a cura di Ester M. Ledda
Ha avuto molto successo la “cacciagione” dedicati ai santi confessori. Ho ricevuto molte emails che mi chiedevano di riportare altri “fioretti” dei santi, riguardanti non solo il sacramento della Penitenza. La Strega cercherà di accontentare i suoi lettori. Riprendendo quello che si chiama “il filo del discorso”, cominciamo con un santo confessore.
SAN FILIPPO NERI
Un giovane era molto angustiato perché, per vergogna, taceva alcuni peccati durante la santa confessione. Quando sentì parlare del sacerdote Filippo Neri come si può parlare solamente di un sacerdote santo, decise di recarsi presso di lui, perché temeva per la salvezza della sua anima. Il futuro santo appena lo vide, gli corse incontro, come se lo conoscesse da sempre, lo abbracciò e lo guardò un po’ severamente, ma anche con molta compassione. Il giovane ne fu talmente commosso da non riuscire a trattenere la lacrime. Chiese a san Filippo di confessarlo, ma questi prima volle che pregassero insieme. Al termine delle orazioni, il santo sacerdote disse: «Ora che sei ben disposto e ti sei preparato con la preghiera, andiamo al confessionale. Però non lasciarti vincere dal demonio: non tacere nessuno dei peccati che hai commesso». Il giovane restò allibito: come faceva san Filippo ad esserne a conoscenza? Infatti anche a san Filippo Neri, come a molti santi confessori, Dio concesse il dono di scrutare nelle anime. Dopo l’assoluzione, il giovane penitente non riuscì a trattenere la lacrime dalla gioia: finalmente si era riconciliato con Dio! Anche san Filippo era molto commesso, perché il buon pastore aveva riportato una pecorella smarrita al sicuro nell’ovile. San Filippo, congedandolo, gli disse: «Figliuolo, io sapevo ad uno ad uno i tuoi peccati. Adesso vedo che hai mutato faccia e sei di buona cera».
Un giorno San Filippo Neri andò a trovare un suo penitente, un uomo molto ricco. Lo trovò un po’ triste e gliene chiese la ragione. Questi spiegò al sacerdote che si era reso conto che non riusciva a progredire nella vita spirituale. San Filippo allora gli disse di toccare i piedi del crocifisso appeso alla parete. L’uomo obbedì al suo confessore, nonostante sapesse che non ci sarebbe riuscito perché la croce era appesa piuttosto in alto. Infatti non riuscì a toccare i piedi del Crocifisso e lo fece notare al futuro santo. San Filippo allora prese un sacco pieno di denari dell’uomo, nascosto sotto il letto, lo avvicinò alla parete, proprio sotto la Croce. «Sali su questo sacco – disse all’uomo – e vediamo se così ci arrivi». Ovviamente l’esperimento riuscì. «Hai capito, figliolo? Per riuscire a toccare Gesù – spiegò San Filippo Neri – bisogna mettersi le ricchezze sotto i piedi. Ora gli sei più vicino, ecco, ma devi sempre metterti sotto i piedi queste monete».
Durante la permanenza di Sant’Antonio a Firenze, morì uno degli uomini più ricchi della città. I parenti sapendo dell’illustre presenza del sacerdote, gli chiesero di fare l’elogio funebre al funerale. Ma questi si rifiutò, perché disse che non c’era nulla da elogiare, in quanto il morto, in vita, fu un avaro e un usuraio. I parenti andarono su tutte le furie, accusandolo di essere un sacerdote senza misericordia. Sant’Antonio, senza scomporsi più di tanto, rispose loro: «Non avete mai sentito cose dice il Signore? “Dov’è il tuo tesoro, ivi è il tuo cuore” (Mt 6, 21)? Andate a vedere nello scrigno del vostro congiunto: là dentro troverete anche il suo cuore». Essi lo fecero e, con grande meraviglia, dentro lo scrigno, in mezzo alle monete e ai gioielli, trovarono un cuore umano. Dinanzi a tale prodigio, parecchi avari e usurai si convertirono e cercarono di riparare al male compiuto. E quel morto non fu deposto nel mausoleo preparatogli, ma trascinato come un asino sul terrapieno e sotterrato.
A Ferrara vi era un marito molto geloso della moglie, una donna di rara e bellezza e dolcezza. Quando rimase incinta, a causa di un pettegolezzo, la accusò ingiustamente di adulterio e, alla nascita del bambino, forse perché il piccolo gli assomigliava poco, si persuase ancora di più del tradimento. Cacciò la moglie e il figlio di casa e non si presentò al battesimo. Quando Sant’Antonio lo venne a sapere, prima che iniziasse il rito del Battesimo, mandò a chiamare l’uomo. Al suo arrivo, prese il piccolo tra le braccia e gli chiese: «Dimmi il nome di tuo padre». Il neonato, incredibilmente, rispose e pronunciò, davanti a tutti, il nome dell’uomo che lo rifiutava. Allora il “santo dei miracoli” mise il bambino tra le braccia del padre e disse: «Prendi tuo figlio e ama tua moglie». L’uomo s’inginocchio e chiese perdono. Dopo, finalmente, il piccolo fu battezzato.
Anche Sant’Antonio fu un confessore instancabile: passava molto tempo a confessare. Un giorno venne da lui un grande peccatore, il quale era sinceramente pentito ed era deciso a cambiare vita e a riparare al male commesso. Quando s’inginocchiò ai piedi del santo confessore, fu travolta dall’emozione e cominciò a piangere. Allora Sant’Antonio, per aiutarlo, gli disse di scrivere su un foglio tutti i peccati che aveva commesso. L’uomo obbedì e scrisse una lunga lista, poi diede il figlio al confessore. Sant’Antonio lesse la lunga lista ad alta voce. Al termine, riconsegnò il figlio al penitente, il quale rimase senza fiato quando vide che era bianco, senza nessuna scritta. I peccati erano stati cancellati non solo dal foglio di carta, ma anche dall’anima del penitente. Il quale se ne andò lodando e ringraziando Dio.
SAN DOMENICO SAVIO
San Domenico Savio, allievo di San Giovanni Bosco, morto a soli quattordici anni, esercitò le virtù eroiche cristiane fin dall’infanzia. Il giovane Domenico frequentò la scuola elementare di Mondonio, il cui insegnante più stimato era il sacerdote don Cugliero. Questi era un sacerdote molto buono e compassionevole, ma che sapeva essere anche molto severo e autoritario, quando era necessario. Durante l’inverno, la scuola veniva riscaldata da una grossa stufa. Un mattina che don Cugliero tardava ad arrivare, perché stava assistendo un moribondo, i due bulletti della classe di Domenico, approfittando della nevicata abbondante della notte precedente, uscirono dall’aula e tornare con due grosse palle di neve che usarono come coperchio per la stufa. Poco dopo, un gran fumo e dell’acqua uscirono dalla stufa, invadendo tutta l’aula. Proprio in quel momento, arrivò don Cugliero. Al vedere la stufa e l’aula in quelle condizioni, si fece cupo in volto. «Chi è stato?», chiese con un tono perentorio. I due colpevoli puntarono il dito contro Domenico, accusandolo ingiustamente. Domenico non disse nulla, sperando che qualcun altro dei suoi compagni lo difendesse, ma nessuno lo fece perché temevano le botte dei due bulletti. L’insegnante ci rimase malissimo: “Domenico, proprio tu! Non lo avrei mai creduto…”. Domenico, però, nonostante la rabbia e la delusione, non disse nulla. Visto che non si difendeva questo convinse don Cugliero della sua colpevolezza. «Fortunatamente è la tua prima mancanza, così sarai solamente punito, altrimenti ti avrei cacciato da scuola». Domenico “incassò” la punizione – una sonora sberla – con gli occhi pieni di lacrime, senza però dir nulla. Al che uno dei compagni, in preda ai rimorsi, prese coraggio e raccontò la verità a don Cugliero. Dopo aver preso i provvedimenti necessari verso i due bulletti e aver rimproverato l’omertà della scolaresca, don Cugliero volle parlare a quattr’occhi con Domenico. «Perché non ti sei difeso? Perché sei rimasto in silenzio?», gli chiese il sacerdote. Domenico rispose: «Ho pensato che quei due miei compagni sarebbero stati cacciati di scuola, e questo non lo volevo. Io invece speravo di essere perdonato. E poi… ho pensato a Gesù. Anche Lui fu accusato ingiustamente».
I fioretti dei santi non sono favole, sono storie vere che ci ricordano che tutto è possibile a Dio e che anche noi possiamo, seguendo l’esempio dei santi – per questo ho voluto riportare anche un episodio della vita di san Domenico Savio -, salvare noi stessi e ed essere strumento per la salvezza altrui. Questo è valido soprattutto per i sacerdoti. La Strega non si stancherà di pregare per la santità dei sacerdoti e anche di ricordare che la loro missione è spirituale, non sociale.
Il Signore, cari sacerdoti, vi ha affidato le nostre anime: non disprezzatele e abbiatene cura.
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