giovedì 11 ottobre 2012

Equilibrio e realismo cristiano






di Francesco Agnoli


Mi sembra di capire che una delle virtù cristiane sia l’equilibrio.
Mi spiegherò partendo da lontano. Alcune volte mi sono chiesto come mai, ad un certo punto, a partire dagli anni Sessanta, la Chiesa abbia conosciuto una incredibile emorragia di sacerdoti e di fedeli. In quegli anni migliaia e migliaia di preti, religiosi e religiose, hanno lasciato l’abito. Così tantissimi cattolici, cresciuti in parrocchia, hanno abbandonato più o meno completamente la fede e la pratica. Come persona nata negli anni Settanta, ho visto solo il periodo della crisi, non quello precedente, che la ha preparata. Per cui diverse volte ho chiesto a persone più anziane come era ai loro tempi. Tante volte mi sono sentito rispondere: il mio parroco parlava sempre di peccati, ci minacciava spesso con l’inferno, si arrabbiava moltissimo se la gonna non arrivava ai piedi…Non voglio ovviamente generalizzare, ma può darsi che questa percezione abbia un suo significato. Che non pochi sacerdoti, prima del Concilio, per capirci, fossero, diciamo così, un po’ esagerati, talora eccessivi?

A confermare questa ipotesi c’è il poi. Nella mia vita di cattolico post conciliare non ho pressoché mai sentito parlare dal pulpito di peccato, di Satana, e neppure di pudore, sacrificio ecc… Sembra quasi ci sia stato un ribaltamento totale, brusco. Prima, per semplificare ancora un volta, e me ne scuso, un certo pessimismo, poi, un ottimismo mondano sicuramente deleterio e irrealistico. “Operate con timore e tremore la vostra salvezza”, diceva san Paolo: il ricordo delle verità scomode non può essere trascurato. Però non basta, non è tutto. Mi sembra che occorra ritrovare l’equilibrio.

Dio ci viene in aiuto. Nell’Antico Testamento, infatti, ci ha dato i dieci comandamenti. A ben guardarli, 8 contengono un divieto (“Non…”). Dio stesso dunque ha deciso di educare gli uomini in questo modo, come si guida un bambino, mettendo bene in chiaro cosa è ingiusto ed illecito. Che ieri si puntasse troppo sui divieti? Può darsi, stando a molte testimonianze…Oggi, in compenso, neppure molti sacerdoti conoscono i dieci comandamenti e i più non hanno il coraggio di bollare neppure le nefandezze più evidenti.

Dopo il Vecchio, il Nuovo Testamento: qui Cristo ci invita in più occasioni sia a sfuggire il male, sia alla positività delle Beatitudini e della legge dell’amore, che tutte le riassume. Se l’inizio della Sapienza è il timore di Dio, bisogna poi progredire nella sapienza, vivendo l’amore di Dio e del prossimo. Il messaggio cristiano è così veramente equilibrato, realistico. Ci invita a tenere insieme il Dio giudice e il Dio Amore. A ricordare che Dio ci propone un giogo, dolce, e ci indica la strada per divenire sempre più “perfetti” come è perfetto è il Padre nostro che è nei cieli. Accanto ai divieti, il Vangelo indica vette da raggiungere, affascinanti, grandiose. Educa l’uomo che è peccatore, ma che è anche la “gloria del Dio vivente”, il “capolavoro della creazione”.

Vittorio Messori direbbe che il cristianesimo ha una legge inderogabile: “et et” e non “aut aut”. Il cristiano deve essere un uomo che teme il peccato, che ne ha orrore; ed anche un uomo che non si sente schiacciato dal peso della sua colpa, perché sa di poter sempre contare, se pentito, sul perdono di Dio. Il mandare tutti all’inferno, di qualcuno, generava disperazione e abbandono…l’inferno vuoto, invece, svuota anche la vita morale e la Redenzione di significato.

Il cristiano non può dimenticare la legge, ma non deve divenire l’uomo della legge, della regola. Deve saper andare oltre. Non può, in nome di un amore malinteso, fingere che si possa prendersi gioco dei comandamenti del Creatore, ignorando l’esistenza del peccato, e nel contempo, come diceva santa Teresa Verzeri, non deve “inventare peccati là dove non vi sono”.

Anche qui è sempre il Vangelo ad educarci: in esso la parola “mondo” ha due accezioni diverse. Come Cristo, il cristiano deve aspirare ad uno spirito critico, ad una capacità di giudizio, rispetto al male, agli “inganni del mondo”, ma deve anche guardare il mondo nell’altro modo in cui lo guarda Dio, che “ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio”.

Perché questo sproloquio? Perché mentre il “cattolico adulto” di oggi sembra assolutamente incapace di comprendere a quale disastro porta il tradimento dei principi e dei dogmi della fede, dall’altro lato il rischio del cattolico che si rende conto della attuale crisi della società, della famiglia, della Chiesa, a me sembra, è quello di divenire un lamentoso che abbaia, anche giustamente, contro i tempi rei, rischiando però di perdere la speranza.

Comunque vada, Dio opera ancora nella storia, e a noi è chiesto un giudizio sulle cose, non di essere i giudici. E, soprattutto, ci è chiesto, accanto alla condanna del peccato, l’amore (che non è cieco, ma paziente e benigno sì).

Il Foglio, 2 febbraio 2012

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