Autentica per
natura
di Inos Biffi
Si sente molte volte parlare
di Chiesa che deve essere “credibile”, e non raramente si invita a pregare
perché lo sia, specialmente nell'orazione dei fedeli, ch'è stata assunta da non
pochi come l'occasione propizia per manifestare i propri pensieri e le proprie
parole in libertà. Ma, esattamente, che cosa si intende dire quando si chiede a
Dio che la Chiesa sia credibile?
Se per credibilità della
Chiesa si intende la sua autenticità e verità, allora si deve osservare che la
Chiesa è autentica e vera per la sua stessa natura e istituzione, ed è Cristo
stesso a garantire e conferire tali imperdibili prerogative. Diversamente, non
sarebbe più la Chiesa di Cristo; non rappresenterebbe più il suo Corpo e la sua
Sposa, cesserebbe di essere intimamente animata e guidata dallo Spirito Santo.
In breve: non esisterebbe più oggettivamente come Chiesa.
Ma, se il compito della
Chiesa non è propriamente quello di rendersi valida e attendibile, forse sarebbe
più illuminato domandare a Dio che quanti vi appartengono si distinguano per il
fervore della fede, visto che la Chiesa è per definizione una comunità di
fedeli.
E infatti si diventa Chiesa
in virtù dell'adesione al Vangelo, dell'accoglienza della Parola di Dio e quindi
della sequela di Gesù Cristo.
Ricorre anche un altro
diffuso modo di esprimersi, quando si dice della Chiesa che dev'essere
“persuasiva”. Anche al riguardo viene da chiedersi: che cosa significa
“persuasiva”? Sembra ovvio che l'autentica Chiesa di Cristo possegga le ragioni
puntuali e idonee a mostrare la propria verità e validità; tuttavia sembrerebbe
più pertinente parlare dei suoi membri che devono essere “persuasi” e
manifestare tale persuasione ancora una volta con la loro fede.
Questo linguaggio ne
richiama un altro allo stesso modo ripetuto, quello relativo alla profezia, che
deve distinguere la Chiesa e quindi i cristiani, fedeli e pastori, che devono
essere dei profeti. Probabilmente ci si dimentica che il profeta è Gesù Cristo
nel quale risiede in pienezza la Verità, e che si è profeti nella misura in cui
si crede in Lui e si compiono opere dettate dalla fede. I cosiddetti profeti che
vengono auspicati ed esaltati sono di solito segnati da spirito critico, da
risentimento e da sapore antiecclesiale.
Possiamo aggiungere un altro
rilievo. Ai linguaggi a cui abbiamo accennato sembra soggiacere la convinzione
che, se il mondo non crede, sarebbe appunto perché la Chiesa non è abbastanza
credibile e persuasiva, o non abbastanza profetica. In realtà, verrebbe da
notare che Gesù stesso, in sé sommamente credibile, persuasivo e profetico, non
ha suscitato l'adesione di tutti; ma soprattutto osserveremmo che a importare
primariamente non è se si riesca a persuadere, ma se si è persuasi; come non è
se si pervenga a ispirare la fede, ma se si possegga veramente la fede. Senza
dubbio i discepoli del Signore devono offrire i segni della loro sequela, dei
quali quello proprio -- secondo Gesù -- è l'amore vicendevole (cfr. Giovanni,
13, 35); allo stesso modo, essi non possono non desiderare che «il mondo creda»,
ma sono certi che la Chiesa, di cui fanno parte, ha in sé la grazia della
testimonianza convincente, che essi condividono esattamente nella misura in cui
sono credenti.
D'altra parte, e più
radicalmente, non va dimenticato che non è la nostra santità a rendere santa la
Chiesa ma è la santità della Chiesa che rende santi noi; non è la nostra fede a
rendere la Chiesa credente, ma è la fede della Chiesa che ci fa
credenti.
Noi siamo nativamente privi
di grazia: la riceviamo, entrando a far parte della Chiesa, che della stessa
grazia è il sacramento, essendo il “luogo” dello Spirito Santo. In altri
termini: sono le prerogative della Chiesa a riflettersi nei singoli che in essa
si trovano.
Oggi si va continuamente
citando il passo della Prima Lettera di Pietro: «pronti sempre a rispondere a
chiunque domandi ragione della speranza che è in voi» (3, 15), che secondo il
contesto non significa che i cristiani devono sapere apologeticamente spiegare i
motivi della loro fede, ma che nella loro condotta sono chiamati a offrire ai
pagani la testimonianza della loro speranza.
L'apologetica illuminata fa
parte della fede cristiana, che non è un'adesione cieca e immotivata, anche se
in questi anni se ne è fatto un attacco spesso sconsiderato. E certamente tutti
i veri credenti hanno dentro sé ragioni “evidenti” della loro fede. Non è detto
però che tutti siano in grado di esprimerle adeguatamente o, come si dice,
scientificamente, anche se la ricerca critica appartiene all'educazione della
fede. Non senza, tuttavia, avvertire che ci può essere una profonda maturazione
della stessa fede sul piano dell'esperienza, senza che essa comporti
necessariamente uno sviluppo della capacità riflessiva e argomentativa. Tommaso
d'Aquino parlerebbe appunto di esperienza della realtà divina (divina pati), da
cui viene la conoscenza teologica «per inclinazione» (Summa Theologiae, i, 1, 6,
3m): una conoscenza, cioè, «connaturale», di cui fruiscono tutti coloro che sono
in grazia e di conseguenza tutti coloro che sono vitalmente nella
Chiesa.
C'è nel cristiano una
tranquillità profonda, sicuro com'è che la Chiesa cui appartiene è
indefettibilmente credibile e persuasiva, poiché non cesserà mai di essere il
Corpo di Cristo e la sua Sposa fedele.
(©L'Osservatore Romano 23 gennaio
2013)
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