mercoledì 13 marzo 2013

Un papa come Gregorio Magno comanda


gregorio




Per una felice coincidenza, il 12 marzo, giorno d’inizio del conclave chiamato ad eleggere il successore di Benedetto XVI, è anche il “dies natalis” di san Gregorio Magno.

Questo grande papa, quando fu eletto, inviò una estesa “Lettera sinodica” al patriarca Giovanni di Costantinopoli e agli altri patriarchi delle Chiese d’oriente, per comunicare il suo insediamento sulla cattedra di Pietro a Roma, avvenuto il 3 settembre del 590.

Oltre che delineare il suo programma, in questa lettera egli tratteggiò il profilo ideale di un papa con parole che fanno impressione per la loro intramontabile attualità:
“Considero che bisogna vigilare con ogni cura affinché colui che è a capo della Chiesa sia puro nei pensieri, esemplare nelle azioni, discreto nel tacere, opportuno nella parola, vicino a ciascuno per la compassione, elevato al di sopra di tutti nella contemplazione, unito nell’umiltà con chi opera bene, fermo per lo zelo della giustizia contro i vizi di chi opera male.

“Se cerco di approfondire con accurato impegno tutti questi aspetti, la vastità dei pensieri su ogni punto di vista mi tormenta. Infatti, come ho detto, bisogna soprattutto curare che chi è a capo della Chiesa sia puro nei pensieri, in quanto nessuna sozzura contamini colui che ha assunto il compito di purificare le macchie di impurità anche nei cuori degli altri. Perché è necessario che cerchi di essere pulita la mano che ha il compito di eliminare il sudiciume, affinché se essa è sporca e tenta di eliminare il fango, non inquini maggiormente quello che tocca (’ne tacta quaeque deterius inquinet, si sordida insequens lutum tenet’). Per questo è scritto: Purificatevi, voi che portate i vasi del Signore (Isaia 52, 11). […]

“Un cuore sacerdotale non segue mai pensieri vaganti, ma si lascia dirigere solo dalla riflessione (’quatenus sacerdotale cor nequaquam cogitationes fluxae possideant, sed ratio sola constringat’). […]
“Il cuore degli uditori del pastore è penetrato poi meglio da quella parola che è confermata dalla vita di colui che parla, perché ciò che il predicatore comanda parlando, se lo mostra con i fatti ne aiuta l’imitazione”.

Il testo integrale può essere letto in Gregorio Magno, “Lettere / I”, Città Nuova Editrice, Roma, 1996, pp. 148-150.


*

Lo stesso giorno d’inizio del conclave il professor Pietro De Marco ha pubblicato sul supplemento fiorentino del “Corriere della Sera” la seguente nota, molto puntuale là dove sottolinea che un conclave risponde a Dio e non all’opinione pubblica.

*

CONCLAVE



di Pietro De Marco

Gli storici e i canonisti – i periti del diritto interno della Chiesa che ci informano in queste settimane di imprevista rinuncia all’ufficio da parte di un papa e di sede vacante – assolvono anche involontariamente ad un compito prezioso: presentare la serietà e grandezza dell’istituzione cattolica.

Concentrati sul conclave vediamo oggi un collegio che si prepara ad una elezione. Dalla “electio” il designato ottiene carisma pieno e assoluto di governo, sotto la norma sostanziale della Verità.

Il conclave, istanza elettiva cruciale, fin dalle origini è stato regolato con scrupolo di dettagli. Deve costituire una procedura della massima oggettività, in cui la sostanza, il valore (l’elezione del papa sotto l’azione dello Spirito), sono salvaguardati, e come favoriti, dalla razionalità formale, che è anche prudenza e sorveglianza.
Mi sorprendevo di trovare in un cerimoniale del periodo avignonese (attorno al 1365) la disciplina degli ambienti destinati ai cardinali, il loro sorteggio (come oggi), le rigide regole di condotta per il giorno e per la notte in quegli spazi angusti e provvisori. Inoltre, le forme di elezione per acclamazione o per gesti eccezionali e ispirati di singoli, che rischiassero di coartare l’autonomo giudizio di una parte dei cardinali, sono state via via escluse.

Dunque, un compito altissimo cui corrisponde una forma costante nei secoli, con radi, seppure rilevanti, perfezionamenti. Il cardinale (un uomo scelto da un pontefice per uno stabile ed efficiente ausilio alla sede petrina e alla persona pubblica del papa) in conclave è, volente o nolente, solo di fronte al sé e a Dio. In realtà ha un unico Interlocutore. Questo impasto di assoluto e di dettagli, di prestigiosi destini e di porte ben chiuse e (oggi) di schermature elettroniche, indica che la responsabilità verso l’Alto è ciò che regola, anzitutto, la Chiesa. E non può essere sostituita da una responsabilità verso l’opinione pubblica.
Ricordiamoci di questo di fronte al tanto parlare, caotico e standardizzato (così è l’opinione pubblica ovunque), dei bisogni di “apertura” e di “svolta”, di una Chiesa “più vicina alla gente”, cui il conclave dovrebbe rispondere.

Il cosiddetto maggior ascolto dei cristiani da parte della Chiesa è, poi, una trappola insidiosa. I cristiani, gli uomini, hanno (abbiamo) specialmente bisogno di guida e di ammaestramento, non di pensare la Chiesa come un altro “forum” in cui scriteriatamente sfogarsi. La forma cattolica, quale appare dal regolato dramma di una nuova elezione, attinge anzitutto a sé, e con ciò al suo divino fondatore, come si sarebbe detto un tempo e resta vero: alla sua radice gloriosa.

Pensare che le grandi decisioni della Chiesa debbano adeguarsi al sentire diffuso, attinto alle fonti inquinate della chiacchiera universale, nevrotizzato dai tanti saltimbanchi, è pensare l’opposto di ciò che è necessario agli uomini. Un amico parroco, disturbato da un mio elogio dello stile sacerdotale dell’Istituto di Cristo Re di Gricigliano, mi scriveva: “Ma tu che Chiesa vuoi?”. Rispondevo: “Non voglio nessuna Chiesa, nel senso che la Chiesa è prima e oltre noi. E l’idea stessa che io possa ‘volere’ la Chiesa in un certo modo, come si può volere un’associazione o una società della salute, è un errore”.

Non vi è, se si guarda in profondità, alcun “nuovo modo di vivere la Chiesa”, di far “parlare il Vangelo”, da affermare a Roma con un nuovo papa, ma un unico modo e sempre dato, e in sé sempre “nuovo”, per ogni persona e generazione. “Volere novità” è percepire debolmente la costituzione soprannaturale, la missione antica e inalterata, la stabilità sacramentale della Chiesa. È confondere i vissuti con la Verità e la Forma.
Mezzo secolo di tentazioni e di tentativi di instaurare modi “nuovi” e gratificanti, fuori di quella costituzione, in concorrenza imitativa con le successive egemonie culturali, forti o deboli, si è risolto in continui fallimenti. Un pubblicista “teologo” scrive che i cardinali debbono prendere tremendamente sul serio la “fenomenologia dello spirito contemporaneo”. Certamente, ma per attraversarne criticamente da parte a parte la natura burrosa, inconsistente, largamente subìta dai contemporanei, non per farne un modello per la Chiesa del futuro.

I modi elettivi di attribuzione dell’autorità nella Chiesa sono in questo esemplari. Diversamente dalla società civile, gli elettori, che siano cardinali o religiose, non tornano dopo il voto ai propri affari, ma restano senza scappatoie sotto quell’autorità che si sono scelti.


Firenze, 12 marzo 2013


Nessun commento:

Posta un commento