20 Ottobre 2024
Molti ritengono che certi crocifissi adornati e con forme non proprio da croci siano del tutto inappropriati. E’ davvero così?
E’ ben conosciuto il Crocifisso di Cimabue (1240-1302), del 1288, una tavola di centimetri 448 x 390 che si trova a Santa Croce a Firenze. E’ riprodotto nella foto. Gesù sembra adagiato sulla Croce. Le stigmate sono ben visibili, ma non colpiscono immediatamente lo sguardo. Colpisce il volto di Gesù, che, dopo aver vissuto gli spasmi della sofferenza, si mostra sereno. Colpiscono anche le immagini che sono agli estremi del patibolum (asse trasversale della Croce), che raffigurano la Vergine e san Giovanni, i due personaggi più importanti che accompagnarono Gesù fino alla morte. Oltre tutto questo, colpisce anche un’altra cosa …e molto di più: la forma della Croce. Ovviamente non ci riferiamo alla forma della Croce come croce, quanto all’eleganza di questa forma: una croce che ha una schematicità e simmetria evidenti. Si tratta di un modo di rappresentare la Croce di Gesù molto diffuso nel medioevo; lo stesso Cimabue lo utilizzò più volte.
Questo modo di rappresentare la Croce di Gesù vuol significare che nella Croce c’è una bellezza dinanzi alla quale nessuno sguardo può rimanere indifferente. Non si tratta di una bellezza che avrebbe la croce in quanto tale, ma la Croce per eccellenza: appunto la Croce del Redentore. In questo caso la bellezza è data dal fatto che la Croce rappresentata è sì una croce, ma non è semplicemente questa. E’ una croce, perché comunque è evidente la forma tipica e inoltre la presenza di Cristo dissolve qualsiasi dubbio, ma non è semplicemente una croce perché ci sono delle forme che ne smussano la durezza e ne abbelliscono la struttura. Insomma, coloro i quali rappresentavano la Croce di Gesù in tal modo (in questo caso Cimabue) volevano dire che la Croce di Cristo è archetipo di bellezza.
“Archetipo” significa “principio”, “modello esemplare”. Dunque la Croce di Cristo è modello esemplare di bellezza. La bellezza si realizza quando il segno (nel caso delle arti figurative) o la parola (nel caso della letteratura) riescono ad esprimere qualcosa che sia soddisfacente per il vivere, quando riescono ad esprimere una domanda, e preferibilmente anche una risposta, capaci di centrare e risolvere la questione del vivere.
Torniamo al Crocifisso di Cimabue del 1288. Ci sono ben tre verità evidenti che esso esprime bene. La prima è Cristo stesso inchiodato sulla Croce. La seconda è la Croce in quanto tale con la sua specifica forma. La terza è l’eleganza della Croce.
La prima (Cristo inchiodato alla Croce) è l’unicità della risposta cristiana alla questione della morte. Secondo il Cristianesimo la morte non è stata creata da Dio ma è entrata nel mondo in conseguenza del peccato originale. Posizione, questa, che non ha l’Islam, che, pur credendo nel peccato originale, afferma che questo peccato avrebbe riguardato solo Adamo ed Eva senza procurare alcuna conseguenza nei discendenti. Dunque la morte esisterebbe perché Dio stesso l’ha voluta. Le religioni orientali (induismo, buddismo…) pretendono, invece, risolvere la questione della morte affermando la sua non-esistenza: dal momento che l’individualità umana è un’illusione e dal momento che la morte è la distruzione dell’individualità, allora anche la morte sarebbe un’illusione. Conclusione che è alquanto ridicola. Il Cristianesimo, invece, da una parte non invita ad amare la morte in sé, perché essa è una conseguenza del peccato e non qualcosa che Dio avrebbe introdotto nella vita umana, dall’altra dà una risposta consolante: l’uomo non è solo dinanzi a questo grande mistero; Dio, incarnandosi, ha fatto esperienza della morte e l’ha sconfitta con la Resurrezione.
La seconda verità del Crocifisso di Cimabue (la Croce e la sua forma) riguarda il come vivere la Verità di Cristo. La croce ha due assi, uno verticale e l’altro orizzontale. L’asse verticale simboleggia il rapporto tra l’uomo e Dio: l’uomo che è chiamato ad elevarsi per incontrare il suo Signore e per farsi giudicare dal suo Signore. L’asse orizzontale, invece, simboleggia il rapporto tra uomo e uomo. L’uomo non può vivere da solo, egli incontra la verità in una dimensione comunitaria, che è la Chiesa. Nello stesso tempo, però, l’asse orizzontale è inchiodato su quello verticale a conferma che non può esistere autentico rapporto comunionale se non nell’individuale riconoscimento di Dio. D’altronde lo dice stesso la parola “fratello”, si può riconoscere l’altro come fratello se prima si riconosce un padre comune.
La terza verità (l’eleganza della Croce) è la dimensione armonica: l’unione delle due verità precedenti danno come esito la bellezza, perché sono due verità che si completano a vicenda e che dicono all’uomo che tutto può essere risolto a condizione che quell’Evento (la Crocifissione) non vada disperso con l’empietà e con il rifiuto della Grazia santificante.
L’eleganza è il segno di una bellezza che attira lo sguardo, ma senza un’eccessiva ricercatezza di elementi decorativi. L’eleganza è la sintesi di tre componenti: la sobrietà, l’austerità e il decoro. Non è né solo sobrietà né solo austerità né solo decoro, ma il giusto “dosaggio” di tutti e tre. La Croce di Cimabue esprime, con eleganza, l’unicità della risposta cristiana.
San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) nel De diligendo Deo afferma a proposito del Sacrificio di Cristo sulla Croce: “La prima volta che ha operato, ha dato me stesso a me stesso, ma la seconda volta mi ha donato sé, e dandomi sé mi ha restituito a me stesso.” Dio, creando l’uomo, ha dato l’uomo all’uomo; offrendosi sulla Croce ha dato all’uomo Se stesso e, dando Se stesso, ha fatto sì che l’uomo fosse restituito all’uomo. La Croce di Cristo è la possibilità di far sì che l’uomo scopra finalmente l’armonia tra la sua vita e il reale. La sofferenza, il dolore e la morte non sono più uno scandalo. O meglio: continuano ad esserlo sul piano dell’esito, nel senso che rimangono conseguenze del peccato originale e quindi non previste e non volute nel progetto originario di Dio, ma non lo sono più sul piano del vivere, nel senso che ad esse c’è una risposta. La Croce di Cristo è il faro che s’intravede tra le nebbie più fitte del vivere. E’ la luce che si può scorgere anche nella notte più buia. Gesù non è venuto a togliere la croce dalla vita dell’uomo, ma a renderla vivibile e capace di produrre frutti inimmaginabili: “Chi vuol seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Matteo 16).
Cesare Pavese (1908-1950) ne Il mestiere di vivere scrive: “La vita non è ricerca di esperienze, ma di se stessi. Scoperto il proprio stato fondamentale ci si accorge che esso combacia col proprio destino e si trova la pace.” Pavese, con grande onestà intellettuale, afferma che non può esservi pace fin quando non si riesce a far “combaciare” il proprio stato, cioè la propria esistenza, con il “proprio destino”. E per “proprio destino” intende la comprensione del proprio essere nel mondo, di accorgersi cioè che c’è un fine per il proprio esistere.
Ebbene, il Crocifisso di Cimabue esprime proprio questo. L’eleganza della forma della Croce, il tenue contrasto dei colori, la perfetta simmetria della figura sono i segni della risposta vera ed insostituibile che la Croce di Cristo offre alla vita dell’uomo. E che quindi il Crocifisso è archetipo della Bellezza.
Molti ritengono che certi crocifissi adornati e con forme non proprio da croci siano del tutto inappropriati. E’ davvero così?
E’ ben conosciuto il Crocifisso di Cimabue (1240-1302), del 1288, una tavola di centimetri 448 x 390 che si trova a Santa Croce a Firenze. E’ riprodotto nella foto. Gesù sembra adagiato sulla Croce. Le stigmate sono ben visibili, ma non colpiscono immediatamente lo sguardo. Colpisce il volto di Gesù, che, dopo aver vissuto gli spasmi della sofferenza, si mostra sereno. Colpiscono anche le immagini che sono agli estremi del patibolum (asse trasversale della Croce), che raffigurano la Vergine e san Giovanni, i due personaggi più importanti che accompagnarono Gesù fino alla morte. Oltre tutto questo, colpisce anche un’altra cosa …e molto di più: la forma della Croce. Ovviamente non ci riferiamo alla forma della Croce come croce, quanto all’eleganza di questa forma: una croce che ha una schematicità e simmetria evidenti. Si tratta di un modo di rappresentare la Croce di Gesù molto diffuso nel medioevo; lo stesso Cimabue lo utilizzò più volte.
Questo modo di rappresentare la Croce di Gesù vuol significare che nella Croce c’è una bellezza dinanzi alla quale nessuno sguardo può rimanere indifferente. Non si tratta di una bellezza che avrebbe la croce in quanto tale, ma la Croce per eccellenza: appunto la Croce del Redentore. In questo caso la bellezza è data dal fatto che la Croce rappresentata è sì una croce, ma non è semplicemente questa. E’ una croce, perché comunque è evidente la forma tipica e inoltre la presenza di Cristo dissolve qualsiasi dubbio, ma non è semplicemente una croce perché ci sono delle forme che ne smussano la durezza e ne abbelliscono la struttura. Insomma, coloro i quali rappresentavano la Croce di Gesù in tal modo (in questo caso Cimabue) volevano dire che la Croce di Cristo è archetipo di bellezza.
“Archetipo” significa “principio”, “modello esemplare”. Dunque la Croce di Cristo è modello esemplare di bellezza. La bellezza si realizza quando il segno (nel caso delle arti figurative) o la parola (nel caso della letteratura) riescono ad esprimere qualcosa che sia soddisfacente per il vivere, quando riescono ad esprimere una domanda, e preferibilmente anche una risposta, capaci di centrare e risolvere la questione del vivere.
Torniamo al Crocifisso di Cimabue del 1288. Ci sono ben tre verità evidenti che esso esprime bene. La prima è Cristo stesso inchiodato sulla Croce. La seconda è la Croce in quanto tale con la sua specifica forma. La terza è l’eleganza della Croce.
La prima (Cristo inchiodato alla Croce) è l’unicità della risposta cristiana alla questione della morte. Secondo il Cristianesimo la morte non è stata creata da Dio ma è entrata nel mondo in conseguenza del peccato originale. Posizione, questa, che non ha l’Islam, che, pur credendo nel peccato originale, afferma che questo peccato avrebbe riguardato solo Adamo ed Eva senza procurare alcuna conseguenza nei discendenti. Dunque la morte esisterebbe perché Dio stesso l’ha voluta. Le religioni orientali (induismo, buddismo…) pretendono, invece, risolvere la questione della morte affermando la sua non-esistenza: dal momento che l’individualità umana è un’illusione e dal momento che la morte è la distruzione dell’individualità, allora anche la morte sarebbe un’illusione. Conclusione che è alquanto ridicola. Il Cristianesimo, invece, da una parte non invita ad amare la morte in sé, perché essa è una conseguenza del peccato e non qualcosa che Dio avrebbe introdotto nella vita umana, dall’altra dà una risposta consolante: l’uomo non è solo dinanzi a questo grande mistero; Dio, incarnandosi, ha fatto esperienza della morte e l’ha sconfitta con la Resurrezione.
La seconda verità del Crocifisso di Cimabue (la Croce e la sua forma) riguarda il come vivere la Verità di Cristo. La croce ha due assi, uno verticale e l’altro orizzontale. L’asse verticale simboleggia il rapporto tra l’uomo e Dio: l’uomo che è chiamato ad elevarsi per incontrare il suo Signore e per farsi giudicare dal suo Signore. L’asse orizzontale, invece, simboleggia il rapporto tra uomo e uomo. L’uomo non può vivere da solo, egli incontra la verità in una dimensione comunitaria, che è la Chiesa. Nello stesso tempo, però, l’asse orizzontale è inchiodato su quello verticale a conferma che non può esistere autentico rapporto comunionale se non nell’individuale riconoscimento di Dio. D’altronde lo dice stesso la parola “fratello”, si può riconoscere l’altro come fratello se prima si riconosce un padre comune.
La terza verità (l’eleganza della Croce) è la dimensione armonica: l’unione delle due verità precedenti danno come esito la bellezza, perché sono due verità che si completano a vicenda e che dicono all’uomo che tutto può essere risolto a condizione che quell’Evento (la Crocifissione) non vada disperso con l’empietà e con il rifiuto della Grazia santificante.
L’eleganza è il segno di una bellezza che attira lo sguardo, ma senza un’eccessiva ricercatezza di elementi decorativi. L’eleganza è la sintesi di tre componenti: la sobrietà, l’austerità e il decoro. Non è né solo sobrietà né solo austerità né solo decoro, ma il giusto “dosaggio” di tutti e tre. La Croce di Cimabue esprime, con eleganza, l’unicità della risposta cristiana.
San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) nel De diligendo Deo afferma a proposito del Sacrificio di Cristo sulla Croce: “La prima volta che ha operato, ha dato me stesso a me stesso, ma la seconda volta mi ha donato sé, e dandomi sé mi ha restituito a me stesso.” Dio, creando l’uomo, ha dato l’uomo all’uomo; offrendosi sulla Croce ha dato all’uomo Se stesso e, dando Se stesso, ha fatto sì che l’uomo fosse restituito all’uomo. La Croce di Cristo è la possibilità di far sì che l’uomo scopra finalmente l’armonia tra la sua vita e il reale. La sofferenza, il dolore e la morte non sono più uno scandalo. O meglio: continuano ad esserlo sul piano dell’esito, nel senso che rimangono conseguenze del peccato originale e quindi non previste e non volute nel progetto originario di Dio, ma non lo sono più sul piano del vivere, nel senso che ad esse c’è una risposta. La Croce di Cristo è il faro che s’intravede tra le nebbie più fitte del vivere. E’ la luce che si può scorgere anche nella notte più buia. Gesù non è venuto a togliere la croce dalla vita dell’uomo, ma a renderla vivibile e capace di produrre frutti inimmaginabili: “Chi vuol seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Matteo 16).
Cesare Pavese (1908-1950) ne Il mestiere di vivere scrive: “La vita non è ricerca di esperienze, ma di se stessi. Scoperto il proprio stato fondamentale ci si accorge che esso combacia col proprio destino e si trova la pace.” Pavese, con grande onestà intellettuale, afferma che non può esservi pace fin quando non si riesce a far “combaciare” il proprio stato, cioè la propria esistenza, con il “proprio destino”. E per “proprio destino” intende la comprensione del proprio essere nel mondo, di accorgersi cioè che c’è un fine per il proprio esistere.
Ebbene, il Crocifisso di Cimabue esprime proprio questo. L’eleganza della forma della Croce, il tenue contrasto dei colori, la perfetta simmetria della figura sono i segni della risposta vera ed insostituibile che la Croce di Cristo offre alla vita dell’uomo. E che quindi il Crocifisso è archetipo della Bellezza.
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