Sono note le polemiche seguite alla pubblicazione su Famiglia Cristiana di una pubblicità che propaganda l'ideologia omosessualista. Ricordiamo brevemente: si tratta della campagna governativa di “educazione civica” contro la cosiddetta “omofobia”, e il messaggio consiste in un’ingiunzione ai cittadini italiani di adottare nuove convinzioni circa la moralità pubblica, in quanto qualcuno (non si sa bene chi) ha decretato che tutti devono considerare moralmente lecita e assolutamente rispettabile la scelta di esibire la propria condotta lesbica (a scanso di equivoci, un’anonima testimonial si presentava nell’inserzione con scritta in fronte la parola “lesbica”).
Ovviamente, la cosa non ha lasciato indifferenti i cattolici. I più informati hanno subito visto nell’episodio un ennesimo scivolamento della rivista verso la ricezione acritica delle ideologie oggi dominanti nella società secolarizzata, con l’aggravante che questo appiattimento su certi trend culturali basati su principi etici esplicitamente respinti dal magistero ecclesiastico viene presentato ai lettori come giusta e doverosa “apertura” della comunità cristiana alle esigenze della coscienza civile contemporanea, ossia come si trattasse di applicare con intelligenza le direttive dottrinali della Chiesa. Che invece non ammettono interpretazioni che ne contraddicano la lettera e lo spirito.
Ai cattolici che operano nella vita pubblica (politici e giornalistici) è richiesto di illustrare e difendere queste direttive, non di scendere a compromessi di comodo. Quanto ai sacerdoti e ai religiosi, il loro senso di responsabilità pastorale dovrebbe impegnarli sempre a una catechesi onesta, usando un linguaggio privo di ambiguità, facendosi eco fedele del magistero del Concilio e degli ultimi Papi, che non hanno mai mancato di illuminare le coscienze con i principi fondamentali della morale naturale, perfezionati ed elevati all’ordine soprannaturale dalla legge di Cristo. Ai teologi, poi, la Chiesa chiede esplicitamente di non teorizzare compromessi dottrinali di alcun genere in queste materie, che Benedetto XVI, come tutti sanno, ha denominato “valori non negoziabili”.
Nel caso che mi ha dato l’occasione di intervenire sono coinvolte tutte e tre queste componenti della realtà della Chiesa in Italia. C’è una testata giornalistica ufficialmente cattolica (Famiglia Cristiana), c’è la congregazione religiosa dei Paolini che la edita, ci sono i giornalisti laici della redazione e ci sono anche i teologi cui la rivista affida le diverse rubriche. Questi ultimi, in particolare padre Luigi Lorenzetti, sono stati tirati in ballo dal direttore di Famiglia Cristiana per respingere le osservazioni de La Nuova Bussola Quotidiana a proposito di quella discutibile inserzione.
La rubrica di teologia morale tenuta da Lorenzetti dovrebbe far credere ai lettori che la linea editoriale della rivista è effettivamente cristiana, cioè cattolica. In realtà, il modo di trattare le questioni teologiche (dogmatiche e morali) da parte di questo e degli altri teologi che figurano tra i collaboratori abituali della rivista conferma il sospetto che la linea adottata sia proprio la legittimazione di certi trend culturali sostanzialmente incompatibili con i principi della dottrina cattolica e con le loro applicazioni alle circostanze attuali. Lo facevo già notare (doverosamente, anche se a malincuore, perché preferirei certamente lodare chi si professa cattolico) a proposito del più noto collaboratore di Famiglia Cristiana e di altre testate della società San Paolo (come Jesus), ossia Enzo Bianchi. Quest’ultimo non è un religioso, non è un sacerdote e non è un teologo, anche se con tali qualifiche ecclesiali si presenta e vorrebbe giustificare la sua pretesa di intervenire come “maestro della fede” e “profeta” di una Chiesa futura.
Invece Luigi Lorenzetti è un religioso dehoniano, è stato ordinato sacerdote ed è un anziano e rinomato teologo (laureatosi in Teologia presso l’Università San Tommaso di Roma, si è poi specializzato in Teologia morale), e quindi ha tutti i titoli per parlare di argomenti teologici. Inoltre, le sue pubblicazioni scientifiche (tra le quali La morale. Risposta alle domande più provocatorie, edita dalla San Paolo nel 1998 e poi tradotta in varie lingue) sono la testimonianza di un lavoro serio sulle fonti e di un notevole equilibrio nei giudizi sulle possibili applicazioni dei principi alla complessità della realtà sociale di oggi. Equilibrio che però, nella rubrica che da anni tiene su Famiglia Cristiana (“Risponde il teologo”) si traduce spesso, in ossequio alla linea editoriale della rivista dei Paolini, in termini vaghi, tali da suggerire una sorta di equidistanza “politica” tra la dottrina della Chiesa e le ideologie dominanti nella società secolarizzata. E contemporaneamente, su altre testate giornalistiche e siti in Rete, il nostro teologo asseconda sistematicamente la politica delle “aperture” e del suo “dialogo” in materia teologico-morale, finendo per scavalcare elegantemente i cosiddetti “princìpi non negoziabili”, presentati come posizioni “di retroguardia” da rispettare formalmente mentre sostanzialmente le si dichiara superate.
Sistematicamente, dicevo, vengono presentati con progressiva simpatia diversi modi di vivere improntati al naturalismo, sia esso di ispirazione occidentale atea o di ispirazione orientale religiosa. Progressivamente viene a essere considerata “naturale” l’esigenza di un riconoscimento giuridico delle coppie di fatto, anche omosessuali, come una certa parte dell’opinione pubblica reclama ora in Italia, dopo che altri Paesi, compresi quelli di forte tradizione cattolica (la Spagna, l’Argentina), hanno introdotto nella legislazione civile il “matrimonio gay”. Si mostra simpatia anche nei confronti dei vegetariani, che appaiono come cattolici più coerenti e sinceri. Insomma, si finisce per accettare, una dopo l’altra, tutte le posizioni del “radicalismo di massa”, dove confluiscono l’ideologia borghese dell’individualismo libertino e l’ideologia della rivoluzione sessuale freudiano-marxista.
L’ultima frontiera è la “normalizzazione” dell’omosessualità, con il pretesto retorico della difesa dei diritti civili e della lotta alle discriminazioni. Ecco infatti come si esprime padre Lorenzetti sul settimanale della Società San Paolo: «Non giova alla giusta causa delle persone omosessuali equivocare il pensiero della Chiesa. In base al Vangelo, trasmette l’annuncio dell’incommensurabile dignità della persona umana, eterosessuale o omosessuale che sia. L’annuncio si fa inevitabilmente denuncia di ogni forma di discriminazione, emarginazione e offesa. È doveroso superare antichi pregiudizi che hanno relegato l’omosessuale nell’ambito del peccato, della perversione, della follia e della malattia. In questa prospettiva, i movimenti omosessuali hanno il merito di riportare all’attenzione pubblica molteplici problematiche sociali e culturali che accompagnano la condizione dell’omosessuale, e di denunciare le ingiustizie e la violazione dei diritti umani nei diversi ambiti della vita sociale. D’altra parte, occorre senso critico per distinguere le giuste rivendicazioni da quelle ideologiche, come il diritto al matrimonio e all’adozione» (Luigi Lorenzetti, «Gay: sì ai diritti ma il matrimonio è altro», in Famiglia Cristiana, 19 febbraio 2013).
Ecco: si fa credere di enunciare il “pensiero della Chiesa” e si enuncia il proprio pensiero, che risulta solo apparentemente compatibile con la dottrina enunciata dalla Chiesa nei documenti del Magistero. In questi documenti, infatti, si continua a ribadire che la condotta omossessuale è radicalmente contraria alla legge morale naturale, quindi, quando è consapevole e volontaria, va considerata, dal punto di visa teologico, come un peccato grave. Padre Lorenzetti lo sa bene, e invece etichetta la dottrina della Chiesa (che per un teologo dovrebbe essere normativa) come espressione di arretratezza e di ignoranza, addirittura come tradimento del Vangelo. Sicché si inducono i lettori di Famiglia Cristiana a credere che il magistero della Chiesa abbia tutti i demeriti, e i movimenti omosessuali invece tutti i meriti.
Un teologo dovrebbe chiarire invece che la Chiesa esercita la sua missione di annuncio del Vangelo proprio confermando le norme della legge morale naturale, presupposto indispensabile per la pratica delle virtù teologali. Denunciare i disordini morali oggettivi e le “strutture di peccato” non contraddice affatto ma anzi realizza fedelmente quell’“annuncio dell’incommensurabile dignità della persona umana” evocato dal teologo. Perché è il peccato, soprattutto il peccato contro natura, ciò che veramente degrada la persona umana e lo rende schiavo della menzogna (in questo caso si tratta della menzogna omosessualista): il Vangelo infatti dice che “la verità vi farà liberi”. La dottrina della Chiesa sull’intrinseca peccaminosità della condotta omosessuale – una verità teologico-morale indiscutibile per un cattolico - riguarda esclusivamente la coscienza delle singole persone (anche se logicamente ha dei gravi riflessi nella vita familiare e sociale); invece, quando si tratta di scelte che riguardano il bene comune della società (le leggi civili in materia di diritti individuali e di diritto di famiglia), lì la dottrina della Chiesa ammette applicazioni diverse in relazione alle diverse valutazioni delle situazioni di fatto, nella complessità che è propria della politica.
Un elemento di valutazione può anche essere l’esistenza di ingiustizie sociali, come la cosiddetta “omofobia”; ma questo fenomeno va valutato nelle sue reali proporzioni e nel contesto dell’insieme dei rapporti di convivenza sociale in una data situazione storica: non può essere un espediente retorico per fare discorsi – come quello che abbiamo riportato - che servono solo a spostare l’attenzione dei cattolici dai criteri teologico-morali per focalizzarla esclusivamente su rivendicazioni politiche di determinati gruppi sociali, il cui vero obiettivo finale è la soppressione della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, che ha un valore sociale trascendente e insostituibile, meritevole di ogni forma di tutela da parte dello Stato.
Insomma, quell’inserzione di Famiglia Cristiana sembra proprio che faccia parte di una politica editoriale di appoggio all’ideologia omosessualista, e il fatto che vangano citati a sostegno “teologico” gli interventi di padre Lorenzetti sul medesimo giornale non toglie questo sospetto, anzi lo conferma. E ciò che induce a sollevare la questione non è una diversa opinione politica (un diverso orientamento dottrinale e una diversa strategia in materia di per sé opinabile) ma la responsabilità di coscienza di fronte ai cattolici ai quali viene negato il diritto di conoscere senza ambiguità la dottrina morale della Chiesa e le ragioni teologiche che la giustificano.
Qui abbiamo un teologo che, su una rivista della quale i fedeli cattolici tradizionalmente si fidano, spaccia per “pensiero della Chiesa” le sue (assai poco) condivisibili idee socio-politiche. Allora, dal punto di vista della fede del popolo di Dio, ci si deve porre (pubblicamente, perché si tratta di comunicazione a mezzo stampa) un problema serio: in queste materie, quand’è che un teologo di professione è autorevole come teologo? In che cosa consiste precisamente l’autorevolezza di un teologo?
Per rispondere adeguatamente a questa domanda si devono aver presenti alcune premesse epistemologiche. Dal punto di vista formale, l’autorevolezza di un teologo è di tipo scientifico, mentre da un punto di vista materiale essa dipende dalla piena rispondenza delle sua teorie con la dottrina della Chiesa. Come ho spiegato esaurientemente nel mio trattato su Vera e falsa teologia (2012), la teologia, in un contesto di fede cattolica, non è un qualsiasi discorso su Dio o sulla religione: è un discorso scientifico che pretende di dire quello che Dio ha detto. La teologia insomma è un’esposizione ragionata della rivelazione divina, custodita e interpretata dalla Chiesa. Tutte le altre scienze (dalla filosofia all’antropologia culturale, dalla cosmologia fisica alla neurologia, alla psicanalisi) pretendono di dire quello che l’uomo sa, quello che l’uomo ha scoperto, e anche quello che l’uomo ipotizza riguardo alle realtà ancora sconosciute del passato, del presente e del futuro. La scientificità della teologia sta invece nel dire in modo adeguato e con fondamento critico ciò che Dio stesso ha rivelato all’uomo, ossia i misteri soprannaturali della salvezza.
Per applicare questi principi al caso che qui sto esaminando debbo allargare il discorso. Padre Lorenzetti non ha esitato, nel corso degli anni, a manifestare simpatia, oltre che per il movimento omossessualista, anche per altri movimenti di opinione di tipo “naturalistico”: ad esempio, per gli animalisti (vedi l’articolo «Animali e mondo sono destinati a perire?», in Famiglia cristiana, 2006, 20, p. 161; «Il divieto di uccidere riguarda gli animali?», in Famiglia Cristiana, 2006, 36, p. 133; vedi anche sul sito www.lacoscienzadeglianimali.it), come anche per i vegetariani (vedi il sito www.cattolicivegetariani.it). Il presupposto teorico è il medesimo, e Lorenzetti lo esprime in questi termini.: «Non si tratta di uccidere gli animali in modo umano. L'obiettivo finale mira a non ucciderli affatto. […] È impossibile non condividere la motivazione umanitaria ed etica che è alla base del movimento vegetariano. Certamente il cambiamento non si avrà dall'oggi al domani, sarà frutto di una maturazione della coscienza collettiva. Il dialogo e il confronto, se condotti con civiltà e amore della verità, possono indicare quello che, già adesso, è possibile fare perché la causa degli animali divenga una causa umana. La profezia di una dieta alternativa deve collegarsi alla ragionevolezza e questa, a sua volta, deve mostrarsi capace di pensare e prevedere idee e abitudini nuove».
Osservo subito che, riguardo alla dieta vegetariana, non c’è teologo che possa trovare onestamente qualcosa di specifico o di determinato che Dio abbia detto ai fini della nostra salvezza e della vita eterna. Se nella dottrina morale cattolica e nella Scrittura troviamo qualcosa che attiene ai cibi e agli animali, questo conferma pacificamente la liceità del cibarsi di carni degli animali terrestri e dei pesci. L’Antico Testamento contiene la proibizione (poi fatta propria dall’Islam) di cibarsi dei suini, ma non certamente delle pecore e delle vacche. Nessuno ignora il rito giudaico della Pasqua, quando gli Ebrei osservanti si riuniscono in famiglia per mangiare l’agnello. E questo rito fu accettato logicamente da Gesù, tant’è che lo troviamo – non solo “ripreso” ma formalmente “santificato”, anzi divinizzato - nell’Ultima Cena. Ciò significa che i discorsi del bravo teologo su argomenti come la scelta vegetariana non sono, propriamente parlando, discorsi di teologia morale, e tanto meno di teologia dogmatica: sono discorsi di carattere ideologico, di adesione acritica a mode culturali e politiche come quelle che in Europa hanno dato vita a movimenti ambientalisti e animalisti come “i Verdi”, “Il sole che ride”, “Ecologismo e libertà” e simili. Naturalmente, un cattolico ha tutto il diritto a sostenere, in politica, delle tesi ecologiche e animalistiche, che io, come sacerdote, non ho né titoli né motivo di criticare. Parto dal presupposto che ogni indirizzo di prassi politica è opinabile, nel senso (teologico) che non coincide mai del tutto con la dottrina sociale della Chiesa, così come non la contraddice mai del tutto.
Ciò che io, come sacerdote, mi sento di criticare a proposito di Famiglia Cristiana è il fatto di affidare troppo spesso le proprie rubriche di catechesi popolare a teologi che, invece della fede della Chiesa, propongono certe loro opinioni personali, prive oltretutto di giustificazione autenticamente teologica, in quanto ignorano o contraddicono le indicazioni del Magistero. Sullo sfondo è facile scorgere certe ideologie secolaristiche che nulla hanno a che vedere con la rivelazione cristiana, e non è certamente questo ciò che i lettori di Famiglia cristiana si aspetterebbero da una rivista che compare ancora in molte chiese italiane sul banchetto della “buona stampa” assieme ad altro materiale catechistico.
La nuova Bussola Quotidiana 05-03-2013
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