di Sandro Magister
CITTÀ DEL VATICANO, 10 settembre 2012 – La disputa sulla traduzione del “pro multis” della formula della consacrazione eucaristica si è arricchita, in Italia, di un nuovo interessante contributo.
Sull’argomento, infatti, è sceso in campo su uno dei principali quotidiani italiani, il "Corriere della Sera" di domenica 26 agosto, un personaggio di gran nome, l’arcivescovo di Chieti e Vasto, Bruno Forte, già membro della commissione teologica internazionale e consacrato vescovo dall'allora cardinale Joseph Ratzinger:
Quell'Ultima Cena con le sedie vuote
Nell'articolo, sulla scia della lettera indirizzata il 14 aprile scorso da Benedetto XVI ai vescovi tedeschi, Forte prende nettamente posizione a favore della traduzione “per molti”, in sostituzione del "per tutti" entrato in uso dopo il Concilio in Italia e in numerosi altri paesi.
"Teologicamente – scrive Forte – mi sembra più rispettoso della libertà di ognuno la traduzione 'per molti', che peraltro in nessun modo esclude l’offerta della salvezza a tutti fatta da Gesù in croce".
"Per questo – aggiunge concludendo l’articolo – preferisco la traduzione 'per molti' e ritengo che ben spiegata possa essere di aiuto e di stimolo a tanti".
Forte critica anche la traduzione che si trova nel messale francese "pour la moltitude", apprezzata recentemente da due studiosi italiani, Francesco Pieri e Silvio Barbaglia.
Forte liquida la versione "per una moltitudine", proposta da costoro, come una di quelle "soluzioni intermedie" che "per quanto apprezzabili" sono "inevitabilmente compromissorie".
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La discesa in campo di Forte è significativa e, per certi versi, sorprendente.
Significativa perché egli è uno dei vescovi italiani più noti, anche a livello internazionale, e gode di un cospicuo seguito tra i suoi confratelli vescovi, che infatti lo hanno votato come loro rappresentante al sinodo mondiale sulla nuova evangelizzazione che si celebrerà a Roma in ottobre. Dei quattro prescelti è l’unico senza porpora, gli altri tre infatti sono tutti cardinali: Angelo Bagnasco, Giuseppe Betori e Angelo Scola.
Sorprendente perché Forte è da sempre considerato un teologo del campo progressista, il campo che più si oppone, e non solo in Italia, al passaggio da “per tutti” a “per molti”.
Nel memorabile convegno ecclesiale di Loreto del 1985, che segnò l’ascesa nella leadership della Chiesa italiana dell’allora vescovo ausiliare di Reggio Emilia Camillo Ruini, Forte militava, appunto, nell’altro campo, all'epoca vincente, assieme all’allora presidente della conferenza episcopale Anastasio Ballestrero e al cardinale Carlo Maria Martini. E fu lui a tenere la relazione teologica introduttiva.
Per questo è finito non di rado nel mirino dei colleghi teologi più conservatori.
Ad esempio, in un articolo del 2004 don Nicola Bux, consultore – allora e oggi – della congregazione per la dottrina della fede, additò Forte come uno dei "divulgatori" di una "teologia debole e derivativa" riguardo alla risurrezione di Gesù, ridotta "a 'leggenda eziologica', ovvero a un artificio per suffragare il culto che i giudeo-cristiani svolgevano sul luogo della sepoltura di Gesù".
Ma la discesa in campo di Forte è ancor di più sorprendente perché segna in lui un cambiamento di giudizio rispetto al passato.
Durante l’assemblea generale della CEI del novembre 2010, quando i vescovi italiani ribadirono con una votazione massiccia il proprio favore al mantenimento della versione “per tutti”, Forte fu tra i pochi che intervennero nella discussione in aula sull’argomento. E intervenne a sostegno della maggioranza.
In quella occasione il teologo napoletano – zio per parte materna del procuratore John Henry Woodcock, molto noto per le sue indagini giudiziarie ad alto coefficiente mediatico, l’ultima contro l’ex presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi – affermò sì che "l’alternativa 'per molti/per tutti' contiene una sfumatura teologicamente fondata" ma – aggiunse – si tratta di una sfumatura "troppo sottile da spiegare alla gente" e così espresse il parere di "mantenere la traduzione attualmente in uso".
In quella assemblea i vescovi votarono plebiscitariamente a favore del mantenimento del “per tutti” con 171 voti su 187 votanti (oltre a una scheda bianca, solo 11 si espressero a favore del “per molti” e 4 per la versione “per le moltitudini”). E ciò nonostante la lettera circolare con cui nell’ottobre del 2006 la congregazione vaticana per il culto divino aveva dato agli episcopati mondiali l’indicazione autorevole, su mandato del neoeletto Benedetto XVI, di tradurre con “per molti” il “pro multis” della "editio typica" latina del messale romano.
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Attualmente il testo della nuova traduzione del messale italiano è al vaglio della congregazione per il culto divino, che deve dare la necessaria “recognitio”. E alla luce della lettera del papa ai vescovi tedeschi dello scorso aprile è facilmente prevedibile che il dicastero non transigerà sul passaggio da "per tutti" a "per molti".
La partita potrebbe restare ancora aperta, semmai, per quanto riguarda altri punti sensibili della traduzione. Come i cambiamenti proposti dai vescovi, con massicci voti a sostegno del distacco dall'originale latino, per il "pax hominibus bonae voluntatis" del Gloria e per il "ne nos inducas in temptationem" del Padre Nostro, o, con un criterio contrario, la richiesta di non toccare l'attuale versione italiana del "Domine non sum dignus", clamorosamente – e arbitrariamente – difforme dall’originale latino ("Signore, io non sono degno di partecipare alla tua mensa", invece di "Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto" del messale latino, ripreso alla lettera da Matteo 8, 7).
In questo quadro si situa la svolta di Forte a favore del "per molti". Svolta che i più maliziosi leggono come un suo passaggio sul carro del vincitore in una battaglia per lui ormai persa, in vista di eventuali promozioni future.
Forte era considerato in corsa per il patriarcato di Venezia e per quella carica ebbe un "endorsement" pubblico dell’ex sindaco di centrosinistra della città, il filosofo Massimo Cacciari.
Ora sono già iniziate le grandi manovre per due sedi italiane di tradizione cardinalizia – Bologna e Palermo – i cui pastori, rispettivamente Carlo Caffarra e Paolo Romeo, compiranno 75 anni nel corso del 2013. Ma questa è un’altra storia.
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350321
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