Timidi ma inequivocabili segnali di risveglio dell’eccezionalismo italiano sulla vita (riviste, firme, convegni)
di Francesco Agnoli
Nel 2005 il referendum indetto dai Radicali contro la legge 40 sembrò improvvisamente svegliare il mondo cattolico assopito. Forse nessuno pensava che l’immane potenza dei media, quasi tutti schierati dalla stessa parte, potesse scontrarsi con l’avversione di milioni di persone all’idea che nascere da seme, altrui, congelato, o da ovuli, altrui, prelevati a pagamento da una banca, fosse lo stesso che venire al mondo in seguito all’atto d’amore di un uomo e di una donna. All’epoca questo quotidiano dimostrò anzitutto quanto possa una voce anche flebile, da un punto di vista quantitativo, quando parla con chiarezza, determinazione e ragionevolezza; in secondo luogo rese manifesta la possibilità di un vero dialogo tra la tradizione cattolica e il pensiero critico e libero di vari laici, convinti che non tutto ciò che è tecnicamente possibile sia automaticamente lecito e giusto. Personalmente ricordo quell’anno come una vera primavera culturale: discussioni, convegni, battaglie… Sembrava si potesse tornare a discutere di grandi valori, di ideali, di visioni del mondo. Che il sonno delle menti e dei cuori indotto dal relativismo individualistico fosse stato interrotto improvvisamente da vigorosi squilli di trombe.
Poi, quel grande patrimonio di relazioni, di studi, di confronto, sembrò velocemente disgregarsi, e riaggregarsi, solo però per un attimo, come un fuoco di paglia, con il Family day del 2006. Oltre un milione di persone, allora, scesero in piazza, per difendere il luogo della nascita, dell’educazione, della stabilità e dell’affetto duraturo e fedele (almeno come possibilità, come tensione, come ideale). Se ho ben capito, quel grosso evento mise in crisi il “cattolico” Prodi, ma poi nessuno seppe o volle raccogliere quell’eredità anche politica, e i cattolici, soprattutto, tornarono ognuno alle “vicende domestiche” e alle sagrestie.
Oggi, dopo diversi anni, qualcosa accade (“eppur si muove”). Non sarà la Terra intera, ogni giorno e per tutto l’anno, ma qualcosa si muove. Mi riferisco alla nascita di una nuova rivista, Notizie pro vita, che aggrega molti dei migliori bioeticisti italiani; all’iniziativa del pontificio consiglio per la Promozione della nuova evangelizzazione, guidato da monsignor Rino Fisichella, prevista per il 15 e 16 giugno prossimi e volta alla valorizzazione della “Evangelium vitae”; al grande convegno sulla vita dell’11 maggio, presso l’Ateneo pontificio Regina Apostolorum (che ospita la prima e unica facoltà di Bioetica al mondo) e agli eventi del prossimo 12 maggio.
In questa data, infatti, in tutte le parrocchie italiane, attraverso l’iniziativa “Uno di noi”, verrà lanciato un messaggio: l’embrione è uno di noi; è vita, e vita umana, da rispettare, sempre e comunque. Tutti, ricordando per un attimo di essere stati anche loro embrioni e feti, lo potranno dire e firmando non cambieranno forse la legislazione europea, ma da una parte faranno sentire una voce diversa all’Ue, dall’altra prenderanno coscienza del fatto che oggi siamo chiamati a ripetere, come nei primi secoli: “I cristiani si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati” (“Lettera a Diogneto”, documento cristiano del II secolo). Nello stesso giorno, sempre il 12 maggio, festa della mamma, a Roma, con partenza dal Colosseo alle 9 di mattina, ci sarà la III Marcia nazionale per la vita, con la partecipazione di gruppi italiani provenienti da tutto il paese, e di svariati delegati dei movimenti pro vita del mondo. Una grande festa, si annuncia, all’insegna della volontà di testimoniare con forza e serenità la sacralità della vita, anche oltre le stanze di un convegno o le mura di una chiesa.
Scendere in strada significa infatti riappropriarsi del rapporto vivo che esiste tra la fede e la vita di ogni giorno; del rapporto che esiste tra la ragione, il bene, la verità e la legge. Significa ricordare e ricordarsi che il nascere e il morire vengono prima di Creonte, prima dello stato, e riportano alla domanda sull’origine prima e sul significato ultimo dell’esistenza. Si può costruire la propria vita, prescindendo dalla domanda su chi sia l’uomo e quale sia la sua dignità? Si può affidare a una legge parlamentare la dignità di una creatura umana, lasciando che la tragedia dell’eugenetica nazista si ripeta oggi, ogni giorno, sotto altre forme? Si può continuare a fingere che il rispetto dei più deboli non sia il primo impegno di una civiltà che si dice tale?
Marcia “per la vita” e “contro l’aborto”. Contro, perché esiste un modo di legiferare che non tiene conto della realtà dei fatti (il feto è una vita umana; la vita non può essere lasciata all’arbitrio del più forte); contro perché esistono il peccato e il male, da cui tutti siamo lambiti e tentati. Contro perché l’aborto legale non è solo la soppressione di un innocente che non può difendersi, ma è anche il trionfo della deresponsabilizzazione del maschio verso la donna e verso il figlio; della donna verso il figlio e verso il suo uomo; dello stato – che oggi si assume volentieri la spesa degli aborti, ma dimentica del tutto di aiutare chi ha figli – verso la famiglia, cellula fondamentale della società.
Marcia “per la vita”: per dire che è bello generare, servire la vita e custodirla; è bello sacrificarsi e confidare; è bello essere padri, madri, sposi; è bello amare, cioè accogliere senza condizioni una creatura innocente, debole, bisognosa, che noi stessi abbiamo chiamato alla vita; è bello, e giusto, contemplare ogni nascita, per scorgere in ogni bambino, nella sua piccolezza, e nella sua tenerezza, il Mistero della nostra umanità… Marcia per la vita perché, per chi crede, è Dio l’autore della vita, Dio della vita e non della morte; perché Egli è l’Amore stesso, che ha voluto farsi bambino: anch’Egli è stato figlio “imprevisto” e “inopportuno”, e ha vissuto l’odio di Erode, ma anche l’amore incondizionato di Maria e Giuseppe e lo sguardo contemplativo dei pastori. “All’origine di tutto c’è il ‘dono’ di Dio – afferma padre Serafino Lanzetta, autore proprio in questi giorni di ‘Avrò cura di te. Custodire la vita per custodire il futuro’ (Fede & Cultura) – La nostra vita è il dono iniziale e foriero di ogni altro bene. Se la si protegge, si edifica la società. Far nascere un bimbo, accudirlo, è assicurare il vero bene dell’uomo, oggi e domani. Per il semplice fatto che se manca la vita, o se essa è indifesa, niente più sarà veramente umano. Non varrà più la pena vivere. L’esistenza verrà ingoiata, da un momento all’altro, dall’improvvida morte, la quale è sempre al nostro fianco”.
Anche chi non crede potrà marciare, il 12 maggio. La marcia – afferma Virginia, portavoce del Comitato organizzatore –, “è aperta a tutti: ci saranno credenti e non credenti, come gli anni scorsi; cattolici e ortodossi, e magari, ancora, tibetani… Non c’è nulla che unisca gli uomini più del fatto che siamo tutti figli; è sui principi non negoziabili, sul riconoscimento di doveri e diritti veramente universali, assiomatici, che si può fondare qualsiasi dialogo, tra popoli, persone, culture differenti. Tutti sappiamo, dentro il nostro cuore, che c’è qualcosa che è giusto fare e qualcosa che è sbagliato; che ci sono il bene e il male; che una società non può essere tale, se coloro che la compongono non fondano il loro stare insieme su verità immutabili ed eterne, non soggette al capriccio dei singoli o alla dittatura delle maggioranze”.
Marciare per i diritti di chi c’è, esiste, ma non ha voce. E per affermare il miracolo di ogni vita, il valore di ogni persona.
© - FOGLIO QUOTIDIANO 3 maggio 2013
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