I sostenitori della legalizzazione del suicidio assistito
in Parliament Square a Londra (foto Ansa)
La Camera dei Comuni dà il primo via libera alla legalizzazione della “buona morte”. Un primo passo verso l’eliminazione di chi, agli occhi dello Stato, non merita cure ma farmaci letali
Hanno avuto meno tempo per discutere del disegno di legge di quanto ne impiegherebbe un paziente per chiedere e ottenere il suicidio assistito secondo quanto previsto dallo stesso disegno di legge. Tuttavia i parlamentari della Camera dei Comuni del Regno Unito hanno approvato ieri in seconda lettura – a due settimane dalla pubblicazione del testo e dopo solo 5 ore di dibattito -, la proposta Terminally Ill Adults (End of Life) Bill presentata dalla deputata laburista Kim Leadbeater per permettere e regolamentare la morte assistita.
Una notizia accolta tra abbracci e lacrime dai supporter della campagna Dignity in Dying, radunati fin dalle prime ore del mattino davanti a Westminster con i cartelli: “Trattatemi come un cane”, “Please, non fatemi morire nella paura e nell’agonia”, le gigantografie di persone care e malate.
Chi ha detto sì al suicidio assistito
Il voto era libero e l’esito è rimasto incerto fino all’ultimo: 130 parlamentari risultavano indecisi, e proprio a loro si sono rivolte entrambe le parti durante le ore di dibattito, che si sono concluse con 330 voti favorevoli e 275 contrari. Tra i sostenitori della legge si sono schierati il premier Keir Starmer e l’ex primo ministro Rishi Sunak, in minoranza rispetto alla maggioranza dei colleghi conservatori, tra cui Steve Barclay, Kemi Badenoch, Robert Jenrick, Priti Patel e Sir John Whittingdale, che hanno votato contro. Contrari, tra gli ex primi ministri, anche Theresa May, Boris Johnson e Liz Truss, mentre David Cameron, premier all’epoca dell’ultima bocciatura della proposta, nel 2015, ha dichiarato di “aver cambiato idea” alla vigilia del voto: «Questa legge porterà a una significativa riduzione della sofferenza umana? Trovo molto difficile sostenere che la risposta a questa domanda sia diversa da “sì”».
Sul fronte laburista, insieme all’attuale ministro della Sanità Wes Streeting e alla ministra della Giustizia Shabana Mahmood, si è opposto anche un peso massimo come Gordon Brown, ex primo ministro ed ex ministro delle Finanze. Brown, nei giorni precedenti al voto, aveva spiegato le ragioni della sua contrarietà al suicidio assistito con la sua storia personale: «Quei giorni passati accanto a lei – ha scritto sul Guardian raccontando i momenti di veglia amorevole con la moglie Sarah al capezzale della piccolissima figlia Jennifer – restano fra i più preziosi nella vita mia e di Sarah. L’esperienza di trovarmi con una bambina fatalmente malata non mi ha convinto del suicidio assistito: mi ha convinto del valore e dell’imperativo di avere una buona cura per il fine-vita». Una posizione spalancata a rafforzare piuttosto le cure palliative e l’eredità di Cicely Saunders condivisa dal leader dei liberaldemocratici Ed Davey, che ha vissuto in prima persona l’accompagnamento della madre, morta per un cancro osseo.
[Il testo sulla morte assistita della parlamentare laburista Kim Leadbeater, sorella di Jo Cox, è passato in seconda lettura alla Camera dei Comuni con 330 voti contro 275]
La laica battaglia dei “veri libertari” contro il suicidio assistito
Sul fronte contrario alla legge si sono ritrovati infatti politici progressisti e conservatori, battaglieri esponenti del clero romano come l’arcivescovo di Westminster, il cardinale Vincent Nichols, autore di un potente appello ai fedeli della diocesi («Mentre questo dibattito si svolge, vi chiedo di fare la vostra parte. Scrivete al vostro parlamentare. Discutete con la famiglia, gli amici e i colleghi. E pregate. Per favore, ricordate: fate attenzione a ciò che desiderate. Il diritto di morire può diventare un dovere di morire. Essere dimentichi di Dio sminuisce la nostra umanità») e innumerevoli “veri libertari” come Kathleen Stock. Tempi vi aveva raccontato il compattarsi di un fronte laico, progressista e antidogmatico che, ancora prima della pubblicazione, si era schierato contro il testo di Leadbeater «contrapponendo agli appelli emozionali la tragica realtà dei paesi dove l’eutanasia è legale».
Un fronte capace di scardinare con la ragione, le prove e i numeri le certezze propinate dai promotori del suicidio assistito a proposito dei famigerati “paletti”, le “rigide misure di salvaguardia” dei pazienti che già in Australia, Oregon, Colorado, Olanda, Canada si sono rivelate un fallimento, portando alla morte di chi non doveva morire. «Non esiste un modo sicuro di legalizzare eutanasia e suicidio assistito»: è la conclusione di medici arruolati nell’erogazione della buona morte che hanno trovato accoglienza su Spiked (qui un assaggio dei loro approfondimenti). «Una volta legalizzati, eutanasia e suicidio assistito trasformano in poco tempo la morte in una forma di terapia per chiunque sia ritenuto vivere una vita “non conveniente”, dai malati di mente ai disabili fisici».
Non c’è nulla di liberale nella “buona morte”. Può essere orribile e dolorosa
Fuori e dentro Westminster i favorevoli alla legalizzazione della “buona morte” rivendicavano il ruolo di persone liberali, premurose e compassionevoli, festeggiando allegre come i protagonisti della surreale campagna affissa nelle metropolitane di Londra: tra questi una donna che balla felice con la scritta “Il mio ultimo desiderio è che la mia famiglia non mi veda soffrire. E non lo dovrò fare”. Ma non c’è nulla di compassionevole, premuroso, tanto meno liberale nel Terminally Ill Adults (End of Life) Bill e nella società che attende ora Inghilterra e Galles. E non solo perché, come abbiamo raccontato qui, più che a un film di Hollywood o una campagna patinata il suicidio assistito somiglia a un film horror.
Ripassare, a proposito della promessa di Leadbeater di prevenire con la sua legge «morti molto strazianti e molto angoscianti» le testimonianze fornite dai medici di California e Oregon che narrano di pazienti che dopo il farmaco letale restano in vita per sei o nove ore, a volte per giorni, a volte si risvegliano. Medici che avevano già messo in guardia il Parlamento britannico dai «brutali» e «non infrequenti» insuccessi dei farmaci utilizzati nel suicidio assistito. «C’era un’infermiera al capezzale di un [paziente] che ha finito per avvolgergli un sacchetto di plastica [in testa] perché quello non moriva». Molti finiscono per morire per asfissia. Nei Paesi Bassi, l’uso di farmaci utilizzati nel suicidio assistito e/o nell’eutanasia come durante le esecuzioni è stato descritto come “disumano”: sensazioni di “bruciore” in tutto il corpo, condannati che subiscono la morte in uno stato di paralisi in cui non sono in grado di esprimere l’acuta agonia e il dolore che provano. E ancora segnalazioni di pazienti che «a volte impiegano fino a 30 ore per morire, con complicazioni quali vomito, ripresa di coscienza, asfissia e convulsioni». Non una buona morte, ma una morte orribile e dolorosa.
L’offerta crea la domanda. Altro che paletti
Il disegno di legge di Leadbeater dovrà passare ora attraverso una terza lettura alla Camera bassa e poi alla Camera dei Lord: consente ai maggiorenni in grado di intendere e di volere che abitano in Inghilterra o Galles, con una malattia che possa prevedere la morte entro 6 mesi, di porre fine alla propria vita a fronte di una richiesta controfirmata da due diversi medici a distanza di sette giorni. Non prevede obiezione di coscienza né la possibilità dei familiari di contestare la richiesta e l’operato dei medici in caso di negligenze. Se verrà promulgata, la legge entrerà in vigore tra 2 o 3 anni.
Per spianarle la strada i parlamentari hanno negato l’evidenza. Non solo in tutti i paesi citati a modello da Leadbeater le famigerate garanzie sono saltate: che siano i senzatetto o i tossicodipendenti del Canada, piuttosto che i bambini in Olanda o le anoressiche in Oregon, dallo Stato fioccano autorizzazioni a morire a chi è tutt’altro che “terminale”. Non solo si può sopravvivere a una diagnosi di sei mesi o cambiare idea e desiderare vivere fino all’ultimo istante. Ma comunque venga perfezionata o riscritta la legge, non si può dimenticare che è di suicidio che stiamo parlando.
«Questo è un giorno buio per l’Inghilterra e il Galles»
Come ha scritto Brendan O’Neill nel suo editoriale sul corsaro Spiked: «Questo è un giorno davvero buio per la nostra nazione. La nostra classe politica ha appena sancito la morte per gli “inutili”».
«Per me, l’aspetto più inquietante del dibattito odierno sulla “morte assistita” alla Camera dei Comuni è stato il gemito udibile dei parlamentari quando si è parlato dell’omicidio di miserabili autorizzato dallo Stato in Canada. È stato il deputato conservatore Danny Kruger ad avere l’audacia di citare questi sventurati messi a morte dal proprio governo. Ha parlato di “medici” in Canada, “specialisti della morte assistita”, che “uccidono personalmente centinaia di pazienti all’anno”. Un lamento collettivo ha scosso l’aula quando i deputati si sono trovati di fronte alla verità: ciò per cui stavano votando avrebbe concesso a enti statali il potere di eliminare specifici membri della popolazione. “Se gli onorevoli membri trovano difficile accettare il linguaggio utilizzato”, ha replicato Kruger, “mi chiedo cosa stiano facendo qui”.
Quel gemito ha detto tutto. Con il loro atteggiamento di fastidio, i nostri legislatori hanno rivelato quanto siano completamente scollegati dalla realtà delle sofferenze dei malati e dei poveri che sono stati effettivamente uccisi – sì, uccisi – in Canada. Hanno accettato in modo così acritico il linguaggio ambiguo e eufemistico sul “diritto di morire” da sembrare aver dimenticato che questo comporta l’eliminazione letterale di una persona perché, agli occhi dello Stato, la sua vita è misera e insensata. Nel regime di morte canadese, ciò ha incluso anche l’uccisione di persone che non sono nemmeno terminali, ma che hanno semplicemente “bisogni sociali insoddisfatti”, come la mancanza di una casa o di prospettive future. Scusate se vi annoio ricordandovi che i poveri vengono messi a morte sotto la stessa bandiera della “morte assistita” che avete appena approvato in Parlamento».
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Di Rodolfo Casadei, 26 Novembre 2024
L’ex premier Gordon Brown, il ministro Streeting e il liberaldemocratico Davey si oppongono alla legge sulla “buona morte”, al voto venerdì. «Ho vegliato mia figlia morente, sono stati i giorni più preziosi della mia vita»
Manifestazione contro il suicidio assistito nel Regno Unito (foto Ansa)
Venerdì il parlamento britannico vota una proposta di legge della deputata laburista Kim Leadbeater per l’introduzione del suicidio assistito in Inghilterra e Galles, ma a manifestare contrarietà al progetto sono proprio laburisti di peso come l’attuale ministro della Sanità Wes Streeting e l’ex primo ministro ed ex ministro delle Finanze Gordon Brown. Ad essi tendenzialmente si affianca il leader dei liberaldemocratici Ed Davey. I casi di Brown e di Davey sono particolarmente interessanti perché l’avversione del primo e le perplessità del secondo sono da loro stessi spiegate come frutto delle loro esperienze personali con la sofferenza e morte di loro cari.
«Il suicidio assistito non è una buona opzione»
Nel gennaio 2002 Brown e la moglie Sarah hanno perduto la figlia Jennifer Jane, nata prematura il 28 dicembre 2001, in conseguenza di un’emorragia cerebrale che causò il suo decesso dopo appena 11 giorni di vita. In un articolo per il Guardian l’ex primo ministro ha scritto:
«Potevamo solo sedere presso di lei, tenerle la manina ed essere lì per lei mentre la vita svaniva. È morta tra le nostre braccia. Ma quei giorni che abbiamo trascorso con lei rimangono tra i giorni più preziosi della vita mia e di Sarah. L’esperienza di stare accanto ad una bambina mortalmente malata non mi ha fatto abbracciare la causa della morte assistita; mi ha convinto del valore e dell’imperativo di una buona assistenza nel fine vita».
Continua l’ex premier: «Entrambe le parti del dibattito sulla morte assistita condividono la stessa preoccupazione: la genuina compassione per coloro che soffrono morti dolorose. Dal mio punto di vista la morte assistita non è l’unica opzione a disposizione, e non è nemmeno una buona opzione quando la si confronti con le cure palliative che potrebbero essere disponibili per assicurare una buona morte».
Assistere la vita, non legiferare la morte
Brown racconta la sua scoperta della figura di Cicely Saunders (l’iniziatrice degli hospice per i malati terminali) e la sua esperienza di due settimane insieme alla moglie come volontari in un centro per le cure palliative. Lamenta gli scarsi finanziamenti pubblici alla loro attività e il fatto che ciò ne sta portando molti alla cessazione dei loro servizi: «Con solo un terzo dei costi complessivi a carico del servizio sanitario nazionale, molti dei 200 hospice del Regno Unito, che insieme supportano circa 300 mila persone all’anno, si trovano ad affrontare tagli e licenziamenti».
Come altre personalità attive nel dibattito, è convinto che la legislazione proposta rappresenti un piano inclinato: «Una legge sulla morte assistita, per quanto ben intenzionata, modificherebbe l’atteggiamento della società nei confronti degli anziani, dei malati gravi e dei disabili, anche se solo in modo subliminale. E temo anche che le professioni assistenziali perderebbero qualcosa di insostituibile: la loro posizione esclusivamente di caregiver. A ciò si aggiunge la creazione della china scivolosa per cui i legislatori, senza dubbio spinti da compassione, troverebbero difficile resistere all’erosione delle tutele e all’estensione dell’ammissibilità».
Brown raccomanda ai legislatori un diverso modo di agire: «Con le prestazioni del servizio sanitario nazionale al minimo storico, questo non è il momento giusto per prendere una decisione così gravida di conseguenze. Dobbiamo invece dimostrare che possiamo fare meglio nell’assistere la vita prima di decidere se legiferare sui modi di morire».
«Nessuno deve sentirsi un peso»
Davey, leader di un partito che normalmente sposa posizioni ultraprogressiste sui temi antropologici, si è dichiarato incline a votare contro la proposta di legge. Il deputato di Kingston e Surbiton ha affermato di essere preoccupato per l’«impatto psicologico» della legalizzazione della morte assistita sugli anziani e sui disabili per essere stato testimone e partecipe della battaglia di sua madre contro il cancro osseo.
Davey ha detto ai giornalisti di aver somministrato morfina a sua madre per aiutarla ad affrontare il dolore della sua condizione verso la fine della sua vita. Nonostante soffrisse prima di morire, il leader liberaldemocratico ha detto che non riteneva che «lei avrebbe voluto» avere qualcuno che la aiutasse a togliersi la vita. Invece di concentrarsi sulla morte assistita, il Regno Unito dovrebbe «fare molto meglio» per quanto riguarda le cure palliative. Una migliore assistenza di fine vita allevierebbe i timori delle persone di dover affrontare una morte dolorosa, rendendo superflui molti casi di suicidio assistito.
La preoccupazione per gli effetti di una legge eutanasica sui più fragili è anche alla radice delle motivazioni che porteranno il ministro della Sanità Wes Streeting a votare contro la proposta di legge di Kim Leadbeater venerdì. Qualche settimana fa ha dichiarato di essere «preoccupato del rischio che le persone siano costrette a togliersi la vita prima di quando avrebbero voluto, o che si sentano in colpa per essere diventati un peso».
La legge sul fine vita nel Regno Unito
La proposta di legge di Kim Leadbeater si chiama Terminally Ill Adults (End of Life) Bill e stabilisce che chiunque voglia porre fine alla propria vita deve avere più di 18 anni, vivere in Inghilterra o Galles, essere riconosciuto capace di intendere e di volere e deve aver espresso un desiderio chiaro e informato, libero da coercizioni o pressioni. La prognosi della sua malattia deve prevedere la morte entro sei mesi e la sua richiesta deve essere controfirmata da due diversi medici a distanza di sette giorni.
Un giudice dell’Alta Corte deve convocare almeno uno dei medici e può interrogare la persona che fa la richiesta di suicidio assistito. Dopo che il magistrato ha emesso una sentenza favorevole, il paziente dovrebbe attendere altri 14 giorni prima di agire. Chi dovesse esercitare pressioni sul malato per spingerlo a chiedere il suicidio assistito sarebbe punibile con una pena fino a 14 anni di carcere.
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