di P. Giovanni Cavalcoli, OP
Riscossa cristiana Martedì 28 Maggio
Uno dei maggiori problemi della Chiesa di oggi e non da oggi, ma ormai da molti decenni, da quando è stato avviato un dialogo col marxismo, e la Chiesa, soprattutto col Concilio Vaticano II, ha aumentato il suo impegno nel sociale, è indubbiamente quello di sapere che cosa è veramente la carità soprattutto in relazione all’attenzione ai poveri, ai bisognosi, agli oppressi e a coloro che patiscono ingiustizia nel campo economico-sociale.
Non è quindi qui in gioco la carità verso Dio, che secondo l’insegnamento di Cristo, corrisponde al primo e più alto precetto della carità, per il quale dobbiamo amare Dio con tutto noi stessi e con tutte le nostre forze. Il precetto dell’amore verso il prossimo è il “secondo”.
E non si tratta neppure qui di quella caritas veritatis di agostiniana memoria, per la quale, come dice S.Tommaso, la prima delle opere di misericordia consiste nel condurre il fratello dalle tenebre dell’errore alla luce della verità. La miseria spirituale è in sè stessa più grave della miseria materiale, anche se, come dice S.Tommaso, il sovvenire a questa può essere più urgente.
Alludiamo invece, come ho già accennato, a quell’operosità generosa e disinteressata, non sempre facile e spesso faticosa e rischiosa, a volte incompresa, per la quale ci mettiamo a servizio dei più poveri in senso materiale ma anche morale, vale a dire coloro che in vari modi sono in gravi difficoltà materiali o psicologiche, vittime di una cattiva educazione, schiavi del vizio, prigionieri di cattive abitudini, incapaci di risorgere dalla miseria morale, impauriti da pericoli imminenti, traumatizzati da sciagure subìte, minacciati da ambienti corrotti e sfruttatori, psichicamente fragili e influenzabili, squassati dalle sventure, rifiuti della società.
Come sappiamo dalla storia millenaria del cristianesimo, la comunità cristiana sin dalle origini, in mezzo al mondo pagano dell’antica Roma si distinse per la carità reciproca che vigeva tra i suoi membri e le opere sociali a favore dei malati, dei bisognosi, dei sofferenti.
Indubbiamente è solo col sec. XIX che la Chiesa, applicando del resto le norme del Vangelo, ha compiuto un poderoso balzo in avanti nella sua sensibilità sociale, fino ad allora esercizio soprattutto di privati e di istituti religiosi, per avviare nel popolo cristiano una maggiore attenzione al problema sociale, sì da spingere alla formazione di grandi movimenti, pur con tutti i loro difetti - si pensi alla famosa Opera dei Congressi e all’Azione Cattolica fino alla Democrazia Cristiana - che avrebbero poi operato sul piano economico, industriale, giuridico e politico fino ai nostri giorni.
In questo campo, come sappiamo, si sono distinti, come sempre, i Santi. Pensiamo per esempio alla stupenda fioritura di santità sociale del Piemonte ottocentesco, con i Don Bosco, i Don Orione, i Murialdo, i Cafasso, i Cottolengo, le numerose istituzioni femminili, tanto per fare alcuni nomi.
I veri maestri della carità sono i Santi, discepoli del Vangelo, imitatori di Cristo, ispirati dallo Spirito Santo, confermati dalla Chiesa. Essi sono i perenni modelli, le nostre guide, i nostri intercessori, anche se naturalmente occorre sempre saper interpretare bene la sostanza del loro messaggio e calarla sapientemente nel nostro contesto, capire cioè che cosa avrebbero fatto se fossero vissuti nel nostro tempo.
La carità fraterna insegnata dal Vangelo anche sul piano sociale e politico, è certo espressione di quella solidarietà e compassione umana, di quel senso di giustizia che caratterizzano ogni uomo di coscienza e di buon cuore, anche se incolpevolmente ignorante del Vangelo e, vorrei dire seguendo il Concilio (LG 16), anche se non pienamente consapevole della stessa esistenza di Dio. Esempio classico resta sempre il buon samaritano.
Tuttavia questo senso cristiano di umanità, che accomuna tutti gli uomini normali e sani di mente, per il semplice fatto di essere uomini, animali ragionevoli, in possesso spontaneo di quel senso elementare di giustizia che gli Scolastici medioevali chiamavano “sindèresi”, nel cristianesimo ha radici e motivazioni ben più profonde che il semplice dettato della ragion pratica e della coscienza etica naturale.
Esso infatti nasce dall’insegnamento e dall’esempio stesso di Cristo, il Quale ha bensì ripreso il precetto veterotestamentario dell’amore del prossimo – “ama il prossimo tuo come te stesso” –. Ma questo comandamento, per quanto nobile ed utile a vincere l’egoismo, è la semplice espressione della coscienza naturale: esso si trova anche nell’etica di Confucio e nella morale illuminista del sec. XVIII.
Non è questo che fa l’originalità del cristianesimo, ma ciò che Cristo stesso ha aggiunto quando ci ha detto: “Amatevi come Io vi ho amato”. E come Egli ci ha amato? Lo ha detto: “Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici”. E come ci ha dato la vita? Con la sua opera redentrice di liberazione dai nostri peccati in vista della vita eterna. Che cosa allora questo significa per noi? Che l’amore cristiano è sacrificarsi come Cristo e in Cristo per la salvezza eterna dei fratelli. Abbiamo allora qui alcuni elementi che rischiano di essere dimenticati da un falso concetto della carità fraterna. E quindi è bene ricordarli respingendo le contraffazioni.
Innanzitutto il difetto più frequente nella predicazione corrente della carità fraterna è la sua riduzione secolaristica a mera solidarietà e giustizia sociali, quando va bene e non si cade in concezioni che fanno ricorso all’odio e alla violenza, come avviene in una certa teologia della liberazione influenzata dal marxismo. Da notare che lo stesso Paolo VI nell’enciclica Populorum Progressio del 1968, non temette di parlare addirittura di “rivoluzione”, del resto sulla scia della morale tradizionale, pur apponendo perentoriamente particolarissime condizioni.
Il che vuol dire che il cristiano non è una pappamolle, un rinunciatario, un vile, un pauroso davanti ai potenti di questa terra, un allocco fideista, gabbato e reso innocuo dai capitalisti cattolici, che rimanda al cielo quello che può fare oggi sulla terra, pacem in terris, ma, se gli si offre l’occasione, come dice il Salmo: “la parola di Dio sulle loro labbra e la spada a due tagli nelle loro mani”, sa organizzarsi socialmente e politicamente ed anche, all’occorrenza, militarmente, per abbattere eroicamente tiranni, oppressori, sfruttatori ed usurpatori. Qualcosa di questa fierezza cristiana è presente anche nei documenti sociali della Chiesa dove si parla della legittimità dello sciopero e delle giuste lotte sindacali.
E tuttavia il Vangelo non ha verso i ricchi quella sfiducia e quella durezza spietata che incontriamo nei movimenti rivoluzionari marxisti, benché come è noto, Cristo sia severo verso di loro. Tuttavia il Nuovo Testamento in una sua Lettera ci esorta: “invita i ricchi ad essere generosi”.
Anch’essi hanno una coscienza, occorre la strada giusta per raggiungere il loro cuore; consideriamo per esempio il buon Zaccheo, ed anzi normalmente la giustizia, soprattutto in campo politico e sociale dovrebbe essere ottenuta grazie all’intervento leale e generoso di chi possiede la ricchezza. E quanti successi i Santi hanno ottenuto con questa loro carità verso i ricchi! Quante opere sociali, quante chiese, quanti istituti, quante donazioni, quante eredità hanno potuto ottenere o costruire, che sfidano i secoli e costituiscono tra l’altro uno dei più bei patrimoni della storia dell’arte e della civiltà cristiane!
Ma occorre che la carità sia vera carità. Per questo occorre bandire alcune cose e ricordarne altre. Occorre innanzitutto che comunque e sempre l’esercizio della virtù umana, per esempio la solidarietà, sia animato dalle tre virtù teologali della fede, della speranza e della carità. Il cristiano cioè, nel fare il bene, deve sempre aver di mira almeno virtualmente di condurre il fratello sì al benessere umano, ma soprattutto a vivere da figlio di Dio in cammino verso la patria celeste.
La carità fraterna non è semplicemente un buon cuore più fervoroso o una volontà più forte o una migliore organizzazione sociale, ma è una virtù soprannaturale, fondata sulla fede, non sulla ragione, per la quale, come figli di Dio, rendiamo gli altri a loro volta figli di Dio grazie all’obbedienza ai comandi di Cristo nella comunione ecclesiale in vista del regno dei cieli.
In secondo luogo, bisogna saper aiutare i peccatori a correggersi. Il che vuol dire aiutarlo a pentirsi dei propri peccati e a sforzarsi di liberarsi dai loro vizi. Bisogna far capire a un omosessuale, a un transessuale, a un ladro, a una prostituta, a un convivente, a un violento, a un litigioso, a un empio, a un truffatore, a un pedofilo, a un adultero che non sono sulla buona strada e indicar loro con amore come imboccare quella giusta, valorizzando le loro buone qualità ed esortandoli al pentimento con grande fiducia nella misericordia di Dio.
Bisogna quindi evitare l’eccessiva indulgenza o tolleranza e quel buonismo che non fa capire al peccatore le proprie responsabilità. Come diceva mia madre: “Il medico pietoso incancrenisce la piaga”.
Peggio che peggio poi se l’educatore o l’operatore sociale non ha saldi princìpi morali o è vittima di un certo relativismo morale. Occorre invece essere misericordiosi e comprensivi con i peccatori, ma fermi e decisi contro il peccato. Questo è l’insegnamento di Cristo e dei santi.
E’falso, come si crede spesso oggi, che tutti siano in buona fede e quindi scusabili. Esiste il peccato, esiste la cattiva volontà, esiste la malizia ed esiste la colpa, anche se è vero che l’impeto di un impulso passionale diminuisce la responsabilità. Ma questi mali dell’anima vanno tolti col pentimento e con una buona confessione accompagnata da penitenza e da riparazione degli eventuali danni.
Qui interviene la carità sacerdotale, mediatrice del perdono divino. Il sacerdote, in forza del suo stesso ministero, è insostituibile in questa missione di soccorso ai poveri di verità e di virtù, di sollievo e conforto ai cuori contriti, di scuotimento delle coscienze assopite o indurite, di consiglio ai dubbiosi, di consolatore degli afflitti, di disinganno per gli erranti, di richiamo paterno a chi rischia la perdizione.
E’ un errore gravissimo il rassicurare sistematicamente tutti e comunque della propria salvezza, come fanno oggi molti, credendo forse così di rappresentare la bontà divina. In tal modo tanti si ritengono già salvi con una falsa e temeraria presunzione, non coltivano il salutare timor di Dio, e non pregano neanche per la propria o altrui salvezza.
Semmai pensano di poter ringraziare Dio perché convinti, equivocando sulla volontà divina universale di salvezza, che comunque sono già salvi, dimenticando che se è vero che Dio chiama tutti alla salvezza, resta vero che non tutti si salvano[1] e che il primo fine della preghiera è proprio la supplica a Dio di salvarci: che cosa chiediamo nel Padre Nostro se non di essere salvi? Se lo chiediamo, vuol dire che non lo siamo ancora, benché lo speriamo nel compimento quotidiano del nostro dovere.
Aggiungo infine che non è giusto che i vari movimenti, associazioni e partiti filomarxisti o comunisti continuino a mantener la fama di essere l’avanguardia e il modello dei difensori dei poveri e degli oppressi, accaparrandosi una causa nobilissima e fondamentale della civiltà, che in realtà trova solo nella fede cristiana la sua decisiva giustificazione, nella carità la sua forza propulsiva risolutrice e nella lunga storia degli istituti religiosi e monastici, nonché nelle forze laicali maschili e femminili cristiane soprattutto moderne, una sorgente inesauribile di iniziative profetiche, una sorgente continua di azioni collettive spesso eroiche, indicatrici del futuro escatologico della storia.
I movimenti socialisti e comunisti, col loro antropocentrismo inumano perché fondato sull’ateismo, hanno solo imitato male quella evangelizzazione e liberazione dei poveri che Cristo ha lanciato nel mondo attraverso la sua Chiesa come lievito salvifico della storia dell’umanità.
Queste riflessioni mi sono state suggerite dalla lettura del commento del Dott. Deotto al recente funerale di Don Gallo, che affidiamo certamente alla misericordia di Dio, e al quale dovremo riconoscere certi meriti, ma nel contempo, non posso nascondere una certa mia preoccupazione e perplessità per quanto Deotto riferisce sul famoso e discusso sacerdote.
E per quanto riguarda Don Gallo, mi domando se e quanto egli sia stato, con vera carità sacerdotale, sulla linea dei numerosissimi santi sacerdoti, magari non così noti come lui, che nei secoli sono stati benemeriti del servizio ai poveri, agli ultimi, agli emarginati, agli oppressi, ai sofferenti, ai disperati, ai peccatori.
Capisco che oggi il prete deve cercare nuove frontiere e nuove soluzioni. Siamo nell’epoca del dialogo e dell’apertura a tutti, si sono allargati gli orizzonti della misericordia. Ma restano sempre quelle esigenze imprescrittibili della carità evangelica che ho cercato modestamente di ricordare in questo articolo.
[1] Ho illustrato questa verità di fede nel mio libro L’inferno esiste. La verità negata, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2010.
Nessun commento:
Posta un commento