggi, attualmente, nell’esperienza che si vive. Lo Spirito diventa Storia e la migliore preghiera del mattino diventa leggere il giornale.

Si può forse negare che oggi il magistero si muova in questo quadro? Papa Francesco ha di recente incontrato gli artisti. Tutti gli artisti? Anche quelli che creano opere blasfeme o plasmano menzogne? Certamente sì, perché anche essi fanno parte dell’attualità storica, del processo in atto, e dialetticamente contribuiscono a far nascere nuove prospettive, provocano nuove reazioni, smuovono le acque e danno da pensare. Le iniziative del Vaticano si rivolgono ormai sempre “a tutti”, non si scarta nulla.

Anche il grande happening del cardinale Gambetti sulla fratellanza universale era aperto a tutti. Perché è la storia che deve far emergere, dal suo interno, il proprio senso, e al momento storico appartengono tutti. La Chiesa deve uscire e raccogliere tutto ciò che c’è per strada, solo per il fatto che è per strada, se vuole essere attuale. Il nuovo spirito hegeliano cattolico non dice più di no a niente, perché dentro il suo sviluppo dialettico tutto gioca un ruolo insostituibile. Quando la Chiesa convoca le famiglie ormai le convoca tutte, anche quelle che non lo sono. Anche le eresie trovano posto nella Chiesa, perché permettono di sviluppare il dibattito sulla fede. Le tensioni, si dice, vanno attraversate e le polarità dialetticamente mantenute. Chi non accetta questo è perché vuole giudicare la storia anziché lasciare ad essa il giudizio. La Chiesa hegeliana dovrebbe accogliere anche chi ha messo in Croce Gesù, perché il “Venerdì Santo speculativo” è metafora della tensione intima alla storia.

Nel Documento preparatorio della Settimana sociale dei cattolici che si celebrerà l’anno prossimo, i vescovi italiani non dicono nulla sul tema in questione, quello della democrazia. Dicono solo che la settimana sociale sarà un processo in cui inserirsi con partecipazione, apertura, accoglienza, dialogo, disponibilità al nuovo. I vescovi italiani abbandonano così la Dottrina sociale della Chiesa e quanto essa ha detto sulla democrazia e chiedono una sola cosa: attualità. Anche in questo caso la storia produrrà da sola e dentro se stessa il proprio significato.

Questo dice che la Chiesa stessa viene intesa come una “autocoscienza credente”, come diceva appunto Hegel, configurando così in modo impeccabile la visione luterana del cristianesimo. La Chiesa coincide con la coscienza che essa ha di sé. Essere nella Chiesa vuol dire essere coscienti di partecipare ad una esperienza di coscienza, ad una attualità. Secondo la Pascendi, era questa la caratteristica principale del Modernismo: la Chiesa non come “realtà” ma come atto di coscienza sempre in evoluzione e, quindi, sempre da aggiornare.

Nel doppio Sinodo sulla famiglia degli anni 2014 e 2015, il processo sinodale è diventato legge e norma perfino senza aver concluso chiaramente per nessuna legge e nessuna norma. L’autocoscienza ecclesiale ha dichiarato la possibilità dei divorziati risposati di accedere alla comunione senza dichiararlo, ma vivendo questo principio emerso da una esperienza e trasformandolo in una prassi acquisita. La Chiesa hegeliana procede per processi, per sviluppi storici della propria autocoscienza, in cerca di verità che nasceranno durante il cammino e che abbisognano solo di una cosa: la disponibilità ad abbandonare le verità precedenti per accogliere quelle nuove. Non che le verità precedenti fossero sbagliate, il fatto è che non sono più attuali.







Record di aborti in Inghilterra, Galles e Irlanda, il Giappone corre ai ripari







ABORTO | CR 1801


di Mauro Faverzani, 28 Giugno 2023 

Un’ombra di morte purtroppo avanza in Europa, conquistando nuovi terreni e mietendo troppe vittime innocenti. Lo dimostrano i dati relativi ad Inghilterra e Galles, dove è stato raggiunto un tragico record storico, quello relativo al numero degli aborti praticati nei primi sei mesi del 2022, periodo cui si riferiscono gli ultimi dati diffusi dal Dipartimento governativo della Sanità e dell’Assistenza Sociale: tra il primo gennaio ed il 30 giugno dell’anno scorso sono stati praticati, infatti, 123.219 aborti ovvero 17.731 in più rispetto ai 105.488 praticati nello stesso periodo nel 2021. Se questo trend dovesse proseguire, il rischio è che anche su base annua il 2023 possa confermarsi come l’anno più nero per numero di bambini uccisi nel grembo materno.

Incurante di tale drammatico campanello d’allarme, proprio all’inizio di quest’anno il Parlamento inglese ha vietato la preghiera silenziosa nei pressi delle cliniche abortive – con una multa fissa iniziale di 100 sterline, ma che può salire fino a 1.000 in caso di processo – ed ha negato la possibilità d’informare le donne circa le possibili alternative: secondo un emendamento alla legge sull’ordine pubblico, approvato a marzo dalla Camera dei Comuni, ciò è da considerarsi illegale.

Anche in Irlanda, purtroppo, il tasso abortivo risulta in continua crescita: a cinque anni dal referendum, che ha eliminato dalla Costituzione la tutela per la vita dei bambini non nati, consentendone di fatto l’aborto per qualsiasi motivo fino alla dodicesima settimana ed anche oltre, quando si ritenga che la salute – anche mentale – della madre possa essere in pericolo oppure qualora il piccolo presenti un’anomalia ritenuta pericolosa per la sua vita entro 28 giorni dalla nascita.

Prima di quel drammatico referendum, l’aborto in Irlanda era vietato. Nel 2019, anno di entrata in vigore della nuova normativa, furono uccisi 6.666 bambini nel grembo delle loro madri, nel 2021 il numero è salito a 6.700, nel 2022 si è raggiunto il triste record di 8.500 – oltre il 21% in più nel giro di un solo anno -, secondo quanto dichiarato dal ministro della Salute, Stephen Donnelly. «Una tendenza devastante – ha commentato Eilis Mulroy della Campagna Pro-Life Irlanda in un’intervista al quotidiano Register – Questo è il risultato di un governo, che ha dimostrato una totale mancanza d’interesse nel fornire alle donne con gravidanze non pianificate reali alternative all’aborto».

Non pare tuttavia che vi siano ripensamenti in merito: nuove nubi fosche si stanno anzi addensando in Irlanda, dove nei prossimi mesi dovrebbe essere esaminata dalla commissione parlamentare per la Salute una revisione della normativa, voluta dall’Ifpa-Associazione Irlandese per la Pianificazione Familiare, tesa ad eliminare il cosiddetto «periodo di riflessione» obbligatorio di tre giorni dopo il primo colloquio, entro il quale è ad oggi consentito alla donna un ripensamento. I dati, però, attestano quanto importanti siano stati in molti casi questi tre giorni: nel 2021 le consultazioni iniziali sono state 8.284, gli aborti praticati 6.700. Il che significa che ben 1.584 donne sono tornate sui propri passi e quindi che 1.584 bambini sono stati salvati. Togliere anche quel breve lasso di tempo per una riflessione personale, oltre ad esercitare un’indebita pressione psicologica tale da influenzare pesantemente le scelte, significa dimostrare di voler fare proprio di tutto pur di uccidere bimbi nei grembi materni.

Il primo ministro irlandese si è dichiarato però «riluttante e a disagio» nell’apportare modifiche alla legislazione sull’aborto, promulgata solo cinque anni fa: «Quando io e altri ci siamo schierati per il Sì – ha dichiarato alla stampa il premier, Leo Eric Varadkar – abbiamo detto che ci sarebbero state delle garanzie, tra cui il periodo di attesa e la protezione delle obiezioni di coscienza». Rimangiarsi ora la parola data è evidentemente troppo persino per loro, subito favorevoli all’introduzione dell’aborto nel Paese.

Le buone notizie giungono solo dall’altra parte del mondo, dal Giappone nello specifico, dove il governo ha stanziato 3.500 miliardi di yen – pari a 25 miliardi di dollari – in tre anni, dal 2024 al 2027, per contrastare con misure urgenti la denatalità, obiettivo che si può raggiungere in un solo modo: smettendola di abortire ed incentivando le nascite. Non serve la bacchetta magica, occorre piuttosto assicurare un maggior sostegno finanziario alle famiglie. Secondo Haruka Sakamoto, membro della Tokyo Foundation for Policy Research, il crollo nelle nascite dipenderebbe infatti dall’aumento dei single, non per cambiamenti nella scala dei valori, bensì per la precarietà nel lavoro e per i redditi bassi.

La decisione, assunta dal primo ministro Fumio Kishida, è giunta, dopo che l’anno scorso il Paese ha toccato il minimo storico di nuovi nati, 799.728 in tutto: «Se non freniamo il rapido declino del tasso di natalità e la diminuzione della popolazione – ha dichiarato il premier alla stampa – l’economia del nostro Paese si contrarrà e sarà difficile mantenere i nostri sistemi di tutela sociale, comprese le comunità locali, le pensioni, l’assistenza medica e l’assistenza infermieristica».

Per questo il governo ha previsto un aumento dell’assegno di natalità da 420 a 500 mila yen – pari a 3.200 euro circa – in più le spese per il parto verranno interamente coperte dall’assicurazione sanitaria pubblica. Verranno erogati assegni familiari da 15 mila yen al mese per ogni figlio di età inferiore ai 3 anni e di 10 mila per ogni figlio di età compresa tra i 3 ed i 18 anni. Dal terzo figlio in poi l’assegno mensile diverrà di 30 mila yen dalla nascita sino alla fine delle scuole superiori. Il tutto senza più restrizioni di reddito familiare. Sempre sul fronte scolastico, verrà offerta ai giovani un’istruzione superiore gratuita e verranno estese anche le esenzioni dalle tasse universitarie. Per assicurare tutto questo – ha spiegato il primo ministro Kishida – «attueremo le misure di sostegno con carattere di urgenza, utilizzeremo obbligazioni speciali di finanziamento del deficit per far fronte alla riforma della spesa».

Questo è esattamente ciò che andrebbe fatto in ogni angolo del mondo. Perché non serve a nulla, anzi è molto ipocrita lanciare l’allarme denatalità e poi continuare a fare come se niente fosse.






mercoledì 28 giugno 2023

La poltiglia sinodale




Dettaglio dell’artwork sinodale sulla pagina Facebook 
del Vaticano per il Sinodo 2021-2023. (Immagine: www.facebook.com/synod.va)


Il testo del nuovo Instrumentum Laboris è prolisso e la verbosità è gonfia di terminologia sociologica e burocratica. Questo è apparentemente lo “stile sinodale”.

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Carl E. Olson e pubblicato su Catholic World Report. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella mia traduzione.





Traduzione di Sabino Paciolla, 26 Giugno 2023


Carl E. Olson

All’inizio di questa settimana, il Vaticano ha pubblicato l’Instrumentum Laboris (IL), il documento di lavoro per il Sinodo dell’ottobre 2023. Il documento, di 27.000 parole, è diviso in due parti fondamentali: una sezione di dense descrizioni e direttive spesso ripetitive, e una sezione di domande dirette e spesso distorte.

Innanzitutto, la buona notizia: se vi piace l’aggettivo “sinodale”, sarete entusiasti di leggere della “Chiesa sinodale” (116 volte), del “processo sinodale” (33 volte), della “vita sinodale”, dell'”esperienza sinodale”, della “via sinodale”, del “cammino sinodale”, della “prospettiva sinodale”, “, la “dinamica sinodale”, l'”orientamento sinodale”, il “viaggio sinodale”, lo “stile sinodale”, l'”azione sinodale”, la “chiave sinodale”, il “quadro sinodale”, il “modo sinodale”, la “spiritualità sinodale” e, beh, avete capito la deriva sinodale.

Inoltre, che lo sappiate o meno, siete parte della festa sinodale. Il cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei vescovi, afferma che l’Instrumentum Laboris (IL) “è un testo in cui non manca la voce di nessuno” e che “non è un documento della Santa Sede… ma di tutta la Chiesa. Non è un documento scritto a tavolino. È un documento in cui tutti sono coautori, ciascuno per il ruolo che è chiamato a svolgere nella Chiesa, nella docilità allo Spirito”.

Il sinodo, ha assicurato Grech agli ascoltatori sinodali, “non parla dell’insegnamento della Chiesa – non è il nostro compito e non è la nostra missione – ma semplicemente accoglie tutti coloro che vogliono camminare con noi”.

Consideratemi scettico. Nello spirito delle cose, chiamiamolo scetticismo sinodale.

Come previsto, l’IL presenta molte, o addirittura la maggior parte, delle caratteristiche presenti nel Documento di lavoro per la fase continentale (DCS), il documento dell’ottobre 2022 da cui questo nuovo documento trae il suo respiro e il suo essere. Ho già scritto a lungo sul DCS, descrivendolo come “il documento più incoerente mai inviato da Roma”. (Non mi prenderò la briga di rivisitare l’analisi in questa sede, ma vale la pena di leggerla se vi è sfuggita la prima volta).

La scrittura è enfatica e la verbosità è gonfia di terminologia sociologica e di blaterare burocratico. Ci sono molte menzioni di “camminare insieme”, “processi” ed “esperienze”, oltre a continui riferimenti a “istituzioni”, “strutture”, “metodi” e “procedure”, al punto che a volte ci si chiede se chi riesce a leggere l’intero testo otterrà un certificato in business management o in linguaggio tecnocratico.

Ho quasi dimenticato “spazio/i”. Per esempio: “Radicato in questa consapevolezza è il desiderio di una Chiesa che sia sempre più sinodale anche nelle sue istituzioni, strutture e procedure, in modo da costituire uno spazio in cui la comune dignità battesimale e la corresponsabilità per la missione siano non solo affermate, ma esercitate e praticate”.

E, nella sezione delle domande:


Come possiamo creare spazi in cui coloro che si sentono feriti dalla Chiesa e non accolti dalla comunità si sentano riconosciuti, accolti, liberi di fare domande e non giudicati? Alla luce dell’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia, quali passi concreti sono necessari per accogliere coloro che si sentono esclusi dalla Chiesa a causa del loro status o della loro sessualità (per esempio, i divorziati risposati, le persone con matrimoni poligami, le persone LGBTQ+, ecc.)

La lista di coloro che “si sentono esclusi” non sorprende nessuno, perché è un tema costante da oltre dieci anni. Naturalmente, nessuno è escluso dalla Chiesa, perché tutti sono veramente benvenuti. Ma ci sono dei criteri precisi per abbracciare Cristo, entrare nella sua Chiesa e seguire i suoi comandamenti. Non che i “comandamenti” siano mai menzionati. E le poche menzioni di “conversione” si riferiscono quasi tutte, in termini vaghi, alla conversione istituzionale o “sinodale”.

Inoltre, come notato da alcuni che probabilmente non sono così rigidi e neopelagiani come me, il testo non menziona mai madri, padri, figli o famiglie umane (ci sono un paio di graditi riferimenti alla “famiglia di Dio”). Ci sono, per esempio, due riferimenti al “matrimonio poliamoroso”, ma nessuno ai veri matrimoni cattolici. Forse perché questi ultimi sono fiorenti e non devono affrontare alcuna sfida?

Come ci si aspettava, ci sono decine di riferimenti alle donne, che vengono costantemente ritratte come escluse, sottovalutate e svalutate. “Quali nuovi ministeri”, si legge, “potrebbero essere creati per fornire i mezzi e le opportunità per un’effettiva partecipazione delle donne al discernimento e agli organi decisionali?”.

E: “La maggior parte delle Assemblee continentali e le sintesi di diverse Conferenze episcopali chiedono di considerare la questione dell’inclusione delle donne nel diaconato. È possibile prevederlo e in che modo?”.

Ecco una domanda da aggiungere alla lista: Perché spesso sembra che la nuova e vitale Chiesa sinodale sia ossessionata dalle preoccupazioni dei vecchi progressisti cattolici degli anni ’70? E: Come possiamo incoraggiare gli uomini a essere buoni padri, mariti fedeli e discepoli amorevoli di Gesù Cristo?

C’è molto sul ministero e sui ministeri, compresa questa domanda: “Come si relaziona il triplice ufficio del ministero ordinato con la Chiesa come popolo profetico, sacerdotale e reale?”. È come se il pontificato di San Giovanni Paolo II non avesse mai avuto luogo e non avesse mai affrontato questo tema in modo approfondito e dettagliato. Naturalmente, Giovanni Paolo II non viene quasi mai citato e Benedetto XVI non è mai menzionato. Forse perché non ha mai scritto molto sull’ecclesiologia, sul ministero e sul ruolo dei laici (è un’osservazione sarcastica, nel caso vi fosse sfuggita).

Nella mia lettura, ci sono alcune sezioni del Cavallo di Troia sparse in tutto il libro, spesso rese con una sorta di qualità zoppicante e passivo-aggressiva. Naturalmente, l’aspetto intelligente di questo documento è che si tratta (ci viene ripetuto più volte) di una semplice e fedele condivisione di ciò che il “popolo di Dio” (66 menzioni, per chi tiene il conto) ha da dire, anche se questo è difficile da accettare.

Ecco un esempio, citato a lungo per fornire contesto e sapore:


Alcune delle domande emerse dalla consultazione del Popolo di Dio riguardano questioni sulle quali esiste già un insegnamento magisteriale e teologico da considerare. Per fare solo due esempi, possiamo notare l’accettazione dei divorziati risposati, trattata nell’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, o l’inculturazione della liturgia, oggetto dell’Istruzione Varietates legitimae (1994) della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Il fatto che continuino a emergere domande su questioni come queste non deve essere liquidato frettolosamente, ma richiede piuttosto un discernimento, e l’Assemblea sinodale è un forum privilegiato per farlo. In particolare, occorre considerare gli ostacoli, reali o percepiti, che hanno impedito la realizzazione dei passi indicati dai documenti precedenti e offrire riflessioni su come rimuoverli. Ad esempio, se il blocco deriva da una generale mancanza di informazioni, sarà necessario migliorare la comunicazione. Se invece il problema deriva dalla difficoltà di cogliere le implicazioni dei documenti nelle situazioni ordinarie o dall’incapacità delle persone di riconoscersi in ciò che viene proposto, un cammino sinodale di effettiva accoglienza da parte del popolo di Dio potrebbe essere la risposta adeguata. Un altro caso potrebbe essere il ripresentarsi di una domanda che emerge come segno di una realtà mutata o di situazioni in cui c’è bisogno di un “sovrappiù” di Grazia. Ciò richiede un’ulteriore riflessione sul Deposito della Fede e sulla Tradizione vivente della Chiesa.

Personalmente, come ho scritto più volte negli ultimi mesi, vorrei che si riflettesse di più e più profondamente sull’effettivo Deposito della Fede e sulla Tradizione vivente della Chiesa. (A questo proposito: la “catechesi” è citata tre volte e la “dottrina” una volta). Ma, cosa pensare di una “realtà cambiata”? E alle situazioni che necessitano di un “sovrabbondanza” di Grazia? Di che cosa stiamo parlando? (“Alex, prendo ‘Insegnamenti morali cattolici’ per 1000 dollari”. Ho già detto che il documento non menziona mai la morale)?

Questo documento, come quasi tutti i documenti sinodali dell’ultimo decennio, è attraversato da un forte presentismo: una costante insinuazione che il passato ha poco da offrirci; in realtà, la sensazione che dobbiamo abbracciare il cambiamento mentre alziamo le nostre dita bagnate nei venti vorticosi dello zeitgeist. L’assordante e incessante riferimento alla “Chiesa sinodale” (e alle altre “cose” sinodali) ne è un perfetto esempio. La Chiesa, prima del 2015 – o del 2021, o del 2023 – non aveva nulla a che fare con la comunione, la partecipazione e la missione, le “tre questioni prioritarie per la Chiesa sinodale”?

La frase di apertura dell’IL dichiara allegramente: “Il popolo di Dio è in movimento da quando Papa Francesco ha convocato tutta la Chiesa in Sinodo nell’ottobre 2021”. Prima del 2021 erano fermi in posizione neutra? Stavano tornando indietro?

Un’ultima nota: un giornale che si dichiara cattolico ha recentemente riportato che il cardinale Luis Antonio Tagle “ha suggerito che le sacche di resistenza all’invito di Papa Francesco alla sinodalità all’interno della Chiesa cattolica globale sono radicate nella paura del cambiamento e nell’insicurezza dell’identità cattolica”. Tagle afferma che la “Chiesa sinodale” è “una Chiesa che riscopre questo meraviglioso dono dello Spirito dato a tutta la Chiesa nel Vaticano II”.

Come persona che considera felicemente la lettura dei documenti del Vaticano II come una parte importante del mio viaggio nella Chiesa cattolica, sono piuttosto perplesso da questo commento. Una cosa è dire che la nozione e il concetto di sinodalità sono legati al Vaticano II; un’altra cosa è affermare che i vari documenti usciti negli ultimi mesi dalle commissioni vaticane presentino una comprensione accurata e trasparente della sinodalità. Il fatto è che c’è una diversità di concezioni, e non tutte vanno d’accordo o corrispondono bene alla documentazione storica e teologica.

“Non voglio giudicare le persone”, dice Tagle, “ma a volte vorrei solo che la gente leggesse con calma e tranquillità i documenti del Vaticano II e si mettesse in contatto con gli insegnamenti del Vaticano II, piuttosto che affidarsi ad alcune caricature o presentazioni distorte di ciò che il Vaticano II rappresenta”. Sono d’accordo. E per questo osservatore, che ha letto e studiato i documenti per molti anni, alcune di queste “persone” sono pesantemente coinvolte nella produzione dei testi DCS e IL.

Quindi, dove porteranno tutti questi documenti? Quelli di noi che soffrono di saturazione sinodale sono piuttosto curiosi. Il tempo ce lo dirà. Roma, nell’ottobre 2023, sarà un momento di incontri e processi notevoli, senza dubbio, poiché la ricerca di chiarezza all’interno della Chiesa sinodale promette di essere un’esperienza piuttosto… sinodale.





Carl E. Olson è redattore di Catholic World Report e Ignatius Insight. È autore di Did Jesus Really Rise from the Dead?, Will Catholics Be “Left Behind”?, coeditore/contribuente di Called To Be the Children of God, coautore di The Da Vinci Hoax (Ignatius) e autore delle guide di studio “Catholicism” e “Priest Prophet King” per Bishop Robert Barron/Word on Fire. I suoi recenti libri sulla Quaresima e l’Avvento – Pregare il Padre Nostro in Quaresima (2021) e Preparare la via del Signore (2021) – sono pubblicati dalla Catholic Truth Society. Collabora inoltre con il giornale “Our Sunday Visitor”, la rivista “The Catholic Answer”, “The Imaginative Conservative”, “The Catholic Herald”, “National Catholic Register”, “Chronicles” e altre pubblicazioni. Seguitelo su Twitter @carleolson.





Il Vaticano nega al Pellegrinaggio Populus Summorum Pontificum il permesso di celebrare la Santa Messa tradizionale nella Basilica di San Pietro



Vi proponiamo – in nostra traduzione – l’articolo di Michael Haynes, pubblicato sul giornale on line LifeSiteNews il 26 giugno 2023, in cui si riprende la notizia che i Cattolici non potranno partecipare alla Santa Messa tradizionale nella Basilica di San Pietro in Vaticano, che ha caratterizzato il pellegrinaggio annuale per oltre un decennio (su MiL QUI, QUI, QUI, QUI e QUI).

L.V.




Per la prima volta dalla sua nascita, il pellegrinaggio internazionale delle Messe tradizionali che si tiene annualmente a Roma non otterrà il permesso di celebrare la Santa Messa tradizionale all’interno della Basilica di San Pietro in Vaticano.


Da quando è iniziato nel 2011, il pellegrinaggio Populus Summorum Pontificum, ora noto come pellegrinaggio Ad Petri Sedem, ha attirato a Roma migliaia di Cattolici da tutto il mondo per amore della Santa Messa e dei sacramenti tradizionali. Ad eccezione delle interruzioni causate dalle restrizioni del COVID-19, il pellegrinaggio ha sempre incluso la celebrazione di una Santa Messa tradizionale all’interno della Basilica di San Pietro in Vaticano.


I dettagli delle precedenti celebrazioni delle Sante Messe del pellegrinaggio all’interno della Basilica di San Pietro in Vaticano sono raccontati dal dott. Joseph Shaw, presidente della Fœderatio Internationalis Una Voce (FIUV), che ha descritto la graduale progressione del pellegrinaggio dall’utilizzo delle cappelle laterali intorno alla Basilica nel 2007 alla celebrazione della Santa Messa all’Altare della Cattedra.


Così è stato l’anno scorso, con una stima di 1.700 persone che si sono riunite a Roma e hanno celebrato il rito tradizionale della Chiesa all’Altare della Cattedra di San Pietro. Mons. Marco Agostini – membro della Segreteria di Stato vaticana e uno dei cerimonieri pontifici – ha celebrato la Santa Messa per i pellegrini nell’evento del 2022, anche se i pellegrinaggi precedenti erano stati contrassegnati da Vescovi o Cardinali che offrivano la liturgia vaticana.


Tuttavia, in un aggiornamento fornito dagli organizzatori nei giorni scorsi, è stata data notizia della cessazione della Santa Messa tradizionale per il pellegrinaggio in Vaticano. Facendo riferimento a un «cambiamento significativo e sensibile» – il pellegrinaggio si svolge da venerdì 27 a domenica 29 ottobre – gli organizzatori hanno rivelato che la Santa Messa tradizionale non potrà avere luogo.


La dichiarazione recitava:


Poiché – certamente per ordine superiore – il card. Mauro Gambetti O.F.M.Conv., Arciprete dell’Arcibasilica patriarcale maggiore di San Pietro in Vaticano, quest’anno non ha autorizzato la celebrazione della Santa Messa tradizionale (e si badi che la direttiva è per quest’anno, e ancora salvo cambiamenti dell’ultima ora), la nostra celebrazione si terrà come segue:

processione alla tomba del Principe degli Apostoli con il canto del Credo;
canto dell’Ufficio di Sesta dei Santi Apostoli Simone e Giuda all’Altare della Cattedra;
venerazione delle reliquie dei Santi Apostoli Simone e Giuda (conservate nella Basilica di San Pietro in Vaticano), benedizione e canto finale.


Il card. Mauro Gambetti è Arciprete dell’Arcibasilica patriarcale maggiore di San Pietro in Vaticano, Vicario generale di Sua Santità per la Città del Vaticano e Presidente della Fabbrica di San Pietro dal febbraio 2021. Poco dopo che il card. Gambetti ha iniziato il suo nuovo ruolo nel 2021, le Sante Messe tradizionali private sono state quasi vietate nella Basilica e ai sacerdoti è stato ordinato di concelebrare le Messe nel Novus Ordo piuttosto che celebrare tali liturgie in privato. Le restrizioni provenivano dalla Segreteria di Stato della Santa sede, anche se alcuni hanno ipotizzato che dietro la mossa ci fosse il card. Gambetti.


Alla fine del giugno 2021, il card. Gambetti ha anche emesso restrizioni sull’uso del latino nelle Messe nella Basilica di San Pietro in Vaticano, stabilendo ampiamente l’italiano per la liturgia.


Tuttavia, con la più recente emanazione del motu proprio Traditionis custodes di papa Francesco e i successivi responsa ad dubia ed il rescriptum del card. Arthur Roche, la fornitura globale e l’accesso alla Santa Messa tradizionale sono stati ampiamente limitati.


In una dichiarazione rilasciata a LifeSiteNews, il dott. Joseph Shaw ha osservato che «si tratta naturalmente di una grande delusione, sia che si tratti di una risposta ritardata al motu proprio Traditionis custodes, sia che sia legata alla programmazione degli eventi della XVI assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si conclude il giorno successivo».


«La Santa Messa tradizionale è stata celebrata pubblicamente per gruppi internazionali di Cattolici tradizionali dal 2007, grazie all’ospitalità di Papa Benedetto e di papa Francesco, e il successo di questi eventi ha sottolineato il forte attaccamento dei Tradizionalisti alla Sede di Roma e al Papato. Il pellegrinaggio si svolgerà anche quest’anno e, nonostante tutto, i Cattolici tradizionali di tutto il mondo continueranno a venerare le tombe degli Apostoli e a pregare per il Papa, continuando a lavorare per il bene della Chiesa nel suo complesso in tutto ciò che facciamo».


Il dott. Peter Kwasniewski, già partecipante e relatore al pellegrinaggio e alla conferenza di accompagnamento, ha criticato la mossa del Vaticano, anche se non ne è rimasto del tutto sorpreso.


«Per la prima volta dall’inizio dei pellegrinaggi Populus Summorum Pontificum a Roma, è stata negata ai pellegrini una Santa Messa tradizionale nella Basilica di San Pietro in Vaticano», ha scritto.


Naturalmente, ci si può stupire che la cosa sia continuata così a lungo… ed è anche possibile che la decisione possa essere ribaltata, attraverso il proseguimento delle trattative.


Francamente, il pensiero che il rito immemorabile della Chiesa di Roma, offerto da innumerevoli Papi, Cardinali, Vescovi e sacerdoti pellegrini, venga proibito nel cuore del Vaticano è così assurdo da non poter essere espresso a parole.


Il pellegrinaggio Ad Petri Sedem si svolge l’ultimo fine settimana di ottobre, iniziando con i vespri al Pantheon celebrati mons. Athanasius Schneider O.R.C., Vescovo ausiliare di Astana, il venerdì sera e terminando con la Santa Messa solenne nella Chiesa parrocchiale della Santissima Trinità dei Pellegrini gestita dalla Fraternità sacerdotale San Pietro la domenica.


Il 27 ottobre, inoltre, coincide con il convegno Pax Liturgica, che si terrà al Pontificio Istituto Patristico Augustinianum, all’ombra del Vaticano.


La conferenza dell’anno scorso ha visto gli interventi di studiosi di liturgia e di ecclesiastici illustri come mons. Nicola Bux, che in passato è stato consigliere della Congregazione (ora Dicastero) per la Dottrina della Fede. L’evento del 2023 vedrà il dott. Joseph Shaw tenere uno dei discorsi insieme a mons. Athanasius Schneider.


LifeSiteNews
ha contattato l’ufficio del Vicariato del Vaticano, chiedendo perché non è stato concesso il permesso per la Santa Messa tradizionale, e aggiornerà questo rapporto una volta ricevuta la risposta.









Nella nostra [di Chiesa e postconcilio] traduzione da LifeSiteNews la notizia che Mons. Joseph Edward Strickland, Vescovo di Tyler, Texas, ha subito una (sicuramente misericordiosa) visita apostolica, da parte di Roma. Ciò indica una possibile azione disciplinare nei confronti di un vescovo molto popolare, visto come un campione della guerra culturale da molti conservatori statunitensi per la sua strenua difesa dei non nati, del matrimonio, della liturgia tradizionale latina e dell'ortodossia cattolica. Precedenti qui - qui.



28 giugno 2023

Secondo una nuova segnalazione, il "vescovo americano" Joseph Strickland ha subito una "visita apostolica" dal Vaticano, prevedibilmente in risposta alle sue critiche esplicite alle posizioni e alle azioni più controverse delle alte gerarchie ecclesiastiche.


Strickland, il vescovo di Tyler, Texas, ben noto tra i lettori di LifeSite per la sua schietta difesa dell'insegnamento cattolico, sta subendo una “visita apostolica” dal Dicastero per i Vescovi del Vaticano condotta da due vescovi in pensione, sembrerebbe trattarsi di Mons. Gerald Frederick Kicanus e dell'ausiliare Bp. Dennis Joseph Sullivan, stando ad una segnalazione di Church Militant. Da alcune fonti si apprende che essi hanno interrogato i dipendenti della diocesi per una settimana.
Non è noto l'oggetto della visita, così come le successive ripercussioni, ma si ipotizza che riguardi varie dichiarazioni pubbliche che alcuni funzionari vaticani considerano “imprudenti”. Church Militant aggiunge: “Non è chiaro se la visita sia un avvertimento per il vescovo 63enne o un preludio alla sua rimozione”, mentre secondo sue fonti: "Ciò che sembra essere chiaro è che, qualunque sia la ragione ufficiale, probabilmente si tratta di un pretesto per mettere a tacere i commenti di Strickland”.

Tra le prese di posizione del vescovo c'è stata quella di esortare papa Francesco a negare la Santa Comunione all'ex presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi per il suo sostegno all'aborto legale, accusando il papa di un "programma che mina il deposito della fede" e condannare l'omosessualità " blasfemia” del gesuita padre James Martin.

È stato anche energicamente schietto sulle controversie morali nella politica e nella cultura degli Stati Uniti, tra cui l'amministrazione Biden che spia i cattolici [qui], manifestazioni pubbliche di sedicenti gruppi "satanici" e, più recentemente, ha parlato [qui] a una protesta della squadra di baseball dei Los Angeles Dodgers per aver ospitato una troupe di drag queen anti-cattolica chiamata Sisters of Perpetual Indulgence [gruppo di manifestanti LGBTQ+ e artisti di strada che usano satira, drag e immagini religiose per trasmettere i loro messaggi -ndT], che si definisce suore caricaturali.

In quel'occasione Strickland ha affermato: "Dico spesso, dobbiamo essere cristiani del primo secolo nel ventunesimo secolo". “Probabilmente la maggior parte di noi non sarà chiamata a versare il proprio sangue, ma se ci trovassimo in situazioni del genere, dobbiamo essere pronti, come i martiri. Ma soprattutto, dobbiamo vivere il nostro martirio. Dobbiamo vivere come persone pronte a morire e a vivere per il sangue che è stato versato per tutti noi”.

Il vescovo Strickland “è corso a Los Angeles proprio dalla conferenza episcopale. È il vescovo di Tyler, che è andato a Los Angeles; il vescovo di Los Angeles non farebbe una processione”, afferma John-Henry Westen, co-fondatore e redattore capo di LifeSiteNews. “Probabilmente altri vescovi non volevano che vi andasse. Potete immaginare cosa gli avranno detto alla conferenza episcopale eppure è andato lo stesso. È andato a difendere la fede dal sacrilegio totale, totale, dal più disgustoso gruppo di odio anticattolico d'America.

“Dobbiamo pregare stasera per il vescovo Strickland”, continua Westen. “E per la sanità mentale nella chiesa perché stanno attaccando il vescovo numero uno in America. In effetti, ci sono pochi vescovi al mondo più coraggiosi, più fedeli e più innamorati di Gesù Cristo del vescovo Strickland”.

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]






La Massoneria, occulto regista della rivoluzione anticristian




Il numero del “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” ora in distribuzione presenta le encicliche di Leone XIII che fanno da corona alla Rerum novarum. Tra queste la Humanum genus sulla Massoneria. Pubblichiamo qui di seguito la prima parte dell’articolo di Guido Vignelli dal titolo “HUMANUM GENUS, 1884. LA MASSONERIA, OCCULTO REGISTA DELLA RIVOLUZIONE ANTICRISTIANA”. Alla fine del testo stralciato potrete continuare la lettura QUI. Per vedere l’indice del Bollettino vai QUI



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Di Guido Vignelli, 28 GIU 2023

Con le rivoluzioni liberali del XIX secolo, la Massoneria era passata dalla fase dell’influenza culturale a quella della conquista politica, al fine di secolarizzare gli Stati europei e così sottomettere la Chiesa. In particolare, fin dal 1870, il Kulturkampf del II Impero tedesco e la bataille pour la laicité della III Repubblica francese miravano a espropriare i beni della Chiesa, abolire il diritto pubblico ecclesiastico e laicizzare la legislazione riguardante famiglia, insegnamento, amministrazione, assistenza economica e sanitaria.

Fin da quando era vescovo di Perugia, Gioacchino Pecci aveva denunciato il pericolo massonico nella sua lettera pastorale Della lotta cristiana (1868). Diventato Papa Leone XIII, egli pubblicò le encicliche Humanum genus (1884), Dall’alto dell’apostolico Seggio (1890), Inimica vis (1892), Spesse volte (1898), e le lettere apostoliche Custodi di quella fede (1892), Le insolite manifestazioni politiche (1895) e Annum ingressi (1902). In questo modo, egli sviluppò e aggiornò il passato insegnamento pontificio sulla setta, usando recenti studi pubblicati da storici cattolici[1].

Il primo e più importante di questi documenti fu la famosa enciclica Humanum genus (20 aprile 1884); ne riassumiamo qui il contenuto seguendone il metodo, che consiste nel valutare la Massoneria basandosi non tanto sulle sue trame e manovre, che variano secondo il tempo e lo spazio, quanto sulla sua ideologia e azione.

Denuncia della ideologia massonica


La Massoneria è laicista nel campo politico. Essa pretende che le autorità politiche possano governare solo in base all’esigenze dell’opinione pubblica e alle richieste della “volontà popolare”. La fede è una faccenda privata da rinchiudere nelle coscienze e il culto è un atto civile che dev’essere autorizzato e controllato dal pubblico potere. Dato che i diritti della Chiesa sulla società si oppongono ai “diritti dell’Uomo” e alla “laicità statale”, ogn’intervento dell’autorità ecclesiastica nel campo politico è una ingerenza da vietare e punire (n. 12).

La Massoneria è relativista nel campo giuridico. Essa pretende che la fonte di ogni diritto, dovere e potere stia nella “sovranità popolare” espressa dalla legislazione approvata dai Parlamenti e dai decreti emanati dai Governi. Pertanto, la giurisprudenza deve ripudiare lo jus divinum et naturale, adeguarsi ai tempi e ai luoghi, cedere all’arbitrio e al fatto compiuto imposti dal potere dominante e (n. 17).

La Massoneria è libertaria nel campo morale. Essa pretende che l’uomo sia “misura di tutte le cose”, per cui proclama il primato della coscienza soggettiva sulla Legge divina e della volontà individuale sulle regole morali. Pertanto, gli Stati devono abbattere le istituzioni che educano i giovani alle verità morali e religiose, per sostituirle con quelle che insegnano una “morale laica” (n. 14).

La Massoneria è evoluzionista nel campo antropologico. Essa pretende che l’uomo sia l’estremo prodotto dell’evoluzione materiale, il cui progresso gli permetterà di rendersi autonomo e libero da ogni potere superiore, compreso quello divino. Pertanto, un giorno l’uomo sottometterà il cosmo, supererà la condizione umana e diventerà “il dio di questo mondo”.

La Massoneria è naturalista nel campo filosofico. Essa pretende che la “natura” (sia quella umana che ambientale) abbia in sé una forza magica che le permetterà di salvarsi e di raggiungere una perfezione divina. A questo scopo, l’uomo deve scoprire e usare i segreti della natura mediante una ragione “critica e scientifica” che però esclude certezze e sicurezze assolute (n. 10).

La Massoneria è ecumenista nel campo religioso. Essa pretende che le Chiese ostacolino il progresso dissipando le capacità umane nella ricerca di una felicità soprannaturale che impedisce quella naturale. Pertanto, le confessioni religiose dovranno essere sostituite da una “religione naturale dell’Umanità”, priva di dogmi, riti, leggi, autorità e istituzioni e dedita al culto non del Dio che si è fatto Uomo, ma dell’Uomo che si farà Dio (n. 12).

La Massoneria è diabolica nella sua inspirazione preternaturale. Essa pretende che Dio, invidioso della grandezza dell’uomo, l’opprime sottomettendolo a leggi (religiose, morali e sociali) che lo rendono suo schiavo e lo inganna promettendogli una felicità celeste che gl’impedisce di conquistare quella terrena. Pertanto, la setta esalta Satana come il modello del rivoluzionario che si ribella al Creatore e si salva da solo, usando le proprie conoscenze e forze naturali (H. g., n. 1).

Insomma, la Massoneria rifiuta Dio come Creatore, Legislatore e Santificatore, la natura come ordine stabile, la società come sistema gerarchico, la morale come regola universale, la tradizione come sapere valido e la religione come via di salvezza. Pertanto, l’umanità può liberarsi da ogni forma di “superstizione religiosa” e “tirannia politica” solo rompendo tutte le forme di dipendenza e di sottomissione che limitano la libertà, generano diseguaglianze e impediscono la fratellanza.

Denuncia dell’azione massonica


Questa ideologia empia serve a giustificare un’azione rivoluzionaria; essendo una sorta di società alla rovescia, la Massoneria pretende di rovesciare la società. Essa lavora per isolare la Chiesa dal popolo e privarla degli aiuti ricevuti dalle autorità civili, al fine di togliere alle nazioni i benefìci della Redenzione e così spingerle all’apostasia, sottomettendole a un regime politico religiosamente “neutro”, ossia ateo (n. 5). A questo scopo, la setta usa tutti i mezzi, anche quelli moralmente illeciti come inganno, corruzione, ricatto e omicidio.

La Massoneria dapprima occupa il potere statale, poi lo usa per suscitare ribellioni contro le autorità religiose e civili e per abolire le istituzioni tradizionali (famiglia, proprietà, scuola, municipio, nazione, Chiesa). In nome della libertà, la setta legalizza il sopruso; in nome dell’eguaglianza, impone il livellamento politico, sociale ed economico; in nome della fratellanza, impone la tirannia (nn. 14-16).

Insomma, la Massoneria è l’occulto regista della Rivoluzione anticristiana nel mondo e cospira per corrompere e sottomettere i popoli, sostituire la decaduta Cristianità con una Repubblica Universale fondata sul naturalismo dei Diritti dell’Uomo, distruggere le radici della società civile e infine sostituire la Santa Chiesa con un’anti-Chiesa fondata sul culto dei demoni.

Di conseguenza, Leone XIII esorta le autorità politiche a collaborare con la Chiesa nel proteggere l’opinione pubblica dalla seduzione massonica, la gioventù dall’ateismo scolastico e la società dalla cospirazione settaria, specialmente arginandone le infiltrazioni nei gangli vitali delle nazioni (H. g., n. 4). In particolare, il Papa esorta la “parte più sana” della comunità, ossia gli ambienti rimasti cristiani, a mobilitarsi per risanare la società facendo rispettare i diritti di Dio, le giuste leggi e la pubblica moralità (n. 26).

In conclusione, Leone XIII invoca il soccorso di Maria Ss.ma perché, «come Ella vinse Satana fin dal proprio stesso concepimento, così si mostri dominatrice sulle malvagie sette nelle quali rivivono chiaramente gli spiriti ribelli del demonio» (n. 28).

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[1] Cfr. A. Barruel S.J., Mémoires pour servir à l’histoire du jacobinisme, Fauche, Hamburg 1800, 4 vv.; J. Crétineau-Joly, L’Eglise romaine en face de la Révolution, Plon, Paris 1859, 2 vv.; B. Negroni O.F.M., Storia della setta anticristiana e antisociale, ora Massoneria, Bologna 1875, 3 vv.; N. Deschamps e C. Jannet, Les sociétés secrètes et la société, Oudin Frères, Paris 1880, 3 vv.






martedì 27 giugno 2023

Francia: un libro denuncia la Rivoluzione Woke





di Guillaume Thibaud

L'associazione francese Avenir de la Culture ha recentemente pubblicato il libro La Révolution woke débarque en France. Curato da Atilio Faoro, il libro racconta, dati alla mano, i progressi della rivoluzione culturale in corso in Francia. Nata nei campus nordamericani, l'ideologia Woke utilizza le ingiustizie subite dalle minoranze sessuali o razziali come pretesto per decostruire metodicamente la civiltà occidentale. Gli attivisti Woke sostengono che i bianchi opprimano i neri, gli uomini opprimano le donne, gli eterosessuali opprimano gli omosessuali, i cristiani opprimano i musulmani, così come gli esseri umani gli animali! Tutto ciò che un tempo era considerato degno di ammirazione - la virilità, il matrimonio, la nostra letteratura, i nostri grandi uomini, la nostra civiltà e, naturalmente, la nostra religione - è ora considerato "tossico" e oppressivo.

Una nuova lotta di classe


In sostanza, come dimostra il libro, il wokismo non è altro che l’applicazione della lotta di classe marxista a tutte le relazioni umane. L'obiettivo è lo stesso del comunismo: sovvertire l'ordine sociale e distruggere i resti della civiltà cristiana. L'Europa, culla del cristianesimo, si dissolverà nell'Africa; la famiglia scomparirà sotto i colpi del femminismo e della teoria gender; l'uomo, istituito da Dio come padrone della creazione, riconoscerà la dignità degli animali come uguale alla sua.

"Devono essere eliminati".


Le dichiarazioni dei sostenitori di questa rivoluzione, elencate da Atilio Faoro, sono ammissioni altrettanto rivelatrici. "La nostra presenza sul suolo francese sta africanizzando, arabizzando, berberizzando, creolizzando e islamizzando la figlia primogenita della Chiesa, un tempo bianca e immacolata", si vanta l'attivista indigena Houria Bouteldja. "Non basta che ci aiutiamo a vicenda, dobbiamo a nostra volta eliminarli. Eliminarli dalle nostre menti, dalle nostre immagini, dalle nostre rappresentazioni [...]", scrive la femminista Alice Coffin a proposito degli uomini in Le génie lesbien. Prima di essere nominato ministro dell'Istruzione da Emmanuel Macron, l'accademico Pap Ndiaye ha espresso la sua avversione per la cultura francese in termini direttamente ispirati all'ideologia Woke: "Il genio francese nasconde troppo spesso un universalismo sciovinista, maschile, bianco, eterosessuale".

Un lento veleno


Nonostante la minaccia per il futuro del loro Paese e dei loro figli, molti francesi non sono consapevoli di questa insidiosa rivoluzione. Il libro edito da Avenir de la Culture ha scelto di metterli in guardia confrontandoli direttamente con i fatti. Sulla natura e le origini di questa rivoluzione sono stati pubblicati numerosi studi scientifici. Nel suddetto libro, l’associazione francese denuncia quali sono le conseguenze concrete di questa rivoluzione. Il lettore è così invitato a capire che il wokismo non è un'ideologia astratta che riguarda esclusivamente, se non principalmente, i cenacoli accademici in cui è nata. Anzi, è un lento veleno che si diffonde ovunque e non risparmia nessuno. In nome della lotta contro il razzismo, il riscaldamento globale, l'omofobia o la disuguaglianza di genere, ai bambini francesi viene fatto il lavaggio del cervello, ed esso non risparmia nemmeno il mondo cattolico.

La stampa cattolica contaminata


Ad esempio, La Révolution woke débarque en France punta il dito contro le riviste del gruppo Bayard, di proprietà degli Agostiniani dell'Assunzione. Queste riviste sono impegnate in un'intensa propaganda Woke rivolta sia agli adolescenti che ai bambini. Nel dicembre 2022, il mensile Youpi, rivolto ai bambini dai 5 agli 8 anni, ha promosso l'immigrazione clandestina raccontando la storia di una simpatica famiglia di immigrati clandestini africani perseguitati dalla polizia francese. Il trimestrale 1 jour 1 actu, rivolto ai bambini dagli 8 anni in su, ha parlato del Gay Pride: "È un evento gioioso (...) organizzato per difendere i diritti delle persone omosessuali, bisessuali e transessuali...". La rivista We Demain ha promosso la carne artificiale in nome della "rivoluzione animale" ai preadolescenti e la pubblicazione Phosphore, rivolta ai loro coetanei tra i 14 e i 18 anni, ha pubblicato un numero "100% antisessista" in cui i ragazzi possono scoprire la storia di Pablo che "indossava una gonna per sostenere le sue amiche". Quando leggiamo tali abomini, ci viene in mente il terribile avvertimento di Cristo nel Vangelo: "Ma se qualcuno offende uno di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui se gli fosse appesa al collo una macina da mulino e fosse gettato in mare" (Mat 18,6).

Scuole mirate


Anche nelle scuole si sta scatenando la propaganda "Woke". Avenir de la Culture denuncia lo strano "inno" che gli alunni della prima classe di una scuola elementare cattolica di Bordeaux hanno dovuto cantare: "Apriamo un'altra strada, prendiamoci cura del pianeta (...) sosteniamo con una sola voce il progetto rivoluzionario; la natura sarà la legge di questo terzo millennio". Il settimanale Valeurs Actuelles, citato nel libro, riferisce che in una scuola cattolica di una grande città gli alunni sono stati invitati a leggere un fumetto intitolato Appelez-moi Nathan, che racconta la storia di un adolescente transessuale. Per diventare un ragazzo, si sottopone a una mastectomia bilaterale, cioè all'asportazione dei seni, e a un'isterectomia, cioè all'asportazione dell'utero. Queste mutilazioni sono illustrate con immagini cruente di rara violenza. Dal momento che questa disgustosa propaganda ha luogo in pubblicazioni e istituti "cattolici", non è difficile immaginare cosa accada altrove...

Giovani in grave pericolo


Secondo un sondaggio IFOP del novembre 2020, quasi un quarto dei giovani francesi tra i 18 e i 30 anni non si sente né maschio né femmina! Un sondaggio Ipsos del giugno 2023 conferma questa tendenza: il 22% dei francesi nati dopo il 1997 dichiara di essere LGBT. Su TikTok, la rete preferita dagli adolescenti, i video sugli stili di abbigliamento "non binari", o androgini, fanno registrare milioni di visualizzazioni in Francia. E il social network Yubo, che si presenta come un sito di amicizia per giovani tra i 13 e i 19 anni, ha deciso di incorporare 35 sfumature di genere nella sua applicazione. I suoi membri possono definirsi "agenre", "poligenere" o semplicemente "gender questioning" per i più indecisi... Gli organizzatori del Gay Pride di Parigi, la parata omosessuale in cui la dissolutezza è in bella mostra, hanno dichiarato a Le Figaro di essere stati travolti da "un oceano di adolescenti". Il famoso quotidiano parigino ha dato la possibilità ad alcuni adolescenti di dire la loro e il minimo che si possa dire è che quello che hanno dichiarato è allarmante. Juliette, 17 anni, dichiara di non identificarsi come "eterosessuale" ma come "pansessuale". "Uomo-donna, maschile, femminile... Oggi ci rendiamo conto che le cose sono molto meno binarie. Non ci si può sentire né maschi né femmine, oppure cambio a seconda del periodo", aggiunge. Alla domanda del padre se fosse gay, Anaïs, a 13 anni, ha risposto: "Ma sei così vecchio! Come puoi fare una domanda del genere nel 2021? Non c'entra niente. Sono gender fluid».

Marce per il clima


Purtroppo, lo stesso delirio ideologico si ritrova in altri ambiti. Le famose "marce per il clima" hanno fatto scendere in piazza migliaia di studenti delle scuole superiori francesi, galvanizzati dalle "profezie" apocalittiche di Greta Thunberg. Questi giovani non osavano più volare o mangiare carne, convinti che così facendo avrebbero commesso un crimine contro l'ambiente. Il femminismo esacerbato dal movimento Me Too, anch'esso nato negli Stati Uniti, sta causando un profondo senso di disagio in molti giovani, sospettati di essere stupratori o molestatori solo perché nati maschi. Movimenti come Black Lives Matter invitano tutti i nostri giovani a chiedere scusa per i loro antenati, con il fallace pretesto che fossero razzisti e oppressivi in ogni modo.

"Facciamo tabula rasa"

I giovani possono essere il bersaglio principale del wokismo, ma non sono gli unici... In effetti, nulla sfugge ai militanti che vogliono decostruire tutto. Come i rivoluzionari del 1789 e del 1917, i seguaci del wokismo affermano di voler edificare una nuova umanità. Per realizzarla, cercano di fare tabula rasa di quella di prima. Prima dell'aristocratico, dopo del borghese: oggi, a dover essere sradicato dalla faccia della terra è l'uomo bianco, eterosessuale, "cisgender", cristiano e carnivoro. Chiedono la sua testa, antirazzisti, attivisti omosessuali e transgender, femministe e antispecisti. Naturalmente, la probabilità che quella testa finisca sull'estremità di una picca è remota. Né possiamo immaginare che la metà del mondo occidentale venga spedito nei Gulag.

Eppure, in nome della benevolenza e della giustizia, un nuovo totalitarismo minaccia il mondo un tempo cristiano.

"Il settore privato è politico"


Come il marxismo di un tempo, il wokismo è un'ideologia globale. Pretende di governare tutte le interazioni sociali, sia pubbliche che private. L'agenda perseguita dai Verdi in Francia è un'eccellente illustrazione di questa impresa di rieducazione, come mostra il libro La Révolution woke débarque en France. Negli ultimi anni, gli ecologisti hanno chiesto a turno di vietare gli alberi di Natale in nome dei diritti delle piante, di vietare il Tour de France a causa dell'inquinamento che avrebbe generato, di vietare le piscine private per combattere lo spreco d'acqua, di vietare i barbecue reo di promuovere il machismo, di vietare i jet privati accusati di riscaldare il pianeta e, naturalmente, di vietare le corride in nome della lotta contro gli abusi sugli animali. L'ecologista Sandrine Rousseau ha persino suggerito di considerare un reato non condividere le faccende domestiche! "La vita privata è politica", ha spiegato. Una dichiarazione che i commissari del popolo dell'Unione Sovietica avrebbero senza dubbio applaudito con entrambe le mani...

Permessi di voto

Nella stessa ottica totalitaria, Aymeric Caron, deputato ecologista di Parigi, ha difeso l'idea di un "permesso di voto" concesso solo ai cittadini ritenuti più adatti a esercitare questa funzione. Perché preoccuparsi di fare un partito unico quando basta autorizzare a esprimere le proprie opinioni solo a chi professa una stessa ideologia! Un'altra idea comunista difesa dai Verdi, questa volta importata dalla Cina è quella di limitare le nascite. Per proteggere il pianeta e "accogliere meglio i migranti", l'ex ministro dell'Ambiente e membro storico del partito Yves Cochet ha proposto di "invertire la logica degli assegni familiari". "Più figli si hanno, più i benefici diminuiscono, fino a scomparire dopo la terza nascita", ha suggerito.

Schiacciare gli avversari


Chiunque si rifiuti di partecipare a queste menzogne viene "cancellato", per usare un neologismo nato dalla matrice Woke. In nome dell'inclusione, tutti i dissidenti vengono spietatamente esclusi. Non vengono messi a morte. Raramente vengono messi in prigione. Tuttavia, vengono "cancellati" dalla vita pubblica, proprio come nell'Unione Sovietica venivano cancellati dalle foto ufficiali. Scrittori, attori, insegnanti, rappresentanti eletti e autorità religiose vengono gettati nell'obbrobrio e poi nel limbo dell'anonimato. Negli studi di produzione e nelle case editrici è tollerato un solo pensiero. "Amazon, che controlla la maggior parte del mercato librario americano, ha recentemente deciso di non vendere libri che criticano il transgenderismo (ma è ancora possibile acquistare il Mein Kampf)", lamenta il filosofo nordamericano Rod Dreher. Una polizia del pensiero, non meno zelante ed efficace della Guepeu, dilaga sui social network. Slogan insidiosi come "la libertà di espressione non è uguale alla libertà di offendere" rendono impossibile il dibattito pubblico. Così trionfa la rivoluzione Woke, senza che venga versata una sola goccia di sangue.

Opporsi alla macchina totalitaria


Solzhenitsyn scriveva: "Non ho la forza, piccolo individuo che sono, di oppormi all'enorme macchina totalitaria della menzogna, ma posso almeno fare in modo di non essere un punto di passaggio per la menzogna". Questa, in sintesi, è la sfida che devono affrontare coloro che, in Francia e altrove in Occidente, si sono resi conto della natura fraudolenta degli eredi di Stalin. Potranno contare sul sostegno del clero, e in particolare dei vescovi, nella loro lotta? La rivoluzione Woke non è solo una guerra culturale, senza precedenti, dall'omonima rivoluzione guidata da Mao Zedong in Cina. È anche una battaglia spirituale: dopo la vertiginosa caduta della pratica religiosa seguita al Concilio Vaticano II da noi e dai nostri vicini, persino in Italia, ora sono la vestigia della nostra cultura intrisa di cristianesimo a essere prese di mira. Dove può portare la "decostruzione" della volontà di Dio, se non al regno del diavolo sulla terra? I fedeli, consapevoli dell'immenso pericolo che minaccia loro e i loro figli, si aspettano che i loro pastori combattano questa battaglia al loro fianco e, se possibile, alla loro testa.



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lunedì 26 giugno 2023

L'ultima croce. Il CAI: basta croci in cima alle vette

 


Aggiornamento del 25 giugno ore 19: il presidente Cai smentisce il suo direttore editoriale (QUI). Ci fa piacere la smentita. Peccato che quello che vuole togliere le croci non sia l'ultimo venuto ma il direttore editoriale del CAI.
Noi abbiamo consigliato, trovate la mail nel post, di scrivere al Cai stesso e ci risulta che molti lo abbiano fatto. E speriamo che molti di noi lo facciano ora. Siamo sicuri che possa servire.


Il Club Alpino Italiano: "Basta crocifissi in montagna, non indicano più una visione comune".
Per fortuna i soci protestano:
"«La passione per la montagna dovrebbe unirci invece... Io sono socio dagli anni Settanta ma medito di non rinnovare più se continuate così». [...] Ma un alpinista chiude lapidario: «Si può andare in montagna anche senza tessera».
Perchè i nostri lettori, molti dei quali soci CAI, non protestano per queste grottesche iniziative? La mail è info@cai.it.
Ci contiamo.
Luigi


23 Giugno 2023, Il Giornale, Alberto Giannoni


«Anacronistiche». Sulle croci di vetta si abbatte, gelido come la tramontana, il verdetto del Cai, il Club alpino italiano.
La tesi non ha la furia cieca della «cancel culture» quando si abbatte sulle statue; il passo è rispettoso, eppure è spinto dallo stesso vento: il politically correct: «La società attuale si può ancora rispecchiare nel simbolo della croce? Ha ancora senso innalzarne di nuove? Probabilmente la risposta è no».
È solo l'ultima diatriba, l'ultima «croce» di una modernità che tutto mette in discussione, tutto vuol cambiare o liberare.


Ieri la questione è stata sviscerata nel corso di un convegno nell'aula magna della Cattolica di Milano, in occasione della presentazione di «Croci di vetta in Appennino» di Ines Millesimi, volume dedicato a questa usanza antica, che si perde nei secoli nel cuore di un'Europa cristiana che da sempre trova nell'ascesi lo slancio di un rapporto intimo con Dio - basti pensare ai santuari mariani e, più di recente, al «Papa montanaro», Giovanni Paolo II.


Se i monti sono luoghi dello spirito, le croci nel tempo diventano segno di passaggio, richiesta di protezione - anche dalle intemperie - e preghiera, devozione votiva. In ogni caso, frutto di una cristianità che a queste latitudini è cultura condivisa. O forse lo era.


E dunque: ha ancora senso? Domanda, e risposta, sono contenute appunto in un breve articolo comparso su «Lo scarpone», il portale del Cai, autorevole associazione che da 160 anni si occupa di studio e tutela dei monti. «Sbagliato rimuoverle, anacronistico istallarne di nuove» asserisce Pietro Lacasella, curatore del portale, annunciando l'evento di Milano. «La croce non rappresenta più una prospettiva comune, bensì una visione parziale» assicura.


La maggior parte delle croci risale al XIX-XX secolo. A volte sono solo due scarne tavole di legno, altre monumenti veri e propri, che evocano la torre Eiffel e possono superare i 20 metri. Difficile censirle tutte, stabilire davvero quante siano e quando siano comparse. Il Club alpino svizzero attesta che sono documentate dal quarto secolo: «Come si legge in un articolo dello storico Peter Danner - spiega un saggio del Cas - la prima croce sulla cima elevata di una montagna in ambito cristiano sorgeva sull'Olimpo (a quota 1951), a Cipro». Il Concilio di Efeso la adottò come simbolo cristiano ufficiale nel 431. «Poco prima del 1100 - prosegue - i crociati eressero croci in legno e in ferro ovunque fossero passati, per indicare la strada a chi li avrebbe seguiti e anche per mostrare alle popolazioni del luogo dove stesse il vero Dio». Documentata, all'epoca, una croce a Roncisvalle, sui Pirenei. Davanti a quella, come ad altre, i pellegrini di San Giacomo si inginocchiavano, chiedevano protezione divina «rallegrandosi al tempo stesso perché, da quel punto in poi, la via sarebbe stata in discesa».


Le croci di vetta suscitavano anche allora l'irritazione di sparuti contestatori. Liberi pensatori, anticlericali. Nel 1928 - lo ricorda il Cas - l'alpinista e insegnante ginnasiale viennese Eugen Guido Lammer, in un libro diventato di culto si scagliava veemente contro questi simboli. «Cosa ha da dire la croce nella solitudine della montagna? - scriveva - Lasciate che risuoni pura la lingua degli elementi, lasciate che la natura parli inalterata alla vostra anima!».


Voci isolate. Oggi invece è il più noto fra gli enti di alpinismo che, con le dovute cautele, prova a «smontare» questa costruzione dell'immaginario europeo. Non tutti però sono d'accordo». Qualcuno accusa il Cai di essere diventato «divisivo», un altro protesta: «La passione per la montagna dovrebbe unirci invece... Io sono socio dagli anni Settanta ma medito di non rinnovare più se continuate così». C'è chi sottoscrive la tesi del Cai, la considera «equilibrata». Ma un alpinista chiude lapidario: «Si può andare in montagna anche senza tessera».








Diritti umani, alla fine si torna sempre a Maritain








Di Stefano Fontana, 26 GIU 2023

Due studi recenti tornano sul problema dei diritti umani e, come accade sempre a chi tratta questo argomento, non possono evitare di evocare Jacques Maritain, mettendone in luce alcuni aspetti negativi. Il primo di questi due articoli è il lungo Editoriale scritto dal direttore Bernard Dumont sul numero 156 della rivista francese “Catholica” dal titolo “La fabrique des droits” (pp. 4-15). Il secondo è lo studio di Danilo Castellano pubblicato nel numero 613-614, marzo-abril 2023, della rivista spagnola “Verbo”, con il titolo “Los derechos humanos en la filosofía jurídica contemporánea dominante (pp. 325-336).

Dumont segnala la differenza, pur nella continuità, tra le espressioni droits de l’homme e droits humains. La seconda espressione, pur facendo riferimento alla Dichiarazione del 1789, è stata diffusa sotto l’influenza di Locke più che di Rousseau e ha pretese universalistiche. Queta visione dei diritti umani si è imposta dopo la Seconda Guerra Mondiale, non più come una base comune per distribuire il potere in modo consensuale ed evitare i conflitti dentro il potere rivoluzionario, ma come una visione dell’essere umano considerata un presupposto ormai definitivamente acquisito. È così capitato che a partire dalla Dichiarazione dell’ONU del 1948 tutte le costituzioni (a parte Arabia Saudita e Sud Africa) faranno appello a quella “Human rights universal declaration”, così pure le innumerevoli Dichiarazioni successive, da quella sui diritti dell’infanzia del 1959 alla Charte francese sull’ambiente del 2004 poi costituzionalizzata nel 2005. Si tratta di Dichiarazioni generiche e impregnate di ideologia. Ebbene, Jacques Maritain diede il suo grande contributo a questo esito, sia con le sue opere come “Le droits de l’homme” pubblicata dall’UNESCO nel 1848, sia come membro della Commissione che redasse la Dichiarazione.

Castellano analizza la condizione dei diritti umani nella modernità e nella postmodernità, constatando, tra l’altro, che la filosofia giuridica contemporanea ha completamente messo da parte il problema del fondamento ultimo dei diritti umani. La Commissione UNESCO dichiarò l’impossibilità di conoscere la giustificazione razionale dei diritti umani. Si ritenne quindi che ogni tentativo in questo senso sarebbe fallito e si scelse per la prassi piuttosto che per la teoria. Di fronte alla pluralità dei modi di concepire i diritti umani era necessario far propria una visione pratica dell’uomo e della vita anziché andare in cerca di giustificazioni razionali. Un forte contributo a questa scelta fu dato proprio da Maritain che, quindi, contrariamente a san Tommaso e a tutta la filosofia classica e cattolica, diede il primato all’azione rispetto al pensiero. Ma l’uomo non può agire senza pensare e non può operare fondandosi sul non-pensiero delle varie ideologie.

Ambedue questi articoli, che qui ho brevemente richiamato ma che meritano ben altra lettura, ancora una volta chiariscono il danno provocato da Maritain non solo nel campo dei diritti umani ma anche più in generale del rapporto tra pensare e agire, tra intelletto teoretico e intelletto pratico, tra teoria e prassi. Nelle sue posizioni si vedono i riflessi non certo di San Tommaso ma della filosofia moderna e della teologia del progressismo contemporaneo.

Stefano Fontana





domenica 25 giugno 2023

La Chiesa sinodale, continuatrice della “Chiesa dei Poveri” della Teologia della liberazione






Di Julio Loredo, 23 GIU 2023

È finalmente uscito l’Instrumentum laboris che chiude la tappa di consultazione del Sinodo sulla sinodalità convocato da Papa Francesco. Da qui si passerà alla fase successiva, per la quale sono previste due assemblee generali a Roma: la prima nell’ottobre 2023, e la seconda nell’ottobre 2024.

La lettura del documento non è un’esperienza gradevole. Bisogna armarsi di molta pazienza e coraggio per riuscire a districarsi in mezzo a un testo quasi ermetico, zeppo di neologismi e di concetti comprensibili solo da qualche addetto ai lavori. Il Documento parla del bisogno di un “rinnovamento del linguaggio ecclesiale” per “rendere accessibile e attraente per gli uomini e le donne il mistero che la Chiesa annuncia” (n° 60). A me sembra che il risultato sia stato l’esatto contrario.

Fra i molteplici quesiti che il Documento solleva, mi preme rilevarne uno, forse non centrale ma comunque degno di nota: la “Chiesa sinodale” proposta da Papa Francesco si presenta come la continuatrice della “Chiesa dei poveri” voluta dalla Teologia della liberazione (TdL), biasimata da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI.

Per la TdL, i “poveri”, e più genericamente gli “oppressi”, sono il principale locus theologicus, cioè i destinatari privilegiati della Rivelazione e, di conseguenza, la fonte principale della teologia.

Spiega il teologo della liberazione spagnolo Jon Sobrino: “Lo spirito di Gesù è nei poveri. (…) La storia di Dio passa sempre attraverso i poveri, lo spirito di Gesù acquista carne storica nei poveri, e solo dalla loro realtà noi possiamo vedere il corso che, secondo Dio, la storia avrà. (…) I poveri sono il vero locus theologicus per la comprensione della verità e della prassi cristiana”[1].

Nella TdL originale, il concetto di “povero” coincideva col “proletario” marxista, cioè quelli che, privati dalla proprietà dei mezzi di produzione, erano oppressi dalle classi dirigenti. Il principale compito dei fedeli impegnati nel movimento della Tdl sarebbe, dunque, di organizzare tutti gli “oppressi” nella Chiesa, conducendoli alla lotta dialettica contro le strutture ecclesiastiche “oppressive”, salvo poi realizzare identica rivoluzione in campo temporale. L’associazione di tali fedeli sarebbe la “Chiesa popolare” o “Chiesa dei poveri”.

L’Instrumentum laboris del Sinodo sulla sinodalità assume questo concetto fondamentale della TdL, affermando che il “discernimento” per costruire la nuova Chiesa sinodale deve “partire da quello dei poveri e degli esclusi” (n° 54). Continua il Documento: “In una Chiesa sinodale, i poveri, nel senso originario di coloro che vivono in condizioni di indigenza e di esclusione sociale, occupano un posto centrale. Sono destinatari di cura, ma soprattutto portatori di una Buona Notizia che l’intera comunità ha bisogno di ascoltare: da loro la Chiesa ha innanzi tutto qualcosa da imparare” (n° B,1,1,a).

Il Documento vaticano richiama inoltre i cristiani “a essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri. Questo comporta anche la disponibilità a prendere posizione a loro favore nel dibattito pubblico, a prestare la voce alle loro cause, a denunciare le situazioni di ingiustizia e discriminazione, senza complicità con coloro che ne sono responsabili” (n° B,1,1,e).

Dagli anni Ottanta del secolo scorso, però, i teologi della liberazione avevano già cominciato ad ampliare il concetto marxista di “povero” – cioè il materialmente bisognoso – per includere qualsiasi categoria che si senta in qualche modo “oppressa”: donne, indigeni, gente di colore, omosessuali e via dicendo. Allargando il concetto di “povero”, il Documento Finale del Congresso ecumenico di teologia, tenutosi a San Paolo del Brasile nel 1980 e dedicato all’ecclesiologia della TdL, affermava: “[I poveri] sono le classi sfruttate, le razze oppresse, le persone che qualcuno vorrebbe restassero anonime o assenti dalla storia umana”[2].

Nei documenti preparatori del Sinodo troviamo identici concetti. Per esempio, il Documento latinoamericano, espressione della corrente minoritaria della Teologia della liberazione, afferma: «È importante che nel processo sinodale si abbia il coraggio di sollevare e discernere grandi temi spesso dimenticati o messi da parte, e di andare incontro all’altro e a tutti coloro che fanno parte della famiglia umana e sono spesso emarginati, anche nella nostra Chiesa. Diversi appelli ci ricordano che, nello spirito di Gesù, dobbiamo ‘includere’ i poveri, le comunità LGTBIQ+, le coppie in seconda unione, i sacerdoti che vogliono tornare alla Chiesa nella loro nuova situazione, le donne che abortiscono per paura, i prigionieri, i malati. Si tratta di camminare insieme in una Chiesa sinodale che ascolti tutti i tipi di esiliati, in modo che si sentano a casa, una Chiesa che sia un rifugio per i feriti e gli spezzati»[3].

Pure l’Instrumentum laboris raccoglie questi concetti: “I Documenti finali delle Assemblee continentali menzionano spesso coloro che non si sentono accettati nella Chiesa, come i divorziati e risposati, le persone in matrimonio poligamico o le persone LGBTQ+. Rilevano altresì (…) forme di discriminazione a base razziale, tribale, etnica, di classe o di casta, presenti anche nel Popolo di Dio” (n° B,1,2,ab).

Ciò non fa altro che ripetere quanto proposto nel Documento di lavoro per la tappa continentale del Sinodo: «Tra coloro che chiedono un dialogo più incisivo e uno spazio più accogliente troviamo anche coloro che per diverse ragioni avvertono una tensione tra l’appartenenza alla Chiesa e le proprie relazioni affettive, come ad esempio: i divorziati risposati, i genitori single, le persone che vivono in un matrimonio poligamico, le persone LGBTQ, ecc.» [4]. Si tratterebbe di “allargare lo spazio della tenda” per “includere” nella Chiesa queste “minoranze emarginate”.

In questo senso, la “Chiesa sinodale” proposta da Papa Francesco si presenta come continuatrice della “Chiesa dei poveri” auspicata dalla Teologia della liberazione.

Julio Loredo


Note

[1] Jon Sobrino, Ressurreição da Verdadeira Igreja. Os Pobres, Lugar Teologico da Eclesiologia, Edições Loyola, São Paulo 1982, p. 102.

[2] Final Document, in The Challenge of Basic Christian Communities, a cura di Sergio Torres e John Eagleson, New York, Orbis Books, 1981, p. 232.

[3] CELAM, Síntesis de la Fase Continental del sínodo de la sinodalidad en América Latina y el Caribe, n. 65. https://www.synod.va/content/dam/synod/common/phases/continental-stage/final_document/celam.pdf

[4] “Allarga lo spazio della tua tenda”, Documento di lavoro per la tappa continentale, n. 39 https://www.synod.va/content/dam/synod/common/phases/continental-stage/dcs/Documento-Tappa-Continentale-IT.pdf





sabato 24 giugno 2023

SINODO: L’IDEA È SUPERIORE ALLA REALTÀ




Smentendo l’assioma contenuto in Evangelii gaudium, secondo cui la realtà sarebbe superiore all’idea, leggendo l’Instrumentum laboris del Sinodo di ottobre prossimo e ascoltando la conferenza stampa di presentazione dello scorso 20 giugno, si ha la netta sensazione che in Vaticano qualcuno viva in un mondo fatato, che si ostina a credere vero, forse per non dover rinnegare i sogni di gioventù. Alcune considerazioni fattuali su cui riflettere.





I punti caldi del Sinodo universale sono gli stessi del Sinodo della Chiesa Tedesca. O tutta la Chiesa la pensa come i teutonici, oppure l’agenda è già scritta. Delle due l’una. Una semplice constatazione. Se fosse vera la prima ipotesi, allora i vescovi e gli attempati membri del sinodo germanico hanno veramente il polso della situazione. Sono svegli, geniali e profetici: facciamoci governare da loro!

Nell’Instrumentum Laboris si parla tanto di discernimento: uno penserebbe che essendo il Papa gesuita la cosa è più che naturale. Peccato che il discernimento proposto non abbia molto a che fare con quello ignaziano. Quest’ultimo infatti non ha mai per oggetto la prassi sacramentale della Chiesa, né tanto meno la sua dottrina. L’oggetto del discernimento ignaziano è l’elezione, ossia il modo di servire Cristo e la Chiesa imitando maggiormente la povertà e umiltà di Cristo. Inoltre il discernimento vero – come vuole Ignazio – non porta a conclusioni sinodali, ma deve essere sottoposto solo alla Madre Chiesa gerarchica, che vaglia il sentire del singolo sul “sentire con la Chiesa”. Chi non ci crede legga il testo degli Esercizi.

C’è un modello di discernimento comunitario in Ignazio, ed è contenuto nel testo del 1539 titolato Deliberazione dei primi padri. Quando il Basco e i suoi compagni arrivarono a Roma per mettersi a disposizione del Papa, dovettero decidere se disperdersi o rimanere uniti come corpo della Compagnia. Per eleggere ciò avviarono un discernimento comunitario fatto di digiuno e direzione spirituale personale (ciascuno con un direttore diverso). Arrivarono all’unanimità – senza essersi prima consultati – alla scelta di rimanere uniti per offrirsi nel servizio alla Chiesa. Questo discernimento comunitario non ha nulla a che vedere con il metodo proposto dal Sinodo.

È più che evidente che l’Instrumentum Laboris non abbia tenuto presenti le voci di tutti. Noi abbiamo visionato personalmente le proposte sinodali di una compagine ecclesiale molto qualificata: di quello scritto non c’è alcuna traccia nell’Instrumentum Laboris. Forse perché si parlava di conversione, ascolto, silenzio e derive mondane della Chiesa.

Le istanze del cattolicesimo moderato non sono state prese in alcuna considerazione. Tanto meno quelle dei cattolici più tradizionali o tradizionalisti. Questi ultimi hanno sempre denunciato le possibili derive del Sinodo…. Alla luce degli eventi è sempre più difficile dargli torto. Quando in conferenza stampa una giornalista coraggiosa ha osato chiedere il motivo di queste assenze, gli è stato risposto: “Noi ascoltiamo tutti”. Che è come se io rispondessi a chi mi chiede “come va la salute”, che “i medici effettivamente sono molto bravi”!!! Non si riesce a capire se le persone della segreteria sono stupide o furbe.

Lo Spirito santo viene citato in continuazione. Ma che questo Spirito sia lo Spirito di Cristo che ricorda ciò che il Maestro ci ha insegnato non si dice mai. Al livello teologico c’è una voluta e colpevole manipolazione della funzione della Terza Persona (come prassi tra gli adepti dei fratelli domenicani Philippe e in Jean Vanier in Francia). La funzione di ricordare la radicalità della sequela, propria dello Spirito, è volutamente ignorata. Non sarebbe funzionale al ‘nuovo corso’. Si vuole smentire ciò che stiamo scrivendo? Lo si dimostri.

La segreteria del Sinodo – questo ancora nessuno l’ha evidenziato – in realtà non è insediata in Vaticano ma su Marte. Lì c’è una Chiesa dove file di coppie gay chiedono il matrimonio sacramentale premendo alle porte delle parrocchie; dove le donne si infilano sotto le mani dei vescovi per essere ordinate e i transessuali sono i più assidui al Santo Rosario della sera. Sarà pure vero… ma da noi sul pianeta Terra queste cose non si vedono. Al popolo LGBTQ+ di avere la benedizione del prete per fare la propria vita non interessa nulla.




Ritornello: “la Chiesa deve accogliere e non giudicare”. Bufala! Le nostre parrocchie nella stragrande maggioranza praticano l’accoglienza dei poveri, degli emarginati, dei migranti, dei molti da decenni. Solo chi vive di carriere ecclesiastiche non se n’è mai accorto. Si studi la santità sociale dell’Ottocento piemontese ove carità e verità non sono mai entrate in contrasto. Ma si studi sul serio. Si dimentica che la Verità è la più grande forma di carità.

“Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta. La verità è luce che dà senso e valore alla carità”, scriveva Benedetto XVI in Caritas in Veritate.

L’Instrumentum Laboris è una smentita evidente della volontà di Papa Francesco di vedere la Chiesa dal punto di vista delle periferie del mondo. Poiché sono proprio le giovani Chiesa locali delle periferie asiatiche e africane (unico continente dove crescono i cattolici in maniera notevole) a non essere assolutamente interessate ai quesiti del Sinodo. Il Sinodo – si abbia il coraggio di smentirlo – è fortemente eurocentrico.

Alla gente delle nostre parrocchie, almeno in Italia, del Sinodo non interessa proprio nulla: lo stesso Cardinale Matteo Maria Zuppi, in una intervista all’Osservatore Romano, ha ammesso che la partecipazione al processo sinodale è stata inferiore alle aspettative. Così a Roma, Milano, Palermo, Napoli… tutte le curie diocesane lo sanno benissimo. Basta fare una telefonata e chiederglielo. Alcune hanno registrato un lieve interesse perché hanno messo a tema argomenti validi per la loro realtà locale. Nulla di più.

Ma allora: chi c’è dietro il Sinodo? La massoneria? I Puffi? I sessantottini delusi? Non sapremmo rispondere. Ma è evidente che esiste una minoranza molto agguerrita che vuole condizionare tutti, silenziando ampie compagini del popolo di Dio.

P.P.

Silere non possum