Di Stefano Fontana, 16 Dic 2024
La Chiesa italiana ha assunto, specialmente di recente, un atteggiamento ossequioso rispetto alla Costituzione della Repubblica italiana, vista come la ragione prima e ultima dell’impegno sociale e politico dei cattolici. Nel 2022 il cardinale Matteo Zuppi, presidente dei vescovi italiani, aveva addirittura scritto una “Lettera alla Costituzione” che cominciava con queste parole: “Ti voglio chiedere aiuto, perché siamo in un momento difficile e quando l’Italia, la nostra patria, ha problemi, sento che abbiamo bisogno di te per ricordare da dove veniamo e per scegliere da che parte andare”. Nel giugno 2024 Zuppi ha anche affermato: “La visione cristiana ha contribuito, insieme a quella comunista, a quella socialista e a quella liberale, alla straordinaria sintesi della Costituzione” che rappresentava “una alta condivisione di quello che univa”. La Costituzione si può cambiare, aveva accennato, ma solo se “l’inchiostro è uno solo”, ossia tutti insieme nello spirito della Costituzione stessa.
Il cardinale Zuppi e i vescovi italiani sono intervenuti più volte su due temi politici di attualità: la proposta di introdurre il premierato e la legge sulla autonomia differenziata. In ambedue i casi essi si sono pronunciati contro, ispirandosi proprio a questa idea assoluta di Costituzione che bisogna venerare e mai cambiare. Non si è mai notato, in questi interventi sulla Costituzione, una sottolineatura di come la Costituzione sia stata tradita e stravolta non solo nel periodo Covid – quando la Chiesa italiana con spirito “costituzionale” aveva appoggiato la sospensione di alcuni punti forti della Carta – ma anche con l’approvazione di leggi piuttosto devastanti per il bene comune. Di recente, alla Settimana sociale di Trieste del luglio 2024, Zuppi e Mattarella hanno fatto un discorso in fotocopia tutto incentrato sulla democrazia e sulla Costituzione. La Chiesa italiana non dice nulla di più o di diverso di quanto dice il Presidente della Repubblica.
Prima e sopra la Costituzione
Alla visita medica per il reclutamento al servizio militare di leva si veniva definiti di “sana e robusta costituzione fisica”. Questa costituzione fisica era qualcosa di reale che emergeva da una indagine seria e che poi la dichiarazione del medico confermava. La stessa cosa si può dire della costituzione delle nazioni. Ognuna di esse ha una sua propria fisionomia sociale, culturale e religiosa, ha un proprio assetto economico e produttivo, ha una serie di leggi consuetudinarie o espresse da organi competenti a farlo. Se guardiamo ad una qualsiasi delle nazioni europee vediamo che le loro costituzioni reali si sono formate lungo la storia come sedimentazione della religione cristiana, del diritto naturale e della morale naturale. Prima della Rivoluzione, la Francia non era priva di una sua costituzione. Aveva le sue leggi e le sue magistrature, una sua fiorente economia impostata in un certo modo, una società organicamente divisa in ceti, sue tradizioni culturali e religiose, una serie articolata di leggi frutto di consuetudini, usi e costumi locali. La Francia dell’ancien régime non aveva una Carta ma ugualmente aveva una costituzione.
La Dottrina sociale della Chiesa, con il suo realismo di fondo, ha sempre sostenuto questo dato. C’è qualcosa che precede le Costituzioni scritte, che deve essere tenuto da loro in conto e che esse devono rispettare. Si tratta della distinzione tra costituzione reale e costituzione scritta. Non è la Costituzione scritta e approvata da una qualche assemblea che fonda quella reale, ma il contrario. La costituzione reale trovava un consenso, maturato lungo la storia e nella concretezza della vita, ma non assegnava a quel consenso la capacità di fondare la costituzione reale, pensava piuttosto il contrario. Questo spiega perché la Dottrina sociale della Chiesa non può accettare che la Costituzione sia considerata qualcosa di assoluto, un partire da zero, una rivoluzione, i suoi principi non sono ultimamente fondativi della vita sociale e politica, ma hanno bisogno anche essi di fondamento. Questo fondamento è naturale, come abbiamo visto, e poi anche soprannaturale perché la natura non fonda se stessa.
La novità del Costituzionalismo
Le cose erano andate aventi così per lungo tempo. Ad un certo punto però nacque qualcosa di nuovo. La dottrina politica moderna cominciò a negare che l’uomo fosse un “animale sociale” per natura, pensando che nella fase pre-sociale egli vivesse in un totale isolamento. Da questo momento si ritenne che la società nascesse da una scelta convenzionale tra gli individui e che non avesse niente prima e sopra di essa a cui rendere conto. Nasce così il costituzionalismo moderno che è l’ideologia della Costituzione. Fino a che non c’è una Carta non c’è nemmeno la società, la Carta non ha niente che la preceda in natura ma è creatrice della società, essa assume quindi un carattere assoluto perché prima e sopra di essa non c’è né legge né giustizia. La Costituzione, si badi, bene, a questo punto diventa solo l’espressione di un potere. Poiché buono e giusto è solo quanto essa stabilisce che sia, l’atto di porla sarà privo di bontà e giustizia, che nascono solo dopo questo atto, e quindi essa sarà posta senza criteri per farlo, ossia come pura forza. Questo atto di forza potrà essere espresso da una singola persona, da un gruppo di persone (una curia) o dall’intero popolo senza che con ciò cambi qualcosa. Se il popolo elegge un’assemblea costituente che poi approva una Carta intesa nel senso moderno appena visto, quella Carta sarà semplicemente posta dalla forza, in questo caso dalla forza della maggioranza.
Il Costituzionalismo nasce insieme allo Stato moderno: le due cose vanno insieme. Da ora in poi è lo Stato, in base alla Costituzione, a stabilire chi sia cittadino e cosa significhi esserlo. Prima la cittadinanza era un fatto naturale, ora diventa una questione artificiale: è cittadino chi è dichiarato tale dallo Stato in base alla Costituzione.
La Costituzione italiana
Anche la Costituzione italiana risente del costituzionalismo moderno. Il suo primo articolo riconosce al popolo una sovranità, ossia considera il popolo non sottomesso ad altro al disopra di se stesso. La Dottrina sociale della Chiesa non può ammettere il concetto di sovranità, perché significherebbe annullare il diritto naturale e Dio stesso come fonte della vita comunitaria. La Costituzione italiana non dice di fondarsi su Dio e nemmeno sul diritto naturale, ma sul lavoro che non riesce a fondare proprio niente. Ne consegue che la Costituzione italiana professa un indifferentismo etico e religioso. Qui ci si scontra con due punti di notevole interesse. L’articolo 1 dice che lo Stato “riconosce” i diritti del cittadino, sicché – molti sostengono – riconosce il diritto naturale. Questo non è vero perché c’è un elenco piuttosto lungo di sentenze della Corte costituzionale secondo cui alla base della Costituzione italiana c’è l’autodeterminazione del soggetto, il che esclude il diritto naturale. Il verbo “riconosce” non riguarda un presunto piano naturale dei diritti, ma significa semplicemente che lo Stato riconosce quelli che i soggetti pensano di avere. Il secondo punto riguarda la religione cattolica. L’articolo 7 viene spesso inteso come una accettazione in Costituzione della religione cattolica, il che contraddirebbe il carattere dell’indifferentismo religioso richiamato sopra. A ben vedere, però, ad essere costituzionalizzata nell’articolo 7 non è la religione cattolica ma il regime pattizio, tanto è vero che nel 1984 i Patti lateranensi del 1929 sono stati rivisti senza nessuna modifica del testo della costituzione. La Costituzione rimane indifferentemente libera per altri patti con altre religioni, come del resto dimostra l’otto per mille.
La Costituzione italiana è carente anche da altri punti di vista. Non è chiara sulla priorità dei doveri sui diritti, non riconosce in modo adeguato il principio di sussidiarietà e rimane fondamentalmente statalista, non dice che il matrimonio è indissolubile, dà una definizione di famiglia ancora troppo vaga al punto da permettere le sue deformazioni con le varie leggi sulle “unioni civili”. Con ciò voglio dire che non può essere un assoluto né la principale guida per i cattolici in politica.
L’eredità del Dossettismo
Sia il cardinale Zuppi che il presidente Mattarella possono essere definiti dossettiani. Giuseppe Dossetti (1913-1996) leggeva la situazione italiana della Resistenza e della fase costituente come l’occasione di dar vita ad una nuova democrazia. La lotta al fascismo e la resistenza erano stati secondo lui eventi epocali che dovevano produrre frutti continuativi. A questo scopo egli riteneva fondamentale un’apertura politica al Partito comunista italiano che esprimeva, secondo lui, una partecipazione di popolo di cui la nuova democrazia aveva bisogno. In questo quadro si comprende la grande importanza che egli diede, e che sempre darà, alla nuova Costituzione repubblicana, considerandola un testo rivoluzionario, non solo un insieme di norme, ma un progetto di rivoluzione democratica da realizzare. La Costituzione diventava così un assoluto quasi sacrale, al di sopra di tutto e di tutti, intangibile, un’utopia da realizzare. Si comprende anche come egli ponesse al centro di questo rinnovamento lo Stato e la sua attività di intervento nella società, nella cultura, nella scuola, nell’economia. Il suo scopo era costruire per i cattolici un partito post-religioso e post-cristiano, che accettasse la secolarizzazione e fondato appunto unicamente sulla Costituzione.
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