La vaticanista Angela Ambrogetti racconta il viaggio a Beirut di Benedetto XVI: «È andato in Medio Oriente per parlare di pace e mettere in guardia dal fondamentalismo e dalla secolarizzazione».
Il viaggio di Benedetto XVI in Libano? «È stato il successo» di un Papa che ha portato «il messaggio della pace in Medio Oriente, anche se tanti in Occidente gli dicevano di non andare perché era pericoloso. Invece lui è andato dove c’era più bisogno e proprio perché c’era bisogno». La vaticanista Angela Ambrogetti, che ha seguito Benedetto XVI a Beirut, da venerdì 14 a domenica 16 agosto, racconta a tempi.it perché «questo viaggio lascerà il segno».
Il Libano è un paese dove convivono 18 confessioni religiose differenti. Come è stato accolto il Papa?
L’accoglienza è stata festosa e grandiosa: Beirut era tappezzata di manifesti, bandiere, megaschermi, la faccia del Papa era ovunque a grandezza spropositata. C’è stata una grande partecipazione di giovani, sia all’incontro a loro dedicato del sabato pomeriggio che alla Messa. In tanti sono venuti domenica, anche solo per dire: io c’ero. E poi quando Benedetto XVI si è recato dal presidente della Repubblica in papamobile, la gente ha affollato le strade per incontrarlo. Tutti i libanesi, e tutto il Medio Oriente, l’hanno accolto.
In tanti avevano consigliato al Papa di non andare a causa della tensione e delle guerre che scuotono il Medio Oriente, a partire dalla confinante Siria.
La risposta del Papa è stata: io vado in Medio Oriente proprio perché c’è bisogno. E poi Beirut non era sotto assedio come hanno scritto alcuni. Certo, davanti agli alberghi c’erano i sistema contro le autobombe, ma questo è diventata una cosa normale per i paesi del Medio Oriente.
Qual è stato il filo rosso del viaggio?
La pace, il Papa ha ripetuto tantissime volte di «essere venuto qui a parlarvi di pace e a portarvela» in un momento difficilissimo per il Medio Oriente. Ha spiegato a tutti che la convivenza è importante, che il dialogo è fondamentale, che la pace bisogna volerla e che per ottenerla sono indispensabili il rispetto della dignità dell’uomo e della libertà religiosa.
Appena il Papa è sbarcato a Beirut in tutti i paesi arabi sono scoppiate le rivolte contro le ambasciate americane, innescate da un film demenziale su Maometto.
La sera che siamo arrivati abbiamo saputo di Tripoli e delle rivolte, abbiamo cercato di carpire come avrebbe reagito il Papa. La sua reazione è stata serena e tranquilla e nei suoi discorsi ha ricordato che nella religione non c’è spazio per il fondamentalismo – che è una deviazione – e che bisogna rispettare l’altro e la sua diversità. Ma ha anche voluto ricordare ai giovani che non bisogna cedere alla secolarizzazione, che è il secondo rischio più grande oggi insieme al fondamentalismo, perché entrambi portano violenza e intolleranza. Ma non bisogna pensare che abbia affrontato temi teorici: perché ha anche trattato temi spinosi come l’importazione delle armi, che ha definito un «peccato grave».
Anche i musulmani hanno apprezzato la sua visita?
Assolutamente. L’incontro privato con i quattro leader dei maggiori gruppi islamici, sunniti sciiti alawiti e drusi, è stato cordiale e familiare. Il gran muftì, la massima carica islamica, ha affermato che «i cristiani non devono andare via dal Libano perché sono fondamentali nella sua storia» e che «bisogna lavorare sulla comunione». Durante l’incontro del sabato pomeriggio e alla Messa, poi, c’erano anche giovani musulmani.
Il Papa ha poi firmato l’esortazione post-sinodale. È stato un avvenimento formale o questo documento aiuterà davvero i cristiani del Medio Oriente?
L’esortazione ha un valore enorme perché ha portato dei temi che sembrano solo occidentali in Medio Oriente: il tema della sana laicità, ad esempio, è molto importante per un paese del Medio Oriente che ospita 18 confessioni. Il testo poi contiene indicazioni concrete per le chiese perché ricreino una vera e profonda identità cristiana, basata sulla certezza della fede, il catechismo, i sacramenti. È un invito ai cristiani a restare in Medio Oriente e ad essere veri cristiani, perché solo così si può incidere nella società.
Qual è stato il momento più importante della visita?
È difficile dirlo. A me è piaciuto l’incontro con i giovani, perché sembrava una festa. Erano in 30 mila, i ragazzi erano attentissimi nonostante le ore passate sotto un sole cocente ad attendere il Papa.
È un viaggio che lascerà il segno?
Spero e credo di sì, è stato un viaggio riuscitissimo, tutti erano entusiasti e l’accoglienza della gente ha spazzato via i dubbi e la preoccupazione della partenza.
Tempi 17 settembre 2012
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