sabato 11 maggio 2013

La Chiesa dei sì







di Francesco Agnoli

Recentemente papa Francesco, in una delle sue prediche a santa Marta, ha affermato che la Chiesa è la comunità dei sì, perché nasce dall’amore di Cristo. Ha nello stesso tempo criticato l’atteggiamento dei puritani, il moralismo fine a se stesso, per poi aggiungere: “E’ una comunità dei sì, e i no sono conseguenza di questo sì”. Infine ha affermato che la comunità cristiana che vive nell’amore, chiede perdono a Dio dei suoi peccati, perdona le offese e “sente l’obbligo di fedeltà al Signore di fare come (dicono) i comandamenti”.
A chi scrive sembra che queste puntualizzazioni siano di grande importanza. Il mondo, infatti, tende a leggere la morale della Chiesa come un no, su tutto. Ogni intervento in cui si dica no, viene letto dai media con le solite categorie, per le quali la Chiesa “fulmina”, “scomunica”, “tuona”, opponendo, insomma, ad ogni cosa, la sua testarda negazione.

La reazione di molti credenti rischia allora di essere, erroneamente, di due tipi: chi spiega, i più, che non bisogna più dire no, che bisogna “aprirsi”, “aggiornarsi”, viaggiare con il mondo; e chi, al contrario, ritiene che l’atteggiamento da tenere sia quello di un moralismo rigido e un po’ puritano.
La Chiesa, invece, è la comunità dei sì, ed è da questi sì, giova ribadirlo, che conseguono dei no. Il sì di Maria è all’origine della storia della salvezza; il sì alla volontà del padre, quale che essa sia, è il cuore della preghiera insegnata da Cristo (fiat voluntas tua); il sì è il cuore del matrimonio, scelta di amare per sempre; il sì è, ancora, il motore della carità e della missione. E’ la cultura dominante, relativista ed egoista, che, al contrario, mentre accusa la Chiesa di dire sempre no (si veda il libro di Marco Politi, con prefazione di Emma Bonino, “La chiesa dei no”), negando l’amore e il Dio della vita, oppone il suo no pervicace a ciò che è bello e buono. L’egoismo, la vendetta, la prepotenza, sono dei no. E l’aborto, il divorzio, la droga… tutte le altre libertà proposte dai radicali di ogni tipo, cosa sono, se non, anch’essi, un no, pieno, sonoro, alla vita? Un no al disegno di Dio per ognuno di noi? L’esito della cultura odierna è appunto, il no: il nichilismo.
Non serviam, è, infatti, la affermazione di Lucifero, al punto che Arrigo Boito, nel suo “Mefistofele”, prendendo spunto dal Faust di Goethe, gli fa dire: “Son lo spirito che nega/Sempre tutto…”. Mefistofele nega la bellezza della vita, l’importanza del sacrificio, l’ordine della realtà, la struttura divina della famiglia, il senso dell’esistenza terrena, l’orizzonte trascendente…

Il Dio dei cristiani, invece, ci chiede di dire sì, alle circostanze, alle persone, al bene che incontriamo ed anche ai sacrifici che ci sono richiesti. Promettendoci la felicità non nell’aldilà, soltanto, ma anche su questa terra: “il centuplo, quaggiù, e l’eternità”. Non è un caso dunque che nella Rivelazione Dio si definisca per affermazione, non per negazione: “Io sono colui che è”; “Sono la Via, la Verità e la Vita….”.
Il sì, però, comporta anche l’esistenza del no; il Bene, nella caducità terrena, la possibilità del male. Non è sempre facile dire sì, perché ci è spesso offerta la scorciatoia, la fuga, l’illusione della facilità del no.
Per questo la Bibbia è Rivelazione in due parti: nell’Antico Testamento Dio dà i comandamenti: alcuni sono positivi (“Io sono il Signore Dio tuo…”; “Onora il padre e la madre”), altri, i più, sono negativi (“non uccidere, non rubare…”). Dio, mi sembra, agisce con l’umanità come si fa con un figlio: finché è piccolo, occorrono dei no, chiari, precisi; poi il figlio cresce, incomincia sempre più ad avere una sua personalità, una sua libertà, l’uso della ragione. E allora i genitori non possono più limitarsi ai no: devono dargli le ragioni profonde di quei no; devono cioè indicargli uno stile di vita, dei modelli, una tensione ideale, una meta. E’ l’ora del sì, che costruisce la persona. Ai giovani si mostrano le cime, non ci si limita ad additare le valli; si spronano al bene; si indicano gli eroi e i santi… senza dimenticare il male, conoscere il quale, come nell’Inferno di Dante, serve solo a renderne ancora più evidente la bruttezza.

Così al Vecchio Testamento, segue il nuovo, in cui tutta la legge è racchiusa nell’unico comandamento, tutto in positivo, dell’Amore: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti” (Matteo 22,37-40).

Nella pedagogia dei grandi santi educatori, si ritrova questo stesso stile di Dio. Santa Teresa Verzeri, ad esempio, o san Giovanni Bosco prendevano per mano i loro discepoli, insegnando loro il timore, e, soprattutto, l’amore di Dio. Perché, come spiegava un tempo il catechismo di san Pio X, così semplice e chiaro, Dio accetta il nostro “amore servile”, ma desidera che questo amore diventi “filiale”. Vuole che arriviamo a non fare il male, non solo per un giusto timore, della creatura verso il Creatore, ma per amore Suo. Solo così si spiega il detto di sant’Agostino: “Ama, e fai ciò che vuoi”.






Il Foglio, 9 maggio 2013




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