martedì 16 novembre 2021

Con la creatività liturgica si giustifica l’eresia, l'apostasia e la sovversione dell’ordine soprannaturale. Parola del cardinale Siri




Riprendiamo da Chiesa e postconcilio di martedì 16 novembre 2021

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Il card. Siri e la «Creatività» - Note introduttive sulla creatività nella Liturgia

Pubblico un documento tratto dalla pastorale del card. Siri sul tema della Creatività. Una importante riflessione sulle derive oggi sempre più deleterie nell'insegnamento costante della Chiesa e conseguenti ripercussioni nella vita spirituale della persona e nell'ordine sociale. Qui di seguito alcuni richiami specificamente riguardo alla Liturgia, culmen et fons della vita cristiana. Secondo il card. Siri «La creatività liturgica contraria alle vigenti leggi oggi sta battendo tutti gli abusi eliminati da San Pio V».

Della Creatività operante anche nella Liturgia, insieme alle altre innovazioni spurie che costituiscono le derive della Riforma introdotta da Paolo VI, parlavo qui. Cito: «Appare inoltre l’inaudita novità dell’introduzione nella Liturgia del principio di creatività (costituzione SC agli artt. 37-40), che presuppone l'antropocentrismo ed è resa impossibile dalla struttura sacra e solenne dell'antico rito centrata su Cristo e non sull'assemblea. Il principio, sia pure in teoria sotto il controllo della Prima Sedes, si è rivelato poi nei fatti quasi sempre accademico ed oggi ancor più diluito per effetto del motu proprio Magnum Principium (9.9.2017)* [approfondimenti qui]. 

Il principio di creatività è stato sempre avversato nei secoli da tutto il Magistero, senza eccezioni, come cosa nefasta, da evitare nel modo più assoluto, ed è considerato da molti il vero motivo del caos liturgico attuale. Esso viene oggi corroborato dall’ampia e del tutto nuova competenza attribuita alle Conferenze Episcopali in materia liturgica, ivi compresa la facoltà di sperimentare nuove forme di culto (SC 22 § 2, 39, 40), contro l’insegnamento costante del Magistero, che ha sempre riservato al Sommo Pontefice ogni competenza in materia, quale massima garanzia contro l’introduzione di innovazioni liturgiche».

Secondo Romano Amerio: «Il principio della creatività consegue al falso supposto che la liturgia debba esprimere i sentimenti dei fedeli e sia una loro produzione: essa esprime invece la realtà del mistero ed è una azione del Cristo. Vi è qui un’implicita risoluzione della liturgia in poetica».

* «
Magnum Principium non sostiene più che le traduzioni devono essere conformi in tutti i punti alle norme del Liturgiam Authenticam, così come veniva effettuato nel passato». Tale affermazione unita all’altra secondo cui una traduzione liturgica “fedele” «implica una triplice fedeltà» - al testo originale, alla lingua della traduzione, alla comprensibilità dei destinatari – lascia intendere che Magnum Principium è inteso come l’inizio di un processo che può portare molto lontano. Ciò che si temeva purtroppo sta accadendo a ritmi sempre più serrati. Siamo al 'rompete le righe' col decentramento alle Conferenze episcopali della preparazione dei libri liturgici, che mina l'unità e dell'universalità de La Catholica. (M.G.)





La creatività

NOTA PER IL CLERO -12 (1977)

1. L’EQUIVOCO

«Creatività» è oggi parola corrente. E lo è da pochi anni, pur non escludendo affatto che in passato qualcuno l’abbia usata con molta parsimonia.
Essa è la capacita propria dell’uomo di produrre qualcosa di nuovo, che pertanto non è semplice ripetizione. È ovvio che la creatività dovrebbe (diciamo «dovrebbe») produrre perfezionamento, progresso. Forse è quest’ultimo quello che incanta.
L’argomento è dunque perfettamente pulito, la creatività di per sé appartiene al lato positivo dell’uomo.
Ma quando la parola «creatività» la si assume per coprire realtà diverse, si ha l’equivoco. Ed è di quello equivoco che qui si intende parlare.

Accade che si voglia esprimere la piena libertà, senza limiti, freni e controlli contro la Legge e le leggi. Questa pretesa e questo impulso è detto «creatività» e la fuga dalla legge, dall’ordine stabilito, dai doveri, viene attuata e giustificata con la «creatività». Si usa un termine per esprimere quello che non contiene, ma serve perché presta a qualcosa di disordinato e talvolta mostruoso la onestà insita nel termine. È un inganno ed arriva ad essere un crimine sotto le parvenze di una espressione onesta.


2. IL SUO FILO LOGICO

Ecco la genealogia dell’equivoco. La filosofia strabica che incombe sulla civiltà occidentale dal dramma di Lutero in poi, mette il soggetto al posto dell’oggetto. Anzi è il soggetto che pone e stabilisce l’oggetto. Conseguenza il soggetto è arbitro e principio di quello che chiamiamo «essere»: lo pone pertanto come vuole. In termini poveri si ha il metodo hegeliano: si fa quello che si vuole. Comodo.

Naturalmente le barriere che frenano impulsi intellettuali sfasati, impulsi ed estri ritenuti artistici, voglie scambiate per affermazioni di personalità, cadono miseramente. Sembra persin bello le regole non osservarle, ma crearsele.

L’equivoco della creatività, ancora una volta deriva dalla errata impostazione fatta a principio del XVI secolo!


3. APPLICAZIONI

Posta la sovversione di rapporto tra oggetto e soggetto e la conseguente infinita libertà, creatasi la mentalità relativistica che tutto erode, stanno moltiplicandosi le metastasi. Si vuol fare della Teologia senza ripetere quello che si è sempre detto e creduto, tanto per non sembrare dei barbogi e per evitare l’epiteto sanguinoso di «conservatore». Come è possibile - pensano, non tutti, ma molti - fare tesi di laurea che rimescolino acqua passata per quasi duemila anni? Bisogna inventare, naturalmente, facendosi suffragare da qualche «testo», dal coro circostante, da qualche reperto, accantonando del tutto il metodo teologico, il suo rigoroso criterio? Si invoca la «creatività» e con questa si giustifica l’eresia, la apostasia, la sovversione dell’ordine soprannaturale, la distruzione d’ogni dipendenza da Dio. La «creatività» copre.

Si vuole ribaltare la Chiesa, quella storica, fondata da Gesù Cristo e da Lui strutturata, per sostituire la Gerarchia, cancellare il Primato e dare finalmente sfogo alle «assemblee», alle «basi», al grande gridio dei confusionari mercati?

Si inducono costumi strambi e degni dei Circhi, si degrada l’Altare ad essere una mensa qualunque, si celebra la Santa Messa sul prato seduti in cerchio sulle gambe incrociate senza l’ombra di un paramento sacro. Fino alla riforma di San Pio V che tolse molte dissonanze ed abusi in una certa cattedrale della Europa nella domenica delle Palme si portava nel Sancta Sanctorum un asino, lo si metteva al posto d’onore e lo si incensava. Almeno questo era fatto per il ricordo della cavalcata del Signore fatta su un asino per entrare in Gerusalemme. C’era della indubbia creatività, c’era dello strambo; ma in fondo c’era un pio ricordo d’un avvenimento narrato negli Evangeli. La creatività liturgica contraria alle vigenti leggi oggi sta battendo tutti gli abusi eliminati da San Pio V. La storia della «creatività» non è finita: avrà grandi sequele. In fondo è per essa che si continua a rivoltare e rimaneggiare argomenti chiari da sempre. Ci siamo chiesti molte volte: perché? Probabilmente è l’anima della «creatività» che come un magma eruttivo a temperature altissime scuote la superficie della terra con la rabbia e la instabilità d’un demone!

Ci si vuole sbarazzare del fastidio di educare (bisogna concedere che è grave e sovente doloroso)? Si afferma che bisogna abbandonare il ragazzo a se stesso, sicché si formi come crede, nel pieno rispetto della sua sacra personalità. Si dice che non è possibile frenare l’immensa riserva di «creatività» che è in qualunque ragazzo e che, solo con questo perfetto sfogo lasciato alla medesima, si moltiplicheranno i Dante, i Galileo, gli Einstein... Qualcuno arriva a dire - audite insulae! - che si moltiplicheranno i Santi! Di fatto siamo spettatori di quello che succede nelle scuole a «ritmo ultimo». Tanto si dice perché molte cose penose alle quali dobbiamo assistere non debbono attribuirsi solo ai matti che sono qua e là nascosti in tutte le pieghe delle istituzioni umane, ma probabilissimamente anche al mito della «creatività». Ci vuol giustizia per i matti. Le cose bisogna ragionarle e questo è «modernità», dopo tanta notte! 

+ Giuseppe Card. Siri








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