di Massimo Zambelli
“Uno di noi”. È il titolo della campagna europea di
raccolta firme per il riconoscimento giuridico dell’embrione, con il fine di
tutelarne la dignità, il diritto a vivere e l’integrità, rendendo così possibile
l’introduzione di regole che “pongano fine al finanziamento di attività
presupponenti la distruzione di embrioni umani”.
Il titolo “Uno di noi” dell’iniziativa ricalca la
definizione presente nell’introduzione del documento del 1996 “Identità e
statuto dell’embrione umano”, redatto dall’autorevole Comitato nazionale di
bioetica (durante il governo dell’Ulivo): “L’embrione è uno di noi:
questa frase, talmente semplice da suonare per alcuni irritante, esplicita bene
l’atteggiamento bioetico fondamentale che emerge dal nostro testo: il senso del
limite al nostro possibile operare tecnologico“. La raccolta di firme è già
iniziata e prosegue fino a novembre 2013, ed ha l’obiettivo di raggiungere 20
milioni di adesioni in tutta Europa e almeno 1 milione in Italia. Il sito
internet in cui si può firmare l’appello è http://www.oneofus.eu/it/
Bisognerebbe creare una massiccia
mobilitazione della rete per fare conoscere e promuovere questa iniziativa.
I tempi lo richiedono. E contemporaneamente fornire sempre più capillarmente
informazioni per aiutare a comprendere la verità dello slogan. “Uno di noi” è il
claim che definisce l’embrione nello spazio comunicativo e meglio funziona
quanto più si capisce che fotografa davvero la realtà. Il riferimento all’ottava
arte non è casuale, in quanto proprio la fotografia offre uno spunto
interessante per comprendere l’umanità dell’embrione.
In particolare aiuta a comprenderlo l’uso della
Polaroid che ha qualcosa di meraviglioso. Si scatta la foto, dalla
macchina esce un foglio, si prende in mano e si guarda con stupore divertito
l’affiorare e il lento formarsi dell’immagine dal fondo chiaro del supporto.
Questo piccolo prodigio è secondo me perfetto per illustrare quell’evento ancora
più geniale che è la nascita e lo sviluppo di un essere umano. Quando inizia la
vita umana? In quale momento del suo sviluppo possiamo dire convintamente
“questo è un essere umano come noi”? L’iniziale e normale difficoltà di vedere
nel pallino di cellule del concepito una vita integralmente umana, da rispettare
e tutelare, può essere superata pensando a quel che accade con una fotografia
Polaroid, il cui fascino non dipende solo dal formato quadrato della cornice
rispetto al più diffuso 2/3 della pellicola 35 mm. Le ragioni vere della sua
seduzione risiedono nel fatto che lo sviluppo avviene in
diretta e che la foto è senza negativo. Ciò rende ogni
immagine un pezzo unico e un piccolo evento. Se si perde una foto Polaroid, che
documenta un momento prezioso, si perde tutto. Niente più possibilità di
ristamparla.
Come ogni essere umano, essa è unica e
irripetibile. Ma anche il lento apparire dell’immagine dal fondo chiaro
ha qualcosa di magico, che incanta. Nel foglio bianco c’è già
tutta l’immagine che deve “svilupparsi”, come nell’embrione c’è
già l’essenza della persona che reclama solo un po’ di tempo per
crescere e – con stessa parola – svilupparsi. Se si mettesse la foto Polaroid in
un congelatore per arrestarne il processo chimico, l’immagine resterebbe
presente nel tempo pur non visibile, e dopo la disibernazione potrebbe
riaffiorare. Così un embrione confinato nel cryotank ha latente l’umanità
ricevuta dalla fecondazione e, rimesso in una condizione favorevole, può
riprendere l’espressione di ciò che era ė stato impresso. L’analogia tra i due
processi si spinge lontano: anche il fatto che in entrambi i casi lo
sviluppo si realizza mediante un dinamismo interno (autosviluppo) è
degno di nota. A differenza delle altre fotografie che necessitano di un
intervento esterno per essere stampate, la Polaroid è autonoma. In modo simile
lo sviluppo dell’embrione è self made. La madre ospita davvero un
altro, autonomo quanto a principio dinamico che è ciò che caratterizza
e qualifica i sistemi viventi. Tuttavia riconoscere l’umanità dell’embrione è
un passo fondamentale ma non sufficiente.
Dire che l’embrione umano è un essere umano non
basta. Come messo in rilievo anche da questo articolo, chi nega tutela alla vita
nascente può passare rapidamente dal non guardare nel microscopio (comportandosi
come chi non voleva guardare nel telescopio di Galileo) per non
accettare la verità empirica (sempre più incontestabile)
dell’appartenenza alla specie umana di embrione e feto, al riconoscere che sì,
si tratta di vita umana, ma che tuttavia quell’organismo umano non è ancora
persona umana, questa sì degna di rispetto e tutela. Diventa perciò importante
chiarire alcuni passaggi: la scienza induce sempre di più a riconoscere
che l’embrione umano è vivo ed è vita umana; la filosofia ne deduce che è
persona da subito; la teologia conduce nel dibattito la convinzione che
quella pur piccola vita ha dignità umana inviolabile e quindi
diritti da tutelare, tra cui quelli primari alla vita e all’integrità
fisica.
Vita
umana: Edoardo Boncinelli, genetista, afferma: “Non c’è dubbio che la vita di un organismo
specifico – ranocchio, gatto o uomo – inizia con la fecondazione, cioè con la
congiunzione di un gamete maschile, lo spermatozoo, e uno femminile, la
cellula-uovo o ovocita maturo” E ancora: “Dal punto di vista biologico
non c’è in sostanza nessuna discontinuità dal concepimento alla nascita e
oltre”. Documento di Carlo Flamigni e soci
sull’ootide (neologismo parascientifico per aggirare la definizione di
embrione): “La transizione oocita-embrione risulta da una successione di
eventi che si susseguono nel tempo con larghe sovrapposizioni funzionali e
temporali. In tale transizione un evento peculiare sul quale basare la criticità
del passaggio generazionale e quindi l’inizio di un nuovo essere umano, è
rappresentato dalla costituzione del nuovo assetto cromosomico diploide e dal
successivo inizio della segmentazione”. Lo considero un piccolo autogol.
Perfino chi come Flamigni critica la legge 40 e il suo definire soggetto
l’embrione umano, constata che dopo sole 24-36 ore dalla fecondazione, con
l’inizio della fase embrionale, c’è la presenza di un “nuovo essere umano”. Poi
lui, per convenienza, non gli riconosce lo statuto di persona, ma qui siamo già
nel campo della filosofia e non più della biologia. Biologicamente parlando è un
individuo della specie uomo.
Persona umana: Basterebbe la
domanda posta da Giovanni Paolo II: “Come può un individuo umano non essere
una persona umana?” Se una vita umana non fosse una persona umana da
subito, cioè dalla sua apparizione come essere della specie uomo, quando
lo sarebbe? E cosa gli fornirebbe questo statuto? Quale evento lo
costituirebbe? Le azioni che dimostrano il mio essere persona vengono dopo il
mio esserlo. Il fare segue l’essere. Dissociare l’essere persona umana
dall’avere un vita umana, porta a ricostituire caste sociali in
cui alcuni soggetti umani non sono ancora, o non sono più, o non sono
abbastanza, persone.
Peter Singer ritiene coerentemente che
nemmeno i neonati siano persone. Non hanno ancora sviluppate le caratteristiche
che rendono tali le persone: coscienza, volontà, relazionalità. Pertanto alcuni
individui o non sono ancora persone (feti, neonati, infanti, matti) o non lo
sono più (chi è in stato vegetativo, chi è afflitto da gravi malattie
degenerative del cervello). Io dico, allora, anche i dormienti! Se essere
persona è avere in atto coscienza e volontà, un dormiente non le ha. Occorre che
si svegli per essere pienamente persona. Quindi se un omicida dimostrasse che la
sua vittima stava dormendo mentre la uccideva, per la logica assurda che
consegue a questi ragionamenti dovrebbe essere assolto. Serve a poco ribattere
che il dormiente appena si sveglia riacquisterà coscienza e volontà. Anche un
feto le espliciterà non appena sarà cresciuto. Il dormiente e il feto
sono in situazione di potenzialità rispetto all’avere espresse
e attive la coscienza e la libertà. Perché chiudere un occhio su una forma di
potenzialità rispetto all’altra?
Dignità umana: Qui il
nocciolo. Riconosciuto che un embrione è un essere umano, e quindi persona
umana, cosa farsene? È così piccolo e insignificante… La teologia, o meglio, una
visione religiosa della vita, nomina la dignità come spirito, anima, e
l’ebraismo e il cristianesimo come “imago Dei”. Una filosofia
materialista è in grado di nominarla con tanta profondità? Può dire dignità
universale e inviolabile? Attenzione che non sto parlando di comportamento
concreto del dichiarante. So che ci sono persone credenti che hanno
contravvenuto alla “teoria”. A me, e secondo me alla società attuale, preme però
sapere se la dignità sia un illusione, un effetto ottico, oppure una realtà
vera. Questo perché cerco una coerenza (fin quando posso
applicarla) tra la prassi e la teoria. Credo ancora che siano le idee a muovere
le gambe. La campagna nobilmente politica “Uno di noi” ha dentro di sé
tutto questo.
Per qualcuno è già ben chiaro e distinto, mentre
per molti altri sono ancora ragionamenti impliciti e latenti, come in una foto
Polaroid appena scattata, che ha bisogno solo di tempo e di condizioni giuste
(una giusta cultura) per svilupparsi. Intanto, se tu condividi quanto detto,
hai già firmato (serve un documento)?
http://www.uccronline.it/2013/02/20
Nessun commento:
Posta un commento