domenica 24 febbraio 2013

L’Angelus dell’addio. Ma c’è chi non si rassegna







di Sandro Magister

Il suo ultimo Angelus da papa, il 24 febbraio, seconda domenica di Quaresima, Benedetto XVI l’ha dedicato, come sempre, a spiegare il Vangelo della messa, in questo caso la trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor.

Alla sua rinuncia al pontificato ha fatto riferimento con sobrietà, con queste semplici parole:
“Cari fratelli e sorelle, questa Parola di Dio la sento in modo particolare rivolta a me, in questo momento della mia vita. Il Signore mi chiama a ’salire sul monte’, a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze”.

E ora solo pochissimi giorni dividono Benedetto XVI dal ritiro, con ancora una sola udienza alla folla, quella di mercoledì 27 febbraio in piazza San Pietro.

Ma una volta resa effettiva la sua rinuncia al papato, ci si può chiedere se sarà accolta da tutti i cattolici. Di certo, si sa che il filosofo e teologo tradizionalista Enrico Maria Radaelli – come www.chiesa ha documentato – l’ha già respinta in quanto “impossibile metafisicamente e misticamente”. Con la conseguenza che “il papa subentrante, suo malgrado, non sarà che un antipapa”.

In realtà, se si torna al precedente storico più famoso di rinuncia al papato, quella di Celestino V nel 1294, anche allora vi furono dei rifiuti delle sue dimissioni. E di lunga durata, e di proporzioni vaste, e con personalità autorevoli.

Basta leggere l’esordio di un dotto articolo pubblicato su “L’Osservatore Romano” del 23 febbraio scorso, firmato dal professor Valerio Gigliotti, uno dei maggiori studiosi del tema, autore di un volume di prossima pubblicazione per i tipi di Olschki Editore, “La tiara deposta. La rinuncia al papato nel medioevo tra storia e diritto”:

“Ubertino da Casale, nel suo ‘Arbor vitae crucifixae Jesu’ (1305), ancora a distanza di quasi dieci anni dalla più celebre rinuncia papale volontaria, quella di Celestino V, definiva il gesto del pontefice-eremita una ‘novità orrenda’, contestandone la legittimità teologica e giuridica, seguito da buona parte del movimento degli Spirituali francescani, da Iacopone da Todi e dai cardinali Giacomo e Pietro Colonna, tenaci oppositori di Bonifacio VIII, successore del papa-eremita”.

Il 28 aprile 2009, in visita all’Aquila, Benedetto XVI depose il suo pallio sulle spoglie di Celestino V. Dal cielo, il santo papa-eremita sembra propiziare per questo suo successore una rinuncia dagli effetti molto meno traumatici.




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