di Tommaso Scandroglio
Dal 12 al 15 settembre prossimo si terrà a Torino la 47° edizione delle Settimane sociali dei cattolici, che avrà il seguente titolo: La famiglia speranza e futuro per la società italiana. Il 30 aprile scorso Mons. Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari e presidente del Comitato scientifico delle Settimane, ha illustrato l’evento in una conferenza stampa. Alcune affermazioni del prelato destano se non stupore di certo curiosità. Mons. Miglio ad esempio ha messo l’accento sul fatto che il nemico numero uno della famiglia è la mancanza di lavoro: “È l’aspetto più evidente e quello che più ci sta a cuore”. Un’affermazione coraggiosa che è in contrasto con lo stesso documento introduttivo delle Settimane sociali da lui stesso sottoscritto e che pone l’interesse anche su altri fattori.
Quindi il posto di lavoro che non c’è risulta essere la patologia che più minaccia, secondo l’arcivescovo cagliaritano, la vita delle famiglie. Non le separazioni e i divorzi: un terzo dei matrimoni è andato a gambe all’aria nel 2010 secondo l’Istat. Non le convivenze: il 33% delle coppie che si sposa prima convive. Non l’aborto, la fecondazione artificiale, il rifiuto della vita tramite contraccezione usata dai coniugi, l’attentato ai principi non negoziabili da parte del governo che prima o poi approverà pacs e/o “matrimoni” gay. Niente di tutto questo: la mancanza di lavoro «è un fattore determinante distruggente per la famiglia». D’altronde per Mons. Miglio se «un pilastro del bene comune è il lavoro, altrettanto lo è la famiglia». Quindi il lavoro non è al servizio della famiglia, ma matrimonio e professione hanno ugual peso.
Si badi bene: non vogliamo certo dire che il lavoro non sia aspetto assai rilevante per la sussistenza delle famiglie, ma di certo vi sono valori ben più importanti per mamma, papà e figli.
Questi valori sono presenti nel documento introduttivo delle Settimane sociali – e sono propri della tradizione della Chiesa – ma accanto ad essi pare che abbiano un peso specifico maggiore altri di diversa natura, figli dell’età contemporanea: «Siamo chiamati – si legge nel testo - a prenderci cura e ad avvalerci delle istituzioni del vivere sociale, nei diversi ambiti: libertà di educazione, fisco giusto, educazione al lavoro e allo sviluppo, prendersi cura delle fragilità dentro la famiglia e nella società per un welfare che sia veramente tale, abitare il tempo e lo spazio trasformando la città». C’è posto per tutti nell’Arca del Comitato organizzatore delle Settimane, pure l’urbanistica, «la dipendenza da smartphone e da internet» e «la custodia del creato per una solidarietà intergenerazionale». Ovviamente si parla anche di «convivenze non di indole affettivo-sessuale», le quali potrebbero beneficiare di alcuni diritti previsti dalle nostre leggi civili.
Che cosa stona in questo documento di venticinque pagine? Il fatto che Dio è il grande assente. Attenzione: Dio in riferimento alla famiglia viene citato più volte, così come la Sacra Scrittura e il Magistero, ma unicamente in veste di Creatore e non di Salvatore. Ci spieghiamo meglio: tra tutte le soluzioni che il documento elenca per risolvere la crisi della famiglia, mai viene citata la fede. Un’assenza assordante dato che siamo nell’Anno della Fede. Forse il motivo è un frainteso ecumenismo irenista: “Non si vogliono fornire risposte o dare disposizioni – si tiene a precisare - ma stimolare una riflessione aperta, a partire dagli elementi fondamentali della famiglia e dai valori fatti propri dalla stessa Costituzione italiana”. Figuriamoci se la Chiesa Cattolica è così superba da voler fornire risposte ai problemi, meglio tenere un profilo basso e ancor meglio chiedere alla Costituzione di darci una mano. Insomma la sensazione è che si tiri in ballo la Bibbia e Dio quasi fosse un riferimento obbligato – siamo o non siamo cattolici? – ma in realtà la vera soluzione che mette d’accordo tutti è la Costituzione. E all’articolo 1 di questa si legge che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro. Mettere al centro il lavoro – come “aspetto che più ci sta a cuore” – è proprio di una visione marxista dell’uomo: il lavoro libera la famiglia dal suo reale male morale, cioè la mancanza di quattrini. Il Salvatore non è più Cristo, ma il sindacato o l’imprenditore che assume. Dottrina socialista della Chiesa Cattolica dunque?
Quindi, ciò che più sorprende è l’assoluta mancanza di un riferimento trascendente come via di salvezza e redenzione per l’istituto della famiglia che oggi è così tanto vilipeso e ignorato. Tutto appiattito sull’immanente, sull’hegeliano “sociale” appunto. Ma non è che la famiglia è messa così male proprio perché non si crede più?
La nuova Bussola Quotidiana 10-05-2013
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