di Renzo Puccetti
C’è una cosa che riesce a urtarmi oltremodo, mi riferisco all’uso del termine «fondamentalismo» per descrivere chi ispira la propria azione pubblica sul principio di indisponibilità di vita, famiglia e libertà di educazione. Come già notato da mons. Jean Lafitte, quando l’accusa è avanzata dal fronte laicista essa è incoerente con quella deferenza per il pluralismo dei valori di cui i relativisti si pavoneggiano e si resta sbigottiti quando il refrain non-cognitivista dietro cui molti di essi si trincerano per difendere il pluralismo etico viene comicamente elevato a novello superdogma.
Quella parola, fondamentalismo, quell’epiteto, fondamentalista, riesce ad essere ancora più irritante quando viene impiegato da coloro che vengono identificati come cattolici, e non si usa qui il termine nei suoi contenuti teologici. Non so se la cosa si radichi nell’inconscio o sia invece premeditata, fatto sta che ha tutta l’apparenza di essere un atteggiamento volto a placare i dolori che la coscienza, quantunque addomesticata, è ancora in grado di indurre.
«La migliore difesa è l’attacco», recita il detto e qui sembra di essere davanti a persone consapevoli, o quanto meno timorose, di essere apprezzate per quello che sono, allumati di carrierismo. Costoro pensano bene che spacciare l’integralità della difesa della vita per fondamentalismo, asserirne l’impraticabilità una volta che dalle sale convegni si scenda nelle aule parlamentari, farà apparire loro stessi dialoganti, accettabili, disintossicati dalla retta dottrina e con ciò mondi dal tradimento, presentabili per consessi non meno compromessi.
Questa sorta di auto-lavaggio ha come effetto anche quello di produrre scorie inquinanti che coprono di “fondamentalismo” le limpide guglie che si sollevano dalla palude fetida del conformismo. Così, anche senza mai averle imbrattate direttamente, diventano fondamentaliste le parole del Papa e dei Vescovi che conservino ancora dignità e voce ortodossa ed insieme a queste quelle dei sacerdoti e dei laici fedeli al Magistero.
Ed avviene che il compromesso al ribasso non sia subìto, ma piuttosto promosso, si crede infatti non già che la verità renda liberi, ma la mezza verità, la sintesi, il dialogo, il ma-anchismo, e tutto quel ciarpame di tiepidezza destinato ad essere vomitato. Il sale insipido e la luce sotto il moggio sono metafore da cui non si sentono interpellati. Varcato il Rubicone dell’integralità l’aborto cessa di essere un abominevole delitto (GS, 51), per diventare una scelta dolorosa da liberare da costrizioni economiche o sociali e la legge che lo ha liberalizzato sarà una legge dello Stato da applicare in tutte le sue parti, così chi la intende un sopruso, una corruzione della legge (EV, 72), una legge ingiusta (EV, 73) da abrogare in tutte le sue parti si ritrova servito: è un fondamentalista.
Allora facciamo un po’ di chiarezza: affermare che l’aborto è un abominevole delitto è da fondamentalisti? Mi dichiaro fondamentalista. Sostenere che la legge sull’aborto è totalmente iniqua, una legge la cui totale abrogazione è da perseguire con ogni mezzo lecito è da fondamentalisti? Includetemi tra i fondamentalisti. Difendere il principio di indisponibilità della vita umana anche da ridicole dichiarazioni inequivocabili, storicamente anticamera della legalizzazione dell’eutanasia, è da fondamentalisti? Bene, chi scrive è allora un fondamentalista. Sì, sono intransigente nella difesa della dignità incondizionata ed inalienabile di ogni essere umano, ho studiato e pratico la medicina per questo, per proteggere la vita dell’essere umano, un bene che ha il difetto di tollerare solo la chiarezza, esserci o non esserci, e che non sopporta le mediazioni di piccoli uomini, con piccole idee e piccole aspirazioni.
(Fonte: CORRISPONDENZA ROMANA)
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