Con il Motu proprio Ministrorum institutio il Pontefice Benedetto XVI ha trasferito la competenza dei seminari dalla Congregazione per l'Educazione Cattolica alla Congregazione per il Clero.
Secondo il cardinale Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il clero non si tratta solo di un mero trasferimento di competenze, ma di un “passo ulteriore verso l'attuazione delle disposizioni del concilio ecumenico Vaticano II”.
Intervista al cardinale Piacenza sulle novità introdotte da Benedetto XVI
di Mario Ponzi
Un passo ulteriore verso l'attuazione delle disposizioni del concilio ecumenico Vaticano II. Così il cardinale Mauro Piacenza considera la decisione di Benedetto XVI di trasferire alla Congregazione per il Clero -- della quale il porporato è il prefetto -- la competenza dei seminari. «È anche un segno ulteriore -- dice il cardinale nell'intervista rilasciata al nostro giornale -- della grande attenzione con la quale il Papa segue la formazione dei sacerdoti».
Con il Motu proprio Ministrorum institutio il Papa ha trasferito la competenza dei seminari dalla Congregazione per l'Educazione Cattolica alla Congregazione per il Clero. Che significato ha questa decisione per la vita della Chiesa e dei sacerdoti?
È certamente un importante segnale della grande attenzione del Papa per i suoi sacerdoti, per la loro formazione e per quella, che, da più parti auspicata, dovrà essere un'autentica e profonda riforma del Clero. Come autorevolmente affermato dai Padri conciliari nel Decreto Optatam totius: «L'auspicato rinnovamento di tutta la Chiesa dipende, in gran parte, dal ministero sacerdotale». In tal senso, credo si possa interpretare la decisione pontificia, a cinquant'anni dall'apertura di quella nobile assise, come un passo di attuazione delle disposizioni conciliari.
Come, questo nuovo assetto delle competenze, influirà sulla pastorale vocazionale?
La pastorale vocazionale domanda, sotto ogni profilo, di essere incrementata e di divenire, nella mente e nel cuore di ogni sacerdote, una vera e propria priorità missionaria. Ciò avverrà, innanzitutto, vivendo il primato della preghiera, evangelica indicazione per ogni autentico discorso vocazionale -- «Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe» --, accogliendo l'autentico profilo dell'identità sacerdotale, evitando timorose diluizioni, che, non di rado, nei decenni passati, hanno ridotto la vocazione ad una scelta soggettiva, più che riconoscerla quale essa è: risposta della persona ad un'oggettiva chiamata di Dio, ecclesialmente mediata. Infine, ma non da ultimo, sarà la santità dei ministri a determinare un rifiorire delle vocazioni. I sacerdoti santi hanno sempre riempito i seminari.
Con questo motu proprio, la Congregazione per il Clero ha competenza integrale -- dalla pastorale vocazionale e dalla formazione iniziale fino alla formazione permanente e al governo pastorale e disciplinare -- sui sacerdoti. Come interpretare questa unificazione della responsabilità?
La continuità della formazione rappresenta una priorità in ogni ambito, particolarmente in quello ecclesiale, che deve sempre ritenere la formazione dei formatori un passaggio essenziale dell'opera di evangelizzazione e della vita stessa della Chiesa. Come affermato dal beato Giovanni Paolo II, nella Pastores dabo vobis: «La formazione permanente dei sacerdoti [...] è la continuazione naturale e assolutamente necessaria di quel processo di strutturazione della personalità presbiterale che si è iniziato e sviluppato in seminario [...]. È di particolare importanza avvertire e rispettare l'intrinseco legame che esiste tra la formazione precedente l'ordinazione e quella successiva». Il servizio di questa Congregazione al ministero e alla vita dei sacerdoti, le conoscenze che ne derivano e lo studio delle emergenti problematiche, riguardanti i presbiteri nel mondo, rappresenteranno, inoltre, un'indispensabile bussola di orientamento per le scelte da attuare nella formazione iniziale.
Quali sono i suoi progetti in ordine alla formazione iniziale e permanente dei sacerdoti, soprattutto alla luce del Concilio, di cui abbiamo appena celebrato il cinquantesimo dell'apertura?
Innanzitutto favorire il più possibile l'attenzione ai testi del Concilio Vaticano II riguardanti specificamente i presbiteri, in particolare i decreti Presbyterorum ordinis e Optatam totius. Il Concilio rappresenta, ancora e sempre, la sicura bussola con la quale la Chiesa è chiamata ad orientare la propria navigazione nei tempi presenti. Certamente, poi, da più parti, appare urgente un innalzamento del tono spirituale, e perciò anche umano e culturale, dei sacerdoti. In uno degli interventi del recente sinodo sulla nuova evangelizzazione, un giovane laico catechista chiedeva ai padri, a nome dei suoi coetanei e, in certo modo, del popolo di Dio, sacerdoti “di qualità”, dall'alto profilo culturale e spirituale, capaci di avvicinare a Cristo con la propria parola e la propria vita, e di celebrare il culto, lasciando trasparire, per pienezza interiore, la sacralità del mistero. Ritengo particolarmente interessante che, dal mondo laicale e giovanile, siano giunte ai padri sinodali tali richieste. Certamente, ogni sforzo sarà profuso per offrire, ad ogni sacerdote della Chiesa, i migliori strumenti perché ciascun ambito della formazione (umana, spirituale, dottrinale e pastorale) possa ricevere adeguato nutrimento. Particolare attenzione dovrà essere posta, poi, nell'ambito della pastorale vocazionale, al discernimento delle vocazioni, favorendo massimamente le autentiche chiamate del Signore e prevenendo, ove necessario, ogni indebita strumentalizzazione del ministero.
Come leggere il provvedimento del Papa nell'ottica della nuova evangelizzazione nell'Anno della fede?
Soprattutto dal punto di vista del ruolo insostituibile che i sacri ministri hanno nell'opera della nuova evangelizzazione. Se è vero che, in ogni tempo, il Signore rinnova la sua Chiesa, suscitando carismi ed esperienze di autentica santità, ciò non esclude affatto che tale divina metodologia possa e debba riguardare anche la dimensione istituzionale della Chiesa e, quindi, coloro che in essa partecipano dell'Ordine sacro. L'Anno della fede, indetto da Benedetto XVI, in occasione del cinquantesimo anniversario dell'apertura del Vaticano II e -- non dimentichiamolo -- del ventesimo anniversario di promulgazione del catechismo della Chiesa cattolica, che è il catechismo del Concilio, rappresenta una fondamentale tappa di impulso alla nuova evangelizzazione e non è certamente casuale che, proprio in quest'anno, il Papa, guidato dallo Spirito Santo nel suo superiore discernimento, abbia assunto tale importante decisione.
Cosa vorrebbe dire ai seminaristi che, da oggi, sono sotto la sua responsabilità?
Innanzitutto una parola di benvenuto ai carissimi seminaristi di tutto il mondo. Vorrei dirgli poi che è con profonda gioia, manifesta commozione e non senza trepidazione, per la coscienza del dono inestimabile che essi sono per la Chiesa del presente e del futuro, che la Congregazione per il Clero accoglie dalle mani di Pietro la cura per le loro persone e per i luoghi della loro formazione, nei quali la vocazione, che hanno ricevuta da Dio, è chiamata a maturare, perché, sempre più, in loro siano delineati i tratti del Buon Pastore. La preghiera incessante per i sacerdoti, che da sempre ha abbracciato le necessità vocazionali della Chiesa e, dunque, anche ciascun seminarista, diviene ora corale invito alla Chiesa tutta perché, da ogni parte, soprattutto attraverso l'adorazione eucaristica per ottenere il dono di sacerdoti santi e nell'esercizio della maternità spirituale per le vocazioni e la loro perseveranza, si innalzi, come una voce sola, un grido implorante: «Signore, dona alla tua Chiesa, sacerdoti santi!».
(©L'Osservatore Romano 26 gennaio 2013)
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