di P. Giovanni Scalese
(…) Qualcuno mi ha chiesto di dire qualcosa a
proposito dell’elezione del nuovo Papa. Beh, sarei ipocrita se dicessi di aver
sprizzato gioia nel momento in cui il Card. Tauran ha dato l’annuncio. Personalmente avrei preferito il Card. Scola, che
stimo, o il Card. Tagle, che conosco. Sentire che era stato eletto il
Card. Bergoglio è stata sicuramente una sorpresa. Talvolta le sorprese possono
essere accolte gioiosamente (ed è ciò che è avvenuto per la maggior parte dei
fedeli). Nel mio caso questo non è avvenuto, non perché avessi qualcosa contro
il Card. Bergoglio, che non conoscevo, ma semplicemente perché condizionato da
ciò che si era detto sul suo conto, a proposito del precedente conclave: sarebbe
stato lui il candidato del partito anti-Ratzinger, quello per intenderci guidato
dal Card. Martini. Ebbene, il fatto di sapere che era stato eletto appunto
l’«anti-Ratzinger» mi ha dato lí per lí l’impressione di una deliberata scelta
polemica dei Cardinali contro il precedente Pontefice. È vero che questa
impressione è stata immediatamente smentita dallo stesso neo-eletto; però è
altrettanto vero che tutta una serie di piccoli dettagli, astutamente
amplificati dai media, sembravano confermare quella prima impressione: il
rifiuto di un certo abbigliamento, il ritorno a una liturgia pre-benedettiana,
ecc.
In questi casi, però, è bene non
lasciarsi condizionare troppo dalle prime impressioni, dalle reazioni
istintive, e cercare di riflettere e considerare le cose con una certa
razionalità. Innanzi tutto, è bene non farsi condizionare dai media, che ci
presentano solo certi aspetti, e lo fanno unicamente per provocare in noi
determinate reazioni. Che senso ha, per esempio, insistere nel mostrarci le
scarpe nere del Papa, se non per convogliare il messaggio: Benedetto XVI usava
scarpe Prada e quindi era antievangelico; Francesco, al contrario, è un Papa
realmente povero. Non so se avete notato come si siano volutamente messe in giro
frasi, attribuite al neo-eletto Pontefice (se vere o false sinceramente non
saprei), che hanno rallegrato molti, ma hanno ferito altri: Papa Bergoglio
avrebbe detto a Mons. Marini, che lo stata aiutando a vestirsi, a proposito
della mozzetta: «Questa se la metta lei! È finito il tempo delle carnevalate!»;
l’indomani, a Santa Maria Maggiore, visto il Card. Law, Arciprete emerito della
basilica, avrebbe intimato: «Allontanatelo dalla basilica!». Non credo che, cosí
facendo, si renda un buon servizio al nuovo Papa.
In secondo luogo, dobbiamo liberarci dai
nostri pregiudizi. Non possiamo giudicare le persone dopo pochi minuti
che le abbiamo incontrate: diamo loro almeno il tempo di presentarsi e farsi
conoscere. Di per sé non dovremmo mai giudicare nessuno, ma se proprio smaniamo
dal farlo, aspettiamo almeno che uno incominci ad agire, e poi giudichiamo il
suo operato (mai le sue intenzioni!). Questo in qualsiasi senso: sia in bene che
in male. Certe esaltazioni acritiche sarebbe meglio lasciarle da parte: a Papa
Francesco piace uno stile informale? Benissimo, ha tutto il diritto di usarlo
(anche perché è caratteristico di certi paesi); ma non si parli di una svolta
nella storia della Chiesa, quasi che basti saldare il conto in albergo per
salvare la Chiesa. Ben venga la semplicità, se questa aiuterà qualcuno a
riaccostarsi alla Chiesa. Ma, per favore, non identifichiamo automaticamente lo
stile informale con l’umiltà. Si può essere umili anche sottomettendosi a un
cerimoniere che ti mette indosso una mozzetta di velluto con l’ermellino.
Lasciatemi, per un attimo, mettermi sullo stesso piano di certi acuti
“osservatori”: l’attuale Pontefice, sotto la semplice talare bianca, ha sempre
fatto uso finora della camicia con i polsini e i gemelli; Papa Ratzinger, sotto
la talare bianca, il rocchetto e la mozzetta, spesso indossava una semplice
maglia con le maniche lunghe.
Un aspetto che ha mandato in visibilio le
folle è stata la scelta del nome. Certo, il Santo Padre può scegliere
il nome che vuole. Non si può accusarlo di aver rotto con la tradizione: gli
ultimi Papi hanno tutti scelto un nome piú o meno originale: Roncalli ha scelto
un nome che non si usava piú dal Trecento; Montini, dal Seicento; Luciani ha
addirittura adottato un doppio nome (cosa mai avvenuta prima nella storia della
Chiesa); quindi, liberissimo Bergoglio di scegliere il nome di Francesco. È
chiaro però che ogni nome è un programma; lo stesso Bergoglio lo ha spiegato
ieri ai giornalisti: “Francesco”, significa povertà, pace, amore alla natura. Un
programma condivisibilissimo, a patto che non si trasformi in ideologia:
pauperismo, pacifismo, ecologismo. Spero di cuore che il nuovo Papa incarni il
vero San Francesco, non il surrogato che ci viene solitamente proposto dai media
(e spesso dagli stessi Francescani). Personalmente, di San Francesco io
sottolineerei soprattutto la vocazione: «Va’ e ripara la mia Chiesa!».
Naturalmente, come non mi piacciono i
facili entusiasmi, ancor meno mi piacciono le stroncature senza appello, da una
parte e dall’altra. Mi hanno dato estremamente noia (ma non mi hanno
meravigliato piú di tanto) i tentativi di coinvolgere Bergoglio con la dittatura
militare del Generale Videla, come pure la ridicola accusa di misoginia («Le
donne non sono fatte per governare!»). D’altra parte, mi lasciano di stucco le
reazioni scomposte di alcuni tradizionalisti: dopo aver per anni accusato i
fratelli di fede di disobbedienza al Papa, perché non si adeguavano al suo stile
celebrativo, tutto d’un tratto, non appena il Papa è cambiato, hanno
incominciato a offendere il nuovo Pontefice, basandosi esclusivamente su quegli
elementi esteriori intenzionalmente sottolineati dai media, proprio per mettere
in evidenza la discontinuità dell’attuale pontificato con quello precedente.
Certo, una qualche discontinuità nelle
forme e nello stile esteriore non può essere negata; ma ciò significa
reale rottura di Francesco I con Benedetto XVI e con la tradizione della Chiesa?
Diciamo la verità, almeno per il momento, tutto si riduce a questioni piuttosto
marginali, come il modo di abbigliarsi o di celebrare. Quanto al primo aspetto,
abbiamo già detto; quanto al secondo, non credo proprio che Papa Francesco
voglia distruggere la liturgia. Bisogna tener conto che è un gesuita; e chi
conosce anche solo un po’ i gesuiti sa che non sono dei grandi liturgisti, non
per partito preso, ma per formazione, direi per costituzione. Si direbbe che per
loro il movimento liturgico e il Vaticano II non siano mai esistiti;
fondamentalmente, essi sono rimasti sempre un po’ tridentini. Del resto, basta
prendere gli Esercizi spirituali per rendersene conto: sembrerebbe che per
Sant’Ignazio l’esame di coscienza fosse piú importante della partecipazione alla
Messa. Se si voleva un Papa liturgista, allora bisognava eleggere un
benedettino, non certo un gesuita. I gesuiti sono molto piú attenti alla
spiritualità che non alla liturgia: essi sono dei veri “contemplativi
nell’azione”, per cui possiamo aspettarci da Papa Bergoglio un grande aiuto per
la nostra vita spirituale.
Sono convinto che Papa Francesco
riserverà a tutti delle belle sorprese (certo non quelle anticipate dai
media). Quando furono eletti Giovanni Paolo II e Benedetto XVI provai
una grande gioia e nutrivo grandi attese, che però in qualche caso furono
successivamente deluse. Questa volta, come detto, all’Habemus Papam non ho
sperimentato lo stesso entusiasmo; spero quindi che le soddisfazioni vengano in
seguito. Ma, in fondo, anche se non venissero, non cambierebbe nulla: un Papa
non viene eletto per soddisfare le nostre attese, ma per confermarci nella fede
e servire la Chiesa. In questo momento non ci viene chiesto né di osannare il
Papa né di criticarlo; ci viene chiesto semplicemente di sottometterci a lui
(«Subesse Romano Pontifici … omnino esse de necessitate salutis», Bonifacio
VIII, bolla Unam sanctam), di pregare per lui e di «rimanere in perfetta
tranquillità … [tenendo] presente che solo Gesú Cristo governa la sua Chiesa»
(Rosmini, Massime di perfezione cristiana, III massima).
Anche un eventuale scarso feeling con il
nuovo Pontefice potrebbe avere effetti tutto sommato benefici, perché
ci costringerebbe a non fermarci alla sua persona, ma ad andare oltre, a colui
che egli rappresenta; ci costringerebbe a distinguere fra la persona e l’ufficio
che essa ricopre.
Può essere utile ricordare in proposito
quanto si racconta di Don Bosco; sembrerebbe che si riferisca ai nostri
giorni:
“A Torino giungevano le notizie di Roma ed anche
qui continuavano ad ogni occasione le grida frenetiche, ostinate di “Viva Pio
IX!”. Mons. Fransoni [Arcivescovo di Torino] però aveva compreso tra i primi che
sotto quelle esagerate espressioni di entusiasmo si celava l’artificio delle
sette, e sollecitato dal Papa a muovere i fedeli in aiuto degli Irlandesi che
lottavano contro la fame, il 7 giugno 1847 scriveva in una sua lettera
pastorale: «Quella essere un mezzo assai acconcio di mostrare ossequio al
Pontefice, e perciò averglisi a dar plauso. Non come quei tali che applaudono a
Pio IX, non per quello che è, ma per quello che vorrebbero Egli fosse. Doversi
ancora riflettere, che non il battere fragoroso di palma a palma, né
l’incomposto acclamar tumultuoso, sono gli applausi che possono a Lui tornar
graditi, bensí l’ascoltarne docilmente gli avvisi, e il pronto eseguirne, non
che i comandi, gli inviti». Don Bosco non la pensava diversamente dal suo
Arcivescovo. Naturalmente anche all’Oratorio era un gridare a tutta gola di viva
e di osanna al gran Pontefice; tanto piú che Don Bosco parlava sempre del Papa
colla massima stima; ripeteva frequentemente essere necessario di stare uniti al
Papa perché egli era quell’anello che unisce i fedeli a Dio, e preconizzava
fatali cadute e castighi a quelli che presumevano osteggiare o censurare anche
menomamente la Santa Sede; e tanto era l’amore che sapeva infondere verso di
questa ne’ suoi giovani, che sentivansi disposti ad esserle sempre obbedienti e
fedeli e a difenderla anche a costo della vita. I giovani adunque ripetevano:
“Evviva Pio IX!”; ma con meraviglia intesero Don Bosco che cercava di cambiar
loro le parole in bocca: «Non gridate “Viva Pio IX!”, ma “Viva il Papa!”». «Ma
perché, gli domandarono, Ella vuole che gridiamo “Viva il Papa!”? Pio IX non è
appunto il Papa?». «Avete ragione, replicava Don Bosco: ma voi non vedete piú in
là del senso naturale; vi è certa gente che vuol separare il Sovrano di Roma dal
Pontefice, l’uomo dalla sua divina dignità. Si loda la persona, ma non veggo che
si voglia prestar riverenza alla dignità di cui è rivestita. Dunque, se vogliamo
metterci al sicuro, gridiamo “Viva il Papa!”». E tutti i giovani ripetevano:
“Viva il Papa!” (Memorie biografiche, vol. III, cap. 21).
(tratto dal blog “Senza peli sulla lingua”)
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