mercoledì 3 ottobre 2012

Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!

 

 

 

di Antonio Ucciardo




"Questa è la fede che, con brevi formule, è offerta dal Simbolo ai nuovi cristiani perché la conservino. Queste brevi formule sono presentate ai fedeli affinché, credendo, si sottomettano a Dio, sottomessi a lui vivano rettamente, vivendo rettamente purifichino il loro cuore e, una volta purificato il cuore, comprendano ciò che credono"(1). Queste parole di S. Agostino, poste a conclusione del suo De fide et simbolo, costituiscono una sintesi felice delle grandi questioni connesse all'obbedienza e alla fedeltà all'interno della Chiesa. Comprendiamo bene che non si tratta di una generica obbedienza a Dio, quanto piuttosto di un'adesione a ciò che ci viene proposto in nome di Dio, ossia la certezza che Dio ci abbia trasmesso, ed ancora ci trametta, le verità della fede per mezzo della Chiesa. Le grandi contestazioni al Magistero non sembrano riguardare più la vita della Chiesa, ma di fatto serpeggiano "magisteri" diversi e paralleli: della disobbedienza pratica, della disattenzione sistematica, della coscienza creativa, dell'infedeltà resistente. Quest'ultimo sembra oggi prevalere in larghi settori del cattolicesimo, grazie anche alla ferma volontà di Benedetto XVI di proporre il Concilio Ecumenico Vaticano II nell'ottica di un'ermeneutica della continuità con la Tradizione, vale a dire con la fede di sempre. Infedeltà resistente significa ben più che aperta e manifesta disattenzione, perché comporta la convinzione che, superato il momento, la propria visione torni ad imporsi. A tutto questo bisogna aggiungere la presenza costante, in vasti settori della società odierna, del rifiuto di qualsiasi forma di autorità, normalmente associato ad un errato concetto di libertà, come pure l'applicazione di categorie sociologiche al mistero della Chiesa. Se il dissenso aperto sembra dissolto, il dissenso latente non accenna affatto a placarsi.

Più che comprendere il senso e la funzione del Magistero nella vita della Chiesa, dobbiamo qui considerare il senso della fedeltà che il suo riconoscimento comporta. In una qualsiasi relazione umana, non è sufficiente riconoscere l'esistenza dell'altro e delle sue prerogative. Ciò che rende autentica la relazione è l'apertura all'altro, con i gradi diversi che il tipo di legame comporta. In una famiglia, per esempio, non è sufficiente prendere atto che si vive nella stessa casa e che si adempiono determinati doveri derivanti dalla medesima condizione di vita. E' chiaro che l'anima di quelle relazioni, fondamentali per i coniugi e per i figli, non risiede nel mero riconoscimento di una semplice presenza e di un dovere, bensì in un amore che sa farsi vita attraverso la donazione, l'ascolto, l' apertura sincera del cuore. A maggior ragione, in quella singolare famiglia costituita dalla Chiesa, bisogna prestare attenzione a quell'Amore da cui tutto deriva. In questo senso, anche la fedeltà dev'essere compresa alla luce del concetto fondamentale di Traditio già richiamato in un precedentemente articolo. Infatti "l' ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa è stato affidato al solo Magistero vivente della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo" (2). Soltanto se nella mia vita di credente è chiaro che Dio desidera raggiungermi attraverso la Chiesa, posso aprirmi a quelle disposizioni del cuore che mi rendono docile ed obbediente. La fedeltà, in fondo, non è che questo: un'obbedienza docile. Non si tratta, infatti, di qualcosa che viola la mia libertà, o che si impone semplicemente dall'esterno, senza una corrispondenza interiore. Oggi sfugge sempre più cosa sia la fede, normalmente confusa con una disposizione soggettiva. In realtà, come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, "la fede è innanzi tutto una adesione personale dell'uomo a Dio; al tempo stesso ed inseparabilmente, è l'assenso libero a tutta la verità che Dio ha rivelato. In quanto adesione personale a Dio e assenso alla verità da lui rivelata, la fede cristiana differisce dalla fede in una persona umana" (3).

Secondo le categorie normalmente in uso, l'obbedienza sembra estranea ad un assenso che voglia dirsi libero. Eppure obbedire deriva da ob - audire, cioè ascoltare stando di fronte. E' dunque un ascolto che dispone a fare la volontà, una sottomissione libera "alla parola ascoltata, perché la sua verità è garantita da Dio, il quale è la verità stessa" (4). La preghiera fondamentale di Israele, lo shemà, coinvolge ogni membro del popolo nel riconoscimento adorante della Presenza che è di fronte per manifestare il suo amore salvifico: "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l`anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore" (Dt 6, 4 - 6). La volontà è mossa dall'amore, ma anche dall'esperienza di una fedeltà che non viene meno. E se Israele guarda in avanti, al compimento delle promesse, il cristiano guarda al dono del Figlio e all'Alleanza nel Suo sangue: " Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?" (Rm 8, 32). La fedeltà di Dio non è una parola, ma una carne, perchè in Cristo tutte le promesse sono diventate sì (cfr. 2 Cor 1, 20). Con il dono del Figlio, anche l'infedeltà dell'uomo è vinta radicalmente, perchè è compiuta l'Alleanza promessa per bocca dei profeti: " Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi" (Ez 36, 26 - 27). Il cuore è risanato, perchè l'uomo possa essere fedele a Dio.

Nel brano di S. Agostino citato in apertura, l'obbedienza della fede è connessa alla purificazione del cuore e questa, a sua volta, è ricondotta alla fede. Sebbene il santo dottore non si riferisca qui esplicitamente alla Rivelazione di Cristo, è in quest'ottica che dobbiamo comprenderne le parole. Altrove egli considera quanto segue: "La vita stessa si è manifestata (1 Gv 1, 2). Dunque Cristo è il Verbo di vita. Ma come si è manifestata? Essa era fin dall'inizio, ma ancora non si era manifestata agli uomini; s'era invece manifestata agli angeli che la contemplavano e se ne cibavano come del loro pane. Ma che cosa afferma la Scrittura? L'uomo mangiò il pane degli angeli (Sal 77, 25). Dunque la vita stessa si è manifestata nella carne; perché si è manifestata affinché fosse visto anche dagli occhi ciò che solo il cuore può vedere e così i cuori avessero a guarire. Solo col cuore si vede il Verbo; cogli occhi del corpo invece si vede anche la carne. Noi potevamo vedere la carne, ma per vedere il Verbo non avevamo i mezzi. Allora il Verbo si è fatto carne e questa la potemmo vedere, onde ottenere la guarigione di quella vista interiore che sola ci può far vedere il Verbo" (5).

La fonte della fedeltà è dunque la grazia di Cristo, che ci raggiunge e ci purifica nella Sua Chiesa per mezzo della predicazione e dei sacramenti. Non può esistere un cattolico che non nutra nei riguardi della Chiesa un autentico spirito filiale. " Esso è il normale sviluppo della grazia battesimale, che ci ha generati nel seno della Chiesa e ci ha resi membri del corpo di Cristo. La Chiesa, nella sua sollecitudine materna, ci accorda la misericordia di Dio, che trionfa su tutti i nostri peccati e agisce soprattutto nel sacramento della Riconciliazione. Come madre premurosa, attraverso la sua liturgia, giorno dopo giorno, ci elargisce anche il nutrimento della Parola e dell'Eucaristia del Signore" (6)

Essere fedeli alla Chiesa è ben più che manifestare un sentimento. E' una riposta autentica di fede, un 'ascolto del cuore, una persuasione, lieta e feconda, d'essere stati raggiunti dalla grazia. Non è soltanto una questione di disciplina e di rispetto, né tanto meno la rivendicazione di un'identità. Tutti questi aspetti devono essere ugualmente presenti, ma da soli non portano frutto senza l'accordo del cuore con la volontà di Dio.

E' vero che esistono forme diverse di Magistero e gradi diversi di obbedienza. Soltanto la fedeltà consente di unificare le diversità in un unico slancio di fede, nell'accoglienza pronta di ogni insegnamento e di ogni disposizione. Se Dio è fedele, non può certo indurci all'errore, né può privare il Magistero della Chiesa dell'assistenza promessa. E' impossibile che la Chiesa, "colonna e sostegno della verità" ( 1 Tm 3, 15 ) possa ingannarci in tutto quello che attiene alla fede e ai costumi, anche quando il suo giudizio non intende essere irreformabile. Alcuni ritengono che il Magistero richieda l'obbedienza soltanto quando eserciti l'infallibilità. Ma questo significherebbe che in altre circostanze il magistero possa essere non - fallibile, e quindi in errore o prossimo all'errore. In realtà anche il magistero ordinario gode di una prerogativa di infallibiltà. Ecco, a tal riguardo, l'insegnamento del Concilio Vaticano II :

"Tra i principali doveri dei vescovi eccelle la predicazione del Vangelo. I vescovi, infatti, sono gli araldi della fede che portano a Cristo nuovi discepoli; sono dottori autentici, cioè rivestiti dell'autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita, la illustrano alla luce dello Spirito Santo, traendo fuori dal tesoro della Rivelazione cose nuove e vecchie (cfr. Mt 13,52), la fanno fruttificare e vegliano per tenere lontano dal loro gregge gli errori che lo minacciano (cfr. 2 Tm 4,1-4). I vescovi che insegnano in comunione col romano Pontefice devono essere da tutti ascoltati con venerazione quali testimoni della divina e cattolica verità; e i fedeli devono accettare il giudizio dal loro vescovo dato a nome di Cristo in cose di fede e morale, e dargli l'assenso religioso del loro spirito. Ma questo assenso religioso della volontà e della intelligenza lo si deve in modo particolare prestare al magistero autentico del romano Pontefice, anche quando non parla « ex cathedra ». Ciò implica che il suo supremo magistero sia accettato con riverenza, e che con sincerità si aderisca alle sue affermazioni in conformità al pensiero e in conformità alla volontà di lui manifestatasi che si possono dedurre in particolare dal carattere dei documenti, o dall'insistenza nel proporre una certa dottrina, o dalla maniera di esprimersi.

Quantunque i vescovi, presi a uno a uno, non godano della prerogativa dell'infallibilità, quando tuttavia, anche dispersi per il mondo, ma conservando il vincolo della comunione tra di loro e col successore di Pietro, si accordano per insegnare autenticamente che una dottrina concernente la fede e i costumi si impone in maniera assoluta, allora esprimono infallibilmente la dottrina di Cristo. La cosa è ancora più manifesta quando, radunati in Concilio ecumenico, sono per tutta la Chiesa dottori e giudici della fede e della morale; allora bisogna aderire alle loro definizioni con l'ossequio della fede" (7).

Potremmo dire, con questo testo, che la fedeltà sia sincerità, conformità, ossequio. Non un ossequio generico, bensì un ossequio della fede, perché si riconosce che Dio stesso parla attraverso coloro che sono costituiti pastori del Suo popolo ed hanno ricevuto, mediante la successione apostolica, il compito di trasmettere l'unico Vangelo. A questo proposito desideriamo richiamare una singolare forma di ossequio che compare nella lettera di S. Paolo ai Romani: "Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto" ( Rm 12, 1 - 2 ). Come definire questo culto spirituale, la logikè latreia del v. 1, che la Vulgata traduce con rationabile obsequium ? Ancora una volta dobbiamo richiamare la Traditio di Cristo, il quale, entrando nel mondo, dice: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - per fare, o Dio, la tua volontà (...) Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre" ( Eb 10, 5 - 7. 10 ). Come il Figlio, il cristiano deve conformarsi alla volontà del Padre, offrendo se stesso come sacrificio "razionale", cioè totale ( il cuore, l'anima e le forze dello shemà ; la ragione e il corpo, ossia la totalità del suo essere nel linguaggio paolino). L'ossequio, cioè l'obbedienza della fede, è l'espressione di questa conformità alla volontà di Dio. Se Gesù definisce la perseveranza, cioè la fiducia costante, come la modalità concreta della salvezza (cfr. Lc 21, 19 ), noi possiamo definire la fedeltà come la perseverante conformità della mente e del cuore alla Rivelazione di Dio. Ora, «affinché il Vangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, gli Apostoli lasciarono come successori i Vescovi, ad essi "affidando il loro proprio compito di magistero" » ( 8). La nostra perseverante fedeltà si esercita, quindi, nei riguardi della Chiesa, ed in modo precipuo nei confronti di coloro che in essa - in quanto maestri della fede - sono insigniti del munus docendi per custodire ed esporre con fedeltà il deposiito apostolico. La fedeltà di tutti, pastori e fedeli, è ordinata alla conformazione alla fedeltà stessa di Dio, che in Cristo si è manifestata per la nostra salvezza.

La fedeltà, infine, sostiene la Chiesa, e particolarmente i pastori, nel compito di ascoltare lo Spirito e di lasciarsi guidare alla verità tutta intera ( cfr. Gv 16, 13 ). Di fatto esiste una perfettibilità del linguaggio magisteriale e delle formule, come esistono delle acquisizioni che possono essere mutate (ma solo in quanto non riguardano una dottrina definita o un dato appartenente alla Tradizione). Accennavamo alla lettura del Concilio Ecumenico vaticano II secondo un'ermeneutica della continuità. Ciò potrebbe comportare che alcune affermazioni dello stesso Concilio, caratterizzate per lo più dall' indole pastorale, siano riconsiderate nella loro formulazione. Presentando l' Istruzione Donum Veritatis della Congrezione per la Dottrina della fede, il card. Joseph Ratzinger notava che essa "afferma - forse per la prima volta con questa chiarezza - che ci sono delle decisioni del magistero che non possono essere un’ultima parola sulla materia in quanto tale, ma sono in un ancoraggio sostanziale nel problema, innanzitutto anche un’espressione di prudenza pastorale, una specie di disposizione provvisoria. Il loro nocciolo resta valido, ma i singoli particolari sui quali hanno influito le circostanze dei tempi, possono aver bisogno di ulteriori rettifiche. Al riguardo si può pensare sia alle dichiarazioni dei Papi del secolo scorso sulla libertà religiosa, come anche alle decisioni antimodernistiche dell’inizio del secolo” (9). E' compito del Magistero - e solo del Magistero - nell'ascolto fedele della Tradizione, proporre le eventuali modifiche. Ed è compito dei pastori e dei teologi esporre anche le proprie opinioni, purché ciò avvenga non con spirito di contrapposizione, ma con il solo desiderio retto di fedeltà alla Rivelazione. Ci sono magisteri falsi, privi di ogni requisito, perché troppi vogliono essere maestri nella Chiesa. Ci sono tante divisioni, perché pochi vogliono obbedire. Ma davanti a tutti sta la fedeltà di un Dio che non ha risparmiato il Suo Figlio, perchè tutti, in virtù di quell'offerta, potessimo essere resi santi nell'obbedienza della fede.

 

---------------------------------------------------------------------------

1) S. Agostino, La fede e il Simbolo, 10. 25.

2) Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Dogmatica Dei Verbum, 10

3) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 150. Nelle note seguenti sarà indicato con la sigla CCC.

4) CCC, n. 144

5) S. Agostino, Commento alla Prima Lettera di Giovanni, Omelia 1, 1

6) CCC, n. 2040

7) Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Dogmatica Lumen gentium, 25).

8) CCC, n. 77 ( la citazione all'interno del testo è tratta da Dei Verbum, 7 ).

9) Joseph Ratzinger, Rinnovato dialogo fra Magistero e Teologia, in Osservatore Romano, 27 giugno 1990, p. 6 .


 

http://www.formazioneteologica.it/gesu-cristo-stesso-ieri-oggi-sempre-348.html








 

Nessun commento:

Posta un commento