sabato 30 marzo 2024

La Passione di Cristo raccontata da un medico legale




Cari amici, ho trovato sulla rete, in occasione di queste feste pasquali, una vera e propria chicca: si tratta di un’intervista, pubblicata dal quotidiano cattolico francese Famille Chrétienne il 26 marzo 2024, con il dott. François Boxho, belga, che lavora a Liegi come medico legale ed ha al suo attivo almeno 4.000 autopsie. Lo specialista ha appena pubblicato un libro, dal titolo paradossale Entretien avec un cadavre (“Dialogo con un cadavere”), che contiene anche un capitolo interessantissimo: una disamina dell’autopsia che si potrebbe fare al Cristo, sulla base della Sacra Sindone. Il quadro è eccezionale, molto vicino ai Vangeli e, ovviamente, un’occasione straordinaria di meditazione sulla Passione di Nostro Signore. Colgo l’occasione per inviare a tutti i nostri affezionati lettori tanti cari auguri di una serena, santa Pasqua. Qui di seguito la traduzione dell’intervista, nella versione originale francese, che ho tratto dal video che potete trovare al seguente link.

Di Anima Misteriosa, 30 Marzo 2024



Buongiorno a tutti!

Siamo oggi a Liegi, in Belgio, dove stiamo per parlarvi della Passione di Cristo. Tutti lo sanno, Gesù è morto crocifisso dopo aver subito delle sofferenze insostenibili. Per prendere una migliore conoscenza delle sevizie fisiche che ha subito prima della sua morte, incontreremo il dott. Philippe Boxho: è l’autore di un’opera recente, intitolata Entretien avec un cadavre, dove racconta le autopsie più significative che ha realizzato e al centro di quest’opera si attarda su di un’autopsia un po’ particolare, che è quella di Gesù Cristo. Andiamo ad incontrarlo subito.

Buongiorno dottore!
Prima di parlare proprio della Passione di Cristo, potreste spiegarci che cosa vi ha indotto a condurre questa autopsia, così diversa dalle altre, l’autopsia di Gesù Cristo?


In effetti, quello che mi ha condotto a questo è la Sindone di Torino. E’ un lenzuolo che misura praticamente 4,5 m di lunghezza e 1 di larghezza e che presenta un cadavere sulle due facce, faccia anteriore da una parte e posteriore dall’altra. Ho sempre pensato che fosse una scena del crimine appassionante, perché innanzitutto non abbiamo la soluzione, il che è sempre interessante, perché permette di indagare e quando si deve indagare, ciò è molto interessante; in secondo luogo, ciò permette di applicare tutte le tecniche che la criminalistica moderna può offrire, senza tuttavia apportare delle soluzioni assolutamente certe. E’ questo che mi interessava. Entriamo nel vivo del soggetto, se volete. 

Si sa in che stato psicologico si trova Gesù all’inizio della sua Passione?

Non ne sappiamo proprio nulla. E’ visibilmente stressato, il che è normale, stressato sul piano fisiologico, intendo dire, a livello psicologico non lo so, ma a livello fisico è stressato: deve essere affaticato, deve essere terribilmente provato. Al minimo, ha subito una flagellazione: se la Sindone di Torino può essere considerata chiaramente come il sudario che ha avviluppato il Cristo, possiamo contare 120 colpi di flagello che gli sono stati dati. Non si sa esattamente quante strisce portava ogni flagello: sarà necessario dividere il numero dei colpi per quello delle strisce che potevano costituire un flagello; tuttavia, in totale sono repertoriati 120 colpi in media secondo gli autori: io ne ho contati 120. Questi colpi lo hanno necessariamente indebolito, non al punto che si vede nel film Passion realizzato da Mel Gibson, non come in quel film: là si va troppo oltre, oggettivamente si va troppo oltre. Il personaggio che vi si vede, dovrebbe essere già morto al momento della flagellazione. Qui il Cristo, lo si sa, sopravvive, perché arriva fino al Golgota. E’ una situazione che lo indebolisce in modo importante: perde del sangue, tra 500 ml. e non molto meno di un litro. Perde veramente molto sangue. Poi, la flagellazione significa il dolore, significa la sofferenza. E la sofferenza ha l’effetto di indebolire la persona. In effetti, si sa che è in stato di stress fisiologico quando arriva al Golgota, che non è affatto la Via Dolorosa che si presenta oggi a Gerusalemme, non ci ha niente a che vedere. Era un cammino più breve, realmente esistente. E Gesù non ha neanche portato la totalità della sua Croce. 

Dice il Vangelo di Luca che sul Monte degli Ulivi Gesù sudava sangue. È veramente possibile per un essere umano sudare sangue e se sì, in quali circostanze si può verificare questo fenomeno?

Sì, è possibile, è stato compreso da un punto di vista fisiologico. È vero che in passato non ci si credeva troppo, ma oggi conosciamo dei meccanismi fisiologici che ci permettono di spiegarlo. Sappiamo che nelle situazioni di stress veramente intenso lo si può osservare. Quello che stupisce è che se la Sindone di Torino è effettivamente quella che ha contenuto il corpo del Cristo, non ve se ne trova traccia in alcun momento sul corpo. E sappiamo che tra il momento in cui Gesù passa al Getsemani e poi quello in cui passa davanti al sinedrio e poi quello in cui va da Ponzio Pilato e poi quello in cui va infine ad essere crocifisso, sappiamo che non ha avuto possibilità di lavarsi. Ecco, c’è questo piccolo dettaglio che disturba un po’.

Forse che durante la sua passione, tra il Getsemani e la sua morte, la sua flagellazione, il trasporto della croce non hanno potuto cancellare queste tracce di sangue?

Si fa fatica a immaginare come. Il sangue finisce per colare e per levarlo, talora bisogna strofinare; se ci fossero state delle tracce di sangue, le si sarebbe comunque dovute trovare sul sudario; tuttavia, non si può essere categorici, non si può essere categorici. 

Dopo essere stato condotto al Tempio, dove fu rinchiuso e giudicato durante la notte, il Cristo viene flagellato da dei soldati l’indomani: come si presenta una flagellazione ad opera dei Romani a quest’epoca?

Faccio ancora riferimento alla Sindone: vi si ritrovano non meno di 120 colpi, 120 colpi differenti: questo significa che abbiamo dei flagelli che sono muniti di lanières, al termine delle quali si trovano delle piccole strutture in metallo che assomigliano a delle sferette[1]. Da quello che si vede sulla Sindone è questo che è servito a colpire il Cristo. Allora, se è effettivamente il caso, se questa è la Sindone del Cristo, 120 colpi non significano che ne abbia ricevuti 120: questo significa che ha ricevuto dei colpi con un flagello che ha due o tre strisce e bisognerà dividere il numero dei colpi rilevati, 120, per il numero delle strisce. D’altra parte, quello che è veramente interessante è constatare che sulla Sindone, i flagellatori, il soldato che si trova a sinistra e quello che si trova a destra non hanno la stessa statura: quello che si trova a sinistra è più alto. Perché? Lo si sa perché l’angolo dei colpi è molto più verticale. Quello a destra è meno alto, è più basso, perché? Perché l’angolo dei colpi è più orizzontale. Si verifica un’orizzontalizzazione dell’asse dei colpi di quello che sta a destra; e quello che si trova a destra, colpisce meno il dorso, bensì colpisce piuttosto le gambe rispetto a quello che è a sinistra, che percuote veramente il dorso. Quindi si vede che ci sono due personaggi diversi quando si analizza veramente la Sindone di Torino; è una cosa che stupisce.

E che conseguenze possono avere su di un corpo umano 120 colpi di flagello?

E’ molto, molto grave. Parecchie persone sarebbero già svenute o comunque starebbero male a seguito di questo trattamento. In questo caso, ancora se si fa riferimento alla Sindone, il personaggio che vi è rappresentato possiede una massa muscolare molto importante: è alto, misura sui 1,78-1,80 metri, ha veramente una massa muscolare ben sviluppata e 120 colpi non lo uccideranno; questa massa di colpi lo indebolirà, ma non lo ucciderà, perché possiede una costituzione che lo mette in grado di assorbire questo numero di colpi.

Un elemento importante della Passione del Cristo è la famosa corona di spine, una parte della quale è stata salvata durante l’incendio di Notre Dame a Parigi: che aspetto avrebbe potuto avere e che ferite avrebbe potuto provocare?

Oggi non pensiamo a una corona, bensì a una tiara: si tratta di piante che crescono localmente, di piante del deserto, con delle spine molto lunghe, all’incirca 3-4 cm, estremamente appuntite all’estremità e che fanno molto male. Allora, che ferite provoca una roba del genere? Ciò provoca delle ferite puntiformi e significa che la spina entra nella pelle e produce un punto: è quel che si definisce una lesione puntiforme, perché assomiglia a un punto. Al livello del cranio – non so vi siete già ferito al cranio – è noto che il cranio sanguina molto: e quindi le lesioni, le spine che penetrano nel cranio generano automaticamente un sanguinamento relativamente abbondante. Il risultato è che i capelli devono essere veramente imbevuti di sangue: ed è quel che si vede sulla Sindone.

Voi parlate di tiara: ha la forma di un copricapo?

E’ un copricapo che copre tutto. Non è una corona nel senso in cui conosciamo le corone oggi; se guardate la corona di Luigi XV conservata al Louvre, vedrete che avvolge tutto il cranio. Quindi, è veramente come un casco, che circonda tutto il cranio, al di sopra e ai lati. 

Tutto il cuoio capelluto, la fronte: uno deve essere annientato da corona del genere.

Fa male: una spina che penetra nella pelle, la si sente molto, davvero molto.

Il venerdì Santo i cattolici fanno memoria della passione di Cristo seguendo spesso le 14 stazioni della Via Crucis; vi si vede spesso Gesù che porta la sua croce, la famosa croce: ma questa immagine della croce è corretta e quella di Gesù che porta la croce è corretta?

Porta soltanto un elemento della croce: ciò faceva parte del supplizio all’epoca presso i Romani. I Romani hanno ripreso questo supplizio ai Mesopotamici e certuni ritengono che potrebbe addirittura provenire dall’India, ma non ne abbiamo veramente le prove. E’ un supplizio che viene chiaramente dalla Persia e che i Romani hanno perfezionato alla loro maniera: erano della gente estremamente precisa e sapevano ciò che facevano e come bisognava farlo. C’è la parte della croce chiamata stipes, la parte verticale che è confitta nel suolo; e avete un’altra parte, quella orizzontale, che si chiama patibulum. Il suppliziato non portava mai l’intera croce: l’intera croce pesa poco meno di 150 chili e non è possibile trasportarla; trasportava al contrario il patibulum, che, a seconda del legno impiegato, pesava sui 40-50 chili (il che non è poco). Il patibulum è costruito per essere incastrato nello stipes. La croce è a forma di T: non è una croce che oltrepassa l’incrocio delle travi, ma una T; il patibulum è inserito nello stipes dopo che il condannato vi è stato inchiodato.

Su quale distanza all’incirca il Cristo ha dovuto trasportare questo pezzo della croce?

Oggi, esiste un accordo su di un centinaio di metri.

Un centinaio di metri?

Un centinaio di metri, forse qualcosa di più. Non è la Via Dolorosa che viene presentata a Gerusalemme: non ci sono mai andato, ma tutti gli storici sono d’accordo oggi nel dire che questa Via Dolorosa è un’invenzione del Medio Evo. Quindi non è la vera via, il vero cammino preso dal Cristo fino al Golgota.

E fin qui, la passione, la flagellazione, la coronazione di spine, la Via Crucis: un essere umano è capace di sopportarlo? E’ possibile in fin dei conti arrivare a superare tutte queste prove?

E’ stato flagellato, ha passato una notte orribile, è stato incoronato con le spine, ha perso dell’acqua, molta acqua, perché fa caldo in quei paesi e si traspira e perché ha perso del sangue, dunque poco per volta è entrato in ipovolemia. Non è certo nella forma migliore, questo è chiaro; tuttavia, la sua costituzione molto forte, e a questo ci credo molto, fa sì che possa ancora arrivare al Golgota. D’altra parte, normalmente presso i Romani non sono previste due pene, non ce n’è che una sola: è qualcosa che si trova ancora nel nostro diritto, che è il medesimo che il vostro, dato che provengono entrambi dal codice napoleonico: un crimine, una pena, non due. Là ce ne sono due: c’è la flagellazione, che è una pena, e poi la crocifissione, che è un’altra: d’abitudine non lo si fa. Per lui lo si fa.

Un altro elemento che si vede spesso nelle rappresentazioni è che sono le palme del Cristo in cui sono stati piantati i chiodi che lo hanno inchiodato alla croce: questa immagine è reale e plausibile?

Non lo è affatto. Infatti un chirurgo francese, parigino, che si chiama Pierre Barbère, ha scritto nel 1951 un libro dal titolo La mort de notre Seigneur Jésus – Christ selon les chirurgiens (“La morte di Nostro Signore Gesù Cristo secondo i chirurghi”); non tutto è corretto nel libro: oggettivamente vi si trovano alcuni errori che non si conoscevano all’epoca; tuttavia, afferma una cosa del tutto vera. Ha utilizzato dei cadaveri dell’ospedale in cui lavorava per sospenderli a delle travi, piantando loro dei chiodi nelle palme delle mani. Se facessi una cosa del genere oggi, finirei davanti al Consiglio dell’Ordine, perché non si può fare, ma all’epoca si poteva; ed egli dimostra che tutti i corpi si sono staccati. Tutti: perché nella mano non c’è niente per tenere un chiodo. Quando siete sulla croce, voi tirate le braccia all’indietro così, tirate sulle mani per potervi sollevare, per potere respirare: il problema della croce è soprattutto questo, provoca l’asfissia. Se è il palmo ad essere attaccato mediante il chiodo, si distacca. I Romani erano persone pratiche: piantavano i chiodi in maniera efficace: ed è evidentemente nel polso che li piantavano. Lì c’è uno spazio, detto spazio di Distaux[2], dal nome del chirurgo che lo ha descritto, dove, se piantate il chiodo, esso passa direttamente: infatti là trova un passaggio ed è là che si inserisce. Così non cade.

Come si presenta una crocifissione? In conclusione, come è morto il Cristo?

E’ un dolore inaudito. I chiodi, in rapporto al resto, sono il meno, veramente. Fanno male quando vengono piantati, fanno male quando si esercita una pressione su di essi, sia alle mani che ai piedi, ma sono dei dolori a cui l’organismo si abitua: l’organismo possiede questa facoltà di potere abituarsi al dolore; ma non a tutti. La morte del Cristo sulla croce è una morte provocata da quel che si definisce un’asfissia posturale: un’asfissia, una carenza di ossigeno, che proviene dalla postura, cioè della modalità in cui si sta sulla croce. E questa postura è pessima: le braccia all’indietro, con il torso molto proiettato in avanti: provate – insomma…provate in maniera media – provate se volete e vedrete che avrete difficoltà a respirare.

Che cosa provoca il fatto che un uomo sia su di una croce? 

Il tasso di ossigeno si riduce perché non respira più correttamente. Gli scambi che avvengono nel polmone consistono in questo: si prende l’ossigeno che si trova nell’aria e si ricaccia l’anidride carbonica verso l’esterno. Questo non avviene più: quindi non c’è più ossigeno in entrata, in ogni caso non molto; e c’è poca anidride carbonica in uscita. Questo implica che a causa dell’anidride carbonica, il sangue diviene progressivamente acido: la si definisce acidosi. E quando un’acidosi è provocata da una respirazione deficitaria, in medicina la definiamo un’acidosi respiratoria. E’ di questo che muore: di un’acidosi respiratoria. Muore perché il suo sangue raggiunge un PH acido e incompatibile con la vita e questo a causa dell’aumento del tasso di anidride carbonica. Questo è un aspetto.

Ma c’è un secondo aspetto, che è un corollario di questo aumento di anidride carbonica, e questo lo conoscete di sicuro: se avete già fatto una corsa, a un certo punto a furia di correre avvertite un dolore al fianco; il dolore al fianco è la prova che entrate, per così dire, in acidosi respiratoria nel punto in cui si manifesta il dolore. E’ una specie di crampo, molto doloroso. E’ esattamente questo quel che si produce: a causa della penuria di ossigeno nelle cellule provocata dall’anidride carbonica, si verificano dei crampi, ma in tutto l’organismo: soffrono tutti i muscoli, il corpo al completo. Diviene rigido, avverte dolori ovunque e, soprattutto, è immobilizzato, cioè: quando vedete un crocifisso con la testa reclinata su di un lato, non è possibile: è immobilizzato con la testa perfettamente in asse, perché tutti i muscoli avvertono dei crampi. Quindi è in asse con il corpo, tutti i muscoli sono in uno stato di rigidità eccezionale ed è estremamente doloroso. 

Nel Vangelo si vede che alcuni rimangono stupiti per la morte rapida del Cristo sulla croce: quanto tempo è normalmente necessario di solito per morire su di una croce?

Dipende dal vostro stato, ma la maggior parte delle volte servivano più giorni: e i condannati venivano finiti fracassando loro le membra inferiori, perché allora non potevano più appoggiarsi alle gambe e morivano più facilmente dell’asfissia posturale generata dalla crocifissione. Per il Cristo non è stato fatto. 

Per il Cristo un soldato romano gli ha trafitto il fianco e ne sono usciti sangue ed acqua: perché avere fatto questo gesto, innanzitutto, e che cosa significa? Qual era l’obiettivo di questo gesto?

Ponzio Pilato viene informato del fatto che il Cristo è morto: ne è stupito, perché muore rapidamente. Ma muore rapidamente perché prima è stato flagellato. Ha tutte le ragioni per essere molto indebolito, anche se ha una buona statura, visibilmente. Dunque, indebolito, muore rapidamente e Ponzio Pilato è inquieto: vuole in ogni caso verificare e invia un soldato, il quale arriva e gli pianta una lancia nel fianco, il che non è classico: d’abitudine si fracassavano le gambe ai condannati e gliele si fracassavano quando non erano ancora morti. Al contrario, quando sono ormai morti si constata il decesso e in questo caso il soldato se ne vuole convincere, perché Ponzio Pilato glielo domanda e perché la morte è stata molto rapida. Prende la sua lancia e la pianta nel fianco. Nessuno sa in quale fianco: io credo che sia il destro, perché visto quel che esce dal fianco dal corpo del Cristo sulla croce, deve essere li destro.

E Giovanni ci offre nel Vangelo, credo che sia l’unica, una vera osservazione scientifica: in quel punto il Vangelo è scientifico, afferma chiaramente quel che deve uscire dal fianco. Pierre Barre si sbaglia: dice che il sangue nel corpo sedimenta. Sedimentare significa che post mortem gli elementi più pesanti del sangue cadono verso il basso, mentre quelli più leggeri rimangono in alto; e in effetti è vero, quando lasciate il sangue in una provetta potete vederlo, tutti i globuli rossi e bianchi vanno giù ed avete una specie di siero che flotta al di sopra: è il plasma, dell’acqua, che appare al di sopra. Questo si chiama sedimentazione. Ho realizzato l’autopsia di 4.000 persone: il sangue non sedimenta mai nel corpo. E’ falso: è un errore, perché all’epoca non lo si sapeva, si credeva che fosse così; oggi i medici legali esistono, una volta no, e quindi possiamo dirvi che non è così. Quindi, non è la buona soluzione, ma ce n’è un’altra: quando il Cristo riceve tutti i colpi sul torace e sul corpo in generale, il polmone ne soffre, ne subisce delle contusioni attraverso la parete toracica: questa è una prima cosa. Questo stato contusivo provoca una diffusione del plasma nella cavità tra la parete del torace da un lato e il polmone dall’altro; lì si sviluppa del liquido proveniente dal polmone a causa di queste contusioni.

D’altra parte, l’equilibrio di pressione del polmone quando si muore in questa maniera è che senza dubbio si produce in ogni caso un essudato che compare nelle cavità pleuriche ed è qualcosa che constato regolarmente in autopsia. Quindi, quando il soldato pianta la sua lancia, la lancia attraversa il polmone e ferisce la parte destra del cuore, là dove si trovano esclusivamente delle vene: e le vene sono collegate alla parte destra del cuore, non alla sinistra: il cuore sinistro è arterioso, il destro venoso. Il sangue si trova nella parte destra del cuore: la lancia attraversa il polmone che è pieno di siero, di plasma e il plasma cola; colpisce il cuore, il sangue ne cola. E’ un’osservazione rigorosamente esatta sul piano scientifico. E’ l’unica che si trovi nel Vangelo, è Giovanni che la riporta e o lui era là, o un testimone gli ha riportato quello che ha visto: non può saperlo altrimenti. Ed è quel che si trova sulla Sindone di Torino.

Giustamente, a proposito della Sindone di Torino, voi dite che non tutti sono d’accordo sul fianco del Cristo che è stato trafitto, perché sulla Sindone non si vede chiaramente.

Sì, sì, si vede. Ma quel che non si può fare è dire che la Sindone è necessariamente il sudario del Cristo.

Giusto, è una delle mie domande: voi citate la Sacra Sindone come uno degli elementi di base per lo studio della morte del Cristo, per lo studio di quel che sarebbe il corpo del Cristo; questa reliquia potrebbe essere veramente un tessuto che è stato posato sul corpo del Cristo?

È una domanda eccellente: ed è la domanda su cui ci si attarda tutti per rispondere. In ogni caso, tutti sono d’accordo nell’affermare che il corpo presentato su questo sudario mostra tutte le tracce della Passione e che non ne manca alcuna; e in più è di una precisione…Sono stato in grado di dirvi poco fa che un flagellatore era più alto dell’altro: è inaudito. Ci sono delle tracce sul dorso che permettono di pensare che si è verificato uno sfregamento, senza dubbio con il legno della croce, con il patibulum, la parte della croce che veniva trasportata dal suppliziato. Ci sono delle tracce secondo cui i chiodi sono stati piantati nei polsi: andate nelle chiese, andate a vedere e vedrete che tutti i crocifissi hanno i chiodi nelle palme delle mani. Tutti. Quindi, è veramente super-interessante notare che questo lenzuolo, tenuto conto di tutti gli errori accumulati dalla storia sulla Passione di Cristo, dona la verità esatta: è evidente, è chiaro.

Ci sono delle cose sconvolgenti. Per esempio, non si vedono le orecchie: perché non si vedono le orecchie? 

Io lo so, sono medico legale e lo so: non tutti lo sanno. Semplicemente, i capelli sono intrisi di sangue a causa delle piaghe provocate dalla corona di spine e il sangue nei capelli, per forza di cose, si secca: e il sangue, quando si secca, forma delle croste; e se avete qualcuno che muore con la testa che pende in avanti, il sangue cola; quando lo rimettete in posizione supina, i capelli rimangono in verticale e bisogna appiattirli di nuovo; per questo motivo non si vedono le orecchie.

Non si vedono neanche i suoi organi genitali. Alcuni dicono: sì, è normale, perché gli sono stati messi dei piccoli pezzi di nastro sotto i gomiti. Per fare cosa? Chi sapeva che questa immagine sarebbe apparsa? E’ la sola immagine al mondo in cui si è precisamente come si è. Non si è mai vista una cosa del genere da nessun’altra parte. Chi sapeva che sarebbe apparsa? Perché mettergli dei sostegni sotto i gomiti? E’ stupido. Se invece voi vi stendete sul letto – fatelo stasera e penserete a me – e provate a mettere le mani sui vostri organi genitali, non ci riuscirete senza sollevare i gomiti. Ma sulla croce: l’uomo ha le spalle all’indietro, esercita una pressione su di esse: ha le spalle lussate in avanti. Quindi, le spalle escono dalla loro cavità, sono spostate in avanti e allora ci riuscite.

C’è una quantità enorme di piccoli dettagli così: e la Sindone è un reperto eccezionale, eccezionale, perché tutti questi dettagli, che oggi non conosciamo, ma riscopriamo, perché non sappiamo più nulla della crocifissione – non la si pratica più, fortunatamente – tutti questi dettagli sono esatti e ce li dà la Sindone. La Sindone è giusta.

Grazie infinite, dottore! E grazie a voi per la vostra attenzione!



Note:

[1] Non sono riuscita a capire il termine impiegato dal dott. Boxho al riguardo, quindi deduco.

[2] Questo nome non è per niente chiaro e non sono neanche riuscita a trovarlo in voci di anatomia della mano redatte in francese.







La “lezione” che ci dà il “silenzio” di Dio…nel Sabato Santo

 




di Maria Bigazzi

Il Sabato Santo si vive il silenzio dell’assenza di Gesù, assenza che intristisce i nostri cuori, facendoci desiderare maggiormente la celebrazione della Pasqua. Dopo tutto il cammino quaresimale e la celebrazione del Triduo Santo, ci fermiamo ai piedi della Croce, adorando il Signore immolato per la nostra Redenzione. Vorremmo anche noi unirci a Lui per dimostrargli il nostro amore. Ma se ripensiamo a tutto quello che Gesù ha dovuto soffrire, agli oltraggi, le percosse, gli insulti e le beffe; ci sentiamo infinitamente piccoli e miseri per ricambiare tanto Amore. 

Dio accoglie sempre i suoi figli e perdona chi con cuore sincero e con vero pentimento, si avvicina a Lui implorando pietà e perdono. La Passione e la morte di Gesù ci hanno aperto la porta del Paradiso, riscattandoci dal peccato che ne aveva causato la chiusura. Dal dolore della morte del Figlio di Dio, abbiamo ricevuto la gioia della nostra Redenzione da Lui operata, a cui partecipò anche la Vergine Maria, che, crocifissa nel cuore con Gesù, ne prese parte come Corredentrice universale. 

Dopo le grida dei carnefici, gli insulti e le bestemmie, alle ultime parole di Gesù che precedettero il Suo ultimo sospiro, anche la terra freme e il cielo si oscura, facendo tremare gli animi di coloro che non avevano voluto riconoscere il Cristo. A rimanere non è altro che un grande silenzio che riempie tutto il luogo dove si è compiuto l’atroce delitto. Questo silenzio riflette la lontananza di Gesù dagli uomini che lo hanno rifiutato e addirittura ucciso senza pietà. 

Ancora oggi il Signore viene tante volte rinnegato e abbandonato, ma soprattutto offeso e oltraggiato. Le continue profanazioni che si verificano nei confronti di Gesù Eucaristico sono gli stessi dolori e le stesse ferite che i Suoi nemici gli procurarono durante la Sua Passione. Gli sputi, gli schiaffi, le provocazioni, i calci e pugni, sono tutti gesti che ancora oggi vengono inflitti alla Vittima innocente. 

La conseguenza di così tante iniquità è proprio il silenzio di Dio, che si nasconde agli uomini, facendo provare loro lo smarrimento e il dolore dovuti all’averLo rifiutato. Purtroppo tante anime non sentono tale richiamo d’amore, ma si ostinano a perseverare nel peccato, offendendo Dio in ogni modo e inducendo anche molti altri ad odiarlo. 

Il giorno del sabato Santo ci ricorda le parole del salmista che afferma: “Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?” “Sarà forse per sempre?” Fino a quando avrò l’ansia nell’anima e l’affanno nel cuore tutto il giorno? (Sal 13,1). Il Signore ci nasconde il Suo Volto e la Sua santa presenza, lasciandoci nella condizione di riflettere se veramente lo amiamo e siamo attenti alle difficoltà che l’anima prova quando si trova lontana dal Suo unico e vero Dio. 

L’ansia e l’affanno nel cuore di cui parla il salmista, sono dovuti alla ricerca senza risultato del Volto di Dio e della debolezza che ne consegue, che porta il nemico a innalzarsi su di noi e al rischio di essere da lui vinti. Per questo preghiamo il Signore che illumini i nostri occhi perché il sonno della morte non addormenti le nostre anime. 

Ma, come invita il profeta, dobbiamo cercarlo finché Egli si fa trovare (Is 55,6). Infatti se ben riflettiamo, i continui attacchi verso Gesù e la grande indifferenza che regna tra i cuori degli uomini, allontanano dal Signore, divenendo causa di divisione dal nostro Redentore. Se anche noi ci trovassimo a vivere un lungo Sabato Santo, dovuto alla perdita della consapevolezza dell’importanza della presenza non scontata di Dio in mezzo a noi; e se come la Maddalena non trovassimo più Gesù nonostante le ricerche, presto i nostri cuori ne sentirebbero il grande dolore, l’angoscia e lo smarrimento. 

Preghiamo Dio che ci preservi da tale prova, e nel giorno che precede la Pasqua riflettiamo sulla reale presenza di Cristo in mezzo a noi e sulla riverenza che gli dobbiamo, ma che spesso dimentichiamo a causa dell’abitudine. Che la Vergine Maria accresca in noi il desiderio di lodare Dio con tutto il cuore per ringraziarLo dei suoi innumerevoli doni e ci aiuti a prepararci con cuore sincero alla celebrazione della ormai vicina Risurrezione del Signore.





venerdì 29 marzo 2024

Il Venerdì Santo dei cristiani perseguitati


Una chiesa in Siria distrutta dallo Stato islamico nel 2019 (foto Ansa)


Dalla Nigeria a Hong Kong, dal Pakistan ad Haiti, dalla Francia alla Finlandia. Quattordici storie contemporanee di martirio e persecuzione.

Oggi, Venerdì Santo, la Chiesa ricorda la passione, crocifissione e morte di Gesù Cristo, tre giorni prima di Pasqua. Oggi sono ancora milioni i cristiani perseguitati, incarcerati e uccisi. Abbiamo scelto quattordici storie, una per ogni stazione della Via Crucis, di uomini, donne e bambini che hanno sofferto e soffrono per la loro fede.

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Caterina Giojelli e Leone Grotti, 29/03/2024 


Nigeria – Michael Nnadi

Michael Nnadi è stato rapito a 18 anni dal seminario del Buon Pastore di Kaduna la notte dell’8 gennaio 2020. Una banda di islamisti Fulani, che da anni terrorizzano il Nord della Nigeria, ha fatto irruzione nel dormitorio a colpi di arma da fuoco e ha sequestrato quattro giovani seminaristi. Hanno portato Michael nella boscaglia, torturandolo giorno e notte senza pietà. Durante le lunghe settimane di prigionia Michael non si è mai perso d’animo e ha incessantemente invitato i terroristi a pentirsi e a chiedere perdono a Dio. Più parlava di Dio ai banditi e più questi si infuriavano. Uno di loro, però, era attratto dalla fede di Michael e cominciò a fargli domande sulla religione cristiana, fino a chiedergli di insegnargli a pregare il Padre nostro. Era il 27 gennaio. Il giorno dopo Michael è stato portato via e ucciso a colpi di arma da fuoco dagli altri membri della banda. Pochi giorni dopo i banditi hanno liberato gli altri seminaristi. «L’hanno ucciso solo perché era un seminarista cattolico», hanno raccontato i compagni di prigionia. «È il sangue che ha versato ad averci liberati: è lui che ha pagato il prezzo della nostra libertà». Per la Chiesa locale, «Michael è un martire, come santo Stefano, ha dato la vita per portare il messaggio di Cristo ai terroristi».

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Pakistan – Akash Bashir

«Morirò, ma non ti lascerò entrare in chiesa». È dopo aver pronunciato queste sue ultime parole che il giovane Akash Bashir, appena 20 anni, ha abbracciato il terrorista islamico che voleva entrare nella chiesa cattolica di San Giovanni, nel quartiere cristiano di Youhanabad, a Lahore, Pakistan, per fare una strage di cristiani. Era il 15 marzo 2015 e Akash è morto nella detonazione della cintura esplosiva insieme al suo carnefice. Nell’attentato morirono in tutto 17 persone, ma se non fosse stato per il giovane, già proclamato Servo di Dio, le vittime sarebbero state centinaia. Akash era nato il 22 giugno 1994 a Risalpur e dopo il trasferimento a Youhanabad nel 2008, nel novembre 2014 si era unito alle guardie volontarie di sicurezza della chiesa, necessarie per prevenire attentati. «In una frazione di secondo il giovane ha scelto di donare la sua vita. Ha vissuto il suo “qui e ora” con Dio, nella profonda fede in Lui», ha dichiarato padre Noble Lal, rettore del Don Bosco Technical and Youth Center di Lahore frequentato dal giovane. La fase diocesana per il processo di beatificazione si è chiusa due settimane fa. «Speriamo che sia proclamato martire entro il 2024».

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Una foto di Jimmy Lai in carcere


Hong Kong – Jimmy Lai

Jimmy Lai ha il doppio passaporto. È cittadino di Hong Kong, ma anche del Regno Unito. Quando l’1 luglio 2020 è entrata in vigore la legge sulla sicurezza nazionale, imposta dal regime comunista cinese per trasformare l’isola in un carcere a cielo aperto, avrebbe potuto salire sul primo aereo per Londra e continuare a godersi i suoi milioni, frutto della sua geniale attività di imprenditore. Invece Jimmy Lai, convertito al cattolicesimo nel 1997, ha deciso di restare a Hong Kong per portare avanti la sua lotta per la libertà e la democrazia della città. Come dichiarato dal figlio Sebastien, «senza la sua fede non ci sarebbe neanche il suo impegno civile. I princìpi che difende sono diretta emanazione del cristianesimo. E per la sua fede sta pagando più di quanto si creda: se non fosse stato cattolico, infatti, non gli avrebbero dato così tanti anni di carcere». Jimmy Lai, 76 anni, è in prigione da 1.184 giorni per essersi opposto al regime e ora rischia l’ergastolo nell’ennesimo processo farsa. In prigione gli hanno vietato di disegnare soggetti sacri ma lui è riuscito a fare uscire una meravigliosa crocifissione di Gesù, oggi esposta nella cappella della Catholic University of America a Washington. In un’intervista a Tempi dell’ottobre 2020, due mesi prima che venisse portato in carcere, ha dichiarato: «Dio ha un piano per tutti noi e quando metti il tuo destino nelle mani di Dio ti senti così leggero, con meno pressione addosso. Dio mi ha dato tanto e io provo un’enorme gratitudine».

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Messico – Javier García Villafañe

Javier García Villafañe è stato assassinato in Messico il 22 maggio dell’anno scorso, a bordo della sua auto, mentre stava andando a celebrare la Messa. Il sacerdote agostiniano, originario di Salamanca, in Spagna, aveva da poco compiuto 60 anni ed era appena stato assegnato a un nuovo incarico. Da neanche un mese, infatti, era diventato parroco della chiesa di San Francesco a Capacho, piccola cittadina di 2.500 abitanti nella municipalità di Huandacareo, stato di Michoacan, nel centro del Messico. Il sacerdote, che aveva spesso condannato i crimini dei cartelli della droga, stava rientrando in parrocchia quando la sua Nissan bianca è stata fermata sull’autostrada Cuitzeo-Huandacareo e crivellata di colpi. A un anno dall’omicidio le indagini non hanno fatto alcun progresso. Dal 1990, in Messico sono stati uccisi 63 sacerdoti, 9 negli ultimi quattro anni.

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Una foto di Frans van deer Lugt in una chiesa di Amsterdam


Siria – Frans van der Lugt

«Sono l’unico sacerdote rimasto: come potevo lasciare soli i 66 cristiani che ancora vivono qui?». È con queste parole che padre Frans van der Lugt, gesuita olandese di 76 anni, ha declinato la proposta dei suoi superiori di andare via dalla città vecchia di Homs, mentre infuriava la guerra in Siria. Aveva dato quasi 50 anni della sua vita a quel paese e non aveva nessuna intenzione di fuggire. «Voglio condividere il dolore e le difficoltà del popolo», diceva. Padre Van der Lugt era rispettato sia dai cristiani che dai musulmani, perché aiutava tutti, ma i terroristi islamici che avevano preso il controllo di Homs non lo amavano. Più volte lo hanno condotto davanti alla corte della sharia per discutere delle sue credenze, ma lui si rifiutava di parlare di politica o di religione. Il 7 aprile 2014, due uomini armati sono entrati nel monastero dove padre Van der Lugt viveva. Lo hanno trascinato fuori, lo hanno colpito al volto, gli hanno sparato due colpi alla testa e se ne sono andati. Oggi la sua tomba, nella città vecchia di Homs, è diventata meta di pellegrinaggio per i cristiani di tutta la Siria.

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Corea del Nord – Prigioniera 42

«Sono nata in Corea del Nord, un paese dove pronunciare la parola Gesù può essere una condanna a morte». “42” era una delle decine di migliaia di cristiani condannati al carcere prima e a un gulag per criminali politici poi. La chiamavano così ogni mattina all’alba nella stanza degli interrogatori (“Sei andata in chiesa?”, “Avevi una Bibbia?”, “Sei cristiana?”), per poi prenderla a calci costringendola a restare in ginocchio per ore con i pugni chiusi. «Se ammettessi di essere stata aiutata da cristiani cinesi, mi ucciderebbero, velocemente o lentamente, non fa differenza. Ma comunque mi ucciderebbero», rifletteva. I cristiani li aveva conosciuti in Cina quando scappò dalla carestia: «Fui toccata dal loro amore». In breve venne arrestata e riconsegnata alle autorità nordcoreane. Non “scomparve” in cella come altre migliaia di cristiani, ma venne condannata a 4 anni da scontare in un campo di rieducazione, 12 ore al giorno di lavoro forzato tra donne ridotte a ombre e spettri, dove divenne prigioniera “1.445”. Non smise mai di pregare Cristo, nemmeno quando la sua unica compagna di preghiera venne scoperta e internata in una prigione di massima sicurezza, un letale Kwan-li-so. Rilasciata dopo due anni in virtù di un decreto di grazia, venne soccorsa dalla Ong Open Doors e aiutata ricongiungersi con marito e figli per i quali aveva pregato dal primo all’ultimo istante di prigionia: «Dio ha vegliato su di me e io prego e credo che Lui vegli anche su di loro ogni secondo di ogni minuto di ogni ora di ogni giorno», si ripeteva in prigione. «Ho bisogno di parlare loro di Dio, questo Dio amorevole»

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Suor Maria De Coppi, la missionaria comboniana uccisa in Mozambico in un attentato (foto Ansa)


Mozambico – Maria De Coppi

Suor Maria De Coppi aveva quasi 83 anni e da 59 viveva in Mozambico. Ci era arrivata a bordo di una nave, un viaggio durato 31 giorni. Aveva attraversato i giorni della colonizzazione, della guerra, della pace e del terrorismo, era anche scampata a un attentato. «Signore salvami», aveva gridato, buttandosi a terra mentre i guerriglieri crivellavano la gente a bordo del suo convoglio. Ma la sera del 6 settembre 2022 suor Maria era preoccupata: «Volevo solo dirti che qui la situazione a Chipene non è buona… è molto tesa. Sembra che quel gruppo, che chiamano al-Shabaab, gli “insorgenti”, sia molto vicino», diceva in un vocale alla nipote, suor Gabriella Bottani. Tutti erano fuggiti, non erano rimasti che i missionari: «La situazione è triste, molto triste, tutta la gente dorme fuori nel mato, sotto le piante… Gli infermieri? Tutti via. I professori? Nessuno, sono tutti andati via». Ma suor Maria era rimasta, non voleva lasciare la missione. La nipote l’aveva richiamata poco dopo e stavano parlando al telefono quando erano esplosi i primi proiettili. Suor Maria era stata ammazzata subito, colpita al volto da una delle prime pallottole sparate contro la scuola, i dormitori, l’ospedale, prima che la parrocchia venisse data alle fiamme. E prima che i jihadisti pubblicassero su Telegram una rivendicazione della Provincia dello Stato islamico nell’Africa centrale: suor Maria De Coppi era stata giustiziata perché «eccessivamente impegnata nella diffusione del cristianesimo».

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Suor Luisa Dell’Orto in un fermo immagine tratto da un video su YouTube (foto Ansa)


Haiti – Luisa Dell’Orto

Mancavano due giorni al suo 65esimo compleanno, il 20esimo festeggiato ad Haiti: passava per Delmas 19, quartiere di Port-au-Prince, quando l’auto su cui viaggiava era stata tamponata da un Suv e tre persone a volto coperto erano scese sparando all’abitacolo. Era la mattina del 25 giugno 2022: suor Luisa Dell’Orto, piccola sorella del Vangelo di Charles de Foucauld e colonna portante della Kay Chal, “Casa Carlo”, sorta con l’aiuto della Caritas in un sobborgo poverissimo della capitale, era morta due ore dopo all’ospedale Bernard Mevs. Nessuno aveva creduto al tentativo di rapina: “seur Luisa”, lecchese di Lomagna, non era una bianca ricca, bensì era dai tempi del terremoto un pezzo di Chiesa all’inferno di Haiti. Anche quando le consorelle erano partite, lei era rimasta e non solo per dare casa, studio e destino a centinaia di bambini schiavi in un paese in preda al nulla; ma per formare sacerdoti, aiutarli a vivere la vocazione in mezzo a sciagure, violenze e miserie. Traboccava di fede: la certezza di un “sì” detto a Cristo veniva prima di programmi e progetti per i poveri. Perché la fede ad Haiti per suor Luisa, non è mai stata un programma, ma una presenza: «Se qualcuno della famiglia è malato, non lo si lascia solo», diceva, «è proprio quello il momento in cui uno sta più vicino alle persone».

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Leonella Sgorbati in Somalia (foto Ansa)


Somalia – Leonella Sgorbati

Era la domenica del 17 settembre 2006 e suor Leonella, al secolo Rosa Maria Sgorbati, già cintura nera di infermeria e ostetricia in Kenya, tornava a casa dopo le lezioni in ospedale: aveva accettato di buon grado di aiutare le consorelle della Consolata – le sole religiose rimaste in Somalia dopo la caduta del dittatore Siad Barre nel ’91 – a progettare una scuola per infermieri a Mogadiscio. E dimostrare agli islamici che cura e nozioni scientifiche non facevano a pugni col Corano e che le suore non erano lì per fare proselitismo. Sentì uno sparo, poi due, tre, una raffica di mitra che mescolò il suo sangue cristiano di consacrata a quello di un papà musulmano, Mohamed Mahamud, la sua guardia del corpo, morto nel tentativo di proteggerla. Era cosciente quando, pallidissima, la trascinarono dalle consorelle. «Non c’era segno di paura o di tensione, nemmeno ansia, ma una grande pace sul suo volto, si vedeva che voleva dire una cosa importante, che le stava a cuore», raccontò suor Gianna Irene Peano, «e con un filo di voce disse: “Perdono, perdono, perdono”». Poi arrivò il chirurgo, che non poté far altro che constatare il decesso. Un martirio “in odium fidei” che la portò, il 26 maggio 2018, alla beatificazione.

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Monsignor Rolando Álvarez fermato dalla polizia durante una processione


Nicaragua – Rolando Álvarez

Dov’era, monsignor Rolando Álvarez? «In una cella buia e fa i suoi bisogni in un buco», «si pulisce con le mani» perché «non gli permettono l’uso della carta igienica». Per mesi non si era saputo quasi nulla della sorte del vescovo di Matagalpa, voce libera della Chiesa perseguitata in Nicaragua da Daniel Ortega, il dittatore che ama definire i vescovi «diavoli, figli di Satana, falsi pastori, terroristi, golpisti». Erano le tre del mattino del 19 agosto 2022 quando la polizia in tenuta antisommossa sfondò i cancelli della curia dove da giorni Álvarez viveva barricato insieme ad altri sacerdoti e seminaristi. Lo avevano incarcerato, accusandolo di «cospirazione contro l’integrità nazionale e di propagazione di notizie false attraverso le tecnologie dell’informazione e della comunicazione a danno dello Stato e della società nicaraguense», e poi di «disobbedienza e oltraggio alle autorità» per essersi rifiutato di lasciare il Nicaragua e andare in esilio negli Stati Uniti con altri 222 “oppositori” come lui. Condannato a 26 anni, monsignor Álvarez aveva vissuto e pregato dietro le sbarre per 528 giorni, di cui 339 trascorsi in una cella di massima sicurezza nel carcere di La Modelo di Managua, un forno di cemento con temperature che possono raggiungere i 45 gradi. Finché la notte tra il 13 e il 14 gennaio venne caricato su un aereo insieme ad altri 19 sacerdoti vittime dell’ultima “caccia grossa” ai preti avviata dal regime nicaraguense tra Natale e Capodanno. L’aereo atterrò Roma, vennero accolti in Vaticano. Grazie alla diplomazia di papa Francesco monsignor Álvarez era finalmente libero. Un vescovo libero eppure costretto ad abbandonare il suo paese.

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L’ex ministro finlandese Päivi Räsänen (foto Adf International)


Finlandia – Päivi Räsänen

Era stata assolta, ancora una volta. E ancora una volta doveva tornare a processo. La Corte d’appello di Helsinki aveva confermato lo scorso novembre la sentenza già espressa all’unanimità dalla Corte distrettuale nel marzo 2022: Päivi Räsänen, ex ministro degli Interni finlandese, non aveva commesso alcun crimine. La deputata, madre di cinque figli, nonna, ex presidente del Partito dei cristiano-democratici, era finita alla sbarra il 24 gennaio 2022 per un vecchio tweet in cui citava un passo della lettera di san Paolo ai Romani per chiedere alla Chiesa luterana ragioni sulla decisione di sponsorizzare il gay pride del 2019. Un tweet: tanto era bastato al procuratore generale per accusarla di incitamento all’odio, aggiungendo tra le “prove” un suo libercolo del 2004, Maschio e femmina li creò, e la sua partecipazione, nel 2018, a una trasmissione televisiva dal titolo “Che cosa penserebbe Gesù degli omosessuali?”. Quattro anni di indagini, accuse, procedimenti e udienze in tribunale dopo, rinviata a giudizio insieme al vescovo luterano Juhana Pohjola – reo di avere pubblicato il pamphlet di Räsänen – l’ex ministro si è sentita chiedere più volte se si fosse ravveduta e desiderasse cancellare ciò che aveva detto e scritto. La risposta è sempre stata no: non avrebbe rinnegato gli insegnamenti della sua fede. Dopo la seconda assoluzione all’unanimità nel novembre 2023, il pubblico ministero ha presentato ricorso alla Corte suprema finlandese.

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Il settimanale francese La Vie pubblica i documenti dell’inchiesta sull’attentato islamista di Saint-Étienne-du-Rouvray del 2016, quando venne sgozzato padre Jacques Hamel


Francia – Jacques Hamel


Padre Jacques Hamel, 86 anni, stava celebrando Messa nella chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray, in Normandia, pochi chilometri da Rouen. Era il 26 luglio 2016 ed era lieto, di lì a poco sarebbe partito per le vacanze con la sua famiglia. Non c’era molta gente quella mattina in chiesa, cinque o sei persone, quando qualcuno picchiò alla porta della sacrestia: vogliamo parlare con padre Hamel, dissero due ragazzi di origini maghrebine. Poi fecero irruzione in chiesa con un coltello in mano. Racconta un sopravvissuto, costretto dai terroristi a filmare tutto, che i due iniziarono a picchiare il sacerdote: «Lo hanno massacrato, povero. Si è difeso con i suoi piedi, come poteva. L’ho sentito dire: “Vade retro Satana”, e in seguito, come un ordine: “Vattene Satana”. Poi è finito tutto, perché uno dei due lo ha sgozzato». I due, terroristi islamici affiliati all’Isis, vennero abbattuti dai reparti speciali della polizia francese. Un anno dopo si è aperta la causa di beatificazione: «Padre Jacques Hamel è stato sgozzato proprio mentre celebrava il sacrificio della croce di Cristo», ha ricordato papa Francesco. «Ha dato la vita per noi, ha dato la vita per non rinnegare Gesù». Ha fatto come i primi cristiani, che «venivano uccisi se rifiutavano l’apostasia». «Padre Jacques è martire, e quindi beato, preghiamolo allora perché dal Cielo ci dia la mitezza, la fratellanza, la pace e anche il coraggio di dire la verità: uccidere in nome di Dio è satanico».

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Iraq – David

La mattina del 6 agosto 2014 il piccolo David, di soli 4 anni, stava giocando nel cortile della sua casa di Qaraqosh, insieme al cugino e alla figlia di una vicina. Quella notte i colpi di mortaio dello Stato islamico erano esplosi vicino alla città, ma nessuno ci aveva dato peso: in pochi pensavano che agli islamisti interessasse davvero conquistare la Piana di Ninive, una distesa di pianure e valli situata pochi chilometri a nord di Mosul e sede di città cristiane orgogliose e forti di una storia millenaria. Ma quella mattina cadde la prima bomba e cadde proprio su David e gli atri due bambini, facendoli a pezzi. «Se non fosse stato ucciso, nessuno avrebbe percepito il pericolo e saremmo rimasti tutti qui. E avremmo fatto la fine dei yazidi nel Sinjar: ci avrebbero sterminati tutti», raccontò Duha, la mamma del piccolo. La donna lo seppellì in fretta al cimitero per poi scappare col resto della famiglia a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, insieme ad altri 120 mila cristiani, un esodo biblico di auto mentre le bombe cadevano sulle strade appena percorse, e da lì in Francia. Rientrata a Qaraqosh, alla vigilia dell’incontro col Papa nel marzo del 2021, Duha anticipò a Tempi: «Gli dirò che noi abbiamo perdonato i jihadisti per aver ucciso nostro figlio. Non tocca a noi giudicare, sarà Dio a farlo. Ci hanno insegnato a perdonare ed è quello che abbiamo fatto».

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Il cardinale George Pell

Australia – George Pell

«Molti volevano punire la Chiesa per la piaga degli abusi. Io ero il classico capro espiatorio». Parlava così della sua persecuzione giudiziaria George Pell, cardinale australiano ed ex prefetto della Segreteria per l’economia in Vaticano, ruolo che gli costò molti nemici per avere promosso «trasparenza finanziaria, professionalità e onestà». Lasciò Roma nel 2017 per tornare in patria e difendersi dall’accusa di aver molestato sessualmente in sagrestia due giovani membri del coro della cattedrale di Melbourne nel 1996. Lui, che da cardinale aveva fatto più di tutti per combattere la piaga della pedofilia nella Chiesa. In Australia iniziò un calvario giudiziario che lo costrinse a passare 404 giorni in carcere da innocente. A causa di un processo partito da una falsa accusa, costellato di errori, menzogne e strappi alla prassi giudiziaria, fu condannato nel dicembre 2018 in primo grado e nell’agosto del 2019 in secondo grado, prima di essere assolto definitivamente dall’Alta Corte nell’aprile 2020. Nei giorni passati in carcere, molti dei quali in isolamento, Pell ricevette una lettera da Benedetto XVI: «Lei ha aiutato la Chiesa cattolica in Australia a uscire da un liberalismo distruttivo, guidandola ancora verso la profondità e la bellezza della
fede cattolica… Temo che adesso dovrà pagare anche per la sua incrollabile cattolicità, ma in questo modo sarà molto vicino al Signore». Il 10 gennaio del 2023 Pell è morto a Roma durante un’operazione chirurgica. Negate le esequie di Stato, le autorità australiane non si presentarono ai funerali. E mentre duecento attivisti manifestavano al grido “Pell go to Hell”, duemila cattolici si riversavano nella cattedrale di St Mary di Sydney per salutare l’uomo che accettò «una moderna crocefissione» (parole dell’ex premier australiano Tony Abbott). «Un santo per i nostri tempi».





giovedì 28 marzo 2024

Giovedì Santo (in Coena Domini)


Coena Domini





Di Alberto Strumia, 28 Marzo 2024


Giovedì Santo (in Coena Domini)

(Es 12,1-8.11-14; Sal 115; 1Cor 11,23-26; Gv 13,1-15)



di Alberto Strumia

Nella Messa in Coena Domini del Giovedì Santo, come ogni anno, le letture della liturgia di questa celebrazione, ci rimettono istruttivamente di fronte alle verità di fede sull’Eucaristia. È il giorno dell’istituzione, da parte del Signore, dei due Sacramenti dell’Eucaristia e del Sacerdozio ministeriale, necessari per garantire la continuità della vita della Chiesa sulla terra, attraverso la continuità della Presenza Reale di Cristo.

1. Nella prima lettura, il Libro dell’Esodo descrive la modalità della celebrazione della Pasqua ebraica, nella quale veniva immolato e consumato come cibo l’agnello, in ogni famiglia. Nell’Agnello pasquale la Chiesa ha riconosciuto una figura profetica di Cristo e della Sua Crocifissione, per la Salvezza degli uomini.

Questa prima lettura, compresa alla luce della Fede cristiana, ci mette davanti la “realtà dei fatti”, anche come oggi la stiamo vivendo.

– Un mondo che si mette contro Dio e contro Cristo come unico Salvatore, a somiglianza dell’antico Egitto, si condanna con le sue mani ad essere soffocato fino a morire dalle “piaghe” (le ben note “piaghe d’Egitto”) che giorno dopo giorno, finiscono per divorarlo. La più estrema delle quali è l’uccisione dei bambini prima o dopo la loro nascita, compiuta in modo diretto o indirettamente con il loro maltrattamento. L’angelo sterminatore, che causa la morte dei primogeniti, non è altro che il venir meno dell’obbedienza alla Legge naturale del rispetto della vita. L’umanità stessa, il popolo si autocondanna all’estinzione per avere eliminato la natalità.

– L’Agnello di quell’antica pasqua significa Cristo che si sacrifica come vittima per ristabilire la giustizia con Dio Creatore, che l’umanità in blocco ha rifiutato di seguire, fino dalle sue origini e continua a rifiutare ostinatamente quando si allontana dalla Fede in Cristo.

2. Nella seconda lettura san Paolo ci parla dell’istituzione del Sacerdozio ministeriale («ho ricevuto quello che a mia volta vi ho trasmesso») e descrive letteralmente l’istituzione dell’Eucaristia durante l’Ultima Cena, riportando quelle parole di Gesù che oggi noi ripetiamo nella Messa per consacrare il pane e il vino, così che Cristo “in persona” lo converta nel Suo Corpo e nel Suo Sangue.

Per ritornare ad accedere alla “giustizia originale”, al “giusto modo” del rapporto tra l’uomo e Dio Creatore, occorre “mangiare” questo Agnello che è Cristo, che è Dio stesso che ha preso in sé la natura umana decaduta, danneggiata, per ripararla. Occorre alimentarsi di Cristo. È l’Eucaristia che il Signore, nell’Ultima Cena, ha istituito per noi. Per questo, prima di riceverla, il sacerdote mostra ai fedeli l’Ostia consacrata, indicandola come l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. E perché ci sia l’Eucaristia lungo i secoli della storia, ha istituito anche il Sacramento dell’Ordine, che consente ai fedeli, mediante il ministro che opera impersonando Cristo (in persona Christi) di essere riconnessi con l’Ultima Cena, con quella originaria consacrazione che converte sostanzialmente il pane e il vino nel Corpo e nel Sangue del Signore.

3. Nel Vangelo, infine, l’Evangelista Giovanni parla della “carità”, che è il modo di amare di Cristo, come “effetto”, che in noi è prodotto dell’Eucaristia che ne è la “causa”. Il gesto della lavanda dei piedi sta a significare questa connessione. Si dice, infatti, che con quel gesto, Gesù “amò” gli Apostoli nel modo più grande che essi potessero ricevere: «li amò sino alla fine». Non solo in senso “temporale” per indicare che la Sua vita terrena era prossima alla fine, ma anche e soprattutto fino all’estremo confine, della loro capacità di contenere l’amore ricevuto.

Questo modo di amare che partecipa del modo di amare di Cristo, viene indicato come il “modello esemplare” di ciò che è la carità cristiana: «Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».

Pietro è inizialmente tentato dal rinnovare l’originario peccato del “rifiuto” di questo modo estremo di amare di Cristo. Perché gli sembra troppo grande e non necessario –addirittura non dignitoso da parte del Figlio di Dio – pensando, come l’uomo di oggi, di non averne bisogno, essendo capace di fare da solo per mantenersi pulito e a posto («Tu non mi laverai i piedi in eterno!»). Ma non appena gli viene prospettata l’immagine dell’Inferno che è la separazione totale dal Signore («Se non ti laverò non avrai parte con me»), si rende conto della realtà delle cose e si ricrede subito: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo». Quelle mani e quel capo che, nel rito della Chiesa, ricevono la consacrazione e l’imposizione nel Sacramento dell’Ordine.

Tutto si ricollega con l’insegnamento di Cristo, attraverso la Tradizione della Chiesa.

Questa liturgia del Giovedì Santo è fatta per ricordarcelo, per fissarlo nella nostra intelligenza e nel nostro affetto, come si dovette fissare nella mente e nel cuore di Pietro e degli Apostoli che vissero dal vivo quei momenti.

Come si fissarono nella mente e nel cuore della Vergine Maria fino dal momento dell’Annunciazione, e si rifecero sentire ogni volta che il Bambino Gesù faceva avvertire la Sua presenza nel corpo di lei.

Chiediamo che anche oggi, nel corpo della Chiesa, si ritorni a “sentire” fisicamente la Presenza del Signore, a rispettarla e ad adorarla nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia. Amen!



Bologna, 28 marzo 2024




Suor Lucia di Fatima: la Russia sarà lo strumento scelto dal Cielo per punire il mondo intero



Il 26 dicembre 1957, suor Lucia rilasciava una chiarificante intervista a padre Augustin Fuentes che avrebbe dovuto essere il postulatore della causa di beatificazione degli altri due veggenti di Fatima: Francesco e Giacinta Marto.

In questo testo, che trovate qui di seguito, fra le altre cose molto importanti ed attuali, si parla della necessità del Santo Rosario nella lotta contemporanea fra la Chiesa e le potenze delle tenebre, così presenti anche nella sua struttura visibile. La veggente di Fatima ci dice che: "La Santissima Vergine ha voluto dare, in questi ultimi tempi in cui viviamo, una nuova efficacia alla recita del Santo Rosario.

Ella ha talmente rinforzato la sua efficacia, che non esiste problema, per quanto difficile, di natura materiale o specialmente spirituale, nella vita privata di ognuno di noi o in quella delle nostre famiglie, delle famiglie di tutto il mondo, delle comunità religiose o addirittura nella vita dei popoli e delle nazioni, che non possa essere risolto dalla preghiera del Santo Rosario. Non c'è problema, vi dico, per quanto difficile, che non possa essere risolto dalla recita del Santo Rosario. Con il Santo Rosario, ci salveremo, ci santificheremo, consoleremo Nostro Signore e otterremo la salvezza di molte anime.”

Questo mezzo è stato scelto più volte dal nostro Superiore Generale per contrastare la crisi terribile che attanaglia oggi la Chiesa.

Uniamoci con fervore alla nuova Crociata del Rosario che terminerà l'8 giugno prossimo, per implorare una protezione speciale del Cuore Immacolato di Maria sulle opere della Tradizione; per il ritorno della Tradizione nella Chiesa; per il trionfo del Cuore Immacolato di Maria e la consacrazione della Russia.


Far tacere i Messaggeri Padre Fuentes (1959 - 1965) Intervista con Suor Lucia

Il 26 dicembre 1957, Padre Agustin Fuentes, che si stava preparando a diventare il postulatore delle cause per la beatificazione di Francesco e Giacinta Marto, si incontrò con Suor Lucia al suo convento di Coimbra, in Portogallo. Qui, egli fu in grado di conversare a lungo con la veggente di Fatima. Al suo ritorno in Messico, egli organizzò una conferenza stampa riguardo al suo incontro, nel quale riferì le parole di Suor Lucia. Padre Alonso, l’archivista ufficiale di Fatima per più di 16 anni, affermò che il racconto di questa conferenza fu pubblicato “con ogni garanzia di autenticità e con la dovuta approvazione episcopale, inclusa quella del Vescovo di Fatima.”

Padre Fuentes affermò che il messaggio proveniva “dalle labbra stesse della veggente principale”.

Fonti: Questo argomento è stato trattato lungamente da Frère Michel de la Sainte Trinité, nel Terzo Volume della sua serie The Whole Truth About Fatima (Tutta la Verità su Fatima). Il testo seguente è la traduzione, comparsa in Inglese sul The Fatima Crusader, dei testi in Spagnolo ed in Inglese pubblicati nel libro di Frère Michel The Third Secret (Il Terzo Segreto) (Vol. III, pagg. 336-338). I sottotitoli sono stati aggiunti per comodità.


1 - Il resoconto di Padre Fuentes


Vorrei parlarvi dell'ultima conversazione che ho avuto con Suor Lucia il 26 dicembre (dello scorso anno). La incontrai nel suo convento. Ella appariva molto triste, molto pallida ed emaciata. Mi ha detto,“Nessuno ha prestato attenzione”.

“Padre, la Santissima Vergine è molto triste perché nessuno ha prestato attenzione al Suo Messaggio, né i buoni né i malvagi. I buoni continuano sulla loro strada ma senza dare alcuna importanza al Suo Messaggio. I cattivi, sui quali non è ancora caduta la punizione divina, continuano anche essi la loro vita peccaminosa, senza curarsi del Messaggio. Ma mi creda, Padre, Dio punirà il mondo e lo farà in modo terribile. La punizione del Cielo è imminente.”


Il Segreto non ancora rivelato


“Padre, quanti giorni mancano all'arrivo del 1960? Sarà un anno molto triste per tutti, nessuno potrà provare alcuna gioia se il mondo non prega e non fa penitenza. Non posso fornire altri dettagli, perché è ancora un segreto. Secondo il volere della Santissima Vergine, solo al Papa e al Vescovo di Fatima è permesso conoscere il segreto, ma hanno preferito non conoscerlo per non esserne influenzati. Questa è la Terza parte del messaggio della Nostra Signora, che rimarrà segreta fino al 1960.”


La Russia, il flagello di Dio

“Dica loro, Padre, che molte volte la Santissima Vergine ha detto, ai miei cugini Francesco e Giacinta e a me, che molte nazioni scompariranno dalla faccia della terra. Ella ha detto che la Russia sarà lo strumento scelto dal Cielo per punire il mondo intero, se prima non otterremo la conversione di quella povera nazione.”


“La battaglia decisiva” tra Maria e Satana: la caduta delle anime consacrate e dei sacerdoti

Suor Lucia mi disse: “Padre, il diavolo è in procinto di ingaggiare una battaglia decisiva contro la Beata Vergine. E il diavolo sa cos'è che più di tutto offende Dio e che gli procurerà in breve tempo il maggior numero di anime. Così il diavolo fa di tutto per avere la meglio sulle anime consacrate a Dio, perché sa che in questo modo, le anime dei fedeli, lasciate senza guida, cadranno più facilmente nelle sue mani.”

“Ciò che offende soprattutto il Cuore Immacolato di Maria e il Cuore di Gesù è la caduta delle anime dei religiosi e dei sacerdoti. Il diavolo sa che per ogni religioso o sacerdote che rinnega la sua santa vocazione, molte anime sono trascinate all'inferno... Per questo il diavolo brama di impossessarsi delle anime consacrate. Cerca in ogni modo di corromperle, per addormentare le anime dei fedeli e condurle alla peggiore impenitenza. Si serve di ogni tipo di trucchi, giungendo a suggerire una dilazione dell'ingresso nella vita religiosa. Da questo derivano la sterilità della vita interiore e, tra i laici, la freddezza (mancanza di entusiasmo) nei riguardi della prospettiva di rinunciare ai piaceri terreni per dedicarsi totalmente a Dio.”


Ciò che ha santificato Giacinta e Francesco

“Dica loro anche, Padre, che i miei cugini Francesco e Giacinta si sacrificarono perché, in tutte le apparizioni, la Santissima Vergine aveva un aspetto molto triste. Ella non ci ha mai sorriso. Questa tristezza, questa angoscia che percepimmo in Lei penetrò nelle nostre anime. Essa era causata dalle offese a Dio e dalle punizioni che minacciano i colpevoli. E così noi bambini non sapevamo casa fare, se non trovare diversi modi di pregare e di fare sacrifici.”
L'altra cosa che ha santificato i miei cugini fu la visione dell'Inferno.


La missione di Suor Lucia


“È per questo, Padre, che la mia missione non è quella di indicare al mondo il castigo materiale che certamente lo attende, se non si converte per tempo alla preghiera e alla penitenza. No! la mia missione è di ricordare a ciascuno di noi il pericolo di perdere le nostre anime immortali, se ci ostineremo nel peccato.”


L'urgenza della conversione


Suor Lucia mi disse inoltre: “Padre, non dovremmo attendere un appello del Santo Padre da Roma, che chiami il mondo a fare penitenza. Né dovremmo attendere un appello del genere dal nostro vescovo nella nostra diocesi, o dalle congregazioni religiose. No! Nostro Signore si è già servito molto spesso di questi mezzi e il mondo non se ne è curato affatto. È per questo che ora è necessario che ciascuno di noi inizi a riformare se stesso spiritualmente. Ognuno di noi ha il dovere di salvare non solo se stesso, ma anche di aiutare tutte le anime che Dio pone sul nostro cammino.

“Il diavolo fa tutto quanto è in suo potere per distrarci e per allontanarci dalla preghiera; ci salveremo insieme o saremo dannati insieme.”


Gli ultimi tempi

“Padre, la Santissima Vergine non mi ha detto esplicitamente che siamo giunti agli ultimi tempi, ma ci sono tre ragioni che mi spingono a crederlo.”


La battaglia finale


“La prima ragione è che Ella mi ha detto che il diavolo è in procinto di ingaggiare una battaglia decisiva contro la Vergine. E questa battaglia decisiva è lo scontro finale, da cui una parte uscirà vittoriosa e l'altra sconfitta. Dobbiamo scegliere sin da ora da che parte stare, se con Dio o con il diavolo. Non c'è altra possibilità.”


Gli ultimi rimedi

“La seconda ragione è che Ella ha detto a me ed ai miei cugini, che il Signore aveva deciso di dare al mondo gli ultimi due rimedi contro il male, che sono il Santo Rosario e la Devozione al Cuore Immacolato di Maria. Questi sono gli ultimi due rimedi possibili, il che significa che non ce ne saranno altri.”


Il peccato contro lo Spirito Santo

“La terza ragione è che, nei piani della Divina Provvidenza, quando Dio è costretto a punire il mondo, prima di farlo cerca di correggerlo con tutti gli altri rimedi possibili. Ora, quando vede che il mondo non presta alcuna attenzione ai Suoi messaggi allora, come diciamo nel nostro linguaggio imperfetto, Egli ci offre ‘con un certo timore’ l'ultima possibilità di salvezza, l'intervento della Sua Santissima Madre. Lo fa ‘con un certo timore’ perché, se anche quest'ultima risorsa non avrà successo, non potremo più sperare in nessun tipo di perdono dal Cielo, perché ci saremo macchiati di quello che il Vangelo definisce un peccato contro lo Spirito Santo. Questo peccato consiste nell'aperto rifiuto, pienamente consapevole e volontario, della possibilità di salvezza che ci viene offerta. Non dimentichiamo che Gesù Cristo è un Figlio molto buono e non ci permetterà di offendere e disprezzare la Sua Santissima Madre. La secolare storia della Chiesa conserva le testimonianze dei terribili castighi inflitti a quanti osarono attaccare l'onore della Sua Santissima Madre, dimostrando quanto il Nostro Signore Gesù Cristo abbia sempre difeso l'Onore di Sua Madre.”


Preghiera, sacrificio e il Santo Rosario

Suor Lucia mi disse: “I due strumenti che ci sono stati dati per salvare il mondo sono la preghiera e il sacrificio.”

Riguardo al Santo Rosario, Suor Lucia disse: “Vede, Padre, la Santissima Vergine ha voluto dare, in questi ultimi tempi in cui viviamo, una nuova efficacia alla recita del Santo Rosario. Ella ha talmente rinforzato la sua efficacia, che non esiste problema, per quanto difficile, di natura materiale o specialmente spirituale, nella vita privata di ognuno di noi o in quella delle nostre famiglie, delle famiglie di tutto il mondo, delle comunità religiose o addirittura nella vita dei popoli e delle nazioni, che non possa essere risolto dalla preghiera del Santo Rosario. Non c'è problema, vi dico, per quanto difficile, che non possa essere risolto dalla recita del Santo Rosario. Con il Santo Rosario, ci salveremo, ci santificheremo, consoleremo Nostro Signore e otterremo la salvezza di molte anime.”


La devozione al Cuore Immacolato di Maria


“Infine, la devozione al Cuore Immacolato di Maria, Nostra Madre Santissima, consiste nel considerarLa quale sede della clemenza, della bontà e del perdono e come la via sicura attraverso la quale entreremo in Paradiso.”


2 - La reazione Ecclesiastica a quest’intervista


L’intervista a Suor Lucia, pubblicata da Padre Fuentes, determinò più di un anno dopo, una forte reazione da parte della curia episcopale di Coimbra, diocesi in cui era situato il convento di Lucia. Essa pubblicò un comunicato anonimo che accusava Padre Fuentes di aver inventato quelle dichiarazioni di Suor Lucia, affermando che Suor Lucia aveva accusato quella testimonianza pubblicata di essere falsa. La curia dichiarò che Padre Fuentes aveva inventato completamente le affermazioni riportate in quest’articolo. Fino ad oggi, nessuno si è preso la responsabilità di aver scritto tale comunicato. In quanto anonimo, un documento di quel genere, per la legge, non ha alcun valore, ed è nullo.

In Messico, l’Arcivescovo Manuel Pio Lopez ed il Cardinale Josè Garibi Y Rivera difesero Padre Fuentes, ma inutilmente. Venne infatti rimosso dall’incarico di postulatore per la beatificazione di Giacinta e Francesco, e successivamente rimpiazzato da Padre Luis Kondor.


Commento


Cosa determinò una tale reazione? Qualcuno ha mentito riguardo all’intervista tra Padre Fuentes e Suor Lucia. Sia Padre Kondor che Padre Alonso ritennero che Padre Fuentes non aveva falsificato i resoconti della sua intervista a Suor Lucia. Dopo essere stato nominato archivista ufficiale di Fatima, nel 1966, sulle prime Padre Alonso aveva adottato l’opinione che Padre Fuentes avesse inventato le affermazioni da lui attribuite a Suor Lucia. Tuttavia, dopo dieci anni di studi e ricerche negli archivi di Fatima e di incontri con Suor Lucia, Padre Alonso cambiò opinione ed anzi cercò di riabilitare Padre Fuentes. Egli affermò che i testi della conferenza di Fuentes “non dicevano niente che fosse stato detto già da Suor Lucia nei suoi numerosi scritti, già pubblicati”. Egli dichiarò inoltre che “il testo genuino… non contiene, secondo la mia opinione, niente che possa aver portato al comunicato diffamatorio rilasciato da Coimbra.” Pertanto, possiamo concludere con certezza che la risposta della Curia all’intervista pubblicata da Padre Fuentes è un’indicazione che il messaggio di Suor Lucia è un qualcosa che si vuole far tacere.


__________________________

Note: Frère Michel de la Sainte Trinité, The Whole Truth About Fatima (Tutta la Verità su Fatima), Volume III: The Third Secret (Il Terzo Segreto) (Immaculate Heart Publications, Buffalo, New York, 1990) pp. 504-508. Anche Padre Alonso riteneva, all’inizio, che Padre Fuentes avesse contraffatto l’intervista. Ma nel 1975, dopo aver studiato i documenti di Fatima per diverso tempo, concluse che molto probabilmente si trattavano di parole pronunciate da Suor Lucia. Per ulteriori informazioni, vedi The Whole Truth About Fatima, Vol. III, pp. 552-554.


mercoledì 27 marzo 2024

Passione e morte di Gesù nel Catechismo del vescovo Schneider





27 MAR 2024


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by Aldo Maria Valli




di Michael J. Matt

Con il nuovo catechismo del vescovo Athanasius Schneider, Credo. Compendium of the Catholic Faith, Credo. Compendio della fede cattolica [Duc in altum lo ha annunciato qui], è la prima volta in oltre cinquant’anni che un prelato cattolico pubblica una sua presentazione completa della fede, accessibile ai lettori di qualsiasi provenienza e attenta alle esigenze del nostro tempo.

Data la spaventosa ignoranza che purtroppo affligge il mondo cattolico a soli sessant’anni dal Concilio Vaticano II, questo catechismo è certamente tra i libri più importanti pubblicati nell’era post-conciliare.

Grazie a Dio, ho avuto l’opportunità di partecipare al lancio ufficiale del libro, che ha avuto luogo durante il Sinodo sulla sinodalità a Roma. In quell’occasione, ebbi il piacere di intervistare il vescovo Schneider, rimanendo così colpito che ho promesso di fare tutto il possibile per promuovere il catechismo. Ho ricevuto poi dal vescovo Schneider il permesso di rendere disponibili sulle pagine di The Remnant interi estratti della sua opera. Come parte del nostro più ampio sforzo per ridurre il livello di ignoranza che affligge la Chiesa, intendo pubblicare questi estratti nel corso del 2024. Incoraggio inoltre i lettori ad acquistare il libro direttamente da Sophia Press.

In questo momento cruciale della storia umana, nulla è più importante della proclamazione della regalità sociale di Gesù Cristo a un mondo sull’orlo del collasso morale e spirituale. Nostro Signore stesso ha posto la domanda: “Quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà la fede?”. Ebbene, la troverà? Dipende dal fatto che i cattolici conoscano o meno la loro fede abbastanza bene da mantenerla (e lottare per essa) fino alla fine. Dobbiamo sviluppare una migliore comprensione di ciò che insegna la nostra Chiesa, di ciò che ci è stato tolto, di ciò che crediamo e di come difendere la nostra Fede in un mondo che le ha dichiarato guerra. Poiché questo catechismo è scritto per la gente comune – i “piccoli”, come ci chiama affettuosamente il vescovo Schneider – può essere consegnato a chiunque, di qualsiasi età. Mi ricorda molto i vecchi catechismi che le suore ci facevano imparare a memoria nelle scuole cattoliche di una volta, anche se aggiornato per affrontare le molte nuove sfide che tutti noi dobbiamo affrontare nell’era post-cristiana dello scientismo e della tecnologia.

Il vescovo Schneider, che ha intrapreso quest’opera monumentale per noi e per i nostri figli, nella prefazione scrive:

Un vescovo cattolico è tenuto a rispettare il suo giuramento pubblico: “Mantenere il deposito della fede, intero e incorrotto, così come è stato trasmesso dagli apostoli e professato dalla Chiesa ovunque e in ogni tempo”. Pertanto, mi vedo costretto a rispondere alle richieste di molti figli e figlie della Chiesa perplessi per la diffusa confusione dottrinale che alligna nella Chiesa dei nostri giorni. Offro quest’opera, Credo. Compendio della fede cattolica, per rafforzarli nella fede e come guida all’insegnamento immutabile della Chiesa. Consapevole del dovere episcopale di essere un “cultore della fede cattolica e apostolica” (catholicae et apostolicae fidei cultoribus) come affermato nel Canone della Messa, desidero anche dare pubblica testimonianza della continuità e integrità della dottrina cattolica e apostolica. Nel preparare questo testo, ho pensato principalmente ai “piccoli” di Dio, i fedeli cattolici che hanno fame del pane della retta dottrina. Pubblico quindi questo Compendio in obbedienza al dovere imposto dalla mia consacrazione episcopale: “Predica la parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, rimprovera, esorta con ogni pazienza e dottrina” (cfr. 2Tm 4,2).

Che Dio benedica e custodisca il vescovo Schneider, nostro pastore, nostro padre, nostro amico in Gesù Cristo nostro Re.

*

Credo

Capitolo 11

La Passione di Cristo

Dove iniziò Gesù la sua dolorosa Passione?


Nell’Orto degli Ulivi o Getsemani, dove pregò e, contemplando i peccati di tutti gli uomini e di tutti i tempi, soffrì una terribile agonia interiore che sfociò persino in un sudore di sangue (cfr. Lc 22,44).

Cosa fece Gesù dopo la preghiera nel giardino?

Tornò dai suoi discepoli e annunciò il suo traditore in arrivo. Quando Giuda apparve con le guardie armate per arrestare Gesù, i discepoli fuggirono tutti, come era stato predetto.

Dove fu portato Nostro Signore, nel cuore di quella notte?


Fu portato prima da Anna e poi al tribunale del sommo sacerdote Caifa.

Come fu trattato Gesù al tribunale di Caifa?


Falsi testimoni lo accusarono di blasfemia e Caifa lo condannò a morte. Poi inviò Gesù al governatore romano Ponzio Pilato, che si riservava il diritto di giustiziare i criminali.

Come accolse Pilato Gesù?


Lo dichiarò innocente per tre volte, ma era così debole di carattere che non osò salvare Gesù dai Giudei, che chiedevano a gran voce la sua morte.

Che cosa fece allora Pilato?


Dopo averlo mandato da Erode, tetrarca di Galilea, che si limitò a interrogare e a deridere Nostro Signore, Pilato fece flagellare brutalmente Gesù con le fruste e lo consegnò ai Giudei perché fosse crocifisso.

Dove avvenne la crocifissione di Cristo?

Sul Monte Calvario, una collina brulla fuori dalle mura di Gerusalemme, nel luogo di esecuzione dei condannati chiamato Golgota (luogo del teschio).

Perché era opportuno che Cristo fosse offerto in sacrificio fuori da Gerusalemme?

Per dimostrare che con questo sacrificio

1) Egli divenne il Redentore sia dei Giudei che dei Gentili.

2) Il culto del tempio ebraico fu compiuto e superato.

3) Il vero altare e il vero sacrificio si sarebbero trovati d’ora in poi nella Chiesa cattolica, diffusa in tutto il mondo.

Come avvenne la crocifissione?

Dopo essere stato spogliato delle sue vesti, Nostro Signore si stese volontariamente su una grande croce di legno, alla quale furono inchiodate le mani e i piedi. Dopo aver innalzato la Croce, fu lasciato appeso al tormento fino alla morte.

Quale vergogna subì oltre a questo supplizio?

1. Quella di essere posto tra due ladri, come se fosse un criminale comune;
2. Gli scherni e gli insulti della folla, che Egli era venuto a salvare;
3. La vigliaccheria dei discepoli che lo abbandonarono.

Chi era presente al Calvario?

Alcuni che gli erano rimasti fedeli e lo consolavano con la loro presenza: soprattutto la sua santa Madre, san Giovanni, il discepolo prediletto, Maria moglie di Cleofa, Maria Maddalena e Salomè, la madre di Giovanni, che erano tutti pieni di dolore.

Che cosa diceva il cartello appeso alla croce di Gesù?

“Gesù di Nazareth, Re dei Giudei”. Scritto in latino, ebraico e greco, era una confessione universale che quello era il Cristo. Ciascuna di queste tre lingue è stata poi inclusa nel rito romano della Messa, estensione nel tempo dell’unico sacrificio della Croce.

La Croce di Gesù aveva un’altra funzione oltre a quella di altare per il sacrificio?

Sì. Fu anche il pulpito da cui Egli continuò i suoi insegnamenti divini, come possiamo vedere nelle “Sette ultime parole” pronunciate da Lui sulla Croce:

1) Egli si dichiarò l’unico Mediatore per l’umanità, pregando per i suoi carnefici: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”.

2) Si dichiarò Giudice supremo delle anime, promettendo il paradiso al ladrone penitente: “Amen ti dico, oggi sarai con me in paradiso”.

3) Diede sua Madre a tutti i fedeli come suo ultimo lascito: “Donna, ecco tuo figlio” e a San Giovanni: “Ecco tua Madre”.

4) Si dichiarò il Salvatore profetizzato, con le parole del Salmo messianico: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.

5) Fece conoscere l’ardore spirituale per le anime che lo consumava.

6) Annunciò il completamento della sua opera di redenzione.

7) Dimostrò una perfetta fiducia e obbedienza filiale a Dio: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito”.

Quali furono i pulpiti più importanti per l’insegnamento divino di Nostro Signore?


Il pulpito del suo primo messaggio fu il fianco della montagna; il suo pubblico, i Galilei illetterati; la sua verità, le Beatitudini. Il pulpito del Suo ultimo messaggio fu la Croce; l’uditorio: santi e peccatori; il sermone: le Sette Ultime Parole”.

Morte e sepoltura di Cristo

Quali cose straordinarie accaddero alla morte del Salvatore?


Le tenebre scesero sulla faccia della terra, il sole nascose la sua luce, il grande velo del tempio si squarciò da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spaccarono, le tombe si aprirono e molti dei morti si alzarono e vagarono per la città, testimoniando la divinità di Cristo.

Quale ferita fu inferta al corpo di Gesù mentre era appeso alla Croce?


Uno dei soldati trafisse il costato con una lancia e ne uscirono sangue e acqua.

Chi seppellì il corpo di Nostro Signore?


Giuseppe d’Arimatea, un brav’uomo ricco e influente, si recò coraggiosamente da Pilato per chiedere la sepoltura del corpo di Gesù.

Quali furono le modalità di sepoltura di Cristo?


Il suo corpo fu unto con spezie e unguenti e avvolto in lenzuola. Poi fu deposto in un nuovo sepolcro non lontano dal Calvario, dove fu sigillato con una grande pietra e sorvegliato dai soldati.

Perché Nostro Signore permise che il suo corpo fosse sepolto?


Per affermare la realtà della sua morte, rendere più gloriosa la sua risurrezione, adempiere a numerose profezie e fungere da simbolo mistico: come il corpo di Adamo era stato tratto dalla terra vergine con la potenza divina, così Cristo sarebbe risorto da una tomba vergine con la sua stessa potenza divina, mostrandosi capace di risuscitare tutti gli uomini dalle loro tombe alla fine dei tempi.

theremnantnewspaper





martedì 26 marzo 2024

Cinque modi per essere ben preparati quando inizia il Triduo pasquale







NEWS 26 Marzo 2024 

di Redazione Il Timone


5 suggerimenti per la Settimana Santa di Madre Angelica


Madre Angelica, fondatrice dell’Eternal Word Television Network (Ewtn), del Register e della società madre della Cna, in un programma trasmesso nel marzo 1994 prima di Pasqua, offrì cinque modi per essere ben preparati quando inizia il Triduo pasquale. Nonostante siano passati circa trent’anni, le sue raccomandazioni per la Settimana Santa sono valide ancora oggi:

1. Pentiti e cambia la tua vita. Menzionando le apparizioni mariane madre Angelica ha detto che hanno tutte in comune la chiamata al «pentimento, alla metanoia, un cambiamento di vita». Quando si segue il messaggio della Beata Vergine, si diventa «un cattolico migliore, un cristiano migliore; un individuo migliore, più amorevole, più gentile, più indulgente. Ti deve far apprezzare di più Gesù e apprezzare di più nostra Madre, la tua famiglia».

Ha poi fatto riferimento alla Bibbia e ha detto: «Questo libro deve essere vissuto, non solo letto». Parlando della misericordia di Dio e del passaggio sulla donna sorpresa in adulterio, la fondatrice di EWTN ha sottolineato che Gesù le disse: «Vai, e non peccare più». «C’è una condizione perché lei sia perdonata», ha spiegato madre Angelica.

2. Ricorda che l’inferno esiste. «Tu dici: “Beh, ci sono molti teologi che dicono che non c’è inferno”. Quando sarai laggiù con questo teologo, lo guarderai e dirai: “Mi hai messo qui dentro”. Questo ti servirà a qualcosa? Non prestare attenzione a quel marciume. È meglio essere in Paradiso e guardare in basso e dire: “Te l’avevo detto che c’era, ma non mi hai ascoltato”», ha aggiunto.

Madre Angelica ha poi affermato che la Vergine Maria non vuole che i suoi figli vadano all’inferno, ma piuttosto che si salvino da esso. «Nostra Madre sta cercando di dirci: Non potete sfidare Dio per sempre; non potete uccidere i bambini per sempre [attraverso l’aborto, ndr]; non potete insegnare grandi apostasie e bugie per sempre; non potete rovinare i vostri figli per sempre. Dio vi vede andare verso quel precipizio, che è eterno, e ci prenderà».

3. Perdonare il proprio nemico. Madre Angelica ha spiegato che le grandi ferite delle persone hanno origine «quando non riusciamo a perdonare». «La Settimana Santa è la settimana in cui dobbiamo perdonare. Nessuno di noi ha vissuto quello che ha vissuto Gesù, eppure ha perdonato. Riuscite a immaginarlo? Il Venerdì Santo si va in chiesa e si immagina il nostro caro Signore appeso così a lungo».

Ha poi proseguito: «Vorrei che prima del Venerdì Santo chiamaste il vostro nemico preferito», cioè qualcuno che vi è più antipatico. «Chiamatelo e ditegli: “Ti perdono”. E se la risposta è “Non disturbarmi”, cosa che potrebbe dire, non dovete preoccuparvi perché lo avete già perdonato».

4. Pregare il Rosario ogni giorno. Madre Angelica ha inoltre sottolineato la necessità di pregare il Rosario ogni giorno, poiché «non c’è nulla di più potente della preghiera». Rispondendo a una donna che ha chiamato il programma chiedendo preghiere e consigli per affrontare un problema familiare, madre Angelica ha ricordato che «il nostro caro Signore ha detto: “Non lasciare che il sole tramonti sulla tua rabbia”… Quello che devi sapere e che voglio dirti è questo: Tu e tua sorella pregate il Rosario ogni giorno e state in pace».

«Per tutta la vita ho pensato che quando una persona muore, c’è quello spazio di meno di un secondo tra il giudizio e il momento in cui non ci sono più possibilità, quando tutto è stabilito per sempre. Credo che quel momento sia quello in cui, attraverso le preghiere, una persona può vedere Gesù per un istante. Credo che quella visione possa farle dire: “O Dio, perdonami!”. È tutto ciò di cui hanno bisogno per essere salvati».

«Quindi non scoraggiatevi cercando risultati. Pregate con fiducia. Posso dirvi che se confidate nel Signore, lui non fallisce mai, ma proprio mai. Lui è così», ha spiegato. «Dio risponderà alle vostre preghiere come ha risposto a quelle di santa Monica per sant’Agostino», ha aggiunto.

5. Imparare ad ascoltare i problemi degli altri. A un certo punto del programma, madre Angelica ha ascoltato un uomo che soffre di depressione che le ha riferito di non aver voglia di fare nulla. «Molte persone soffrono di depressione. A volte è fisica, lo so, ma a volte succede che pensiamo troppo a noi stessi, al futuro», ha detto.

«A volte chi soffre di depressione non prega, dice di non poterlo fare, ma bisogna costringersi a farlo dicendo: “Gesù, ti amo, aiutami. Non voglio sentirmi così”. E poi fare qualcosa: andare in una casa di riposo. Che tristezza! No, non lo è».

Madre Angelica ha spiegato i benefici di fare qualcosa di concreto, non solo per chi soffre di depressione: «Avete bisogno di sentire l’amore e la gratitudine di altre persone; e in questo modo usciamo da noi stessi, dalla nostra testa. Ricordate che qualcuno ha bisogno di voi da qualche parte. Qualcuno ha bisogno della vostra preghiera, del vostro sorriso, della vostra attenzione», ha detto.

«Ci sono persone in case di riposo che hanno nove o dieci figli e nessuno di loro va a trovarli. Perché non ci andate? Perché non vi guardate intorno e non vedete il vostro vicino? Perché non lo cercate e non ascoltate i suoi problemi per un po’? Improvvisamente, si finisce per dire: “E io che pensavo di avere un problema”».

«Devi fare qualcosa: devi pregare; devi avere fiducia, e poi fare qualcosa per uscire da te stesso, e uscire così dalla depressione. E chiedere agli altri di pregare per te», ha raccomandato madre Angelica.



(Fonte foto: EWTN, YouTube, Screenshot)