venerdì 28 settembre 2012

La teologia e il vincolo inscindibile che lega Creatore a creatura

 

 

 







Più pratica di quanto si pensi

di Inos Biffi

La sacra dottrina, dedicandosi primariamente alla considerazione di Dio, inteso come suo supremo interesse, non smarrisce le creature e in particolare non trascura l'uomo. Al contrario, proprio fissandosi su Dio, essa lo riscontra come creatore, mentre volgendosi alla Trinità trova il disegno dell'incarnazione del Figlio di Dio predestinato dall'eternità a farsi uomo. Dio -- che professiamo «Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili» -- non solo ha eternamente preceduto l'uomo nella cura degli esseri, ma, quale Essere supremo, li ha chiamati alla luce, quando ancora non c'erano, facendoli salire ed emergere dal loro nulla nativo. Noi amiamo gli esseri che ci sono; Dio li ha amati così che ci fossero e li sostiene incessantemente, perché, lasciati a se stessi, ricadrebbero nel non essere da cui sono venuti.
E risalta così l'assoluta gratuità del Creatore, la cui presenza nell'intimo delle creature non solo non le condiziona, ma le libera e le fa salire all'essere. Ecco perché, se una prossimità ci deve inquietare, non è quella di Dio, bensì quella degli uomini che, a motivo della loro costitutiva indigenza, sono esseri bisognosi, incapaci di una relazione di pura gratuità e sempre tentati di appropriarsi dell'essere altrui.
Come lucidamente scrive Tommaso d'Aquino: «Dio ama tutte le realtà esistenti. Non però come le amiamo noi. La nostra volontà, infatti, non causa il bene che si trova nelle cose, ma al contrario è mossa da esso come dal proprio oggetto, per cui l'amore, con il quale vogliamo del bene a qualcuno, non è causa della sua bontà, ma piuttosto la sua bontà, vera o creduta tale, provoca l'amore, che ci spinge a volere che gli sia mantenuto il bene che possiede e acquisti quello che non ha; e ci adoperiamo a tale scopo. L'amore di Dio, invece, infonde e crea la bontà nelle cose» (Summa Theologiae, i, 20, 2 c); esso «è causa della bontà delle cose» (ibidem, 3, c).
Fissandoci in Dio rinveniamo, dunque, l'origine di tutte le cose, che stanno “fuori” di lui ma sono da lui intimamente amate al punto che le fa esistere, e tra di esse reperiamo l'uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio. Per quanto, poi, riguarda l'uomo, la scoperta è stupefacente, poiché lo riscontriamo collocato nell'intimo della Trinità: è l'umanità del Figlio di Dio che «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Giovanni, 1, 14).
L'uomo rimane sempre una creatura, e, pure, un vincolo inscindibile lega la natura umana alla seconda Persona della Santissima Trinità, che la assume personalmente, rendendo la natura umana esemplare. Essa rappresenta il capolavoro e il vertice della creazione, la massima riuscita dell'opera divina, il termine dell'amore divino più grande. Tommaso dirà: «Dio ama Cristo non solo più di tutto il genere umano, ma più di tutte le creature dell'universo» (Summa Theologiae, i, 20, 4, 1 m). Più che stornare dall'interesse per l'uomo, la contemplazione trinitaria rimanda necessariamente all'uomo e al prestigio della sua inimmaginabile dignità.
Anzi, tutte le creature acquisiscono, a motivo di Gesù Cristo, un pregio nuovo e un valore inedito: tutto quanto, infatti, appartiene al mondo terreno e a quello celeste è stato ideato e posto in atto «per mezzo di lui», «in lui» e «in vista di lui» (cfr. Colossesi, 1, 16).
Come sappiamo, la scienza pratica tratta delle azioni umane (Summa Theologiae, i, 20, 4, c): ora, la teologia prende in considerazione tali azioni, ma a partire dalla Rivelazione, cioè dal profilo di Cristo, modello di condotta. In tal modo l'aspetto speculativo della sacra dottrina si estende a quello della prassi. Tuttavia non se ne distacca. Il comportamento stesso del cristiano è associato al cammino di Cristo verso il Padre, la cui visione rappresenta la somma aspirazione. Afferma ancora il Dottore Angelico: «La visione del Padre è il fine di tutti i nostri desideri e di tutte le nostre azioni, così che non si richiede nulla di più» (Super evangelium Iohannis reportatio, 14, lectio 3, n. 1883).
Il teologo irenico è attento a spartire equamente in due campi distinti ciò che spetta a Dio e ciò che spetta all'uomo, con la cura di non eccedere né in un senso né nell'altro.
Il teologo, e basta, non ha questa vana preoccupazione: poiché egli sa che, proprio “salendo” a Dio, con lui “discenderà” all'uomo autentico, quello che la Trinità ha ideato e attuato attraverso l'umanità del Verbo fatto carne, ossia l'uomo plasmato e amato come figlio. Non dobbiamo impegnarci a insegnare l'umanesimo a Dio, che dell'uomo è il creatore e per la sua redenzione ha donato il Figlio crocifisso.
Questo stesso teologo e il predicatore che gli terrà compagnia con la sua parola sono persuasi che la materia del loro studio e della loro parola non si esaurirà e non invecchierà mai; ma, al contrario, insegneranno e diranno sempre cose interessanti e originali, tali da non annoiare lettori o uditori, e semmai ne risveglieranno il gusto e il bisogno. Quando una teologia o una predicazione annoiano c'è il rischio che neppure siano vere.




(©L'Osservatore Romano 28 settembre 2012)


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