domenica 24 marzo 2013
“Ratzingeriani” una cum Papa nostro Francisco
“La stampa non mira ad informare il lettore, ma a convincerlo che lo sta informando”
(Nicolás Gómez Dávila)
Abbiamo atteso un po’ prima di ricominciare a scrivere per ripararci dalla melassa massmediatica che mira ad etichettare un papa per screditarne un altro. Niente di nuovo sotto il sole: è un film già visto. Ci dispiacerebbe solo se la gente si soffermasse solo su questi dettagli, senza seguire poi gli insegnamenti dell’attuale pontefice, soprattutto quando risulteranno “scomodi” per quel “mondo” che ora lo acclama, trasformando l’Osanna in un Crucifige. E proprio in quel momento si vedrà chi difende il magistero di Papa Francesco e chi invece, in preda all’euforia collettiva, voleva solo un papa “simpatico”, magari scambiando la misericordia per condiscendenza.
Noi siamo papisti e serviamo con dedizione tutti i pontefici da san Pietro a papa Francesco, passando per Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, perché Pietro ha molte facce ma è uno solo. Abbiamo un debole per il Papato, quindi ci piacciono tutti i papi: il polacco atletico, che al contempo era il “nonno polacco” per noi nati nei primi anni del suo pontificato; il tedesco mite e sapiente, che già apprezzavamo per i suoi scritti, l’amico e collaboratore più fidato di Giovanni Paolo II; e ora l’argentino semplice, il Papa preso “quasi alla fine del mondo”; ci piacciono quelli con la mozzetta rossa e quelli senza, quelli con la croce dorata e quelli con la croce di ferro, quelli con le scarpe rosse e quelli con le scarpe nere, e via con tutti i dettagli che in questo momento sembrano l’unico argomento di tanti giornalisti – ahinoi, anche cattolici – che sembrano confondere l’informazione con il gossip. Magari cercando la “rottura” a tutti i costi, soprattutto dove non c’è. Perché lo spirito (e lo splendore) della liturgia del papa bavarese e la povertà personale del pastore delle favelas indicano entrambi Cristo. Ma si sa che quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito…
Così che, lo ammettiamo, inizialmente un po’ spiazzati da quella spontaneità che qualcuno leggeva subito come rottura con il “venerato predecessore”, siamo riusciti a goderci il nuovo Papa solo dopo aver spento la televisione o almeno messo a tacere il giornalista di turno – meglio, anzi peggio se “cattolico” impegnato in una velata ma sistematica critica a Benedetto XVI, sulla quale per decenza stendiamo un velo pietoso, anzi un piviale ché un velo non basta. E abbiamo scoperto che Papa Francesco ci piace, ma per motivi opposti a quelli del “mondo”: a noi il Papa piace perché si alza alle 5 per pregare; perché celebra la liturgia assorto in preghiera; perché sta continuando l’Anno della Fede sminuzzando il Catechismo per noi tardi di comprendonio. Ci piace perché parla di Maria, di Giuseppe, parla persino del demonio. E aggiungiamo, da “ratzingeriani”, perché anche nelle celebrazioni ha saputo integrare quella sua sobrietà (in parte militaresca, dato l’ordine di provenienza del pontefice, e in parte dovuta alle dure condizioni del suo popolo) con la centralità della Croce – centralità anche visiva -, che abbiamo imparato da Benedetto XVI.
A quest’ultimo, non lo nascondiamo, siamo legati sin da quando era il card. Ratzinger, e vogliamo imitarlo anche in quella “obbedienza e reverenza” che prima di congedarsi ha promesso al suo – allora ignoto – successore, in cui ora vediamo il volto di Pietro. Non sembri pragmatica, o addirittura da “Pravda” questa affermazione; la “Pravda” ci pare piuttosto quello sconcerto umano, troppo umano (e a nostra parziale discolpa, mediaticamente alimentato), con cui lì per lì ci siamo chiesti: e adesso? E adesso abbiamo un nuovo Pastore e sotto la sua guida continuiamo la stessa missione, anche attraverso l’amore per le cose belle, per la sana tradizione e per la bella liturgia che è ricchezza anche dei poveri e per i poveri (e lo stesso san Francesco diceva di scegliere la povertà per sé, ma di offrire le cose più preziose per il culto divino); e deponiamo questi nostri tesori ai suoi piedi, li affidiamo alle sue mani, che sono le mani di Pietro.
Lo sconcerto o l’euforia, la “rottura” e la smania di novità, lasciamole pure a chi vede la Chiesa a cielo chiuso, come se fosse un’organizzazione puramente umana (sarebbe “una ONG pietosa”, ci ha detto Papa Francesco), quindi da valutare in base a strategie umane. Ma noi proprio alla scuola della liturgia, ordinaria e straordinaria, abbiamo imparato la centralità di Cristo.
E a noi piace il Papa, qualsiasi Papa, che si chiami Karol o Joseph o Jorge Mario, perché è proprio a lui che Cristo ha consegnato le chiavi.
Francisco Summo Pontifici et universali Patri,
pax, vita et salus perpetua!
marzo 22, 2013 di continuitas
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