di Sandro Magister
ROMA. 16 settembre 2012 – Per i cittadini del Libano, appena atterrato all'aeroporto di Beirut, Benedetto XVI ha invocato la saggezza di re Salomone. Perché sappiano conservare quel decisivo "equilibrio" tra i cristiani e "i loro fratelli di altre religioni" che può far da "modello per gli abitanti di tutta la regione, e per il mondo intero".
In un paese che porta i segni di una guerra civile ed è stato più volte invaso da truppe straniere, la scommessa era audace. Ma su di essa papa Joseph Ratzinger ha puntato senza esitazione, nei tre giorni della sua visita.
Nel discorso che sabato 15 settembre, nel palazzo presidenziale di Baadba, ha rivolto ai rappresentanti della repubblica libanese, ai membri del governo, ai capi religiosi e agli uomini della cultura, ha chiesto a tutti di ritrovarsi uniti su quei "valori comuni a tutte le grandi culture, perché radicati nella natura della persona umana".
Tra questi valori ha messo in primo piano la libertà religiosa.
Con un inatteso richiamo a Costantino che nel 313 dopo Cristo concesse la libertà ai cristiani nell'impero, Benedetto XVI ha chiesto che non solo in Libano – unico paese della regione in cui la conversione dall'islam al cristianesimo è socialmente tollerata – ma in tutto il Medio Oriente sia data libertà piena alla pratica pubblica di ogni fede religiosa, "senza mettere in pericolo la propria vita".
Oltre a questo, tra i "fondamenti" di quella "grammatica che è la legge naturale inscritta nel cuore umano", il papa ha particolarmente esaltato "il carattere sacro della vita donata dal Creatore".
La difesa della vita, ha detto, è la via alla vera pace:
"Oggi, le differenze culturali, sociali, religiose, devono approdare a vivere un nuovo tipo di fraternità, dove appunto ciò che unisce è il senso comune della grandezza di ogni persona, e il dono che essa è per se stessa, per gli altri e per l’umanità. Qui si trova la via della pace. Qui è l’impegno che ci è richiesto. Qui è l’orientamento che deve presiedere alle scelte politiche ed economiche, ad ogni livello e su scala planetaria".
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Detto questo a tutti i cittadini del Libano senza distinzione, Benedetto XVI si è però rivolto anche direttamente ai cristiani.
A loro ha chiesto semplicemente di "porsi alla sequela di Gesù". E così ha spiegato, nell'omelia della messa di domenica 16 settembre:
"Porsi alla sequela di Gesù significa prendere la propria croce per accompagnarlo nel suo cammino, un cammino scomodo che non è quello del potere o della gloria terrena, ma quello che conduce necessariamente a rinunciare a se stessi, a perdere la propria vita per Cristo e il Vangelo, al fine di salvarla. Poiché siamo certi che questa via conduce alla risurrezione, alla vita vera e definitiva con Dio. Decidere di accompagnare Gesù Cristo che si è fatto il servo di tutti esige un’intimità sempre più grande con lui, ponendosi all’ascolto attento della sua parola per attingervi l’ispirazione del nostro agire. Nel promulgare l’Anno della fede, che comincerà l’11 ottobre prossimo, ho voluto che ogni fedele possa impegnarsi in maniera rinnovata su questa via della conversione del cuore. Lungo tutto l’arco di questo anno, vi incoraggio dunque vivamente ad approfondire la vostra riflessione sulla fede per renderla più consapevole e per rafforzare la vostra adesione a Cristo Gesù e al suo Vangelo".
Due giorni prima, la sera di venerdì 14 settembre, Benedetto XVI aveva messo al centro la croce di Gesù anche nel promulgare l'esortazione apostolica a coronamento del sinodo per il Medio Oriente:
"È provvidenziale che questo atto abbia luogo proprio nel giorno della festa dell’Esaltazione della Santa Croce, la cui celebrazione è nata in Oriente nel 335, all’indomani della dedicazione della Basilica della Resurrezione costruita sul Golgota e sul sepolcro di Nostro Signore dall’imperatore Costantino il Grande, che voi venerate come santo. Fra un mese si celebrerà il 1700.mo anniversario dell’apparizione che gli fece vedere, nella notte simbolica della sua incredulità, il monogramma di Cristo sfavillante, mentre una voce gli diceva: "In questo segno, tu vincerai!'. [...]
"L'esortazione apostolica 'Ecclesia in Medio Oriente' vuole tracciare una via per ritrovare l’essenziale: la 'sequela Christi', in un contesto difficile e talvolta doloroso, un contesto che potrebbe far nascere la tentazione di ignorare o dimenticare la croce gloriosa. È proprio adesso che bisogna celebrare la vittoria dell’amore sull’odio, del perdono sulla vendetta, del servizio sul dominio, dell’umiltà sull’orgoglio, dell’unità sulla divisione. [...] Questo è il linguaggio della croce gloriosa! Questa è la follia della croce: quella di saper convertire le nostre sofferenze in grido d’amore verso Dio e di misericordia verso il prossimo; quella di saper anche trasformare degli esseri attaccati e feriti nella loro fede e nella loro identità, in vasi d’argilla pronti ad essere colmati dall’abbondanza dei doni divini più preziosi dell’oro (2 Cor 4, 7-18). Non si tratta di un linguaggio puramente allegorico, ma di un appello pressante a porre degli atti concreti che configurano sempre più a Cristo, atti che aiutano le diverse Chiese a riflettere la bellezza della prima comunità dei credenti (At 2, 41-47); atti simili a quelli dell’imperatore Costantino che ha saputo testimoniare e far uscire i cristiani dalla discriminazione per permettere loro di vivere apertamente e liberamente la loro fede nel Cristo crocifisso, morto e risorto per la salvezza di tutti".
Con questo, ancora una volta Benedetto XVI ha deluso chi vorrebbe da lui dei gesti politici eclatanti o delle soluzioni di strategia internazionale.
Ma proprio agendo così, è andato all'essenziale di ciò che la sua missione richiede.
A tutti, ha ricordato la grammatica dei diritti naturali. Ai cristiani, il segno della croce.
Chiesa.espressonline.it 17 settembre 2012
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