di Mauro Faverzani
Venerdì 25 gennaio, all’indomani del giuramento di Obama, che all’inizio del suo secondo mandato presidenziale ha rivolto al Paese, a detta di tutti i commentatori, il più radicale ed il più rivoluzionario discorso della storia d’America, le stesse strade da lui percorse per recarsi dal Campidoglio alla Casa Bianca si sono riempite di centinaia di migliaia di militanti pro-life. Mai come quest’anno la partecipazione è stata numerosa, perché ricorrevano i 40 anni dell’approvazione della famigerata legge Roe/Wade, che ha legalizzato l’aborto negli Stati Uniti, e si celebravano anche i 40 anni della Marcia, iniziata lo stesso anno e da allora mai interrotta.
Ma è stata anche la marcia più numerosa, perché il popolo della vita americano ha voluto far sentire la propria voce ad un Presidente, che non solo ha ripetutamente inneggiato all’aborto rendendolo ancora più facile, ma che vorrebbe anche impedire l’obiezione di coscienza, obbligando le strutture cattoliche a praticarlo. Un Presidente, che anche recentemente ha affermato essere la sua organizzazione preferita la Planned Parenthood, ricchissima associazione pro-choice, che diffonde la contraccezione e l’aborto in tutto il mondo. La stessa che in Europa, tramite l’Unione Europea, svolge una campagna serrata, affinché non vi siano più Paesi, come l’Irlanda, la Polonia o Malta, che impediscano il libero aborto.
E’ un popolo giovane, deciso e pieno di entusiasmo, quello che ha invaso Washington, un popolo proveniente da tutti gli Stati americani, talora anche con due giorni interi di viaggio sulle spalle. Persone che si prendono quasi una settimana di ferie per poter ogni anno proclamare il loro “Sì “alla vita e il loro chiaro “No” all’aborto. Membri del Parlamento (repubblicani ma anche democratici), rappresentanti di tutte le confessioni (cattolici, ortodossi, evangelici, ebrei, musulmani…), giovani famiglie con tanti bambini, anziani che ogni anno, da otto lustri, si ritrovano al Mall per partire insieme in direzione della Corte suprema, la Supreme Court, dalla quale si attende un ribaltamento della legge, che in 40 anni ha soppresso, solo negli Stati Uniti, 55 milioni di vite umane, quasi un sesto dell’attuale popolazione del paese.
Insensibile ai meno cinque gradi ed alla neve che ad un certo punto ha iniziato a scendere copiosa, la numerosa folla, in attesa della partenza, ha ascoltato le testimonianze di vari oratori. Un’ovazione ha accolto Rick Santorum e la sua famiglia, ma tanta commozione ha suscitato il racconto di una delle tante madri presenti che avevano nel passato effettuato un aborto. “I regret my abortion” si leggeva sui loro cartelli, che portavano con dolore ma senza vergogna. E accanto ad esse, tanti altri cartelli, striscioni, bandiere, stendardi; tanti gli slogan urlati dai giovani contro la legge, in difesa della vita, ma anche contro Obama.
Tante le associazioni presenti: dai Knights of Columbus, sponsor della Marcia, a Human Life International, dall’American Life League a Choose Life America, dall’Americans United for Life ai Priests for Life. Tra le delegazioni straniere era presente, nel palco d’onore, la Marcia per la Vita italiana, rappresentata dalla sua portavoce Virginia Coda Nunziante. Tante inoltre le parrocchie, tante le scuole presenti con i loro studenti, tante le testate giornalistiche e le televisioni. E come ogni anno l’associazione Tradizione, Famiglia, Proprietà americana chiudeva il lungo corteo con una banda musicale che accompagnava la statua miracolosa della Madonna di Fatima.
In cinquecentomila persone hanno sfilato davanti alla Corte Suprema, in cinquecentomila hanno sfidato la cultura di morte che regna negli Stati Uniti ma anche nel resto del mondo. “Noi siamo la generazione che abolirà la legge sull’aborto – ha affermato con convinzione un giovane ragazzo, al termine del suo breve intervento –. Questo è un nostro dovere. E con l’aiuto di Dio tutto è possibile”.
Corrispondenza Romana 26 gennaio 2013
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