Titolo: Verso il centenario della Quas primas: la Vehementer Nos di san Pio X
Di Silvio Brachetta, 20 Dic 2024
L’11 dicembre del 2025 sarà celebrato il centenario dell’Enciclica Quas Primas[1] di Pio XI, interamente dedicata alla Regalità sociale di Cristo. L’intenzione del pontefice era di porre un argine all’ateismo e allo spirito di secolarizzazione tracimati in Occidente, già a cominciare (almeno) dal secolo XVIII, con la diffusione dell’illuminismo, del naturalismo e del razionalismo.
La Quas Primas, però, è l’ultimo documento di magistero – in ordine temporale – a trattare di questa immensa tematica, legata in modo speciale alla Dottrina sociale della Chiesa: i pontefici Pio IX, Leone XIII, Pio X e Benedetto XV si erano più volte espressi (tra XIX e XX secolo) su questioni legate alla pericolosità delle dottrine filosofiche anticristiane e alla conseguente rottura, teoretica e pratica, tra ordine temporale e ordine sacro, tra Trono e Altare, tra Stato e Chiesa. E, difatti, separare – in senso politico e sociale – lo Stato dalla Chiesa e relegare quest’ultima in posizione subalterna, significa appunto detronizzare Gesù Cristo dalla sua più alta signoria, tanto sulle realtà spirituali che su quelle materiali.
Trionfo dell’ateismo di Stato
Non solo Pio XI sa bene di continuare ad esporre una dottrina sulla quale si era pronunciato il magistero precedente ma, sin dal titolo (Quas Primas[2]) rimanda ad una sua precedente enciclica del 1922 – ovvero il suo primo pronunciamento di rilievo: Ubi Arcano Dei Consilio[3] – in cui esprime la speranza, anche umanissima e semplicissima, che il «Re degli uomini, delle città e dei popoli» – Gesù Cristo – riprenda il suo posto e venga di nuovo «portato in grandioso e veramente regale trionfo di fede, di adorazione e di amore».
Queste, dunque, le considerazioni di un pontefice dopo la fine della Prima Guerra Mondiale (1914-1918). Prima del conflitto, tuttavia, un altro pontefice – san Pio X – interviene nel 1906, con toni quasi definitori, sulla deriva laicista della Francia, con l’enciclica Vehementer Nos.[4] Colpiscono proprio le prime parole del pronunciamento, perché «vehementer nos» significa «siamo assai preoccupati». Ma preoccupazione per cosa?
In piena Belle Époque, dopo un secolo di tentennamenti, rivoluzioni e restaurazioni (dalla Rivoluzione Francese alla Terza Repubblica, cioè per tutto l’Ottocento), la Francia si decide a rompere per sempre ogni rapporto di unione con la Chiesa. Nel 1905 viene emanata la Legge di separazione tra Stato e Chiese[5], nel senso che lo Stato francese prende le distanze da ogni forma di culto, equiparando di fatto la Chiesa cattolica a qualunque altra religione e annullando il precedente Concordato del 1801[6] che, pur nella sua insufficiente stesura, riconosceva comunque alla Chiesa un minimo di centralità spirituale e di autorità civile. Con la Legge di separazione, al contrario, si compie una grande ipocrisia: da una parte si finge di riconoscere il principio della «libera Chiesa in libero Stato»[7], ma dall’altra – di fatto – si pone la Chiesa in totale subordinazione rispetto allo Stato e la si priva di alcune sue libertà proprie e fondamentali.
Clima intimidatorio nei confronti della religione
Mediante la Legge di separazione, la Francia mette in opera alcune scelte unilaterali. Consente la libertà di culto, ma a certe condizioni: che fossero organizzate da associazioni religiose di laici, che queste associazioni disponessero dell’uso degli edifici sacri e che si trovassero in posizione subordinata al Consiglio di Stato francese.
Il corpo gerarchico, che dai parroci giungeva ai vescovi e al papa, viene clamorosamente estromesso da ogni decisione sul culto e l’autorità ecclesiastica è privata di ogni potere. Non solo, ma la Legge dichiara proprietà dello Stato tutti gli edifici di culto messi a disposizione delle associazioni. In realtà – scrive Pio X nell’enciclica – dopo che lo Stato ha proclamato la libertà di culto, «impedisce» di fatto «la predicazione della fede e della morale cattolica» e pone la Chiesa «in una soggezione umiliante, paralizzandone in mille modi l’attività».
Molti immobili (cattedrali, chiese, biblioteche, seminari) vengono sequestrati dallo Stato e mai più restituiti. Come anche i fondi della Chiesa a favore delle scuole cattoliche, della beneficenza e del culto, sono trasferiti d’ufficio ad istituzioni laiche. Cessa anche il dovere dello Stato di provvedere alla spesa del culto: questa spesa non fu richiesta dalla Chiesa in modo arbitrario, per una questione di prestigio o di atto dovuto, ma fu introdotta nel Concordato napoleonico per risarcire la Santa Sede dei beni confiscati (o meglio, derubati) durante la Rivoluzione francese.
San Pio X descrive, nell’enciclica, un pessimo quadro della Chiesa in Francia, anche prima della Legge del 1905: attentato al matrimonio a causa di norme sbagliate (divorzio), laicizzazione forzata delle scuole e degli ospedali, chierici costretti al servizio militare, spogliazione degli istituti religiosi e relativa riduzione in miseria dei monaci e dei frati, scomparsa dei simboli cristiani dai luoghi delle istituzioni (tribunali, scuole, caserme, navi militari). Un quadro di costante e sistematica intimidazione verso il cattolicesimo, in particolare. Le altre confessioni religiose hanno risentito meno della secolarizzazione e del laicismo di Stato, o perché il secolarismo è stato introdotto nella storia con il loro beneplacito (protestantesimo) o perché abituate alla sopraffazione (ebraismo). Non è un caso che, in questa fase storica, nasce in Francia l’antisemitismo virulento (Affare Dreyfus), molto tempo prima del nazismo.
Aridità spirituale e secolarizzazione imposta dalle istituzioni
Se dunque è da ricercarsi un luogo in cui l’Occidente ha cominciato a tramontare e dove la signoria sociale di Cristo e stata estromessa almeno dal XVII secolo, questa è primariamente la Francia, la cattolicissima Francia. Quella di Carlo Magno e del Sacro Romano Impero, di Cluny, delle cattedrali, dei santi fra i più noti della Chiesa.
È proprio la Francia che si sarebbe dovuta approfittare al meglio della Belle Époque, periodo di non belligeranza, tra i più fecondi dal punto di vista della scienza: la natura dischiudeva i suoi segreti e narrava i prodigi delle onde radio, della chimica, delle leggi fisiche, dell’astronomia e della biologia. E, a seguire, la tecnica dava ormai risultati stupefacenti. Le nazioni – a partire dalle cattoliche – avrebbero dovuto prorompere in una lode alla Provvidenza e ammettere la realtà fattuale di un’alleanza tra scienza e fede che, a partire dal Medioevo, ha spalancato le porte al conoscere, in ogni campo dello scibile. Così non è stato e la delusione maggiore è giunta dalla Francia e, a ruota, dall’Italia risorgimentale, che si sono volontariamente opposte a Dio e alla sua Chiesa. Non però dai francesi e dagli italiani, perché la popolazione si è dovuta assoggettare a forza alle decisioni farneticanti della politica e delle ideologie filosofiche.
Ed è proprio questa la preoccupazione dei pontefici tra Ottocento e Novecento: salvaguardare la fede delle nazioni, a prescindere dalla corruzione dei filosofi del tempo e dei governanti atei. Il dato incomprensibile è che alla Belle Époque non sia seguita una resurrezione dello spirito umano, ma un’aridità senza precedenti e una preoccupazione solo per ciò che è materiale. O meglio, lo spirito si è corrotto in sentimentalismi grossolani, che hanno creato solo odio, opposizione tra i popoli e sangue versato: nazionalismo, patriottismo anticristiano, ribellione, irredentismo, scientismo, tecnocratismo. Terreno fertile, questo, per le guerre mondiali, passate e future.
Esordio e gloria futura dello Stato impiccione
San Pio X, nella Vehementer Nos, afferma che la necessità della separazione tra Stato e Chiesa «è una tesi assolutamente falsa e un errore pericolosissimo», perché a Dio «è dovuto non soltanto un culto privato, ma anche un culto sociale e onori pubblici». Nella tesi dello Stato francese, cioè, vi è «un’ovvia negazione dell’ordine soprannaturale». Per cui l’ordine voluto dalla Provvidenza è fondato su due poteri, uniti e non confusi: quello secolare (principe) e quello sacro (papa). Uniti, perché altrimenti si avrebbe il crollo della civiltà – non confusi, perché la Provvidenza non contempla l’assurdità di una teocrazia di tipo orientale o assolutista.
Dio provvede, nella storia, con l’«armoniosa concordia tra le due società» (civile e religiosa), anche perché ci sono «molte cose» che sono «di competenza di tutt’e due». Chi semina discordia, al contrario, nega la Provvidenza e la verità secondo cui «la religione è la regolatrice suprema e sovrana maestra, allorché si tratta dei diritti e dei doveri dell’uomo».
Con la Legge di separazione – continua Pio X – s’impone «l’amarezza di vedere lo Stato invadere delle materie che sono di competenza esclusiva del potere ecclesiastico». È l’esordio nella storia dello Stato impiccione (sull’attuale modello cinese), che presume di potersi sostituire alla società civile e si vuole occupare di tutto: dalla gestione delle istituzioni alla gestione dei sentimenti, dal controllo delle procedure al controllo del pensiero, dalle leggi sul traffico alle leggi sulla vita, dalle norme giuridiche alle norme morali, dal libretto di circolazione al libretto rosso di Mao.
Da quel 1905 non è cambiato più nulla di sostanziale in politica e la società si è fatta disumana, arida, fredda. La Legge di separazione francese è divenuta Legge di separazione mondiale. Tutta la vita umana si riassume oggi nello Stato, nazionale e sovranazionale. I media danno la precedenza ai fatti economici e politici, senza traccia di critica.
Lo scopo di tutto ciò è semplice da capire e lo denuncia lo stesso san Pio X: «decattolicizzare la Francia» (e il mondo) e «sradicare completamente la fede dai cuori». La fede che salva, ma anche la fede «che ha coperto di gloria i padri e che ha fatto grande e prospera la patria» dei francesi e di molti popoli.
(foto: Di Adolfo Müller-Ury – muller-ury.com, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=119238775)
[1] Promulgata l’11 dicembre 1925.
[2] «Quas primas post initum Pontificatum dedimus ad universos sacrorum Antistites Encyclicas Litteras […]». «Nella prima enciclica che, asceso al Pontificato, dirigemmo a tutti i Vescovi dell’Orbe cattolico […]».
[3] Promulgata il 23 dicembre 1922.
[4] Promulgata l’11 febbraio 1906.
[5] Il 9 dicembre di quell’anno, su iniziativa dei deputati Aristide Briand (socialista) ed Émile Combes (radicale).
[6] Accordo tra Napoleone Bonaparte e Pio VII, per risanare i rapporti di conflitto tra Stato di Francia e Santa Sede, a seguito della Rivoluzione francese e del bonapartismo.
[7] «L’Église libre dans l’État libre». Principio calvinista («Ecclesia libera in libera patria») ripreso da Charles de Montalembert e da Camillo Benso di Cavour.
L’11 dicembre del 2025 sarà celebrato il centenario dell’Enciclica Quas Primas[1] di Pio XI, interamente dedicata alla Regalità sociale di Cristo. L’intenzione del pontefice era di porre un argine all’ateismo e allo spirito di secolarizzazione tracimati in Occidente, già a cominciare (almeno) dal secolo XVIII, con la diffusione dell’illuminismo, del naturalismo e del razionalismo.
La Quas Primas, però, è l’ultimo documento di magistero – in ordine temporale – a trattare di questa immensa tematica, legata in modo speciale alla Dottrina sociale della Chiesa: i pontefici Pio IX, Leone XIII, Pio X e Benedetto XV si erano più volte espressi (tra XIX e XX secolo) su questioni legate alla pericolosità delle dottrine filosofiche anticristiane e alla conseguente rottura, teoretica e pratica, tra ordine temporale e ordine sacro, tra Trono e Altare, tra Stato e Chiesa. E, difatti, separare – in senso politico e sociale – lo Stato dalla Chiesa e relegare quest’ultima in posizione subalterna, significa appunto detronizzare Gesù Cristo dalla sua più alta signoria, tanto sulle realtà spirituali che su quelle materiali.
Trionfo dell’ateismo di Stato
Non solo Pio XI sa bene di continuare ad esporre una dottrina sulla quale si era pronunciato il magistero precedente ma, sin dal titolo (Quas Primas[2]) rimanda ad una sua precedente enciclica del 1922 – ovvero il suo primo pronunciamento di rilievo: Ubi Arcano Dei Consilio[3] – in cui esprime la speranza, anche umanissima e semplicissima, che il «Re degli uomini, delle città e dei popoli» – Gesù Cristo – riprenda il suo posto e venga di nuovo «portato in grandioso e veramente regale trionfo di fede, di adorazione e di amore».
Queste, dunque, le considerazioni di un pontefice dopo la fine della Prima Guerra Mondiale (1914-1918). Prima del conflitto, tuttavia, un altro pontefice – san Pio X – interviene nel 1906, con toni quasi definitori, sulla deriva laicista della Francia, con l’enciclica Vehementer Nos.[4] Colpiscono proprio le prime parole del pronunciamento, perché «vehementer nos» significa «siamo assai preoccupati». Ma preoccupazione per cosa?
In piena Belle Époque, dopo un secolo di tentennamenti, rivoluzioni e restaurazioni (dalla Rivoluzione Francese alla Terza Repubblica, cioè per tutto l’Ottocento), la Francia si decide a rompere per sempre ogni rapporto di unione con la Chiesa. Nel 1905 viene emanata la Legge di separazione tra Stato e Chiese[5], nel senso che lo Stato francese prende le distanze da ogni forma di culto, equiparando di fatto la Chiesa cattolica a qualunque altra religione e annullando il precedente Concordato del 1801[6] che, pur nella sua insufficiente stesura, riconosceva comunque alla Chiesa un minimo di centralità spirituale e di autorità civile. Con la Legge di separazione, al contrario, si compie una grande ipocrisia: da una parte si finge di riconoscere il principio della «libera Chiesa in libero Stato»[7], ma dall’altra – di fatto – si pone la Chiesa in totale subordinazione rispetto allo Stato e la si priva di alcune sue libertà proprie e fondamentali.
Clima intimidatorio nei confronti della religione
Mediante la Legge di separazione, la Francia mette in opera alcune scelte unilaterali. Consente la libertà di culto, ma a certe condizioni: che fossero organizzate da associazioni religiose di laici, che queste associazioni disponessero dell’uso degli edifici sacri e che si trovassero in posizione subordinata al Consiglio di Stato francese.
Il corpo gerarchico, che dai parroci giungeva ai vescovi e al papa, viene clamorosamente estromesso da ogni decisione sul culto e l’autorità ecclesiastica è privata di ogni potere. Non solo, ma la Legge dichiara proprietà dello Stato tutti gli edifici di culto messi a disposizione delle associazioni. In realtà – scrive Pio X nell’enciclica – dopo che lo Stato ha proclamato la libertà di culto, «impedisce» di fatto «la predicazione della fede e della morale cattolica» e pone la Chiesa «in una soggezione umiliante, paralizzandone in mille modi l’attività».
Molti immobili (cattedrali, chiese, biblioteche, seminari) vengono sequestrati dallo Stato e mai più restituiti. Come anche i fondi della Chiesa a favore delle scuole cattoliche, della beneficenza e del culto, sono trasferiti d’ufficio ad istituzioni laiche. Cessa anche il dovere dello Stato di provvedere alla spesa del culto: questa spesa non fu richiesta dalla Chiesa in modo arbitrario, per una questione di prestigio o di atto dovuto, ma fu introdotta nel Concordato napoleonico per risarcire la Santa Sede dei beni confiscati (o meglio, derubati) durante la Rivoluzione francese.
San Pio X descrive, nell’enciclica, un pessimo quadro della Chiesa in Francia, anche prima della Legge del 1905: attentato al matrimonio a causa di norme sbagliate (divorzio), laicizzazione forzata delle scuole e degli ospedali, chierici costretti al servizio militare, spogliazione degli istituti religiosi e relativa riduzione in miseria dei monaci e dei frati, scomparsa dei simboli cristiani dai luoghi delle istituzioni (tribunali, scuole, caserme, navi militari). Un quadro di costante e sistematica intimidazione verso il cattolicesimo, in particolare. Le altre confessioni religiose hanno risentito meno della secolarizzazione e del laicismo di Stato, o perché il secolarismo è stato introdotto nella storia con il loro beneplacito (protestantesimo) o perché abituate alla sopraffazione (ebraismo). Non è un caso che, in questa fase storica, nasce in Francia l’antisemitismo virulento (Affare Dreyfus), molto tempo prima del nazismo.
Aridità spirituale e secolarizzazione imposta dalle istituzioni
Se dunque è da ricercarsi un luogo in cui l’Occidente ha cominciato a tramontare e dove la signoria sociale di Cristo e stata estromessa almeno dal XVII secolo, questa è primariamente la Francia, la cattolicissima Francia. Quella di Carlo Magno e del Sacro Romano Impero, di Cluny, delle cattedrali, dei santi fra i più noti della Chiesa.
È proprio la Francia che si sarebbe dovuta approfittare al meglio della Belle Époque, periodo di non belligeranza, tra i più fecondi dal punto di vista della scienza: la natura dischiudeva i suoi segreti e narrava i prodigi delle onde radio, della chimica, delle leggi fisiche, dell’astronomia e della biologia. E, a seguire, la tecnica dava ormai risultati stupefacenti. Le nazioni – a partire dalle cattoliche – avrebbero dovuto prorompere in una lode alla Provvidenza e ammettere la realtà fattuale di un’alleanza tra scienza e fede che, a partire dal Medioevo, ha spalancato le porte al conoscere, in ogni campo dello scibile. Così non è stato e la delusione maggiore è giunta dalla Francia e, a ruota, dall’Italia risorgimentale, che si sono volontariamente opposte a Dio e alla sua Chiesa. Non però dai francesi e dagli italiani, perché la popolazione si è dovuta assoggettare a forza alle decisioni farneticanti della politica e delle ideologie filosofiche.
Ed è proprio questa la preoccupazione dei pontefici tra Ottocento e Novecento: salvaguardare la fede delle nazioni, a prescindere dalla corruzione dei filosofi del tempo e dei governanti atei. Il dato incomprensibile è che alla Belle Époque non sia seguita una resurrezione dello spirito umano, ma un’aridità senza precedenti e una preoccupazione solo per ciò che è materiale. O meglio, lo spirito si è corrotto in sentimentalismi grossolani, che hanno creato solo odio, opposizione tra i popoli e sangue versato: nazionalismo, patriottismo anticristiano, ribellione, irredentismo, scientismo, tecnocratismo. Terreno fertile, questo, per le guerre mondiali, passate e future.
Esordio e gloria futura dello Stato impiccione
San Pio X, nella Vehementer Nos, afferma che la necessità della separazione tra Stato e Chiesa «è una tesi assolutamente falsa e un errore pericolosissimo», perché a Dio «è dovuto non soltanto un culto privato, ma anche un culto sociale e onori pubblici». Nella tesi dello Stato francese, cioè, vi è «un’ovvia negazione dell’ordine soprannaturale». Per cui l’ordine voluto dalla Provvidenza è fondato su due poteri, uniti e non confusi: quello secolare (principe) e quello sacro (papa). Uniti, perché altrimenti si avrebbe il crollo della civiltà – non confusi, perché la Provvidenza non contempla l’assurdità di una teocrazia di tipo orientale o assolutista.
Dio provvede, nella storia, con l’«armoniosa concordia tra le due società» (civile e religiosa), anche perché ci sono «molte cose» che sono «di competenza di tutt’e due». Chi semina discordia, al contrario, nega la Provvidenza e la verità secondo cui «la religione è la regolatrice suprema e sovrana maestra, allorché si tratta dei diritti e dei doveri dell’uomo».
Con la Legge di separazione – continua Pio X – s’impone «l’amarezza di vedere lo Stato invadere delle materie che sono di competenza esclusiva del potere ecclesiastico». È l’esordio nella storia dello Stato impiccione (sull’attuale modello cinese), che presume di potersi sostituire alla società civile e si vuole occupare di tutto: dalla gestione delle istituzioni alla gestione dei sentimenti, dal controllo delle procedure al controllo del pensiero, dalle leggi sul traffico alle leggi sulla vita, dalle norme giuridiche alle norme morali, dal libretto di circolazione al libretto rosso di Mao.
Da quel 1905 non è cambiato più nulla di sostanziale in politica e la società si è fatta disumana, arida, fredda. La Legge di separazione francese è divenuta Legge di separazione mondiale. Tutta la vita umana si riassume oggi nello Stato, nazionale e sovranazionale. I media danno la precedenza ai fatti economici e politici, senza traccia di critica.
Lo scopo di tutto ciò è semplice da capire e lo denuncia lo stesso san Pio X: «decattolicizzare la Francia» (e il mondo) e «sradicare completamente la fede dai cuori». La fede che salva, ma anche la fede «che ha coperto di gloria i padri e che ha fatto grande e prospera la patria» dei francesi e di molti popoli.
(foto: Di Adolfo Müller-Ury – muller-ury.com, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=119238775)
[1] Promulgata l’11 dicembre 1925.
[2] «Quas primas post initum Pontificatum dedimus ad universos sacrorum Antistites Encyclicas Litteras […]». «Nella prima enciclica che, asceso al Pontificato, dirigemmo a tutti i Vescovi dell’Orbe cattolico […]».
[3] Promulgata il 23 dicembre 1922.
[4] Promulgata l’11 febbraio 1906.
[5] Il 9 dicembre di quell’anno, su iniziativa dei deputati Aristide Briand (socialista) ed Émile Combes (radicale).
[6] Accordo tra Napoleone Bonaparte e Pio VII, per risanare i rapporti di conflitto tra Stato di Francia e Santa Sede, a seguito della Rivoluzione francese e del bonapartismo.
[7] «L’Église libre dans l’État libre». Principio calvinista («Ecclesia libera in libera patria») ripreso da Charles de Montalembert e da Camillo Benso di Cavour.
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