di Padre Giovanni Cavalcoli
Recentemente, nello spazio dedicato ai commenti di questo sito, è apparso l’intervento del Dottor Andrea, neurobiologo, per porre obiezioni alle tesi che sostenevo in un mio precedente articolo dedicato al rapporto anima-corpo.
Essere stato oggetto dell’attenzione di uno scienziato è quindi per me motivo di piacere, ed innalza il tono della conversazioni del sito, anche se la posizione dell’Autore è in netto contrasto con le mie tesi; ma è esposta con tanto garbo e serietà che non posso sottrarmi ad una risposta, che del resto mi vien chiesta dallo Scrivente.
D’altra parte l’importanza e la complessità dell’argomento non consentiva una risposta nei commenti, ma mi è parso conveniente dedicare all’intervento di Andrea un vero e proprio articolo, sperando di riuscire convincente, ma aperto nel contempo ad una replica di Andrea.
Purtroppo, data la mia incompetenza nella sua complessa e preziosa disciplina, non sono in grado di entrare nel dettaglio delle sue osservazioni. Tuttavia non credo che ciò nuoccia alla sostanza della discussione, perché credo di aver capito il nerbo della sua argomentazione, anche se egli la sostiene con dati che, lo ripeto, esulano dalle mie competenze. Ma credo che ci intenderemo ugualmente là dove Andrea mi offre qualche aggancio sul piano della filosofia o della psicologia, che è il mio terreno.
Egli esordisce con l’affermazione che “il pensiero ha origine dal cervello”. Rispondo subito dicendo che dobbiamo intenderci sul significato, qui, del termine “origine”. Se per “origine” Andrea intende origine necessaria ma non sufficiente, sono d’accordo. Se invece intende necessaria e sufficiente, non concordo. E spiegherò le mie ragioni.
La mia tesi infatti è che il piano neurobiologico è necessario per spiegare il pensiero umano, ma non è sufficiente. Le prove che Andrea adduce a suo favore, per quanto, ripeto, rientrino nella sua competenza che non è la mia, mi fanno comunque tutte capire, come del resto prevedevo, che attengono ad un piano di realtà che, come è logico per il neurobiologo, è una realtà che cade sotto i sensi ed è matematicamente misurabile o quantificabile.
Sennonchè la natura e le manifestazioni proprie del pensiero – e questo è il campo più proprio della psicologia e della filosofia o, se vogliamo esser più precisi, di quella disciplina psicologica che sia chiama “gnoseologia” -, pongono degli interrogativi ai quali la scienza sperimentale non solo non è in grado di rispondere in base al suo metodo proprio, ma che non è neppure in grado di comprendere.
Con tutto ciò non nego affatto ed anzi lo ripeto che il pensiero umano nell’individuo corporeo vivente ha una base od origine fisico-sperimentabile, oggetto appunto della neurobiologia e che pure il pensiero ha delle manifestazioni di carattere fisico, come sono i segni fisici del linguaggio o l’aspetto fonetico o grafico o l’espressione gestuale della verbalizzazione e della concettualizzazione.
Questi fenomeni fisici, di carattere anche fisiologico, oggetto della fisiologia umana, preparano l’esercizio del pensiero o esprimono esternamente l’esercizio del pensiero, ma non costituiscono il pensare come tale, che denota nel soggetto umano un potere vitale immensamente superiore a quanto può fare o produrre una semplice energia materiale qual è quella che in fin dei conti è quell’attività cerebrale che è oggetto della neurobiologia.
Il fenomeno del pensare ci pone di fronte al fenomeno dell’immaterialità, ossia di un livello di realtà e di attività che si rivela di un raggio, di un’ampiezza, di una potenza, di un’intenzionalità, di una profondità, di un’elevatezza, di una vastità, di un’importanza, di una capacità di realizzazione immensamente superiori a quanto la semplice attività fisica cerebrale può compiere. E’ in altre parole il fenomeno della conoscenza legata alla concettualizzazione, che poi viene espressa nella verbalizzazione o in opportuni segni gestuali o espressioni del volto o del corpo, per esempio dello sguardo o delle mani, e in tutti i prodotti della tecnica e dell’arte.
Invece col pensiero, con la conoscenza e con la concettualizzazione, che è l’effetto proprio degli atti dell’uomo in quanto uomo, essere razionale, – la conoscenza esiste già a livello animale -, entriamo in un ordine di realtà nuovo e sconosciuto a quello delle sole scienze sperimentali, compresa quindi la neurobiologia, che hanno mezzi adatti e sufficienti per spiegare solo la realtà corporea, fisica, materiale, sensibile, quantificabile.
Il punto di partenza per la scoperta di ciò che poi in filosofia si è convenuto di chiamare “anima” o “spirito”, ovvero “anima spirituale”, giacchè anche animali e piante hanno un’“anima”, che però non è spirituale, è il concetto, che si esprime nell’immagine, nel ricordo, nella parola e nel gesto – qui sì che la neurobiologia e la fisiologia hanno da insegnare.
Che cosa è il concetto? E’ un’entità, non sensibile e immateriale, è una rappresentazione della realtà che avvertiamo nel nostro intimo, nel nostro io, nella nostra “mente” o nella nostra “psiche”, non diciamo ancora “anima” o “spirito”, perché questo è proprio ciò che dobbiamo dimostrare secondo l’istanza di Andrea. Il concetto è una cosa meravigliosa e misteriosa ad un tempo, da noi prodotta, una potenza enorme che è data alla nostra intelligenza e con la quale trascendiamo infinitamente i limiti della materia.
E’ un’energia con la quale non solo il reale “entra” in noi smaterializzato, in quanto conosciuto, pensato o rappresentato, ma con la quale possiamo a volontà modificare il reale esterno o muovere le membra del nostro corpo per quella che è l’azione morale, del lavoro, della tecnica e dell’arte. Il concetto non è visibile agli occhi, non ha un peso, non ha un’estensione nello spazio, è al di sopra del tempo, non ha un odore, non ha un sapore. Sarebbe ridicolo solo il pensarlo.
E’ un’entità immateriale e alla fine “spirituale”, ossia esistente indipendentemente dalla materia e quindi immortale, anche se a questo punto è d’obbligo l’avvertimento del neurobiologo che ci dice che senza salute cerebrale la concettualizzazione è compromessa o impossibile o che recenti fanno addirittura prevedere nell’analisi del dinamismo o del trend cerebrale il formarsi di un pensiero, di un’intenzione o di una libera scelta.
Ma resta sempre che questi atti in se stessi, essendo immateriali, non possono essere sufficientemente spiegati od “originati” da dinamismi semplicemente materiali, i cui atti sono immensamente al di sotto di quanto pensiero, conoscenza, coscienza, intenzione, concetto, libertà possono fare.
Che cosa è infatti il concetto? Che cosa ci dà? Prendiamo ad esempio un concetto qualunque: il concetto di cane. E’ evidente che sotto questo concetto, questo “universale”, questo unum in multis, possiamo porre o possono esistere infiniti cani pensati possibili. Il cane non è necessariamente Fido e Pluto, perché altrimenti Lassie o Tom, individui diversi, non potrebbero essere cani.
Dunque il concetto di cane astrae dai caratteri individuali legati alla materia, è un qualcosa di smaterializzato e se considera la materia, la considera astrattamente ossia smaterializzatamente. Ecco aprirsi la soglia dello spirito. Ecco che entriamo nel regno dell’anima. Ecco la necessità di ammettere l’esistenza dell’anima come soggetto dell’attività dell’intelligenza e del pensiero come produttori dei concetti. Dunque il concetto ha in certo modo una potenza infinita, è un certo infinito. Essendo al di sopra dello spazio e del tempo, è incorruttibile ed immutabile.
Altra prova dell’immaterialità del pensiero e dell’anima è l’attività della coscienza, per la quale il pensiero si ripiega e “torna” su se stesso – la riflessione -, atto del quale la materia non è assolutamente capace: il soggetto nel pensiero diventa trasparente a se stesso e conosce se stesso e i propri atti. L’io scopre se stesso, come ci ricordano S.Agostino e Cartesio. La materia non è capace né di conoscenza, né di pensiero, né di coscienza, atti preziosissimi che fanno la dignità nobilissima della persona, capace di conoscere l’Assoluto, la Causa prima di tutte le cose.
Dunque l’anima, soggetto immateriale, dà origine al pensiero così da spiegarne la natura immateriale. Il che sia detto senza misconoscerne in nulla l’origine neurobiologica, stante però sempre il fatto che anche il livello neurobiologico, essendo un livello vitale, dev’esser spiegato con l’anima, questa volta non nella sua funzione spirituale, ma nella sua funzione vegetativa, che riscontriamo anche nelle piante e negli animali. Infatti in noi esistono tutti i livelli della vita: vegetativa, sensitiva e spirituale. E’ l’anima è appunto il principio vitale del soggetto, ciò che dà forma e movimento alla sua materia e in questo senso è presente in tutte le parti del corpo, naturalmente escluse alcune, come per esempio le unghie e i capelli.
A questo punto ha senso parlare di cause inferiori o superiori, perchè abbiamo diversi gradi di potenza e di energia della vita. Allora bisogna dire che ad effetti superiori occorrono cause superiori, se è vero che il principio di causalità è fondamento di tutto il sapere scientifico, secondo il quale la causa deve essere superiore all’effetto, cioè deve dare un apporto nuovo di conoscenza, quindi deve supporre un superiore livello di realtà, altrimenti non spiegherebbe l’effetto e ne sapremmo quanto prima. Non avremmo nessuna scoperta scientifica e nessun progresso nella conoscenza.
Per questo non si può spiegare il più (spirito) col meno (materia), altrimenti non solo ne sapremmo quanto prima, ma ne sapremmo meno di prima. Infatti un livello superiore di conoscenza suppone che abbiamo raggiunto un livello superiore di realtà, altrimenti la scienza invece di andare avanti tornerebbe indietro. L’aver scoperto l’esistenza dello spirito da parte dei filosofi (vedi per esempio Platone) è stata una conquista del sapere che non ha arrecato alcun pregiudizio alle forme inferiori del sapere legate alla conoscenza della materia, ma anzi stimola lo scienziato ad andare oltre verso il mondo dello spirito.
Per concludere, il rapporto neurologia-psicologia. Nessun dubbio che la neurologia offre ottimi servizi alla psicologia. Ma siamo daccapo. La neurobiologia non spiega interamente l’origine del pensiero, soprattutto non ci dà la causa efficiente sufficiente, ci offre una condizione indispensabile e certo fornisce una causalità materiale. Ma il proprio del pensiero accompagnato dalla volontà, ossia la sua potenza infinitamente superiore a quella della materia, la sua immaterialità e spiritualità vanno spiegate solo con una causa altrettanto immateriale e spirituale, che sono l’intelletto e la conoscenza, le quali sono potenze dell’anima spirituale ed immortale, immortale perché immateriale, immateriale perché semplice, cioè non composta di parti come è la materia.
Ora, la morte è dissoluzione della materia nelle sue parti. Ma l’anima, non essendo composta di parti, resta viva in se stessa senza limiti di tempo, perché è al di sopra dello scorrere del tempo, legato alla materia, ed è aperta quindi all’Eterno, all’Infinito, è aperta, ci dice la religione, a Dio.
Dunque i progressi della neurobiologia, che io auguro continui e gloriosi, per il bene dell’umanità e per il bene delle stesse funzioni superiori dello spirito – mens sana in corpore sano - non riducono per nulla la realtà dell’anima né la rendono inutile, ma anzi contribuiscono a farla conoscere sempre meglio e a svelarne l’importanza essenziale per la spiegazione sufficiente dei fenomeni più alti e più importanti della vita umana.
Libertà e Persona 26 settembre 2012
Essere stato oggetto dell’attenzione di uno scienziato è quindi per me motivo di piacere, ed innalza il tono della conversazioni del sito, anche se la posizione dell’Autore è in netto contrasto con le mie tesi; ma è esposta con tanto garbo e serietà che non posso sottrarmi ad una risposta, che del resto mi vien chiesta dallo Scrivente.
D’altra parte l’importanza e la complessità dell’argomento non consentiva una risposta nei commenti, ma mi è parso conveniente dedicare all’intervento di Andrea un vero e proprio articolo, sperando di riuscire convincente, ma aperto nel contempo ad una replica di Andrea.
Purtroppo, data la mia incompetenza nella sua complessa e preziosa disciplina, non sono in grado di entrare nel dettaglio delle sue osservazioni. Tuttavia non credo che ciò nuoccia alla sostanza della discussione, perché credo di aver capito il nerbo della sua argomentazione, anche se egli la sostiene con dati che, lo ripeto, esulano dalle mie competenze. Ma credo che ci intenderemo ugualmente là dove Andrea mi offre qualche aggancio sul piano della filosofia o della psicologia, che è il mio terreno.
Egli esordisce con l’affermazione che “il pensiero ha origine dal cervello”. Rispondo subito dicendo che dobbiamo intenderci sul significato, qui, del termine “origine”. Se per “origine” Andrea intende origine necessaria ma non sufficiente, sono d’accordo. Se invece intende necessaria e sufficiente, non concordo. E spiegherò le mie ragioni.
La mia tesi infatti è che il piano neurobiologico è necessario per spiegare il pensiero umano, ma non è sufficiente. Le prove che Andrea adduce a suo favore, per quanto, ripeto, rientrino nella sua competenza che non è la mia, mi fanno comunque tutte capire, come del resto prevedevo, che attengono ad un piano di realtà che, come è logico per il neurobiologo, è una realtà che cade sotto i sensi ed è matematicamente misurabile o quantificabile.
Sennonchè la natura e le manifestazioni proprie del pensiero – e questo è il campo più proprio della psicologia e della filosofia o, se vogliamo esser più precisi, di quella disciplina psicologica che sia chiama “gnoseologia” -, pongono degli interrogativi ai quali la scienza sperimentale non solo non è in grado di rispondere in base al suo metodo proprio, ma che non è neppure in grado di comprendere.
Con tutto ciò non nego affatto ed anzi lo ripeto che il pensiero umano nell’individuo corporeo vivente ha una base od origine fisico-sperimentabile, oggetto appunto della neurobiologia e che pure il pensiero ha delle manifestazioni di carattere fisico, come sono i segni fisici del linguaggio o l’aspetto fonetico o grafico o l’espressione gestuale della verbalizzazione e della concettualizzazione.
Questi fenomeni fisici, di carattere anche fisiologico, oggetto della fisiologia umana, preparano l’esercizio del pensiero o esprimono esternamente l’esercizio del pensiero, ma non costituiscono il pensare come tale, che denota nel soggetto umano un potere vitale immensamente superiore a quanto può fare o produrre una semplice energia materiale qual è quella che in fin dei conti è quell’attività cerebrale che è oggetto della neurobiologia.
Il fenomeno del pensare ci pone di fronte al fenomeno dell’immaterialità, ossia di un livello di realtà e di attività che si rivela di un raggio, di un’ampiezza, di una potenza, di un’intenzionalità, di una profondità, di un’elevatezza, di una vastità, di un’importanza, di una capacità di realizzazione immensamente superiori a quanto la semplice attività fisica cerebrale può compiere. E’ in altre parole il fenomeno della conoscenza legata alla concettualizzazione, che poi viene espressa nella verbalizzazione o in opportuni segni gestuali o espressioni del volto o del corpo, per esempio dello sguardo o delle mani, e in tutti i prodotti della tecnica e dell’arte.
Invece col pensiero, con la conoscenza e con la concettualizzazione, che è l’effetto proprio degli atti dell’uomo in quanto uomo, essere razionale, – la conoscenza esiste già a livello animale -, entriamo in un ordine di realtà nuovo e sconosciuto a quello delle sole scienze sperimentali, compresa quindi la neurobiologia, che hanno mezzi adatti e sufficienti per spiegare solo la realtà corporea, fisica, materiale, sensibile, quantificabile.
Il punto di partenza per la scoperta di ciò che poi in filosofia si è convenuto di chiamare “anima” o “spirito”, ovvero “anima spirituale”, giacchè anche animali e piante hanno un’“anima”, che però non è spirituale, è il concetto, che si esprime nell’immagine, nel ricordo, nella parola e nel gesto – qui sì che la neurobiologia e la fisiologia hanno da insegnare.
Che cosa è il concetto? E’ un’entità, non sensibile e immateriale, è una rappresentazione della realtà che avvertiamo nel nostro intimo, nel nostro io, nella nostra “mente” o nella nostra “psiche”, non diciamo ancora “anima” o “spirito”, perché questo è proprio ciò che dobbiamo dimostrare secondo l’istanza di Andrea. Il concetto è una cosa meravigliosa e misteriosa ad un tempo, da noi prodotta, una potenza enorme che è data alla nostra intelligenza e con la quale trascendiamo infinitamente i limiti della materia.
E’ un’energia con la quale non solo il reale “entra” in noi smaterializzato, in quanto conosciuto, pensato o rappresentato, ma con la quale possiamo a volontà modificare il reale esterno o muovere le membra del nostro corpo per quella che è l’azione morale, del lavoro, della tecnica e dell’arte. Il concetto non è visibile agli occhi, non ha un peso, non ha un’estensione nello spazio, è al di sopra del tempo, non ha un odore, non ha un sapore. Sarebbe ridicolo solo il pensarlo.
E’ un’entità immateriale e alla fine “spirituale”, ossia esistente indipendentemente dalla materia e quindi immortale, anche se a questo punto è d’obbligo l’avvertimento del neurobiologo che ci dice che senza salute cerebrale la concettualizzazione è compromessa o impossibile o che recenti fanno addirittura prevedere nell’analisi del dinamismo o del trend cerebrale il formarsi di un pensiero, di un’intenzione o di una libera scelta.
Ma resta sempre che questi atti in se stessi, essendo immateriali, non possono essere sufficientemente spiegati od “originati” da dinamismi semplicemente materiali, i cui atti sono immensamente al di sotto di quanto pensiero, conoscenza, coscienza, intenzione, concetto, libertà possono fare.
Che cosa è infatti il concetto? Che cosa ci dà? Prendiamo ad esempio un concetto qualunque: il concetto di cane. E’ evidente che sotto questo concetto, questo “universale”, questo unum in multis, possiamo porre o possono esistere infiniti cani pensati possibili. Il cane non è necessariamente Fido e Pluto, perché altrimenti Lassie o Tom, individui diversi, non potrebbero essere cani.
Dunque il concetto di cane astrae dai caratteri individuali legati alla materia, è un qualcosa di smaterializzato e se considera la materia, la considera astrattamente ossia smaterializzatamente. Ecco aprirsi la soglia dello spirito. Ecco che entriamo nel regno dell’anima. Ecco la necessità di ammettere l’esistenza dell’anima come soggetto dell’attività dell’intelligenza e del pensiero come produttori dei concetti. Dunque il concetto ha in certo modo una potenza infinita, è un certo infinito. Essendo al di sopra dello spazio e del tempo, è incorruttibile ed immutabile.
Altra prova dell’immaterialità del pensiero e dell’anima è l’attività della coscienza, per la quale il pensiero si ripiega e “torna” su se stesso – la riflessione -, atto del quale la materia non è assolutamente capace: il soggetto nel pensiero diventa trasparente a se stesso e conosce se stesso e i propri atti. L’io scopre se stesso, come ci ricordano S.Agostino e Cartesio. La materia non è capace né di conoscenza, né di pensiero, né di coscienza, atti preziosissimi che fanno la dignità nobilissima della persona, capace di conoscere l’Assoluto, la Causa prima di tutte le cose.
Dunque l’anima, soggetto immateriale, dà origine al pensiero così da spiegarne la natura immateriale. Il che sia detto senza misconoscerne in nulla l’origine neurobiologica, stante però sempre il fatto che anche il livello neurobiologico, essendo un livello vitale, dev’esser spiegato con l’anima, questa volta non nella sua funzione spirituale, ma nella sua funzione vegetativa, che riscontriamo anche nelle piante e negli animali. Infatti in noi esistono tutti i livelli della vita: vegetativa, sensitiva e spirituale. E’ l’anima è appunto il principio vitale del soggetto, ciò che dà forma e movimento alla sua materia e in questo senso è presente in tutte le parti del corpo, naturalmente escluse alcune, come per esempio le unghie e i capelli.
A questo punto ha senso parlare di cause inferiori o superiori, perchè abbiamo diversi gradi di potenza e di energia della vita. Allora bisogna dire che ad effetti superiori occorrono cause superiori, se è vero che il principio di causalità è fondamento di tutto il sapere scientifico, secondo il quale la causa deve essere superiore all’effetto, cioè deve dare un apporto nuovo di conoscenza, quindi deve supporre un superiore livello di realtà, altrimenti non spiegherebbe l’effetto e ne sapremmo quanto prima. Non avremmo nessuna scoperta scientifica e nessun progresso nella conoscenza.
Per questo non si può spiegare il più (spirito) col meno (materia), altrimenti non solo ne sapremmo quanto prima, ma ne sapremmo meno di prima. Infatti un livello superiore di conoscenza suppone che abbiamo raggiunto un livello superiore di realtà, altrimenti la scienza invece di andare avanti tornerebbe indietro. L’aver scoperto l’esistenza dello spirito da parte dei filosofi (vedi per esempio Platone) è stata una conquista del sapere che non ha arrecato alcun pregiudizio alle forme inferiori del sapere legate alla conoscenza della materia, ma anzi stimola lo scienziato ad andare oltre verso il mondo dello spirito.
Per concludere, il rapporto neurologia-psicologia. Nessun dubbio che la neurologia offre ottimi servizi alla psicologia. Ma siamo daccapo. La neurobiologia non spiega interamente l’origine del pensiero, soprattutto non ci dà la causa efficiente sufficiente, ci offre una condizione indispensabile e certo fornisce una causalità materiale. Ma il proprio del pensiero accompagnato dalla volontà, ossia la sua potenza infinitamente superiore a quella della materia, la sua immaterialità e spiritualità vanno spiegate solo con una causa altrettanto immateriale e spirituale, che sono l’intelletto e la conoscenza, le quali sono potenze dell’anima spirituale ed immortale, immortale perché immateriale, immateriale perché semplice, cioè non composta di parti come è la materia.
Ora, la morte è dissoluzione della materia nelle sue parti. Ma l’anima, non essendo composta di parti, resta viva in se stessa senza limiti di tempo, perché è al di sopra dello scorrere del tempo, legato alla materia, ed è aperta quindi all’Eterno, all’Infinito, è aperta, ci dice la religione, a Dio.
Dunque i progressi della neurobiologia, che io auguro continui e gloriosi, per il bene dell’umanità e per il bene delle stesse funzioni superiori dello spirito – mens sana in corpore sano - non riducono per nulla la realtà dell’anima né la rendono inutile, ma anzi contribuiscono a farla conoscere sempre meglio e a svelarne l’importanza essenziale per la spiegazione sufficiente dei fenomeni più alti e più importanti della vita umana.
Libertà e Persona 26 settembre 2012
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