giovedì 24 gennaio 2013

Benedetto XVI e l’“eterno ritorno del diritto naturale”





di Giuseppe Brienza

Nel discorso pronunziato al Bundestag di Berlino il 22 settembre 2011 Benedetto XVI ha affrontato magistralmente la questione del “fondamento naturale” del diritto nell’ordinamento degli Stati. Ha quindi messo a confronto la ragione aperta al linguaggio dell’essere, che è all’origine del realismo giuridico, con la ragione positivista, causa nello scorso e nell’attuale secolo di quella negazione dell’umano che abbiamo sotto gli occhi tutti. Il Papa ha quindi invitato gli studiosi ad una riflessione, anche pubblica, sull’argomento.

Ad un anno esatto dal discorso del Papa, il 21 settembre 2012, il Sottosegretario del Pontificio Consiglio per i Laici Miguel Delgado Galindo ha pubblicato un interessante articolo sull’Osservatore Romano intitolato L’eterno ritorno del diritto naturale che, fra l’altro, ha il merito di riproporre e valorizzare i preziosi principi sociali espressi dal Santo Padre nel suo discorso, non a caso pronunciato proprio nella sede del parlamento federale tedesco. Per questo mons. Delgado Galindo esordisce individuando il “centro” del messaggio ratzingeriano nella riaffermazione del concetto per cui «[…] il diritto naturale coadiuva il politico nella sua ricerca di ciò che è giusto, che è appunto il compito essenziale della politica. È per questo che il diritto naturale ritorna, e ritornerà sempre. Dopo la sua fine che alcuni avevano preconizzato, non ci resta null’altro che ritornare proprio al diritto naturale».

Il riferimento finale di questo passaggio è alla fondamentale opera del giurista tedesco Heinrich Albert Rommen (1897-1967), L’eterno ritorno del diritto naturale che, nel secondo dopoguerra, contribuì alla temporanea riscoperta del “giusnaturalismo classico” nella riflessione dottrinale e giurisprudenziale europea. Il richiamo ai “principi generali di giustizia” operati nelle “sentenze di Norimberga”, evidentemente connesso al riconoscimento di un diritto assoluto inderogabile, non mancò infatti, almeno nell’immediato, di sortire una influenza sugli studiosi innanzitutto in Germania, ma anche ad esempio su quei giuristi italiani in qualche modo tributari della migliore tradizione giuridica tedesca.

Il movimento del “diritto libero

Nella Germania del secondo dopoguerra il richiamo giusnaturalista si rifletté soprattutto nel movimento del c.d. “diritto libero” che, legittimando l’insieme dei criteri esterni al diritto positivo (ma già sufficientemente “giuridicizzati”) cui l’interprete fa ricorso per colmare le lacune, si avvicinava alle conclusioni della teoria classica del diritto naturale. Complementarmente a quest’ultima, infatti, il “giusliberismo” tedesco riaffermava, a seguito dei crimini nazionalsocialisti e di quelli commessi durante e dopo la seconda guerra mondiale, l’insopprimibile moralità dell’uomo e la connessa libertà coscienziale del giurista nel discernere quelle norme dell’ordinamento positivo che, pur formalmente poste in modo corretto, gli apparivano sostanzialmente ingiuste.

Il movimento del “diritto libero”, però, non riuscì a lasciare tracce molto durature nella scienza giuridica tedesca che, nella seconda metà del XX secolo, ritornò infatti ad obbedire ai paradigmi positivistici e formalistici. Autorevoli eccezioni fra gli studiosi operanti in Germania in questo periodo, oltre che da Rommen, sono rappresentate ad esempio da Erich Kaufmann (1880-1972) ed Hans Fritz Welzel (1904-1977), per la loro comune elaborazione di un principio materiale, ovvero contenutistico, di validità del diritto, volto a limitare il potere altrimenti illimitato del legislatore positivo.

Rommen e L’eterno ritorno del diritto naturale”

In particolare è però giusto ed utile oggi “ritornare” a Rommen, anche a motivo della sua testimonianza di vita personale, che denota coerenza e coraggio. Il giurista di Colonia, infatti, dopo aver subito persecuzioni dal regime hitleriano a causa delle sue pubblicazioni e del suo coinvolgimento in gruppi cattolici tedeschi, nel 1938 fu costretto a lasciare la Germania rifugiandosi negli Stati Uniti. Anche qui, però, è solo nel dopoguerra che riottiene un insegnamento universitario, peraltro in scienze politiche e filosofia, e solo per merito di istituti cattolici.

Per questo a seguito della fine del secondo conflitto mondiale Rommen tornò ad intervalli regolari nel suo Paese, per svolgere attività scientifiche e pubblicare altre preziose opere che riattualizzavano la teoria tradizionale del diritto naturale. In particolare, in Teoria dello Stato e della comunità internazionale in Francisco Suárez, che rieditò a Monaco nel 1947, approfondì la lezione del teologo e filosofo spagnolo, rinnovatore del tomismo del XVI secolo, a suo avviso non fino allora sufficientemente studiata con riferimento alla sua influenza nello sviluppo della dottrina contemporanea dei diritti umani.

Nella fondamentale opera L’eterno ritorno del diritto naturale, originariamente pubblicata a Leipzig nel 1938, Rommen insegna ad un’epoca di totalitarismi e di “credenza” nella filosofia della prassi, che la sfera centrale del diritto risiede nell’ambito dell’essere. Quindi, tra il livello ontologico e quello giuridico-pratico deve necessariamente esistere un nesso che, ad esempio, vuol dire, come spiega Delgado Galindo, che «[…] ogni uomo possiede il diritto alla vita per la sua stessa dignità di persona; e che da questo principio segue necessariamente che la vita umana è indisponibile, va difesa in ogni suo stadio e qualsiasi attentato contro di essa va punito dall’ordinamento giuridico statale».

La nozione di diritto naturale cui Rommen fa riferimento è quella cristiana, definita con particolare rigore dalla filosofia scolastica, che pone alla radice di essa la lex naturalis, espressione della lex aeterna, cioè dell’ordinamento divino del creato, in relazione agli esseri dotati di ragione e libertà. Egli sottolinea quindi le profonde differenze tra tale nozione e quella di derivazione illuministica.

Nell’altro saggio, Lo Stato nel pensiero cattolico, che Rommen pubblicò in Germania prima della seconda guerra mondiale e che gli causò l’arresto e l’internamento da parte delle autorità nazionalsocialiste, egli affermava contro le ambizioni totalitarie dei positivismi e delle correlate “dottrine di potenza”, che la volontà dello Stato non s’identifica né con la sorgente né con la misura del diritto, poiché ogni autorità politica «[…] deriva la sua legittimità da un ordine metafisico, che gli assegna per compito essenziale la tutela dell’uomo nel suo armonico sviluppo e nel suo fine trascendente: essa deve anzi riconoscere, in questa funzione, la priorità della famiglia e della comunità nazionale».

Come ha affermato Benedetto XVI nel suo discorso al Bundestag, i teologi cristiani si sono sempre appellati alla natura e alla ragione come fonti originarie del diritto, rifiutando il concetto di “diritto confessionale” o “religioso”. L’uomo, dotato di libera volontà, partecipa alla legge naturale tramite la sua ragione e, dunque, l’intera creazione non è altro che una partecipazione alla legge eterna. La storia del XX secolo ha palesato chiaramente cosa accade quando la politica e il diritto si allontanano dalla legge di natura: «[…] il regime nazista e quello comunista ne sono esempi eclatanti. Un anno fa, il Papa fece presente ai parlamentari tedeschi che, nelle materie che riguardano la dignità dell’uomo, in uno Stato democratico di diritto, il principio della maggioranza — pur essendo necessario nell’adottare una decisione — non è sufficiente: il politico deve interrogarsi sulla giustizia di un dato provvedimento».

Tale principio di giustizia è invece contraddetto oggi da un’ideologia più sottile e camuffata rispetto a quella dei totalitarismi del Novecento, non meno però portatrice di danni irreparabili alla persona ed alla convivenza umana. Una post-ideologia che, ad esempio, in nome di pseudo diritti civili, vorrebbe imporre una legislazione, in materie come la bioetica e la famiglia che, all’insegna dell’egoismo e della neutralità morale, sanzionino l’adattamento della legge alle pretese ed ai capricci dell’individuo sradicato delle grandi metropoli occidentali.

Questo modo di agire e di pensare è però oltretutto all’origine dell’attuale crisi che, prima che economico e finanziaria, è morale, sociale e demografica. Come ha detto il Papa a Berlino, infatti, quando l’economia viene scissa dall’etica sociale, sono i più potenti della finanza mondiale a prendere in mano il governo e, questa strada, avverte mons. Delgado Galindo nell’articolo citato, «[…] conduce al despotismo dei più forti nella società in ogni tappa della storia».


http://www.vanthuanobservatory.org/ 22-01-2013



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