Cardinale Giuseppe Siri:
La questione che in materia oggi si presenta come la più grave è appunto
quella dell'intercomunione. Per fare del vero ecumenismo, non bisogna commettere
errori su questo punto.
La Chiesa, la sua dottrina, e in particolare la
sua dottrina ecclesiologica, sono fondate su dogmi per essa inalienabili ed
irreformabili. Altre confessioni non hanno veri dogmi ecclesiologici; per esse
l'unità è opera esclusiva dello Spirito Santo e basta. Lo Spinto Santo agisce
sempre ed è il principio della santificazione; ma non lo si può porre come
principio visibile e storico dell'unità ecclesiale.
Nel Vangelo l'unità del Regno di Dio in terra è
fatta da Pietro. Non si tratta di due piccole variazioni, ma di due concezioni
che stanno di fronte.
La prima concezione permette la disgregazione, tant'è vero
che recentemente il patriarcato moscovita ha concesso l'autocefalia alla chiesa
greco-slava d'America. La prima concezione ammette la federazione, non l'unità
visibile. Qui sta il punto, sia che ci volgiamo a Oriente sia che ci volgiamo ad
Occidente.
Consumare i dogmi lentamente fino al punto di non costituire più un
problema capitale non è fare l'unità, ma distruggere in breve tempo l'unità in
tutte le Chiese. La Chiesa riposa sull'unità dogmatica. Senza di essa muore.
Questo non è possibile per le promesse espresse dall'Evangelo; quello che è
possibile è che dagli uomini, per difetto di metodo, si allontani il momento
desiderato dell'abbraccio fraterno, coerente con la verità di Dio.
[Cardinale Giuseppe Siri, “Bilancio
dell'ecumenismo”, “Renovatio”, VI (1971), fasc. 4, pp. 451-452]
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