martedì 2 novembre 2021

Anticamente si chiedeva al moribondo: "Sei contento di morire?"




L'odierna ricorrenza è una buona occasione per riflettere sul destino di ciascuno. Nel saggio La vita quotidiana secondo San Benedetto, lo storico belga Léo Moulin (1906-1996) descrive una morte accolta e vissuta consapevolmente. Anticamente si chiedeva addirittura al moribondo: "Sei contento di morire con l'abito monastico?". Domanda impensabile al giorno d'oggi, quando ci si augura generalmente di non accorgersene e si bada bene a non avvertirne il moribondo, che finisce per affrontare impreparato il passo decisivo della sua esistenza.
Stefano [MiL]





L'agonia e la morte

Se la condizione del malato si aggrava, l'infermiere avvertirà l'abate. Accompagnato da alcuni fratelli, il priore va a visitare il malato. Se il caso è disperato, i fratelli recitano tre orazioni: il malato sa a cosa va incontro. Egli pronuncia il Confiteor, se può ancora parlare, altrimenti l'abate lo recita per lui.

«Se l'anima che sta per separarsi sembra essere entrata nel travaglio della separazione dal corpo - dice un testo: in extremis laborat- i fratelli stendono a terra o su della paglia un cilicio, vi tracciano una croce con la cenere e vi depongono il morente: in cenere et cilicio».

La comunità intera è messa in stato di all'erta da colpi ripetuti di uno strumento di legno (quando quis moritur, ad me currendo venitur). Tutti devono accorrere senza ritardo (sine aliqua mora) e senza scusa alcuna, neppure quella di celebrare la messa. Si canta il Credo con voce contenuta.

Il moribondo si confessa. Chiede perdono ai suoi fratelli per le colpe commesse contro Dio e contro di loro, si prosterna davanti a loro, sostenuto in caso di bisogno da due fratelli, o dà loro il bacio della pace. Riceve la comunione con gli occhi fissi sulla Croce.

Gli antichi consuetudinari prevedevano che venissero rivolte all'infelice delle domande come questa: «Sei contento di morire con l'abito monastico?». Questo psicodramma doveva essere lugubre e commovente nello stesso tempo.

L'agonia era accompagnata da una serie di gesti simbolici. L'ebdomadario ungeva gli occhi, le orecchie, le narici, le mani, i piedi: le cinque piaghe di Cristo riscattino i peccati che hanno fatto irruzione nell'uomo attraverso i cinque sensi.

Se l'agonia si prolunga la comunità si ritira lasciando ad uno dei fratelli il compito di leggere al moribondo la passione di Cristo.

Una volta che il malato è morto, si lava il corpo con acqua calda nell'infermeria, sopra una pietra apposita. Questo lavoro era per principio compito di religiosi dello stesso grado del defunto.

Le mani sono collocate sotto la cocolla che sarà cucita, il cappuccio riversato sul viso. Il cadavere è incensato e asperso d'acqua benedetta. Quindi è portato in chiesa. I fratelli si dispongono in cerchio intorno alla bara nei monasteri dove questa è prevista, altrimenti, come presso i trappisti, intorno alla tavola sulla quale è steso il cadavere.

Sono previste delle veglie; la comunità sarà dunque sempre presente.

Dopo l'ufficio dei morti, i religiosi portano la salma al cimitero, recitando delle preghiere secondo una liturgia estremamente minuziosa che, d'altronde, differisce nei dettagli da un'abbazia all'altra. La salma viene depositata, l'abate vi getta sopra per primo tre palate di terra. Gli altri lo imitano a loro volta fino a quando la terra ricopre interamente la salma. Tutti ritornano al monastero. Si spengono i candelieri, le campane smettono di suonare.

Per trenta giorni i religiosi cantano in comune l'ufficio dei morti. Ogni sacerdote celebra sette messe.
Il cibo del morto era dato ai poveri, questi «portinai del cielo», diceva Sant'Oddone. Per trenta giorni a Cluny, per un anno in Germania.




Fonte: Ora et labora

Foto di apertura (le esequie di dom Gerard Calvet OSB, fondatore e primo abate della comunità monastica di Le Barroux) tratta dal blog Romualdica.






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