mercoledì 8 maggio 2024

Questo modello di Europa non piace più a nessuno





NOTIZIE



Di Vladimir Kosic, 8 MAG 2024

Non occorre essere inglesi per capire che l’attuale modello di Europa, in realtà, non piace più a nessuno. Tra le molte ragioni che hanno portato a questo fallimento vi è, secondo me, un vizio d’origine cui non si presta sufficiente attenzione. Rileggendo la pubblicazione ”Filosofia per tutti” (S. Fontana, Fede & Cultura) a pag. 6 leggiamo: “un piccolo errore all’inizio è grande nella conclusione; nessuno si dà ciò che non ha”. Credo che una riflessione sul “…piccolo errore all’inizio…” potrebbe aiutarci a capire una questione poco (o nulla) presa in considerazione. Quale è l‘errore iniziale? Dopo la Brexit, protagonista sempre a modo suo, il 22 agosto 2016, Renzi portò sull’isola di Ventotene il Presidente Hollande e la Cancelliera Merkel “per deporre fiori europei sulla tomba di Altiero Spinelli”, da tutti, ormai, considerato il padre dell’UE in quanto uno degli estensori del Manifesto di Ventotene. Nessuno richiamò l’attenzione sull’appartenenza politica degli autori del Manifesto originariamente redatto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi con il titolo “Per un’Europa libera e unita”. Il Progetto di un manifesto nacque nel 1941, quando, com’è noto, per motivi politici furono confinati a Ventotene molti oppositori del regime fascista. Altri confinati antifascisti sull’isola contribuirono alle discussioni che portarono alla definizione del testo. All’epoca della stesura erano confinate sull’isola circa 800 persone, 500 classificate come comunisti, 200 come anarchici ed i restanti prevalentemente giellini e socialisti.

No comment sullo spessore morale ed etico (de mortui nihil nisi bono) di coloro che vengono ormai da tutti riconosciuti come i padri dell’UE. Ma è proprio per questa “paternità” dell’UE che l’UE non piace e quindi non funziona. Il centralismo di Bruxelles (la Commissione) è figlio del centralismo democratico (il comitato centrale del partito comunista) ed è inconciliabile con l’idea di democrazia liberale dell’Europa occidentale al punto da assomigliare più ad una dittatura che ad un governo rispettoso delle identità su cui poggia la sovranità popolare. Ed è sempre per questo che l’UE rischia la fine che meritano tutte le dittature, come è successo con l’Unione sovietica. Uno degli equivoci del perché l’UE non sia in grado, o non voglia o non possa reagire ai motivi demografici (la popolazione autoctona è in costante declino, i tassi di fecondità fra le donne musulmane, ad es. sono 2,5-4 volte superiori a quelli delle donne europee), politici (l’Europa è debole e irrilevante nelle relazioni internazionali non avendo una politica estera condivisa), economici (i Paesi dell’UE, al loro interno, hanno rapporti/interessi inconciliabili, ad es. nei confronti dei Paesi musulmani, subendo ricatti vitali), culturali (il rinnegare le proprie radici giudaico-cristiane e greco-romane la rende priva di qualsiasi riferimento; non è un riferimento sufficiente la Carta dei diritti di Nizza). Proviamo solo a pensare che il Parlamento europeo non approva le leggi, perché le vere leggi sono le Direttive approvate dalla Commissione che è composta da nominati (non eletti). Il fatto che il Consiglio richieda l’unanimità per cambiare l’attuale sistema ci fa capire perché l’attuale Presidente della Commissione sia stata nominata con nove voti di scarto, come tutti sanno, da rappresentanti politici (i grillini) tanto sprovveduti quanto inaffidabili.

Le parti politiche in gioco lasciateci in eredità dal secolo breve sono, secondo me, due: la socialdemocrazia ed il liberalismo, imponendo la dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie” (Card. J. Ratzinger). Credo che la socialdemocrazia europea, dopo essere stata accusata dalla scuola ortodossa di avere tradito il suo popolo in nome di un mondo senza frontiere al servizio di un devastante ultra-liberismo, sia al capolinea. Il cammino che li avrebbe portati fatalmente alla sconfitta era iniziato in Germania nel 1959. Durante il congresso del Partito socialdemocratico tedesco (SPD) di Bad Godesberg fu sancita la rottura con il marxismo e l’adesione all’economia di mercato. Da allora, con risultati ondivaghi fino al 1989, la socialdemocrazia europea (PCI compreso) ha vissuto della rendita garantita dalla “minaccia” che l’URSS rappresentava per l’Occidente quale alternativa, in astratto, possibile. Tony Blair (New Labour) e Gerard Schroeder (Programma di Berlino) erano riusciti a risvegliare le socialdemocrazie nazionali ed europee dopo che Ronald Reagan e Margaret Thatcher riuscirono ad imporre che si giocasse sul loro campo con le loro regole: libero mercato e, soprattutto, la globalizzazione. Ma la sinistra europea ha avuto il suo de profundis, soprattutto con il fenomeno migratorio quando è stata costretta, de facto, a scontare la miope e rigida (strumentale?) adesione ad una finalità ed a una ideologia più utile alla globalizzazione imposta dalle minoranze del grande capitale internazionale e delle classi privilegiate piuttosto che alla maggioranza della popolazione europea.

Ma c’è una domanda ancora più importante alla quale l’Europa non sa rispondere: esiste una relazione diretta di incompatibilità tra democrazia, Stato nazionale e globalizzazione? Sì! Durante il World Economic Forum, svoltosi a Davos a fine gennaio del ’18, assistemmo ad uno scontro tra Donald Trump e Angela Merkel. Trump confermò la scelta protezionistica mentre la Merkel, contraria ad ogni forma di “egoismo nazionale” (sic), sostenne la “cooperazione” in favore del neoliberismo no limits. Oggi appare evidente a tutti che il neoliberismo imperante, basato su una concorrenza sfrenata e spregiudicata che non distingue le merci dalle persone, non differenzia i cicli dei prodotti dalla vita toccata in sorte alla gente, ci sta scavando la fossa perché né la Cina, né l’India potranno mai rinunciare al proprio interesse nazionale. La globalizzazione imperniata sulla competizione ha aumentato il divario tra ricchi e poveri per cui abbassare significativamente la pressione fiscale, adottando un sistema di tassazione più agevole e “leggero” è prioritario, soprattutto per il nostro Paese. Ma come sappiamo anche su questo l’UE non ci permette di fare ciò che ci sarebbe più utile bensì ci costringe a subire le conseguenze dei dazi imposti dagli Stati Uniti d’America all’UE perché la Francia e la Germania hanno violato (Airbus) le regole del WTO. La dittatura neoliberista spesso usa per difendersi dalla globalizzazione le stesse armi di cui questa si serve per imporsi. Fondamentale è che chi impugna le armi sia in grado di maneggiarle con cura. Ahimè, ho paura che oggi queste armi siano cadute nelle mani sbagliate sia a livello nazionale che a livello europeo.

Sic stantibus rebus il trilemma di D. Rodrik sembra ineludibile: “Se vogliamo far progredire la globalizzazione dobbiamo rinunciare o allo Stato/nazione o alla democrazia politica. Se vogliamo difendere ed estendere la democrazia, dovremo scegliere fra lo Stato/nazione e l’integrazione economica internazionale. E se vogliamo conservare lo Stato/nazione e l’autodeterminazione dovremmo scegliere fra potenziare la democrazia e potenziare la globalizzazione”. Possiamo combinare due a scelta delle tre, ma mai avere tutte e tre contemporaneamente nella loro pienezza.

C‘è speranza, esiste una qualche possibilità di impostare una soluzione auspicabile? Ritengo che l’economia sia un ottimo pilota automatico ma io non rinuncerei mai che il timoniere faccia a meno della cultura, la sola capace di affrontare gli scogli, i mari in burrasca e soprattutto le derive. Il liberalismo ha oggi maggiori opportunità di sostituire al timone il pilota automatico se le priorità dominanti nei contesti nazionali (Paesi) e sovranazionali (UE) riusciranno a riprendere (la sola dichiarazione di intenti non basta) la funzione commutativa nella redistribuzione della ricchezza a livello europeo e globale, nonché il perseguimento della piena occupazione, da una parte, e se, ancora più importante, ritroverà le radici comuni su cui poggia la civiltà europea. Perché, sia chiaro, l’UE così com’è non ha futuro ma abbiamo più bisogno d’Europa che del nazionalismo. Il male del nazionalismo non consiste nel suo rispettoso e leale legame alle tradizioni del passato, né nella rivendicazione di un’unità nazionale e nel diritto all’autodeterminazione. Ciò che è sbagliato nel nazionalismo è la fusione tra l’appartenenza ad una nazione europea che comporta anche la contrapposizione con le altre nazioni europee. Così l’unità nazionale si identifica con l’autarchia totale che comprende anche la cultura che è, invece, il frutto di una dimensione sovranazionale almeno quando parliamo di Europa. Il punto di caduta finale della nostra cultura non si esaurisce nello stato nazionale ma in una dimensione europea. Basterebbe pensare alle epoche artistiche, per esempio. È vero che con l’UE non abbiamo ancora raggiunto una forma politica appropriata, e forse non la raggiungeremo mai; ma se guardiamo la società reale e non l’astrazione intellettuale comprendiamo che è solo grazie alla comunione delle culture nazionali sorte in una dimensione europea reale che le differenti culture nazionali hanno potuto crescere e svilupparsi fino a raggiungere la loro forma attuale. Non c’è dubbio che si sia sottovalutata questa unità al punto da trasformarla più in un’ideologia che in una forma aggiornata di governo politico perché la civiltà europea credeva di aver raggiunto un tale prestigio che sembrava non potesse avere rivali e che fosse essa stessa la rappresentazione della civiltà in generale. Ma la questione oggi è molto differente, dal momento che l’egemonia europea viene sfidata da tutte le parti; quando la Russia e gli USA non possono essere più considerate estensioni coloniali della cultura europea, dato che hanno superato l’Europa sia per ciò che riguarda la popolazione e la ricchezza e sia per il fatto che stanno sviluppando culture indipendenti proprie; quando i popoli dell’Oriente stanno riaffermando le pretese della cultura orientale, e quando noi stessi perdiamo la fiducia nella superiorità delle nostre tradizioni. L’UE così com’è non piace più a nessuno (ai nominati piace) e ci si deve mettere al lavoro per non buttare via, come si suol dire, il bambino con l’acqua sporca, errore che il nazionalismo corre il rischio di ripetere. Sovranismo e nazionalismo, in politica, non sono sinonimi. Siamo stati capaci di ricostruire l’Europa dopo due guerre mondiali e dopo contrapposizioni che poggiavano sull’equilibrio del terrore atomico. Tutto ciò l’abbiamo superato perché siamo rimasti sovrani ed europei ed è su questa strada che vogliamo continuare ad esprimere il nostro impegno.

Vladimir Kosic





Denatalità: urge un cambiamento di mentalità





da Miguel Cuartero Samperi, 8 Maggio 2024

In un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 30 aprile, il giornalista e saggista Federico Rampini affronta il tema del crollo demografico. Un problema che sta diventando allarmante per i paesi industrializzati specie in occidente. Il calo vertiginoso delle nascite ha infatti degli effetti devastanti sull’economia del paese e sulla sua sostenibilità ma è ormai opinione comune che sia anche un sintomo di una stanchezza esistenziale e di una mancanza di fiducia nel futuro. Merito di Rampini è quello di portare all’attenzione dei lettori italiani l’analisi condotta dal giornalista John Burn-Murdoch del Financial Times che riassume gli esiti si diversi studi in materia demografica.

In estrema sintesi gli studi dimostrano che gli incentivi economici che i governi offrono ai cittadini per favorire la natalità sono del tutto irrilevanti per le coppie in età fertile alle prese con la decisione di mettere o non mettere al mondo un (o un altro) figlio. Una conclusione che, banalmente, anche il buon senso può confermare se si pensa che “i tassi di fertilità e natalità rimangono più elevati in paesi più poveri, quindi non è certo la mancanza di mezzi a giustificare il crollo delle nascite nei paesi ricchi”.

La maggior parte dei paesi che oggi affrontano il rigido inverno demografico che attraversa il primo mondo, hanno capito l’alta posta in gioco e cercano di invertire la rotta con misure economiche volte a incentivare la nascita di nuovi bambini. Persino la Cina che per anni imposto l’iniqua legge del figlio unico (per la quale hanno pagato con la vita milioni di bambini, specie di sesso femminile, e per la quale oggi mancano all’appello 400 milioni di bambini cinesi) è oggi costretta a fare marcia indietro e a offrire sussidi alle coppie intenzionate a procreare al fine di cercare di invertire la rotta.

Ma i dati mostrano che la generosità dei governi non paga. Non è dunque solo una questione di soldi ma di cultura, di visione della vita e di priorità personali e familiari. Questo non significa che gli aiuti economici non siano utili e necessari, scrive Rampini, “basta non illudersi che servano a invertire la tendenza alla denatalità” perché, è evidente che “i fattori culturali intervengono a monte nelle decisioni, molto prima che i costi di allevare un figlio siano presi in considerazione”.

Tra i fattori che determinano la decisione di non fare figli, “il più importante di tutti sembra essere la fiducia nel futuro. Una generazione convinta di essere alla vigilia dell’Apocalisse, o di vivere in una civiltà malvagia, in un mondo infernale segnato dalle peggiori ingiustizie, perché mai dovrebbe fare figli?”.

Un altro fattore culturale può riassumersi nella esagerata attenzione che si pretende, o si pensa, di dover offrire al bambino in qualità “cure, investimenti, attenzione, educazione…”. Uno standard così alto da scoraggiare i genitori di fronte a tale (troppo alta) responsabilità. Fattore che, in un contesto sociale sempre più agitato e accelerato, contribuisce ad aumentare il grado di stress vissuto dalla generazione chiamata oggi a generare figli.

C’è poi la questione delle priorità personali. Troppo spesso infatti in cima alla pianificazione familiare c’è la realizzazione professionale della coppia (che richiede tempo, fatica e investimenti) e difficilmente si concilia con una gravidanza e con la nascita di un figlio che richiede dei sacrifici (in termini economici, fisici e organizzativi) che rallenterebbero inevitabilmente (o per lo meno distrarrebbero) i genitori nel perseguimento del loro primo obiettivo, quello della carriera. A conferma di questo dato è l’età media, sempre più alta, delle donne che hanno la prima (e spesso l’ultima) gravidanza: dato evidente dalle statistiche e confermato empiricamente dai reparti di maternità degli ospedali italiani.

Un elemento importante da tenere in considerazione è il costante stato di allarme che le giovani generazioni sono costrette a subire da una narrazione catastrofica che negli ultimi anni ha diffuso paura e angoscia per il futuro del pianeta. “In America, in Europa, in Estremo Oriente, la generazione sotto i trent’anni è più impaurita dal futuro e più stressata rispetto alle altre generazioni”.

È ciò che emerge con chiarezza anche nel recente “Rapporto Giovani” promosso dall’Istituto Toniolo e riportato da Avvenire in un articolo di Massimo Calvi pubblicato l’1 maggio. Il rapporto ha rilevato in particolare “una preoccupazione maggiore per il futuro ambientale ed economico nel nostro Paese” rispetto agli altri paesi del continente.

Nello studio del Toniolo la questione climatica non è l’unico elemento che condiziona le scelte delle nuove generazioni, tuttavia emerge come fattore nuovo e spesso determinante nelle scelte dei giovani europei – ed in particolare di quelli italiani – tanto da portare gli analisti a parlare di “eco-ansia” che condizionerebbe le scelte familiari delle giovani famiglie. L’idea – ripetuta come mantra da alcune scuole di pensiero e riportata ciclicamente (e acriticamente) dai media – secondo la quale i figli danneggerebbero il pianeta e metterebbero a rischio la sopravvivenza della specie ha creato nelle giovani generazioni, specie in coloro che mancano di una discreta capacità critica, uno stato di frustrazione e di sfiducia che ha come prima conseguenza quello di non considerare la procreazione come un bene ma, al contrario, come un gesto eticamente irresponsabile, da evitare.

Nel rapporto del Toniolo emergono in ordine le maggiori preoccupazioni dei giovani: “per la propria situazione economica (70%), ma anche per quello che troverà in futuro il proprio eventuale figlio come situazione economica (68%) e climatica (62%). Così come l’incapacità di voler ‘abbandonare un certo stile di vita’ (61%)”.

Questi risultati a prima vista possono sembrare in contraddizione con quelli riportati da Burn-Murdoch (e ripresi da Rampini sul Corriere). Tuttavia confermano che l’aspetto economico non è l’unico fattore dirimente della questione denatalità. La crescente preoccupazione per il clima è un elemento nuovo che nasce da una narrazione pressante, mentre la ricerca della propria realizzazione nel lavoro e di un certo stile di vita, confermano che il problema fondamentale è l’incapacità di rinunciare al progetto “personale” per realizzare un progetto “familiare”.

Complice, forse, un progressivo disgregarsi del concetto di famiglia come valore. Tirata in ballo per campagne ideologiche e snaturata per modellarla su richiesta delle nuove esigenze e mode, la famiglia non rappresenta più un campo dove poter realizzare la propria vita ma, al contrario, un intralcio per la realizzazione di un progetto di crescita e affermazione personale.

In termini spirituali si potrebbe decifrare anche la completa assenza di capacità di sacrificio, parola ormai desueta e spesso utilizzata per ricordare le gesta di nonni e genitori anziani che hanno dato tutto per le future generazioni; gesta che le giovani generazioni non mettono in conto di dover (o poter) imitare, preferendo rinunciare ai figli per salvare il proprio stile di vita e – magari – anche il pianeta.

Si potrebbe affermare che più allarmante del calo demografico sono i motivi che lo provocano. Sono dati preoccupanti (e in un certo senso sconfortanti) che mostrano l’urgenza di un cambio radicale di mentalità (in termini spirituali: di una conversione) per il quale non saranno sufficienti i bonus, gli sgravi fiscali e i diversi incentivi che pur fanno comodo alle famiglie che decidono di aprirsi alla vita.





martedì 7 maggio 2024

A Trieste il cardinale Zuppi scambia le esigenze della verità con le “dogane ideologiche”





Di Silvio Brachetta, 7 MAG 2024

Il 29 aprile scorso, il Cardinale Matteo Maria Zuppi, a Trieste su invito del Vescovo Enrico Trevisi, ha parlato sul tema della partecipazione dei cattolici alla costruzione della Chiesa e della città, intesa come polis, come società del vivere civile. Questo è uno tra i vari appuntamenti in preparazione della 50a Settimana sociale dei cattolici in Italia.

Gli argomenti trattati sono fondamentali, perché vanno a toccare il corpo mistico di Cristo, che è la sua Chiesa. Il Card. Zuppi, in particolare, ha commentato la Prima Lettera ai Corinzi di San Paolo (12, 12-30): è il punto della Lettera dove l’Apostolo parla del corpo e delle membra della Chiesa. La lettura che ne dà Zuppi è paolina, ovvero il corpo si tiene solo se tutte le membra sono concordi, se hanno cura le une delle altre, se c’è comunione e concordia.

Al contrario – afferma Zuppi – l’individualismo e il protagonismo egocentrico sono un danno per l’unità della Chiesa e, dunque, per l’unità del corpo mistico. Il danno è inteso anche nel senso di «partecipazione», perché il partecipare è possibile solo in una comunità di persone. Da qua l’altro grande tema teologico, toccato da Zuppi, della zizzania e della divisione: il «divisore» – il diavolo, cioè diàbolos (divisore, accusatore, in greco) – corrompe l’unità del corpo mistico con uno «zelo mal posto».

Esclusa la questione della verità

L’esegesi del Cardinale è precisa ma parziale e trascura diversi punti importanti. Non c’è un cenno, nelle sue parole, allo zelo ben posto, che è il centro della vita di santità. Una cosa, infatti, è lo zelo satanico e un’altra lo zelo dei santi.

Tutto il corpo mistico si tiene, secondo Zuppi, sull’amore: «Solo l’amore può generare un corpo che è pensarsi insieme». No, non solo l’amore, ma accanto all’amore c’è la verità, che egli non pronuncia mai per tutto l’intervento, se non in negativo, nel senso che Zuppi reputa un male che il mondo sia «pieno di torri di guardia e di mura difensive». Il rimando va immediatamente alla nota teoria delle «dogane ideologiche», più volte richiamate dal progressismo teologico degli ultimi due decenni (almeno) e che vede con sospetto – se non con avversione completa – l’apologetica e la difesa della verità.

Eppure è lo stesso Gesù Cristo che associa l’unità della Chiesa alla verità, ad esempio nel Vangelo di Giovanni (17, 11-19): «Padre santo, custodiscili nel tuo nome […], perché siano una sola cosa, come noi. […] Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità».

Gesù, nella sua preghiera sacerdotale, ripete «verità» tre volte e proprio in relazione all’«ut unum sint» («perché siano una sola cosa»). È chiaro che l’esegesi non si fa su un solo verso del Vangelo e, quindi, l’unità del corpo mistico – nel senso teologico più ampio – si realizza solo nell’unione tra «verità» e «carità», cioè tra verità e amore. Non è dunque possibile parlare di unità del corpo mistico senza nominare la verità e l’amore, oppure nominando solo la verità o solo l’amore.

Non va dimenticato che lo Spirito Santo è Spirito d’amore, per appropriazione, ma in quanto Dio è lo «Spirito di verità» (Gv 16, 13). Non è possibile rimuovere la questione della verità nemmeno parlando dell’azione dello Spirito Santo.

La città terrena è sempre «permixta»


Altra fonte di ambiguità è l’insistere del Card. Zuppi sul concetto di «città degli uomini», che ripete in modo martellante per tutto l’intervento. Dal momento che «la Chiesa e la città hanno un legame profondissimo» – dice ad esempio Zuppi – «la riflessione nelle Settimane sociali è proprio dire: che cosa la città degli uomini ci chiede e che cosa significa essere cristiani? Che cosa dobbiamo donare alla città degli uomini?».

Sant’Agostino, ne La città di Dio, parla sempre e solo di «civitas permixta» (città mista, composita), che è la società umana e in cui convivono commischiate – fino alla fine dei tempi, fino alla parusia del Cristo – la «città terrena» e la «città di Dio». La pólis, quindi, per Agostino e per la teologia classica è sempre una civitas permixta, in cui la mentalità mondana (Babilonia) deve convivere con la mentalità convertita dei santi (Gerusalemme). Le due mentalità sono inconciliabili e, di fatto, non si concilieranno mai, perché l’empio sarà condannato e il santo sarà salvo in eterno.

La teologia contemporanea (non Zuppi, che si limita a ripetere), al traino della svolta antropologica rahneriana, ha invece introdotto il concetto goffo di «città dell’uomo», per tentare, in modo maldestro, di conciliare Gerusalemme e Babilonia, sacro e profano, benedizione e maledizione, amore e odio. Si vuole cioè giungere, con la nuova teologia riformata, al compromesso tra verità e menzogna.

Anche dal punto di vita grammaticale, la «città dell’uomo» è una banalità: la città terrena è ovviamente la città dell’uomo – le tautologie hanno sempre un secondo fine malcelato. L’obiettivo di questa teologia spuria è appunto la ricerca del compromesso civile e politico, che finora ha portato solo danni all’uomo, poiché si sono imposte legislazioni che, pur apparendo giuste, sono ingiuste e opposte al vero bene comune.

Di tutta l’erba un fascio


Quando il Cardinale parla di «zelo mal posto» si riferisce a tutto un mondo cattolico, per nulla entusiasta dell’eterodossia teologica contemporanea, penetrata anche nei settori del magistero. E, a proposito dello «zelo mal posto», specifica: «qualcuno avrebbe detto offensivo».

Così come ci sono due significati di «offendere», ci sono pure due generi di «offesa». C’è l’offesa dello zelo satanico, che è un ingiuriare, un insolentire, un oltraggiare, un vilipendere. Ma c’è anche l’«offendere» dei santi, che deriva dall’etimologia militare propria del termine. In questo senso, l’«offendere» è il «fendere» con un’arma, il colpire, l’urtare. E infatti la verità può essere divisiva, sgradevole, dolorosa, indigesta, mortificante.

È lo stesso Gesù a presentarsi come «divisore» e «separatore»: «Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione» – «Putatis quia pacem veni dare in terram? Non, dico vobis, sed separationem» (Lc 12, 51). L’Agnello è colui al quale esce dalla bocca «una spada affilata a doppio taglio» (Ap 1, 16). A questo proposito, sant’Agostino dice che «i santi muovono guerra, sguainano le spade a due tagli, e avvengono stragi, uccisioni, separazioni» (Esposizione del Salmo 149). In tempi recentissimi, un altro Cardinale (Angelo Bagnasco, La Stampa, 08/12/2016) ha detto che è necessario «annunciare la verità di Cristo, anche se può apparire divisiva».

Zuppi, al contrario, mescola ogni cosa e non distingue lo zelo mal posto da quello ben posto; non distingue tra irrisione e argomentazione o tra insulto e critica. Se poi si volesse capire a chi Zuppi si riferisce con precisione, è lui stesso che fuga il dubbio: «Non accettiamo mai delle logiche di divisione, che si nutrono di malevolenza, […] come appunto quello zelo mal posto […] di coloro che non sapevano più riconoscere la grandezza nella storia, che guardavano al passato».

Per avere, dunque, uno zelo ben posto bisogna essere progressisti, guardare al futuro e avere uno sguardo non retrospettivo. Essere insomma accomodanti su tutto, tranne con chi guarda al passato. Bisogna scendere al compromesso col mondo e non dire mai nulla senza soppesarlo, perché si correrebbe il rischio di essere «divisori». Bisogna cercare l’«armonia con tutti», come san Francesco d’Assisi, che però cercava Dio e diceva la verità senza compromessi. Ovvero, bisogna fare di tutta l’erba un fascio e giudicare maligna e malevola ogni parola che non piace.

Dogane escatologiche

Provvidenzialmente il Cardinale pare contraddirsi e convenire con Agostino: «La Chiesa stessa si misura sempre con la Babilonia, ma la rende un cuore solo e un’anima sola se piena e unita dal suo Spirito. Ecco perché la Chiesa è sempre, come a Gerusalemme, dentro la città degli uomini. Non chiude la porta per essere se stessa. Sempre con la porta aperta, come a Pentecoste». Tutto giusto, a parte Gerusalemme (la città di Dio), che non è dentro la città degli uomini, ma permixta assieme alla città terrena.

Quanto ai muri e alle porte, sono sempre presenti, tanto a Babilonia, quanto a Gerusalemme. Persino la Gerusalemme celeste (il Paradiso) ha mura e porte. Gerusalemme, in particolare, «è cinta da un grande e alto muro» (Ap 21, 12). È vero che il Paradiso non ha motivo di difendersi da nulla, ma le mura della Gerusalemme celeste, oltre a dichiararne i confini, dichiarano anche che – alla parusia – sarà deciso un dentro e un fuori, un’inclusione e una esclusione da essa.

Resteranno quindi, ben visibili, i confini, le mura e le «dogane» della città di Dio: dogane non «ideologiche», ma escatologiche, per la distinzione del vero dal falso.

Silvio Brachetta

(Foto: Wikipedia Di Francesco Pierantoni)




Cardinale Burke / La migliore richiesta che possiamo fare alla Vergine




06 MAG 2024


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by Aldo Maria Valli

Omelia nella Messa votiva del Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria, con la solenne consacrazione dei catechisti mariani



di Raymond Leo cardinale Burke

Is 61, 9-11
1 Sam 2, 1. 4-5. 6-7. 8
Lc 2, 41-51

Il ritrovamento di Nostro Signore nel Tempio, raccontato nel Vangelo di oggi, fa parte del Mistero della Fede, il Mistero dell’Incarnazione redentrice. Il Bambino Gesù rimase “nella casa del Padre” [1] dopo la festa di Pasqua, manifestando la sua natura divina. Egli è Dio Figlio. Inoltre, “scese con [Maria e Giuseppe], venne a Nazareth e fu loro obbediente” [2]: è Dio Figlio incarnato, figlio di Maria, il cui sposo Giuseppe è il suo padre verginale. Come professiamo nel Credo niceno, Dio Figlio, “consustanziale al Padre” [3], “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e per mezzo dello Spirito Santo si incarnò nella Vergine Maria e si fece uomo” [4]. “È il Mistero della Fede, manifestato alla Vergine Madre di Dio attraverso il ritrovamento del Divino Bambino nel Tempio, che ella custodiva nel suo cuore, [5] poiché il suo Cuore Immacolato era in perfetta unione con il Sacratissimo Cuore, divino e umano, di Gesù, Dio Figlio e suo Figlio.

Il Beato Columba Marmion, nel suo capolavoro spirituale Cristo vita dell’anima, riflettendo sulle parole dell’angelo del Signore ai pastori alla Natività di Nostro Signore [6], commenta l’unione del Cuore Immacolato di Maria con il Sacratissimo Cuore di Gesù:

È con il cuore e con l’anima che la Vergine Maria entra nei misteri del suo Figlio. San Luca ci dice che la madre di Gesù “teneva presente tutte queste parole” – le parole del Figlio – “meditandole nel suo cuore” [Lc 2, 19]. Le parole di Gesù erano per lei fonte di contemplazione: non potremmo dire lo stesso dei misteri di Gesù? Sicuramente Cristo, quando viveva questi misteri, illuminava l’anima di sua madre su ciascuno di essi. Lei li capiva, si associava ad essi; tutto ciò che Nostro Signore diceva e faceva era – per lei che amava tra tutte le donne – una fonte di grazie. Gesù, per così dire, ha restituito a sua madre nella vita divina (di cui è la fonte) ciò che aveva ricevuto da lei nella vita umana. È per questo che Cristo e la Vergine sono così indissolubilmente uniti in tutti i misteri; ed è anche per questo che Maria ha unito tutti noi, nel suo cuore, al suo Figlio divino, [il nostro capo] [7].

Cristo ha ricevuto la sua natura umana nel grembo di Maria affinché lei per prima – in previsione del frutto della sua passione salvifica, della sua morte, della sua risurrezione e della sua ascensione – e tutti coloro che avrebbero preso vita in lui attraverso la fede e il battesimo, potessero partecipare alla sua natura divina, la vita di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo.

L’unione del cuore di Maria con il Cuore del Salvatore si è consumata ai piedi della Croce. Il Beato Columba Marmion conclude la sua riflessione:

Ora, l’opera per eccellenza di Gesù, il Santo dei Santi dei suoi misteri, è la sua Passione. È con il suo sacrificio, con lo spargimento del suo sangue sulla croce, che Egli completa la restituzione della vita divina agli uomini, che li reintegra nella loro dignità di figli di Dio. Cristo Gesù ha voluto che sua madre entrasse in quel mistero in una veste così speciale, e Maria si è unita alla volontà di suo Figlio Redentore in quel mistero in modo così pieno che, pur mantenendo il suo rango di semplice creatura, condivide veramente con Lui la gloria di averci fatto nascere in quel momento nella vita della grazia [8].

Così intimamente e unicamente unita al suo Figlio divino nel Mistero dell’Incarnazione redentrice, la Vergine Maria, pur rimanendo la prima dei redenti grazie al Mistero dell’Immacolata Concezione, partecipa all’opera del Redentore di portare a sé tutte le anime.

Il Beato Columba dichiara:

Dando il suo consenso alla proposta divina dell’Incarnazione, [la Vergine] ha accettato di entrare nel piano della Redenzione in una veste unica; ha accettato non solo di essere la madre di Gesù, ma di associarsi all’intera sua missione di Redentore. Ad ognuno dei misteri di Gesù doveva rinnovare questo Fiat così pieno di amore, fino al momento in cui, dopo aver offerto sul Calvario per la salvezza del mondo questo Gesù, questo Figlio, questo corpo che aveva formato, questo sangue che era stato suo, poté dire: “Tutto è compiuto”. In quell’ora benedetta, Maria era entrata così tanto nei [sentimenti] di Gesù da poter essere chiamata “Corredentrice”. Come Gesù, in quel momento, con un atto d’amore, ha portato a compimento il nostro ingresso nella vita della grazia. Secondo il pensiero espresso da sant’Agostino, lei, madre del nostro capo, avendo portato Gesù nel suo grembo è diventata, attraverso la sua anima, la sua volontà e il suo cuore, la madre di tutte le membra del capo divino: “Nel corpo, madre del nostro capo; nello spirito, madre delle sue membra” [Sant’Agostino, De sancta virginitate, n. 6] [9].

Donataci come Madre eterna dal suo Figlio divino morto sulla croce per la nostra salvezza, la Beata Vergine Maria con il suo Cuore Immacolato attira i nostri cuori sempre più completamente nel Sacratissimo Cuore di Gesù affinché, purificati dal peccato, possiamo vivere sempre più in Lui, nella sua Verità e nel suo Amore divini.

Attraverso la solenne consacrazione dei catechisti mariani, doniamo i nostri cuori, un tutt’uno con il Cuore Immacolato di Maria, al Sacratissimo Cuore di Gesù per l’insegnamento della Verità e dell’Amore Divini nella Chiesa. La consacrazione solenne dei catechisti mariani è un sacramentale che conferisce la grazia effettiva di una vita vissuta totalmente in Cristo Maestro per la salvezza di molte anime. È la grazia di cooperare con Cristo nella sua missione di salvezza, in questo senso, di essere corredentori con Lui.

Oggi offro la Santa Messa per l’intenzione dei nostri sette fratelli e sorelle che, in California, Halifax (Canada), Michigan, Ohio e South Carolina fanno per la prima volta la consacrazione solenne come catechisti mariani e per tutti coloro che, qui e in varie parti del mondo, rinnovano la consacrazione solenne. Pregando per tutti i catechisti mariani, vi propongo l’esortazione del Beato Columba Marmion:

Chiediamo alla Vergine che la grazia scenda su di noi in abbondanza dall’umanità del suo Gesù, che ne possiede la pienezza, affinché ci conformiamo sempre più, per amore, a questo amato Figlio del Padre, che è anche suo Figlio. Questa è la migliore richiesta che possiamo farle. Nell’Ultima Cena, Nostro Signore disse ai suoi apostoli: “Il Padre mio vi ama perché mi avete amato e avete creduto che sono uscito da Lui” [Gv 16, 27]. Potrebbe dire la stessa cosa a noi di Maria: “Mia madre vi ama, perché mi amate e credete che sono nato da lei”. Nulla è più gradito a Maria che sentir proclamare che Gesù è suo Figlio e vederlo amato da tutte le creature.

Il Vangelo, come sapete, ci ha conservato solo pochissimi detti della Vergine. Ne ho ricordato uno, quello che disse ai servi alle nozze di Cana: “Fate quello che vi dirà” [Gv 2, 5]. Queste parole sono come un’eco delle parole del Padre eterno: “Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo” [Mt 17, 5; Mc 9, 6; Lc 9, 35]. Possiamo applicare a noi stessi il detto di Maria: “Fate tutto quello che mio Figlio vi dirà”. Questa sarà la forma migliore della nostra devozione alla Madre di Gesù. La Vergine Maria non ha desiderio più grande che vedere il suo Figlio divino obbedito, amato, glorificato, esaltato. Come per l’Eterno Padre, Gesù è l’oggetto di tutte le sue delizie”[10].

Che la Madonna interceda con forza per l’apostolato che il nostro amato e santo fondatore padre John Anthony Hardon ha affidato alle sue cure sotto il titolo di Nostra Signora di Guadalupe. Che i nostri membri possano trovare la loro gioia e la loro pace nel suo Figlio Divino e che possano essere degni messaggeri del suo Figlio Divino affinché molti possano conoscere la sua gioia e la sua pace, ora e nell’eternità.

Uniti al Cuore Immacolato di Maria, Donna dell’Eucaristia, doniamo ora, attraverso il Sacrificio Eucaristico, i nostri cuori completamente al Cuore glorioso trafitto di Gesù. Che noi, uniti nel cuore al Cuore Immacolato di Maria, possiamo conservare sempre nel nostro cuore il Mistero della Fede, per portare fedelmente Cristo agli altri attraverso l’apostolato mariano dei catechisti.

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

Raymond Leo cardinale Burke

Santuario di Nostra Signora di Guadalupe, La Crosse, Wisconsin

4 maggio 2024

________________

[1] Lc 2, 49.

[2] Lc 2, 51.

[3] “… consubstantialem Patri”. “Il Credo”, Messale romano quotidiano, 7a ed., ed. James Socias, Downers Grove, Midwest Theological Forum, 2019), latino p. 722, inglese p. 723.

[4] “… propter nos homines et propter nostram salutem descendit de caelis. Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, et homo factus est”. Ibidem, latino pp. 722 e 724; inglese pp. 723 e 725.

[5] Cfr. Lc 2, 51.

[6] Cfr. Lc 2, 10-12.

[7] Columba Marmion, Le Christ vie de l’âme. Conferenze spirituali (Abbaye de Maredsous, 1914), p. 493. Traduzione inglese: Columba Marmion, Christ the Life of the Soul, Zaccheus Press, Bethesda 2005), p. 478.

[8] Marmion, pp. 493-494. Traduzione inglese pp. 478-479.

[9] “Dando il suo consenso alle divine proposizioni dell’Incarnazione, ella accettò di entrare, a titolo unico, nel piano della Redenzione; accettò non solo di essere la madre di Gesù, ma di associarsi alla sua intera missione di Redentore. In ognuno dei misteri di Gesù, doveva rinnovare questo fiat pieno di amore, fino al momento in cui poté dire, dopo aver offerto sul Calvario, per la salvezza del mondo, questo Gesù, questo Figlio, questo corpo che aveva formato, questo sangue che era suo: “Tutto è consumato”. In quell’ora benedetta, Maria è entrata così profondamente nei sentimenti di Gesù da poter essere chiamata Corredentrice. Come Gesù, in quel momento ha completato con un atto d’amore di generarci alla vita della grazia. Madre del nostro capo, secondo il pensiero di sant’Agostino, perché, avendolo partorito nel suo grembo, divenne per anima, volontà e cuore, madre di tutte le membra di questo capo divino. Corpore mater capitis nostri, spiritu mater membrorum ejus [De sancta virginitate, n. 6]”. Marmion, pp. 504-505. Traduzione italiana pp. 487-488.

[10] “Chiediamo alla Vergine che l’umanità del suo Gesù, che possiede la pienezza della grazia, la faccia fluire abbondantemente verso di noi, affinché ci conformiamo sempre più, attraverso l’amore, a questo Figlio prediletto del Padre, che è anche suo Figlio. Questa è la migliore richiesta che possiamo fargli. Nell’Ultima Cena, Nostro Signore disse ai suoi apostoli: “Il Padre mio vi ama perché mi avete amato e avete creduto che sono nato da lui” [Giovanni XVI, 27]. Potrebbe dire lo stesso di Maria: “Mia madre vi ama perché mi amate e credete che sono nato da lei”. Nulla piace di più a Maria che sentire proclamare Gesù come suo Figlio e vederlo amato da tutte le creature.

Il Vangelo, come sapete, ci ha conservato poche parole della Vergine. Ve ne ho appena ricordata una, pronunciata ai servi durante le nozze di Cana: “Fate quello che vi dirà mio Figlio”. Quodcumque dixerit vobis, facite [Giovanni II, 5]. Questa parola è come un’eco delle parole del Padre eterno: “Questo è il mio Figlio, nel quale mi sono compiaciuto, ascoltatelo”: Ipsum audite. Possiamo applicare a noi stessi le parole di Maria: “Fate quello che vi dirà mio Figlio”. Questo sarà il frutto migliore di questa conversazione; sarà anche la forma migliore della nostra devozione alla madre di Gesù. La Vergine Madre non ha desiderio più grande che vedere il suo Figlio divino obbedito, amato, glorificato ed esaltato: come per il Padre eterno, Gesù è l’oggetto di tutte le sue compiacenze”. Marmion, pp. 508-509. Traduzione italiana pp. 490-491.

Fonte: cardinalburke.com




lunedì 6 maggio 2024

Le 4 bugie della cultura omosessualista




6 MAGGIO 2024


Sai rispondere alle 4 bugie della cultura omosessualista?


Prima bugia: l’omosessualità come dato di natura

Molti pretendono affermare che l’omosessualità sia qualcosa di “naturale” semplicemente perché esiste come dato. A costoro però sfugge il significato autentico del termine “natura”. Se per natura s’intende solo ciò che è nella realtà, allora è natura anche l’incesto, il divorare il proprio simile o il sopraffare esseri più deboli, tutte cose che esistono in natura e che esistono nel mondo animale. Ma se per “natura” s’intende ciò che è conforme alla natura razionale dell’uomo, le cose cambiano. Quando si parla di ordine naturale s’intende l’ordine naturale che è inscritto nella natura razionale dell’uomo, che riconosce e impedisce il disordine, fra cui anche, per esempio, l’uccidere. Dire che anche tra gli animali esiste l’omosessualità è un non-argomento. E ciò per due motivi. Primo motivo, perché è tutto da dimostrare. Infatti, molti di questi atti, a detta di alcuni etologi fra cui Konrad Lorenz (il padre dell’etologia), avrebbero tutt’altra spiegazione (clicca qui). Secondo motivo, perché tra gli animali esiste anche l’incesto, il divorarsi a vicenda e l’imporre la propria forza. Sarebbero anche questi atti giusti solamente perché esistono in natura? Oppure questi atti sarebbero conformi alla natura razionale dell’uomo solamente perché esistono tra gli animali?

Seconda bugia: nelle civiltà antiche l’omosessualità era ampiamente riconosciuta


Nel mondo antico non esisteva l’approvazione dell’omosessualità né tantomeno la cultura dell’identità di genere, esistevano gli atti omosessuali, cioè la sodomia. Nell’Antica Grecia i rapporti tra un maschio adulto e un adolescente avevano uno scopo “pedagogico” e rispondevano ad un rito di iniziazione. Ciò non vuol dire che gli antichi Greci fossero omosessuali, non avevano infatti un’inclinazione stabile ed esclusiva verso gli uomini. A Roma, invece, il modello maschile era sostanzialmente quello militare, e la sessualità era di tipo predatorio, cioè di stupro. Avere dei rapporti sessuali con uno schiavo, o con un prigioniero, significava manifestare la propria superiorità virile e militare. Con ciò ovviamente non giustifichiamo, anzi. Questi inapprovabili costumi erano dovuti ad una cultura di violenza ancora lontana dal Vero. Ma non mancarono insegnamenti luminosi. Per esempio quello di Platone, che pur passa per uno che abbia avallato simili pratiche. Nelle Leggi Platone critica quanti hanno: … corrotto la norma antica e secondo natura relativa ai piaceri sessuali non solo degli esseri umani, ma anche degli animali. Poi spiega: Bisogna considerare che, a quanto pare, il piacere fu assegnato secondo natura tanto alle femmine quanto ai maschi affinché si accoppiassero al fine di procreare, mentre la relazione erotica dei maschi con i maschi e delle femmine con le femmine è contro natura e tale atto temerario nasce dall’incapacità di dominare il piacere.

Terza bugia: la scientificità del gender


Il caso dei gemelli Reimer (chissà perché poco conosciuto) ha smentito totalmente la presunta scientificità della cultura del gender. Si tratta di un fatto che capitò proprio a John William Money (1921-2006), il medico che coniò la definizione “identità di genere”, ipotizzando che questa potesse essere diversa dall’identità sessuale. Nel 1967 due gemelli monozigoti canadesi, ma di famiglia ebraica, Brian e Bruce Reimer, vennero sottoposti ad un rituale intervento di circoncisione. Per un incidente, il pene di Bruce fu bruciato durante l’operazione. I genitori, non sapendo cosa fare, si rivolsero a Money, medico famoso per le operazioni su bambini ermafroditi, il quale li convinse che sarebbe bastato semplicemente crescere Bruce come una bambina – in attesa dei trattamenti ormonali e della plastica ai genitali – per risolvere il problema. Per Money si trattava dell’esperimento perfetto, che avrebbe potuto dimostrare ciò di cui era personalmente convinto, ovvero che l’identità di genere non sarebbe in alcun modo legata alla natura biologica e, essendo il prodotto dell’influenza ambientale, potrebbe essere facilmente modificabile. Aveva, infatti, a disposizione due bambini con l’identico patrimonio genetico e la possibilità di crescere uno dei due come una bambina. Ma le cose andarono diversamente. Dall’incontro con il dottor Money la vita di Brenda (il nuovo nome di Bruce) e della sua famiglia fu un tragico susseguirsi di depressione, alcolismo, tentativi di suicidio. Brenda (che nulla sapeva dell’incidente) non voleva assolutamente decidersi a comportarsi come una bambina, con enorme sconforto dei genitori. A 14 anni Brenda decise di non tornare dal dottor Money per la solita visita annuale e di non sottoporsi all’operazione per assumere in modo definitivo le caratteristiche sessuali femminili. Va detto che durante le visite periodiche il dottor Money arrivava a mostrare a Brenda materiale pornografico per insegnarle i comportamenti di genere. A questo punto i genitori le raccontarono la sua storia. Il commento di Brenda fu: Per la prima volta ogni cosa ebbe un senso, ed io compresi chi e cosa ero. David (il nuovo nome che Brenda si scelse) subì due operazioni di ricostruzione del pene, sposò una donna che aveva tre figli, ma si suicidò nel 2004. L’esperimento che -secondo il dottor Money- avrebbe dovuto dimostrare il non legame tra identità di genere e identità sessuale fallì tragicamente.

Quarta bugia: l’omosessualità ha un’origine genetica


Studi scientifici escludono la possibilità di una causa biologica dell’omosessualità: non esiste un “gene gay”, un “cervello gay” o un “ormone gay”. A poter causare l’insorgere di un orientamento omosessuale sarebbero influssi ambientali: famiglia, società, varie esperienze di vita… Il punto, insomma, è proprio piscologico. Ritornando al discorso degli animali. Come mai tra questi non esiste l’ossessione per il sesso? Non esistono pornografia, sexy-shop, saturazione sessuale che spingono a forme sempre più depravate della sessualità per ricercare nuove esperienze? Perché non c’è la psiche. Ed è su questo che si deve riflettere.







I preti progressisti? «Morti o in pensione, i giovani sono conservatori»




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Indagine dell’Associated Press



 di Giuliano Guzzo, 3 Maggio 2024 

C’è chi lo aveva detto. «La destra religiosa diventerà globale», avvisava infatti ancora nel novembre 2015 Neil J. Young, intellettuale che può vantare collaborazioni editoriali di primo piano, dal Washington Post al New York Times. Ora, non sappiamo se un domani sarà davvero «globale», ma certamente la svolta conservatrice della Chiesa cattolica oggi risulta ben visibile negli Stati Uniti. Tanto che anche una delle principali agenzie di stampa internazionale, l’Associated Press, il 1° maggio ha dedicato al fenomeno un lunghissimo servizio, firmato da Tim Sullivan e Jessie Wardarski.

Assai eloquente è già il titolo dell’inchiesta – Un passo indietro nel tempocon la quale i due giornalisti hanno registrato quello che loro stessi hanno definito «un grande cambiamento». Il cambiamento in questione è essenzialmente uno, e riguarda il clero. «I preti progressisti che hanno dominato la Chiesa statunitense negli anni successivi al Concilio Vaticano II», scrive l’Associated Press, «ora hanno tra i 70 e gli 80 anni. Molti sono in pensione. Alcuni sono morti. I preti più giovani, mostrano i sondaggi, sono molto più conservatori». «È stato come un fare un passo indietro nel tempo», è il commento d’un parrocchiano sconvolto dal nuovo corso in atto.

In effetti, la vecchia guardia progressista sembra non gradire molto il «grande cambiamento». I sacerdoti dai 70 anni in su che l’agenzia di stampa ha avvicinato sembrano delusi, se non arrabbiati. «Dicono che stanno cercando di restaurare ciò che noi abbiamo rovinato», è per esempio il commento amaro di un reverendo di 87 anni, e da tempo in pensione, alla riscossa conservatrice – di preti e fedeli – che si sta consumando. «Stanno solo aspettando di seppellirci», gli ha fatto eco un altro sacerdote un po’ più giovane (72 anni), ma ormai quasi rassegnato alla piega imprevista che si sta verificando. E che però, ecco il punto che neppure l’Associated Press coglie appieno, era ampiamente pronosticabile.

È infatti da molto tempo che ci si è accorti come la “fede forte” (al contrario di quella progressista) tenda a resistere se non a crescere nella società. Una delle prime testimonianza di ciò fu Why Conservative Churches are Growing, libro del 1972 di Dean M. Kelley, sociologo e dirigente del Consiglio Nazionale della Chiese negli Stati Uniti il quale, con quel volume, con riferimento sempre al contesto americano notava un fenomeno politicamente, anzi ecclesialmente scorretto, ma sostenuto dai numeri: i tassi di crescita di denominazioni «conservatrici» – in particolare rispetto alle esigenze morali e all’affermazione di una identità forte – a scapito di analoghi, se non più forti tassi di decrescita delle denominazioni «progressiste», cioè inclini a quelle che in gergo giornalistico si chiamano oggi le «aperture».

Non appena uscito, il libro di Kelley sollevò un polverone. Il punto è che dati successivi hanno confermato quanto quel testo asseriva. Consultando le pagine dell’Yearbook of American and Canadian Churces, che per la statistica religiosa sono una garanzia, rispetto agli anni tra il 1962 e il 1992 si è difatti visto come negli Usa le congregazioni progressiste, per così dire, si siano ridotte fino al 50%, mentre le sigle più conservatrici abbiano conosciuto crescite, talvolta, superiori al 200%. Tutto ciò, inevitabilmente, non poteva che riguardare anche la Chiesa cattolica, che è proprio quanto si sta verificando in questi anni e che illustri sociologi hanno già ampiamente registrato.

Basti prendere Introducing the 2021 Survey of American Catholic Priests: Overview and Selected Findings, indagine condotta dal sociologo Mark Regnerus (che per le pagine del Timone ha scritto un’interessante analisi sulla famiglia e sull’importanza di padre e madre per i figli) da cui emerge che, se nel 2002 i preti che ritenevano i preti più giovani «molto più conservatori» erano il 29%, la stessa percentuale nel 2021 è balzata al 44%. Nel novembre dello scorso anno è poi stato un report della Catholic University of America di Washington a mettere in luce come, negli Stati Uniti, i preti progressisti siano «quasi scomparsi». In effetti, i numeri di quel rapporto erano e sono assai eloquenti.

La percentuale di sacerdoti identificati come “un po’ progressisti” o “molto progressisti” risulta difatti scesa – ma forse sarebbe meglio dire crollata – dal quasi 70% tra quelli ordinati nel 1965-1969 e a meno del 5% tra quelli ordinati nel 2020 o successivamente. «In parole povere, la porzione di nuovi sacerdoti che si considerano politicamente “liberali” o teologicamente “progressisti” è in costante calo, a partire dal Concilio Vaticano II e ora è quasi scomparsa», l’esatta conclusione di quella indagine, della quale l’inchiesta dell’Associated Press non costituisce ora che una ulteriore, tangibile conferma, con chiese, scuole e seminari conservatori che crescono in un’America che pure va secolarizzandosi.Ora, tutto questo «grande cambiamento», va detto, anche in tanti settori mondo cattolico non è visto con favore. Tutt’altro. Viene però da chiedersi – anche vedendo quanto ortodossa sia anche la comunità cattolica in maggior crescita tra tutte, quella dell’Africa, raccontata sulle pagine del Timone di aprile – se questa “fede forte” altro non sia che un assaggio del futuro. D’altra parte, gli stessi indicatori demografici – che dicono come le famiglie più devote siano quelle più prolifiche – vanno in questa direzione. E i numeri, si sa, non mentono. Per questo, più che “forte” o “conservatrice” quella che si fa largo è forse semplicemente la Chiesa del futuro se non del presente. L’altra invece, per dirla con l’Associated Press, sarà presto «morta o in pensione».

 (Fonte foto: Pexels.com). Indagine dell’Associated Press



domenica 5 maggio 2024

Fatima e gli errori della Russia nel mondo






ESTERI | CR 1845



di Maria Madise,1 Maggio 2024 

Il ruolo del gigante russo sulla scena geopolitica non può essere ignorato. Ma da quando è scoppiata la guerra con l’Ucraina, nel febbraio 2022, anche chi in Occidente si trova ben oltre i confini della Russia è consapevole della sua presenza, in un modo o nell’altro.

Nel corso degli ultimi due anni, un numero crescente di conservatori occidentali, e di cattolici, è diventato più simpatizzante della Russia e della sua attuale leadership che dei propri governanti. Queste persone, che tengono in giusta considerazione la morale, essendo insoddisfatte dei loro leader liberali, sia politici che ecclesiastici, vedono in Putin almeno un uomo autorevole con idee chiare per la propria nazione, a prescindere dai suoi difetti. Di fronte agli attacchi incessanti alla fede e alla morale cristiana in Occidente, sono pronti a mettere da parte quasi mille anni di scisma russo, concentrandosi invece sulla riserva di valori cristiani che vedono nella religione “ortodossa”. Ma è la debolezza dell’Occidente, non la forza dell’Oriente, a favorire queste inclinazioni.

Inoltre, l’Ortodossia orientale sembra soffrire proprio del medesimo tipo di dolorosa tensione interna vissuta anche dai cattolici in Occidente. In un recente saggio, “Chi custodisce i guardiani?” (Rev. Dr. John Behr, Public Orthodoxy, 24 April 2024) il dottor John Behr, Professore Regio di Umanistica presso l’Università di Aberdeen, ha descritto le ragioni della riluttanza dei leader ortodossi a sfidare l’idea del Russkii mir (Mondo Russo ndt.), promossa il 27 marzo al Consiglio Mondiale del Popolo Russo dal Patriarca di Mosca Kirill attraverso una “guerra santa”. Citando l’arcidiacono John Chryssavgis, il dottor Behr si chiede se la loro riluttanza derivi da «un’angosciosa, anche se non dichiarata, presa d’atto che anche loro sono fondamentalmente afflitti dalle stesse vulnerabilità e dagli stessi difetti». L’arcidiacono Chryssavgis si chiede poi: «Quante Chiese ortodosse tendono alla glorificazione della nazione e dello Stato? Quante nazioni a maggioranza ortodossa confondono l’adorazione di Dio con il saluto alla bandiera? È possibile che la maggior parte, se non tutte, le Chiese ortodosse siano in realtà molto più vicine di quanto possano ammettere alla perversa ideologia russa?».

Mentre si va delineando una situazione sempre più complessa a livello mondiale, siamo chiamati ad elevarci dal punto di vista meramente geopolitico ad una prospettiva soprannaturale. L’apparizione della Madonna a Fatima, alla vigilia della Rivoluzione d’Ottobre del 1917, non può essere disgiunta da tale prospettiva.

A Pasqua, nel maggio 1917, la Prima Guerra Mondiale aveva reso l’Europa simile a un’anticamera dell’inferno, come ha osservato lo storico americano Warren Carroll in un eccellente libretto intitolato (1917: Red Banners, White Mantle, Christendom Press, 1981). Papa Benedetto XV parlò di un “suicidio dell’Europa civile” e il 5 maggio 1917 si appellò alla Regina della Pace con le seguenti parole: «A Maria, dunque, che è la Madre della Misericordia e onnipotente per grazia, salga l’appello amorevole e devoto da ogni angolo della terra – dai nobili templi e dalle più piccole cappelle, dai palazzi reali e dalle dimore dei ricchi come dalle capanne più povere – dalle pianure e dai mari insanguinati. Che porti a Lei il grido angoscioso delle madri e delle mogli, il lamento dei piccoli innocenti, i sospiri di ogni cuore generoso: affinché la Sua tenerissima e benigna sollecitudine sia commossa e la pace che chiediamo sia ottenuta per il nostro mondo agitato».

Otto giorni dopo, il 13 maggio, la Madonna venne di persona, apparendo in un campo di Cova da Iria, in Portogallo, a tre pastorelli, Lucia e i suoi due cugini, Giacinta e Francesco. La Santissima Vergine diede loro istruzioni per far trionfare il Suo Cuore Immacolato, affinché fosse concesso un periodo di pace al mondo devastato dalla guerra. In primo luogo, la preghiera – in particolare il Santo Rosario; in secondo luogo, la riparazione per i peccati e gli oltraggi perpetrati contro i Santi Cuori di Gesù e di Maria; in terzo luogo, la Madonna chiese che la Russia fosse consacrata al Suo Cuore Immacolato.

«Se le mie richieste saranno ascoltate, – disse– la Russia si convertirà e ci sarà la pace; altrimenti, diffonderà i suoi errori in tutto il mondo, causando guerre e persecuzioni della Chiesa. I buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno annientate».

La consacrazione della Russia in modo tempestivo si è rivelata un compito difficile che ha portato a notevoli controversie negli anni successivi. A prescindere dai meriti che si possono attribuire ai tentativi di consacrazione apparentemente incompleti o ritardati, non si può negare che la Russia abbia diffuso i suoi errori in tutto il mondo e che, a tutt’oggi, non si sia convertita.

L’errore principale della Russia si rivelò essere il comunismo, un progetto rivoluzionario per costruire un mondo senza Dio, che ha conquistato territori più a ovest di quanto l’Armata Rossa abbia mai potuto fare. La diffusione dell’ateismo materialista, il crollo delle norme morali e la legalizzazione dell’aborto e dell’omosessualità – peccati che gridano vendetta al cielo – sono tutte prove del suo successo. Il suo affronto a Dio è dimostrato dall’intervento stesso della Madonna, che nel 1917, non è scesa dal cielo per condannare la massoneria, il globalismo o l’Islam. È apparsa per condannare il comunismo.

L’obiettivo del comunismo era quello di ridefinire tutte le strutture sociali per escludere Dio. E per farlo doveva innanzitutto abolire la famiglia, che riflette l’ordine divino.

La famiglia è il luogo in cui la vita umana viene generata, nutrita e protetta. A livello naturale, dà uno scopo alla vita umana. Il modo più efficace per controllare una nazione è attaccare i suoi figli. Catturando i loro cuori e le loro menti, si decide il futuro di un Paese. I comunisti sono stati i primi a bramare il diritto dei genitori di educare i propri figli.

Nel Manifesto del Partito Comunista (1848), Karl Marx e Friedrich Engels difesero il loro slogan “Abolizione della famiglia!” con queste parole: «Ci accusate di voler fermare lo sfruttamento dei bambini da parte dei loro genitori? Di questo crimine ci dichiariamo colpevoli». (Manifesto del Partito Comunista, capitolo II, 1848).

L’approccio “scientifico” dei marxisti alla famiglia negava la legge naturale a cui è soggetta la natura umana. Secondo loro, la materia, animata dal movimento e dal progresso, è tutto ciò che esiste. La famiglia è quindi un assetto sociale transitorio che, col tempo, lascerà il posto a una forma superiore di società – una società di veri eguali che godono di risorse comuni, dove le donne non sono più oppresse dagli uomini né i bambini “sfruttati” dai genitori.

Non appena i bolscevichi presero il potere in Russia nell’ottobre 1917, poche settimane dopo l’ultima apparizione di Nostra Signora a Fatima, lanciarono il loro programma di abolizione della famiglia.

Nel dicembre 1917 fu introdotto il divorzio, sancito dal Codice di Famiglia del 1918, che poteva essere facilmente ottenuto “senza motivo”. Nel 1920, la Russia sovietica divenne il primo Paese al mondo a legalizzare l’aborto, scatenando un flagello che ha distrutto più vite di tutte le guerre della storia umana. L’istituzionalizzazione totale dell’istruzione costituiva una parte cruciale del programma comunista. Nel 1920, Aleksandra Kollontai, una donna molto influente nel partito bolscevico e primo Commissario del Popolo per il benessere, scrisse in Kommunistka: «La società comunista si assumerà tutti gli oneri legati all’educazione di un bambino» (Alexandra Kollontai, “Communism and the Family”, Kommunistka, n. 2, 1920).

Nel 1922, la prostituzione e l’omosessualità furono eliminate dal Codice penale.

La rivoluzione politica del regime bolscevico fu accompagnata dalla preparazione della rivoluzione culturale, che fin dall’inizio fu soprattutto una rivoluzione sessuale. L’obiettivo era quello di ridefinire non solo la società, ma la stessa natura umana.

Come ha sottolineato il prof. Roberto de Mattei, l’Istituto Marx-Engels di Mosca aveva legami con organismi analoghi in Germania, come ad esempio l’Istituto per la ricerca sessuale (Institut für Sexualwissenschaft) del dottor Magnus Hirschfeld, fondato nel 1919, con l’obiettivo di normalizzare l’omosessualità ( “A history of revolutions and their consequences for the family”, discorso tenuto in occasione del Rome Life Forum, 18 maggio 2017).

Nel 1929, la leadership sovietica invitò Wilhelm Reich a Mosca per tenere una serie di conferenze. Reich era un allievo di Sigmund Freud, la cui piattaforma ideologica contrapponeva alla morale cristiana – basata sul sacrificio e sulla carità verso il prossimo – l’edonismo basato sul piacere individuale. Reich sosteneva la “cancellazione” della famiglia e il passaggio da atteggiamenti “sessuo-negativi” ad atteggiamenti “sessuo-positivi” nella società.

Reich era anche un ammiratore di Vera Schmidt, la cui Detkski Dom – “casa dei bambini” – a Mosca conduceva esperimenti psicoanalitici e sessuali con bambini piccoli. Reich lodò questo lavoro come una conferma della sessualità infantile. Tali “scoperte”, sviluppate dagli esperimenti criminali di Alfred Kinsey negli Stati Uniti un paio di decenni più tardi (Riportati nei cosiddetti Kinsey Reports: Sexual Behavior in the Human Male, 1948 e Sexual Behavior in the Human Female, 1953), hanno contribuito a formare l’idea fondamentale dei programmi di educazione sessuale, promossi dai governi nazionali e dalle agenzie delle Nazioni Unite in tutto l’Occidente odierno, ovvero che i bambini hanno inclinazioni sessuali fin dalla nascita (Si vedano, ad esempio, Judith Reisman, Kinsey, Crimes & Consequence, 2004 e Stolen Honor, Stolen Innocence 2013).

Mentre gli architetti della rivoluzione sessuale avevano potenti alleati tra i dirigenti del regime comunista (come Leon Trotsky), Joseph Stalin vide in essa una minaccia al suo potere politico. Aveva bisogno di una Russia forte e per questo motivo ribaltò molte delle leggi anti-familiari introdotte dal regime: il divorzio divenne complicato e l’aborto illegale; le relazioni omosessuali tornarono a essere un reato.

Respinti da Stalin, gli ideologi della rivoluzione sessuale fuggirono nella Germania di Weimar, dando vita alla cosiddetta Scuola di Francoforte, dove continuarono il loro lavoro come think tank di scienziati sociali marxisti. Da lì, questi intellettuali si diressero negli Stati Uniti, dove occuparono posizioni chiave in università come Harvard, Columbia, Princeton, Berkeley e altre istituzioni che da allora hanno formato la maggior parte dei leader civili e politici americani.

È per questo motivo che le politiche promosse oggi in Occidente ricalcano il comunismo. Questi sono gli errori della Russia, non il patrimonio dell’Occidente.

Gli ideologi sessuali dell’Occidente oggi continuano fedelmente a portare avanti l’ideale comunista della società senza Dio. Si tratta di una rivoluzione culturale continua e paziente, che si concentra sull’istruzione, sui media e sulla cultura popolare. Tuttavia, rimane comunista: cerca ancora di distruggere l’ordine naturale ridefinendo la natura umana; continua ad annullare le strutture sociali basate sulla famiglia e sulle norme morali della legge naturale; i diritti dei genitori come educatori primari dei loro figli sono minati e attaccati; l’innocenza dei bambini è sistematicamente distrutta nelle scuole da un indottrinamento sessuale che mira a rompere la loro riserva naturale attraverso la volgarità e la promozione di pratiche immorali, soprattutto l’omosessualità.

L’odierno “politically correct” può essere ricondotto alla Scuola di Francoforte. Il suo obiettivo era quello di conformare tutto il linguaggio, i pensieri e i comportamenti ai principi del marxismo culturale, creando un nuovo codice morale che etichettasse qualsiasi espressione della morale cristiana come “crimine d’odio”. In questo modo il problema è rappresentato da chi non accetta l’omosessualità, piuttosto che da chi cerca di imporla al pubblico; la minaccia è costituita dai genitori che non accettano l’idea che il proprio figlio sia nato in un corpo sbagliato, piuttosto che da chi indottrina i bambini con l’ideologia gender, e così via.

Gli autori della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (UDHR) del 1948 hanno riconosciuto molti dei problemi del marxismo culturale a livello naturale e hanno cercato di offrire una risposta laica. La UDHR difende la vita e i diritti dei genitori, poiché alla fine della Seconda Guerra Mondiale era evidente che un padre di famiglia non può essere un cittadino libero se non governa la propria casa e deve competere con lo Stato per la formazione delle coscienze dei propri figli.

Nell’ONU di oggi si tiene poco conto dei suoi documenti fondativi e si promuove invece la visione marxista dell’educazione da parte dello Stato. La lobby del controllo demografico ha assunto un ruolo di primo piano nella definizione dei programmi di educazione sessuale e delle politiche familiari internazionali. Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, l’Agenda globale 2030, ad esempio, esercitano una pressione schiacciante sugli Stati membri affinché «garantiscano l’accesso universale ai servizi di assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva, compresi quelli per la pianificazione familiare, l’informazione e l’educazione, e l’integrazione della salute riproduttiva nelle strategie e nei programmi nazionali» (Obiettivo 3.7).

Ciò significa accesso universale alla contraccezione, all’aborto, alla promozione dell’omosessualità e all’indottrinamento dei bambini nelle scuole – in altre parole, la distruzione istituzionalizzata della famiglia.

Naturalmente ogni cattolico deve opporre resistenza a tutto questo. Ma non si può farlo abbracciando una falsa alternativa. Non si tratta di preferire un’agenda globale a un’altra o di schierarsi con una di esse, rifiutando l’altra. Si tratta piuttosto di scegliere la dottrina della Chiesa cattolica rispetto alla quale tutte le visioni del mondo devono essere giudicate.

L’Occidente non è i suoi leader né i valori liberali che essi proclamano. Il vero Occidente è la cristianità, la fede e la cultura plasmate dagli insegnamenti della Chiesa cattolica, dei suoi santi e martiri. Attualmente, questo Occidente sembra essere stato cancellato, ma è stato solo eclissato. Dietro le ombre, il sole rimane. Non dobbiamo cercare di sfuggire all’eclissi a costo di rinunciare al sole.

La necessità di ricostruire la Russia dopo la devastante perdita di manodopera e lo sconvolgimento sociale della guerra rese inevitabile l’introduzione da parte di Stalin di leggi per incoraggiare il matrimonio e la natalità. Tuttavia, nonostante queste “buone politiche”, la storia non lo considera un leader favorevole alla famiglia. Al contrario, lo ricorda come un dittatore responsabile di un sanguinoso terrore che è costato milioni di vite umane. Questo esempio dovrebbe far suonare un campanello d’allarme per coloro che esaltano gli attuali leader russi per la promozione di politiche a favore della vita e della famiglia rifiutate dalle loro controparti occidentali.

Analizzando le conseguenze del comunismo, David Satter sostiene che «la Russia di oggi è perseguitata da atti non esaminati e parole non dette, da siti che non sono stati riconosciuti e da fosse comuni che sono state commemorate parzialmente o per niente […]. L’incapacità di affrontare le implicazioni morali dell’esperienza comunista, tuttavia, ha fatto sì che non fosse possibile un vero cambiamento in Russia. La psicologia del dominio statale è rimasta intatta per influenzare la nuova Russia post-comunista» (It Was A Long Time Ago And It Never Happened Anyway: Russia and the Communist Past, Yale, 2012, p. 300). Finché la Russia rimarrà perseguitata dai suoi errori – finché la Russia sarà scismatica, anticattolica e comunista – non potrà guarire le ferite che i suoi errori hanno inflitto all’Occidente.

San Pio X diceva: «Il desiderio di pace è certamente un sentimento comune a tutti, e non vi è alcuno che non la invochi ardentemente. La pace, tuttavia, una volta che si rinneghi la Divinità è assurdamente invocata: dove è assente Dio, la giustizia è esiliata; e tolta di mezzo la giustizia, invano si nutre la speranza della pace» (Pio X, E Supremi, n. 7). Il mondo secolarizzato, che oggi avvolge sia l’Occidente che l’Oriente, dice di volere la pace ma dimentica di aver dichiarato guerra a Dio sfidando le leggi che Egli ha scritto nel cuore dell’uomo. Il messaggio di Fatima ci ricorda che non ci sarà pace se prima non ci sarà la conversione. L’avvertimento che valeva per la Russia nel 1917 deve ora essere ascoltato in tutto il mondo, che ha adottato gli errori comunisti come propri. Non ci può essere pace duratura senza giustizia, ma questo significa che non ci può essere vera pace prima che le nazioni tornino a essere cattoliche.

Fonte: https://voiceofthefamily.com/the-errors-of-russia/