di Sandro Magister
ROMA, 29 gennaio 2013 – Mentre si avvicina alla conclusione la "recognitio" vaticana della nuova versione italiana del messale romano, la disputa sulla traduzione del "pro multis" nella formula della consacrazione eucaristica ha registrato nuove battute.
L'ultima ha per autore il teologo e vescovo Bruno Forte.
In un articolo su "Avvenire" del 19 gennaio 2013 Forte si è di nuovo schierato con decisione per tradurre "pro multis" con "per molti", invece che con "per tutti" come si fa da più di quarant'anni in Italia e come analogamente si è fatto in molti altri paesi.
"Per molti" è la traduzione che lo stesso Benedetto XVI esige che venga adottata nelle varie lingue, come ha spiegato in una lettera ai vescovi tedeschi dell'aprile del 2012.
Da qualche tempo, in effetti, la traduzione "per molti" sta tornando in uso in varie lingue e paesi, sotto la spinta delle autorità vaticane e del papa in persona.
Ma si registrano anche delle resistenze.
È stato segnalato, ad esempio, che a Londra, a Canterbury e in altre località inglesi vari sacerdoti modifichino intenzionalmente il "for many" della nuova versione inglese del messale, approvata dal Vaticano, e dicano: "for many and many".
In Italia la nuova versione non è ancora entrata in vigore. Ma quando anche qui il "per molti" diventerà legge – come sicuramente avverrà –, sono state già annunciate proteste e disobbedienze.
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Difendendo a spada tratta la versione "per molti" voluta dal papa, il vescovo-teologo Forte si è consapevolmente contrapposto alla posizione largamente prevalente non solo tra i teologi e i liturgisti ma tra gli stessi vescovi italiani.
Nel 2010, infatti, i vescovi italiani riuniti in assemblea generale votarono quasi all'unanimità il mantenimento del "per tutti" nella formula della consacrazione.
In quell'occasione, stando agli atti ufficiali della conferenza episcopale italiana, anche Forte si era pronunciato a favore del "per tutti".
Ma ora egli spiega che quelle sue parole non esprimevano il suo vero pensiero.
Forte ricorda che in un precedente incontro ristretto – col solo direttivo della CEI – aveva espresso la sua preferenza per il "per molti". E se poi, nell'assemblea generale, era parso ripiegare sul mantenimento del "per tutti", era perché aveva messo in primo piano le "difficoltà pastorali" che un cambio di traduzione avrebbe prodotto, seminando nei fedeli il timore che la salvezza di Cristo non fosse offerta, appunto, "per tutti".
Già membro della commissione teologica internazionale e ordinato vescovo nel 2004 dall'allora cardinale Joseph Ratzinger, Forte è oggi arcivescovo di Chieti-Vasto. Ma è indicato da anni come in corsa per sedi cardinalizie di alto livello: da ultimo a Palermo e Bologna, i cui attuali arcivescovi andranno in scadenza nel 2013.
Non solo. Si vocifera anche di una sua chiamata a segretario della congregazione vaticana per la dottrina della fede, in sostituzione dell'attuale titolare Luis Francisco Ladaria Ferrer, destinato a una grande diocesi di Spagna.
E c'è chi collega queste attese di promozione all'insistenza con cui Forte difende il "per molti" voluto fermamente dal papa.
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Ma tornando alla polemica sul "pro multis", nel suo articolo su "Avvenire" Forte si dice contrario anche alle traduzioni suggerite nei mesi scorsi da due biblisti e liturgisti italiani, Silvio Barbaglia e Francesco Pieri, ricalcate sulla versione "pour la multitude" in uso nella Chiesa di Francia: "per moltitudini immense" o "per una moltitudine".
Gli argomenti di questi due studiosi – entrambi inizialmente favorevoli a mantenere la versione "per tutti" – sono stati riassunti la scorsa estate da www.chiesa in un servizio che sottolineava il loro avvicinarsi alle posizioni di Benedetto XVI.
Ma il secondo dei due, Francesco Pieri, sacerdote della diocesi di Bologna e docente di liturgia, di greco biblico e di storia della Chiesa antica, ha contestato tale interpretazione. Nega di volersi accostare alle posizioni del papa. Continua a giudicare "cattiva" e "falsamente fedele" la versione "per molti". E spiega di aver proposto la versione "per una moltitudine" come unica alternativa accettabile all'ormai "irreversibile" abbandono del "per tutti" deciso dalle autorità vaticane.
Anzi, nella seconda delle due note sul tema da lui pubblicate nel 2012 su "Il Regno", Pieri si è spinto molto più in là.
Ha scritto che gli studiosi ai quali Benedetto XVI ha fatto riferimento a proprio sostegno nella sua lettera ai vescovi tedeschi non solo sono "pochissimi" ma neppure sono affidabili: "Non sono esegeti di professione e per giunta risentono di una mentalità apertamente tradizionalista, pregiudizialmente assai critica nei confronti della riforma liturgica promossa dal Vaticano II".
Ma soprattutto ha chiuso la nota con una esplicita minaccia di insubordinazione, condita da un sarcastico richiamo alla liberalizzazione del rito romano antico della messa:
"Stante la già annunciata tensione che deriverebbe dall’entrata in vigore della traduzione 'per molti', non è affatto remoto il rischio che non pochi celebranti ne aggirerebbero l’ostacolo con adattamenti oppure continuando ad attenersi alla formula precedente. Con quale credibilità, con quale speranza di accoglienza, si potrebbe allora invocare il principio dell’unità pastorale, proprio nella strana stagione ecclesiale che ha visto inopinatamente tornare in vigore una forma del rito romano già sostituita dalla sua riforma e perciò giuridicamente 'obrogata'? Oppure dovremo invocare un motu proprio che consenta di utilizzare un’ulteriore forma straordinaria del rito romano in favore di quanti – come il sottoscritto e una moltitudine di altri – ritengono di non poter accettare in coscienza la traduzione 'per molti'? Sarebbe quanto mai opportuno che fedeli e pastori della Chiesa italiana, non da ultimi i teologi e le persone di cultura, manifestassero con più franchezza, in tutte le sedi in grado di alimentare un dibattito pubblico quanto più ampio possibile, le loro riserve nei confronti di questa paventata scelta di traduzione".
Curiosamente, quest'ultimo appello ai dissenzienti è diventato realtà proprio sulla stessa pagina di "Avvenire" – il giornale della conferenza episcopale italiana – nella quale Forte ha perorato la causa del "per molti".
A fianco dell'articolo del vescovo-teologo c'era infatti un intervento di segno opposto a firma del teologo Severino Dianich, vicario episcopale della diocesi di Pisa per la pastorale della cultura e dell’università, che così terminava:
"A questo punto mi domando se non sia giusto preoccuparsi di una cosa sola, cioè del riscontro di un eventuale cambiamento sui fedeli, soprattutto sui meno dotti, sui più poveri, su coloro che accolgono le cose più con la sensibilità che attraverso il ragionamento, che inevitabilmente resterebbero turbati dal cambiamento. Se non è indispensabile, perché creare dei problemi? Diversi vescovi hanno colto benissimo la questione pastorale, proponendo con buon senso che tutto resti come prima e non si cambino le grandi parole, che da quarant’anni risuonano nelle nostre chiese, proclamando che il sangue di Cristo è stato 'versato' per tutti'".
Dianich è anche l'autore della prefazione al libro nel quale Pieri ha argomentato le sue tesi:
F. Pieri, "Per una moltitudine. Sulla traduzione delle parole eucaristiche", Dehoniana Libri, Bologna, 2012.
Mentre questo è l'ultimo articolo pubblicato da Pieri su "Il Regno":
La traduzione del "pro multis". Il tema è la salvezza
E questi sono gli interventi di Bruno Forte e Severino Dianich su "Avvenire" del 19 gennaio 2013:
La salvezza di Cristo dono offerto a tutti
http://chiesa.espresso.repubblica.it/
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